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Tribunale di Venezia sez. lav., 19/04/2021, n. 267

Massima

In materia di risarcimento per malattie professionali, per il riconoscimento del nesso causale tra esposizione lavorativa e patologia, è necessario dimostrare un’adeguata probabilità scientifica che l’attività lavorativa abbia contribuito all’insorgenza della malattia. Nel caso di specie, l’assenza di prove sufficienti sulla correlazione tra esposizione professionale all’amianto e il carcinoma polmonare, riscontrata anche attraverso accertamenti autoptici, esclude il riconoscimento del danno. In assenza di tale nesso causale, la domanda di risarcimento viene rigettata.

Supporto alla lettura

MALATTIA PROFESSIONALE

Per malattia professionale si intende una patologia che insorge a causa dell’attività lavorativa, detta anche tecnopatia, presuppone che il rischio sia provocato dall’attività lavorativa in maniera progressiva e da una serie di atti ripetuti nel tempo, infatti è caratterizzata da un’azione lenta sull’organismo, non violenta e non concentrata nel tempo.

Per fare diagnosi di malattia professionale, possono essere considerate anche le cause extraprofessionali che possono avere contribuito all’insorgere della patologia, purché non siano le sole cause ad aver procurato l’infermità. Va distinta dalla comune malattia, che non è di solito correlata al lavoro (es. l’influenza), e va, inoltre, distinta dall’infortunio, che è invece un evento traumatico che interviene durante l’orario di lavoro, in maniera violenta e concentrata nel tempo.

Deve avere due caratteristiche:

  • essere causata dall’esposizione a determinati rischi correlati al tipo di lavoro, come il contatto con polveri e sostanze nocive, rumore, vibrazioni, radiazioni, o misure organizzative che agiscono negativamente sulla salute;
  • il rischio deve agire in modo prolungato nel tempo e quindi la causa deve essere lenta.

Una volta fatta la diagnosi da parte del medico, è necessario effettuare la denuncia di malattia professionale all’INAIL, compilando l’apposito modulo predisposto dall’ente, che deve essere compilato dalla persona che fa diagnosi di malattia professionale, può quindi essere il medico di base o il medico competente del servizio di prevenzione e protezione aziendale. Denunciata la malattia, l’INAIL deve certificare o meno la presenza della malattia professionale, quindi il lavoratore viene convocato nella sede INAIL territoriale di competenza per essere sottoposto a visita medica e per iniziare l’iter per il riconoscimento della malattia.

Se viene riconosciuta la malattia professionale, e qualora questa impedisca al lavoratore di tornare a lavorare, l’INAIL corrisponde al lavoratore un’indennità dal quarto giorno successivo alla manifestazione della malattia, così retribuita (l’indennità viene calcolata sulla retribuzione corrisposta al dipendente nel 15 giorni prima dell’evento):

  • 60% della retribuzione media giornaliera per i primi 90 giorni;
  • 75% della retribuzione media giornaliera dal 91° giorno fino alla guarigione

Se il dipendente ha riportato un danno biologico, l’indennità di malattia professionale cambia e si ha diritto ad un indennizzo Inail tarato sulla base della percentuale di danno biologico.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

FATTO E DIRITTO

Le ricorrenti, rispettivamente vedova e figlia del sig. (omissis), deceduto il 29.10.2014, espongono nell’.atto introduttivo che il loro congiunto aveva prestato la propria attività lavorativa per 30 anni per la Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia svolgendo mansioni di addetto al carico e scarico delle merci e che a causa dell’.esposizione alle fibre di amianto nell’.espletamento delle mansioni assegnategli era risultato affetto da carcinoma polmonare, che ne aveva cagionato il decesso. Ritenendo sussistere la responsabilità della convenuta per la patologia contratta, le ricorrenti chiedono il risarcimento iure hereditario del danno biologico, morale e terminale sofferto in vita dal defunto.

*

La domanda attorea non è fondata.

Dalla CTU medico legale emerge che il sig. Ci. era affetto in vita da microcitoma polmonare, che ne ha determinato in breve tempo il decesso.

A seguito di un’.accurata analisi della documentazione, il CTU rileva che gli elementi disponibili (accertamento autoptico e valutazione del contenuto dei corpuscoli dell’.asbesto) escludono l’.esistenza di un’.esposizione tale da poter essere definita, incontrovertibilmente, di natura professionale ma, soprattutto, escludono livelli espositivi tali da poter affermare che gli stessi debbano essere correlati con criterio probabilistico o di certezza all’insorgenza della patologia stessa. Già gli accertamenti autoptici condotti in ambito penale hanno evidenziato una esposizione (determinata attraverso la valutazione dei corpuscoli dell’.asbesto per grammo di tessuto secco) pari a circa la metà del livello minimo considerato significativo per ritenere l’.esposizione causa della patologia e per ritenere la patologia correlata eziologicamente all’.attività professionale. L’.iniziativa assunta dal CTU, nel corso del presente giudizio, di procedere comunque ad una rivalutazione dell’istologia alla ricerca di un eventuale quadro di asbestosi polmonare (lesione precancerosa che avrebbe risolto – a favore o a sfavore – la valutazione del nesso di causalità materiale) ha consentito di escluderne la sussistenza.

Il CTU conclude che “sulla base degli elementi precedentemente esposti, è quindi possibile affermare che il nesso di causalità materiale tra esposizione professionale ad asbesto ed insorgenza di microcitoma polmonare è nella fattispecie “meramente possibile” ma non probabile né certa”.

In virtù di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in materia di malattia professionale, per l’accertamento dell’eziologia professionale della patologia contratta, se non è necessaria l’assoluta certezza, trova però applicazione “il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva” (v. per tutte Cass. Sez. L., Sentenza n.1135 del 19/01/2011). E nel caso di specie manca proprio un’.adeguata probabilità.

L’.assenza di prova in merito al nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia che ha condotto al decesso il sig. (omissis) impone, a prescindere da ogni altra valutazione, il rigetto del ricorso.

La natura delle questioni e la difficoltà dell’.accertamento consentono la compensazione delle spese di lite, laddove le spese di CTU devono gravare sulla parte soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Spese di CTU a carico di parte ricorrente.

Venezia, 19.4.2021.

Il (omissis).

Allegati

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