(omissis)
FATTO E DIRITTO
Le ricorrenti, rispettivamente vedova e figlia del sig. (omissis), deceduto il 29.10.2014, espongono nell’.atto introduttivo che il loro congiunto aveva prestato la propria attività lavorativa per 30 anni per la Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia svolgendo mansioni di addetto al carico e scarico delle merci e che a causa dell’.esposizione alle fibre di amianto nell’.espletamento delle mansioni assegnategli era risultato affetto da carcinoma polmonare, che ne aveva cagionato il decesso. Ritenendo sussistere la responsabilità della convenuta per la patologia contratta, le ricorrenti chiedono il risarcimento iure hereditario del danno biologico, morale e terminale sofferto in vita dal defunto.
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La domanda attorea non è fondata.
Dalla CTU medico legale emerge che il sig. Ci. era affetto in vita da microcitoma polmonare, che ne ha determinato in breve tempo il decesso.
A seguito di un’.accurata analisi della documentazione, il CTU rileva che gli elementi disponibili (accertamento autoptico e valutazione del contenuto dei corpuscoli dell’.asbesto) escludono l’.esistenza di un’.esposizione tale da poter essere definita, incontrovertibilmente, di natura professionale ma, soprattutto, escludono livelli espositivi tali da poter affermare che gli stessi debbano essere correlati con criterio probabilistico o di certezza all’insorgenza della patologia stessa. Già gli accertamenti autoptici condotti in ambito penale hanno evidenziato una esposizione (determinata attraverso la valutazione dei corpuscoli dell’.asbesto per grammo di tessuto secco) pari a circa la metà del livello minimo considerato significativo per ritenere l’.esposizione causa della patologia e per ritenere la patologia correlata eziologicamente all’.attività professionale. L’.iniziativa assunta dal CTU, nel corso del presente giudizio, di procedere comunque ad una rivalutazione dell’istologia alla ricerca di un eventuale quadro di asbestosi polmonare (lesione precancerosa che avrebbe risolto – a favore o a sfavore – la valutazione del nesso di causalità materiale) ha consentito di escluderne la sussistenza.
Il CTU conclude che “sulla base degli elementi precedentemente esposti, è quindi possibile affermare che il nesso di causalità materiale tra esposizione professionale ad asbesto ed insorgenza di microcitoma polmonare è nella fattispecie “meramente possibile” ma non probabile né certa”.
In virtù di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in materia di malattia professionale, per l’accertamento dell’eziologia professionale della patologia contratta, se non è necessaria l’assoluta certezza, trova però applicazione “il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva” (v. per tutte Cass. Sez. L., Sentenza n.1135 del 19/01/2011). E nel caso di specie manca proprio un’.adeguata probabilità.
L’.assenza di prova in merito al nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia che ha condotto al decesso il sig. (omissis) impone, a prescindere da ogni altra valutazione, il rigetto del ricorso.
La natura delle questioni e la difficoltà dell’.accertamento consentono la compensazione delle spese di lite, laddove le spese di CTU devono gravare sulla parte soccombente.
PQM
Rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Spese di CTU a carico di parte ricorrente.
Venezia, 19.4.2021.
Il (omissis).
