Svolgimento del processo
Con decreto del Gup presso il Tribunale di Udine l’odierno imputato veniva rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Udine per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica.
All’udienza dibattimentale di data 16 gennaio 2023 veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova: il Pm chiedeva di essere ammesso a provare i fatti di causa mediante l’esame dei testi indicati in lista ed esame imputato, la difesa di parte civile chiedeva l’esame dei testi di lista, la difesa chiedeva l’esame dei testi di lista.
Ammesse le prove richieste dalle parti con ordinanza resa ai sensi dell’art.495 c.p.p., all’udienza di data 6 marzo 2023 si procedeva all’esame di St.An.; all’udienza del 8 maggio 2023 si procedeva all’esame di Ma.Lu., Al.Gi.; con il consenso delle parti veniva acquisito il verbale di sit rese da Zi.St. e Al.Gi..
All’udienza del 3 luglio 2023 si procedeva all’esame di Pa.Gi., Di.Ma., Ca.Ni.; all’udienza del 11 settembre 2023 si procedeva all’esame dell’imputato e di Lu.Fa., Cu.Ca.. Dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, all’udienza del 23 ottobre 2023 le parti discutevano la causa concludendo come da verbale di udienza ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo.
Diritto
Motivi della decisione
Dovrà essere pronunciata sentenza di condanna dell’odierno imputato per il reato di rubrica, riqualificato ai sensi dell’art.660 c.p..
St.An., sentita in dibattimento, ha ricostruito la storia della sua relazione con l’odierno imputato, dall’inizio della relazione sino ad arrivare ai fatti per cui è processo; la teste ha riferito di avere conosciuto il Lu. nel 2010 e di avere iniziato con lui una relazione sentimentale, spiegando che nel 2011 l’imputato aveva iniziato a convivere a casa sua.
La teste ha aggiunto che l’imputato, prima di stabilirsi a casa sua, le aveva confessato di avere dei problemi con l’alcool, circostanza di cui aveva discusso con il padre del Lu. ma che, in ogni caso, inizialmente non l’aveva allarmata.
La St. ha raccontato di essere rimasta incinta una prima volta nel novembre 2011, ma in quella circostanza, non avendo il Lu. voluto tenere il bambino, si era recata in ospedale per abortire; in ogni caso, la relazione era proseguita, sino a quando, in data 10 gennaio 2014, dalla relazione era nata una bambina.
La teste ha spiegato che nel periodo immediatamente successivo la relazione era proseguita, tra “alti e bassi”, sino a quando, nell’agosto 2017, l’imputato, sempre per colpa della sua dipendenza dall’alcool, aveva inscenato il suicidio; a causa di tale episodio, aveva deciso di interrompere la relazione con Lu., che aveva allontanato dalla sua casa.
Dopo nove mesi aveva ripreso la relazione ed aveva nuovamente accolto Lu. nella sua casa; nel mese di ottobre l’imputato, ancora ubriaco, le aveva per la prima volta “alzato le mani”; l’aveva ancora colpita, con uno schiaffo sul viso, il 31 dicembre 2019, in piazza ad Alesso.
Nel 2020 l’imputato aveva “messo le mani addosso” anche alla sua figlia più grande (nata da una precedente relazione).
Fatta questa premessa, la teste ha spiegato che nell’estate del 2021 lavorava per la Cooperativa “Pa.” e pertanto nella sera del 22 luglio si era recata al Comune di Cavazzo Carnico, per fare le pulizie, mentre il Lu. si era recato a casa della sua amica Zi. (all’epoca dei fatti affetta da Sia e per tale motivo trasferitasi per un periodo all’estero), dove si era offerto di fare delle modifiche al bagno; ha aggiunto che la sera, verso le 19, dopo il lavoro, era rientrata a casa, ma passando davanti ad un bar, aveva notato l’auto dell’imputato, che avrebbe invece dovuto trovarsi a casa (quella sera aveva il turno di notte in cartiera a Tolmezzo).
La St. ha riferito di avere quindi inviato un messaggio all’imputato, scrivendo “non sapevo che abitassi in piazza”; tale messaggio aveva scatenato la reazione del Lu., che era tornato a casa e l’aveva raggiunta in bagno, dove l’aveva afferrata per i capelli e l’aveva picchiata con degli schiaffi in testa, sbattendola contro il termosifone.
La teste ha spiegato di avere tentato di difendersi, colpendolo con un pugno alla schiena; aveva quindi dapprima chiamato al telefono il padre di Lu. e poi il 112, al quale aveva spiegato che avrebbe dovuto recarsi in piazza, in paese, dove aveva un incontro con altre persone; il militare era rimasto al telefono con lei, sino a quando era stata raggiunta in piazza da altri carabinieri, ai quali aveva chiesto che Lu. lasciasse la sua casa.
Su consiglio dei militari quella sera non era tornata a casa, mentre l’imputato, dopo avere consegnato ai carabinieri le chiavi, si era trasferito dal padre; a partire da quel momento aveva iniziato a ricevere una serie incessante di chiamate e messaggi da parte dell’imputato, con insulti e minacce di vario genere.
Sul punto la St. ha chiarito che già quella sera, quando ancora si trovava in compagnia dei carabinieri, il Lu. l’aveva chiamata due volte, dal suo numero (…) insultandola (“allora troia, sei già con l’amico, fatti scopare”) e le telefonate, messe in “vivavoce”, erano state ascoltate anche dai carabinieri.
In seguito, sempre quella sera, aveva ricevuto numerosi messaggi, con minacce (“le grandi minacce nei messaggi dopo sono che mi portava via la bambina”) ed insulti (“troia, puttana”), tanto che i carabinieri le avevano spiegato come “bloccare” le comunicazioni da parte del Lu., ma si era vista costretta a “sbloccare” il telefono, che era l’unico modo per sentire sua figlia, in quei giorni ospite a casa dei genitori dell’imputato.
La teste ha spiegato di avere continuato a ricevere numerosi messaggi e chiamate anche il giorno dopo (anche dall’utenza della madre del Lu., poiché non rispondeva alle sue chiamate dirette), con cui le chiedeva la restituzione dei suoi effetti personali, e nel periodo successivo, in cui le erano pervenuti numerosissimi messaggi, anche quando si trovava in presenza di altre persone.
In particolare, la St. ha riferito che una sera, a fine luglio 2021, unitamente alla sue due figlie si era recata ad Alesso presso il Bar gestito dalla Zi., dove aveva lavorato prima di essere impiegata nella Cooperativa, in quella circostanza l’imputato le aveva inviato numerosi messaggi audio e scritti, intimandole di rientrare a casa perché una bambina di otto anni e mezzo non poteva stare in giro; era quindi intervenuta la sua amica Zi. che aveva inviato a Lu. un messaggio audio, chiedendo di smetterla “che mi stava mandando fuori di testa, che la bambina stava giocando con altri bambini..di crescere e di comportarsi da uomo” (pg. 13).
I messaggi erano proseguiti; quando si stava organizzando per le ferie estive, nell’agosto 2021, programmando un viaggio a Sabaudia, da sua sorella, unitamente alla figlia minore, aveva ricevuto dei messaggi dal Lu., che aveva preteso di sapere dove portava la bambina, dicendo che avrebbe potuto denunciarla per sequestro di persona; la teste ha spiegato di essersi presentata presso la caserma dei Carabinieri di Osoppo spiegando la sua situazione, esibendo i biglietti che già aveva acquistato per il viaggio.
Anche durante il periodo delle vacanze aveva continuato incessantemente a ricevere messaggi del Lu.; nella giornata dell’11 agosto, anniversario di matrimonio di sua sorella, aveva ricevuto 112 messaggi.
La St. ha spiegato, in generale, che in alcuni dei messaggi ricevuti in tale lungo periodo il Lu. l’aveva minacciata di toglierle la bambina, in un messaggio (dopo che lei gli aveva chiesto di lasciarla in pace) l’uomo aveva risposto “io ti lascio stare quando ti ho eliminato dalla mia vita”; in altro messaggio le aveva scritto “se sono buono okay altrimenti fai due preghiere” (pag. 14).
La teste ha spiegato che tale situazione le aveva creato ansia, attacchi di panico, disturbi di sonno, tanto da essere stata costretta a rivolgersi da uno psichiatra presso il CSM.
La teste ha aggiunto di avere un giorno, ad agosto, comunicato al Lu., che continuava a scriverle, di essere appena uscita dalla Caserma di Osoppo e l’imputato le aveva chiesto se lo avesse denunciato; alla sua risposta negativa, l’uomo aveva risposto “per favore torna indietro e denunciami”. La St. ha chiarito di avere chiesto al M.llo Ma. della Caserma di Osoppo se fosse possibile fare un richiamo verbale all’imputato ma le era stato spiegato che sarebbe stato scarsamente efficace; il 23 settembre 2021 aveva quindi presentato querela, consegnando nel contempo una chiavetta contenente i messaggi ricevuti dall’imputato (1).
La teste aveva continuato a ricevere numerosi messaggi anche dopo la presentazione della querela, che non riguardavano solamente la gestione della bambina, tanto da avere fatto una successiva integrazione di querela, in data 12 ottobre 2021.
La situazione era migliorata solo quando, nel dicembre 2021 (2), era stata emessa una misura cautelare nei confronti dei Lu..
Quanto alla gestione delle visite alla bambina, la teste ha spiegato che Lu., dopo essere uscito di casa, le aveva imposto un regime secondo il quale avrebbe potuto vedere la bambina a settimane alterne; in questo periodo l’imputato si recava a casa sua la domenica, e recuperava la bambina che veniva portata a casa dei suoi genitori; la domenica successiva era lei a recarsi a Villa Sa., a casa dei genitori del Lu., per riprendere la bambina, facendosi accompagnare da una amica per evitare di incontrare l’imputato. Era stata lei ad imporre una modifica del regime di visita, facendo in modo che l’imputato potesse vedere la figlia nei fine settimana; erano poi intervenuti i legali, e il regime era stato ancora modificato (3).
L’odierno imputato, in sede di interrogatorio reso in aprile 2022 aveva premesso di avere avuto un litigio con la St. in data 21 luglio 2021 e di avere in seguito a ciò interrotto la sua convivenza, che durava da 8/9 anni; la bambina era quindi rimasta con lui nell’estate 2021 e poi da fine settembre una settimana con lui ed una con la madre.
Finita la relazione aveva chiesto indietro i suoi effetti personali, i documenti fiscali e le fatture; gli era stato restituito solo parzialmente quanto richiesto, grazie all’intervento del suo legale. Aveva quindi chiesto la restituzione dei beni di sua proprietà, di cui aveva fornito un elenco, tramite l’avvocato, ma non gli erano mai stati restituiti; aveva quindi richiesto il rimborso di quanto aveva speso nella casa della St. (Euro 25.000 circa).
La persona offesa, a fronte delle sue richieste, avanzate per il tramite di messaggi (perché la stessa non rispondeva alle sue telefonate), aveva iniziato unilateramente a limitare la sua possibilità di vedere sua figlia nei soli fine settimana; aveva dovuto quindi far intervenire il suo legale. L’imputato aveva aggiunto che sino al momento in cui era stata applicata nei suoi confronti la misura cautelare, non sapeva di essere stato querelato (nel mese di settembre 2021); la St. aveva taciuto di averlo querelato, anche quando vi erano stati degli incontri con i rispettivi avvocati, nei quali non dimostrava alcun timore nei suoi confronti e anzi manifestava aggressività. Lu. aveva quindi affermato che, evidentemente, la querela era stata strumentale alla parallela causa civile (la St. aveva depositato un ricorso -nel quale aveva chiesto il collocamento prevalente della figlia, un assegno mensile di Euro 350,00 – ove aveva ricordato al giudice civile di averlo querelato). L’imputato aveva precisato di avere perso ogni interesse sentimentale verso la St. quando la relazione si era interrotta; il suo unico interesse era la figlia, che spesso veniva portata dalla persona offesa nel bar dove la stessa aveva iniziato a lavorare (il bar “Da.”, in Alesso di Trasaghis). Aveva quindi cercato su internet un investigatore privato, per dimostrare che sua figlia di otto anni veniva portata e lasciata nel bar, ma poi aveva lasciato perdere; in ogni caso, anche la minore gli aveva confermato più vote di trovarsi all’interno del bar, in una occasione anche quando era ammalata. L’imputato aveva spiegato di avere inviato la maggior parte dei messaggi per chiedere la restituzione dei suoi beni oppure per questioni legate alla bambina; anche la St. gli aveva inviato nello stesso periodo 800 messaggi, e lui aveva risposto con più messaggi frammentati, anziché con uno solo. L’imputato, sentito all’udienza del 11 settembre 2023, ha negato di avere problemi di dipendenza da alcool, aggiungendo di lavorare in cartiera e di essere potenzialmente soggetto a controlli; ha escluso che in alcune delle discussioni registrate dalla persona offesa e depositate con la querela lui si trovasse sotto l’effetto dell’alcool.
Ha spiegato che la St. gli aveva chiesto di non mandarle dei messaggi, ma lui aveva continuato per due mesi circa, perché aveva la necessità di rientrare in possesso dei suoi effetti personali e di trovare un accordo per la bambina. Zi.St., in sede di sit (verbale acquisito con il consenso delle parti) aveva premesso di conoscere la St. da molti anni e di avere conosciuto Lu. da quattro anni circa; aveva aggiunto di avere assistito ad un unico episodio di violenza fisica posta in essere dall’imputato ai danni della persona offesa: durante la festa del 31 dicembre 2019 era stato montato un tendone in piazza ad Alesso, davanti al suo bar e in quella occasione aveva visto il Lu. colpire la St. con un forte schiaffo al volto.
La teste ha aggiunto che in data 31 luglio 2021, la sera, mentre si trovava al bar, era stata contattata su “Whatsapp” da Lu., che le aveva chiesto di contattare la St. per sapere dove si trovasse sua figlia; aveva risposto che non si trovavano da lei.
Solo in seguito la St. era giunta nel suo bar con la figlia, che stava giocando in piazza con altri bambini; la persona offesa le aveva rappresentato di non passare un bel periodo, perché Lu. la stava tartassando con numerosi messaggi, scritti e audio e che per tale motivo era emotivamente provata; vedendola in quello stato aveva inviato un messaggio audio “Whatsapp” a Lu. invitandolo a stare tranquillo.
Al.Gi., in sede di sit, aveva premesso di essere fratello da parte di madre di St.An.; per quanto a sua conoscenza il rapporto tra la St. e Lu. si era deteriorato a causa dei problemi con l’alcool di quest’ultimo Pa.Gi. in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Forni di Sopra, sentito in dibattimento ha riferito di essere intervenuto, unitamente al collega, nella serata del 22 luglio 2021, su richiesta della St.; il teste ha spiegato di avere incontrato la donna in piazza ad Alesso, sentendo la sua versione dei fatti; la donna non presentava ferite o ecchimosi evidenti; ha aggiunto di essersi recato nella abitazione di Alesso, dove era stato identificato l’imputato; anch’egli non presentava ecchimosi e si era dimostrato collaborativo.
Be.Ma., sentita in dibattimento, ha premesso di avere frequentato la St. e il Lu., anche nel corso di alcune serate, in cui c’era stato il consumo, da parte di varie persone presenti alle serate, di bevande alcoliche, anche “oltre il limite”; ha aggiunto di avere saputo che i due avevano litigato nel luglio 2021 “più che altro perché lui beveva, però dopo non so se è solo quello o…” (pg. 7 trascrizioni 3.7.23).
La teste ha riferito che la St. le aveva confidato di ricevere messaggi e telefonate da Lu. e ha spiegato di essere stata in alcune circostanze presente, quando l’imputato inviava i suoi messaggi; tale situazione aveva provocato il malessere della persona offesa (“attacchi di panico, di stress, si…”). La teste ha spiegato che nel periodo successivo alla separazione della coppia, era stata lei ad accompagnare la St. a casa dei genitori del Lu., quando era necessario recuperare la bambina; era presente presso l’abitazione della St., su richiesta di quest’ultima, quando Lu. si recava a casa sua per prendere la minore.
Ca.Ni., figlia della persona offesa, ha spiegato di avere conosciuto Lu. quando questi aveva iniziato a frequentare sua madre e, in seguito, si era trasferito a casa della persona offesa (dove lei trascorreva la settimana, per poi recarsi dal padre nei fine settimana).
La teste ha spiegato che il rapporto tra sua madre e il Lu. all’inizio era stato vissuto senza particolari problemi ma in seguito era peggiorato, anche a causa dell’uso di sostanze alcoliche da parte dell’imputato; sul punto ha spiegato di avere in varie occasioni, quando rientrava da scuola, sorpreso il Lu. a casa ubriaco.
Qualche volta l’imputato aveva insultato anche lei, di fronte alla bambina piccola (sua sorella, figlia del Lu. e della St.). In una circostanza, quando era in prima superiore, era intervenuta nel corso di un litigio tra sua madre e l’imputato e questi, inseguendola in bagno (dove si era rifugiata per chiamare i carabinieri), l’aveva spinta verso la finestra.
In occasione degli eventi del 21 luglio 2021, la teste ha spiegato che quella sera si trovava a casa di suo padre; solo nella mattinata successiva aveva saputo da sua madre, al telefono, del litigio che era avvenuto la sera precedente; aveva quindi raggiunto sua madre, che era piena di lividi anche se non aveva voluto farsi visitare.
Da quel momento l’imputato aveva iniziato ad inviare incessantemente messaggi a sua madre, oltre che a chiamarla, a qualsiasi orario, anche di notte; tale situazione aveva creato ansia in capo alla St..
Lu.Fa., padre dell’imputato, sentito in dibattimento ha spiegato che l’imputato, dopo la fine della relazione con la St., si era trasferito a vivere a casa sua; la minore Da. trascorre il fine settimana, dal venerdì al lunedì, nella sua casa.
Il teste ha spiegato che suo figlio aveva manifestato in alcune occasioni preoccupazione per la gestione della bambina da parte della St.; ha aggiunto che questa, dopo la separazione, non si era mai entrata nella sua casa (quando veniva a prendere la bambina si fermava all’esterno, sul marciapiede); ha spiegato di avere prestato alcuni attrezzi a suo figlio, che poi erano finiti nella casa della St. e che non gli erano mai stati restituiti. Il teste ha negato che l’imputato abbia problemi di dipendenza da alcool, ha negato di avere mai visto il Lu. ubriaco.
Come si è avuto modo di precisare, la persona offesa aveva allegato alla querela una chiavetta, contenente file audio/video e messaggi; il contenuto della chiavetta è stato trascritto e prodotto dal Pm in sede di istanze istruttorie. Dai verbali prodotti emerge che tra i files vi era la registrazione digitale audio di una conversazione tra Lu. e St. (verosimilmente registrata a gennaio 2021, come indicato nel file); oltre alla registrazione di una telefonata in vivavoce tra Lu. e la St. (alla quale risulta essere stato presente tale “Ci.”, persona identificata nell’App. Q.S., effettivo alla Stazione dei CC di Gemona, conoscente di entrambi i soggetti).
Nella chiavetta USB erano stati rinvenuti 5 file audio/video (in parte trascritti, aff. da 40 a 57); altri 294 file audio, dal 2 agosto al 17 agosto (258 inviati da Lu. alla St.; 35 inviati dalla St. al Lu., 1 dalla figlia Diana). I file audio non contenevano minacce.
Erano quindi stati estrapolati dalla chiavetta 1877 messaggi scritti (da 2 agosto al 17 agosto); 1183 inviati da Lu. alla St.; 694 da St.. Due di questi messaggi (1288 e 1338 del 12.8.2021) erano stati indicati come minacciosi dalla persona offesa.
Ricostruita nei termini che precedono la vicenda oggetto del presente procedimento, si deve evidenziare che l’odierno imputato è stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all’art.612 bis c.p., contestato come commesso tra il 22 luglio 2021 e il 1.11.2021, attraverso l’invio di centinaia di messaggi e di file audio, “molti dei quali di natura pretestuosa, con i quali a volte rivolgeva alla persona offesa ingiurie e minacce”.
Delineato il quadro della contestazione, va detto che le dichiarazioni rese dalla persona offesa, che ha ricostruito la storia della sua relazione con l’imputato, sino a descrivere i fatti oggetto di contestazione – che si collocano in un periodo successivo al termine della convivenza – sono state confermate dalla documentazione acquisita agli atti del fascicolo del dibattimento. Come si è avuto modo di spiegare, la St., in sede di querela, ha depositato una chiavetta (riversata nei due dvd prodotti dal Pm e in seguito prodotta in originale) il cui contenuto è stato trascritto nei verbali acquisiti al fascicolo del dibattimento.
Il contenuto di tali verbali, che contengono le trascrizioni dei messaggi scritti e audio intercorsi tra le parti nel periodo di interesse, sono pienamente utilizzabili per la decisione, non essendo stato contestato né il contenuto delle chat né la loro provenienza (sul punto, vedi la recente Cass. Pen., 38678 del 2023). Del resto l’imputato non ha negato di avere inviato messaggi alla persona offesa, avendo piuttosto spiegato di essersi limitato a chiedere la restituzione dei suoi effetti personali e ad avanzare richieste sulle modalità di gestione della figlia comune.
Il contenuto dei messaggi, scritti e audio, come detto conferma la ricostruzione dei fatti esposta dalla St. e smentisce in maniera categorica quanto affermato dal Lu.; l’ascolto dei numerosi file audio e la lettura delle trascrizioni di tali file, oltre che dei messaggi scritti, rende del tutto evidente che l’imputato, nei suoi ossessivi contatti verso la persona offesa, aveva utilizzato termini gravemente offensivi, avanzato recriminazioni sul suo rapporto con la persona offesa, accuse sulla fine della relazione, avanzato sospetti di tradimenti. La ricezione da parte della persona offesa di messaggi non graditi da parte del Lu. è stata confermata dai testi Ca., Zi. e Be..
La circostanza che, tra centinaia di messaggi, in alcuni vi fosse la richiesta della restituzione dei propri effetti personali e di informazioni sulla figlia minore, non cambia il senso generale dell’invadente flusso di comunicazioni tra il Lu. verso la St..
Appare credibile che il comportamento del Lu. sia stato influenzato dalle sue problematiche alcool correlate; sebbene l’imputato abbia fermamente negato di essere dipendente dall’alcool, l’ascolto di alcuni dei file audio allegati alla querela rende assolutamente evidente che in tali conversazioni l’imputato si trovava sotto l’effetto dell’alcool (tra tutte, si rimanda alla registrazione “(…)”, riportata nel doc. aff. 30 del Pm).
Del resto, il tema della dipendenza da alcool appare perfettamente compatibile con la biografia penale dell’imputato, che, come risulta dal certificato del casellario in atti, ha in corso un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza (fatti del 7 giugno 2022), sospeso con messa alla prova. La circostanza che l’imputato avesse sviluppato tali problemi, che avevano gravemente influenzato le dinamiche della vita di coppia, è stata confermata dalla teste Ca.Ni. (figlia della persona offesa), e indirettamente dalla teste Be..
Venendo agli approfondimenti sulla corretta qualificazione dei fatti, come chiarito dalla Corte, la molestia è costituita “dall’interferenza non accetta che altera dolorosamente, fastidiosamente o importunatamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona”; per essere qualificato come molesto l’atto “deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere ispirato anche da biasimevole, ossia riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata dì altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente ed invadente” (vedi Cass. Sez. I, 22 ottobre 2021). Ebbene, la reiterata e pervicace condotta del Lu., posta in essere in un prolungato lasso di tempo successivo al termine della sua relazione con la St., attraverso i messaggi audio e scritti sopra citati, appare senza dubbio alcuno qualificabile come “molesto”, in quando idoneo a turbare la sfera psichica della persona offesa, con una intrusione nella sua sfera privata invasiva e temporalmente estesa. Va in generale ricordato che, pacificamente le molestie possono essere veicolate anche con messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi whatsapp, rilevando, a tal fine, il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario (e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita) (sul punto, vedi Cass. Pen., Sez. I, 37974 del 18.3.2021; recentemente la Corte ha ribadito, ai fini della sussistenza della molestia, la irrilevanza della possibilità per l’utente di un telefono cellulare (o di una casella di posta elettronica) di disattivare i segnali di ricezione di una data comunicazione, in quanto l’attivazione delle modalità di estromissione, se fondata sul turbamento o sul fastidio provato dal destinatario, è già prova che il bene protetto è stato attinto e il reato risulta consumato.
Ebbene, ritenuto dimostrato l’invio dei numerosi messaggi, come contestato in rubrica, rimane da valutare se tali condotte possano essere ritenute riconducibili nell’alveo applicativo della fattispecie contestata in rubrica o se integrino diverse ipotesi di reato.
Sotto questo profilo, si deve in generale ricordare che secondo il costante orientamento della Suprema Corte “il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. solo qualora le condotte molestatici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui ali ‘art. 660 c.p. laddove le molestie si limitino ad infastidire le vittima del reato”, Cass. Pen., Sez. V, 15625 del 9.2.2021. Fatta questa premessa, si deve tuttavia osservare come in dibattimento non sia emersa la prova della sussistenza degli eventi contestati in rubrica (“perdurante e grave stato di ansia e/o di paura per la sua incolumità”).
Seppure, in generale, sia pacifico che “ai fini della integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori (…) abbiano un effetto destabilizzante della serenità ed equilibrio psicologico della vittima” (Cass. Sez. V, 18646 del 17.2.2017), va detto che sul tema sono emersi dati non del tutto chiari e in parte contraddittori; la St. ha affermato che la ricezione dei messaggi da parte del Lu. le aveva provocato ansia e attacchi di panico, ma nella relazione di ASU FC prodotta dal Pm (doc. 2, aff. 28) è emerso che la persona offesa, che si era rivolta al servizio nel settembre 2021, aveva in tale circostanza lamentato episodi di ansia associati agli “incontri con l’ex compagno” ma non aveva introdotto il tema dello stato di ansia legato alla ricezione dei messaggi. Come già più volte considerato, la vicenda si inserisce nel contesto di una relazione sentimentale durata per molto tempo, già una volta interrotta e ripresa dalle parti, sulla base delle stesse problematiche lamentate dalla St. (abuso di alcool da parte del Lu.); in questo quadro, non è emersa una prova sufficiente che la condotta del Lu., successiva alla seconda separazione, e concretizzatasi con svariati messaggi audio e scritti, pur molesta, possa avere provocato uno stato di grave ansia nella persona offesa ovvero timore per la propria incolumità.
Pur potendosi ritenere, pacificamente, che la condotta dell’imputato potesse avere provocato fastidio ed irritazione in capo alla persona offesa, ciò non consente di ritenere integrato l’evento tipico del “perdurante stato di ansia o di paura” (“in tema di atti persecutori, l’evento tipico del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, che consiste in un profondo turbamento con effetto destabilizzante della serenità ed equilibrio psicologico della vittima, non può risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione o insofferenza per le condotte minatorie o moleste subite”, Cass. Pen., Sez. V, 2555 del 18.12.2020).
Va pertanto affermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di rubrica correttamente riqualificato ai sensi dell’art. 660 c.p.; la gravità della condotta, prolungata nel tempo, impedisce l’applicazione della invocata causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.; valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p. e denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non essendo emerso alcun elemento favorevole, è da ritenersi pena congrua quella di mesi quattro di arresto.
Alla condanna consegue l’obbligo del pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che l’assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati.
Non sussistono i presupposti per concedere all’imputato il beneficio della non menzione; in generale, “la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione”, Cass. Pen., Sez. II n. 1 del 15.11.2016. “il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 c.p. è fondato sul principio “dell’emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente consequenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l’obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 c.p.” Cass. Pen., Sez. II, 16366 del 28-3-2019. Nel caso di specie, la pervicacia della condotta impedisce la concessione del beneficio.
L’imputato dovrà essere condannato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, che appare congruo quantificare equitativamente in Euro 4.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali in favore della predetta parte civile, che appare equo liquidare in Euro 2.200 oltre a IVA, CPA e spese generali come per legge.
Ai sensi degli artt. 280 e ss.c.p.p. dovrà essere dichiarata la immediata cessazione della misura cautelare imposta all’imputato con ordinanza del Gip del Tribunale di Udine di data 15 dicembre 2021.
Appare congrua l’assegnazione del termine di 90 giorni per il deposito della motivazione ex art. 544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p.
DICHIARA
Lu.La. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica, correttamente riqualificato ai sensi dell’art. 660 c.p. e lo condanna alla pena di mesi quattro di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa.
Condanna l’imputato a risarcire i danni subiti dalla parte civile costituita, che quantifica equitativamente in Euro 4.000, oltre al pagamento delle spese processuali in favore della predetta parte civile, che liquida in Euro 2.200,00, oltre a IVA, CPA e spese generali come per legge.
Letti gli artt. 280 e ss.c.p.p. dichiara la immediata cessazione della misura cautelare imposta all’imputato con ordinanza del Gip del Tribunale di Udine di data 15 dicembre 2021.
Motivazione in gg. 90.
Così deciso in Udine il 23 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2023.
