– Con ricorso depositato il 14 luglio 2008 C.V. chiedeva l’interdizione della sorella C.F., ottantunenne, sostenendo che costei era assolutamente incapace di intendere e volere e di provvedere ai suoi interessi per assoluto decadimento fisico e mentale, essendo affetta da severa demenza senile a genesi multifattoriale, con vasculopatia degenerativa tipo Alzheimer in soggetto iperteso con sindrome vertiginosa, e che, a seguito di istanza per la nomina di un amministratore di sostegno presentata dal figliastro della stessa D.F.F. al giudice tutelare, quest’ultimo aveva rigettato la richiesta e trasmesso gli atti al P.M. in sede ritenendo sussistenti le condizioni per l’interdizione;
– Disposta la comparizione delle parti innanzi al giudice designato, all’udienza del 21 ottobre 2008 veniva esaminata l’interdicenda, che non forniva alcuna risposta sensata e risultava completamente disorientata nel tempo, nello spazio e nelle relazioni intersoggettive; nello stesso contesto venivano sentiti anche i due germani, che confermavano il contenuto del ricorso e precisavano che la congiunta viveva affidata ad una badante che le aveva procurato il D.F.F., figlio del suo defunto marito, e che già era stata oggetto di circonvenzione da parte dei vicini cui aveva venduto la nuda proprietà del suo appartamento per un prezzo irrisorio ed a condizioni palesemente irragionevoli, come dimostrato dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Trani di condanna per circonvenzione d’incapace;
– In considerazione della situazione di contrapposizione del ricorrente con il D.F.F., veniva disposta l’audizione di quest’ultimo – come informatore – con citazione a cura del ricorrente e all’udienza fissata il D.F.F. si costituiva, intervenendo nel procedimento per opporsi alla richiesta di interdizione della matrigna e chiedendo in via preliminare la sospensione del procedimento di interdizione, essendo pendente innanzi alla Corte d’Appello il reclamo avverso il provvedimento di rigetto del giudice tutelare, nonché la rimessione in termini per la violazione del contraddittorio; nel merito, ritenendo adeguata a tutelare la C.F. la misura dell’a.d.s. e comunque non provata la ricorrenza delle condizioni per addivenire all’interdizione. Peraltro in sede di esame anche il D.F.F. riconosceva che negli ultimi mesi la matrigna aveva subito “un peggioramento della patologia” e che attualmente non era in grado di gestire autonomamente le attività quotidiane ordinarie né era in grado di maneggiare denaro e che era assistita permanentemente da una badante. Aggiungeva che la matrigna era usufruttuaria della sua abitazione, avendone venduto la nuda proprietà ad un vicina per la quale era in corso processo penale per circonvenzione d’incapace ed era titolare di due pensioni e presumibilmente di “titoli” che aveva sempre gestito da sola.
OSSERVA IL COLLEGIO
Diritto
Il ricorso è fondato e pertanto va dichiarata l’interdizione di C.F..
La delicatezza degli argomenti da affrontare impone una esposizione approfondita dell’iter argomentativo che ha condotto a siffatta decisione.
Non si può, infatti, ignorare che la Corte d’Appello di Bari, nelle more della presente decisione, con provvedimento del 14.11.2008, depositato il 2.12.2008, in riforma del decreto del G.T. reclamato, ha nominato a C.F. l’amministratore di sostegno a tempo indeterminato, assegnandogli sostanzialmente poteri illimitati nel compimento di tutti gli atti materiali e giuridici inerenti la vita della beneficiata (1).
Non ritiene però questo collegio di condividere siffatta decisione, né che tale provvedimento escluda da parte dell’odierno giudicante una nuova valutazione circa la misura più idonea a tutelare in concreto e nello specifico l’ultraottantenne sig.ra C.F., risultata pacificamente essere in stato di totale incapacità di intendere e di volere. È appena il caso, poi, di considerare come sia del tutto anomala la posizione processuale del D.F.F., intervenuto in giudizio (non è chiaro in quale veste) per contrastare la domanda del ricorrente senza rivestire alcuna legittimazione – nemmeno quale congiunto dell’interdicenda -, per cui inconferente è la sua richiesta di “rimessione in termini” ovvero l’eccezione di violazione del contraddittorio (per giurisprudenza costante, per il vero, nemmeno i congiunti sono “parti” in senso processuale).
Tornando all’esame del merito, va precisato che secondo costante giurisprudenza il primo dei presupposti necessari ai fini della dichiarazione di interdizione deve identificarsi con una menomazione mentale – non necessariamente coincidente con il concetto di malattia accolto dalla scienza medica – talmente grave da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi (v. per tutte Cass. 11.2.1994 n. 1388). Inoltre “l’interdizione e l’inabilitazione, ai sensi degli artt. 414 e 415 c.c., postulano una infermità di mente che presenti carattere di abitualità, cioè di durata nel tempo tale da qualificarla come habitus normale del soggetto (ancorché in presenza di lucidi intervalli) e che inoltre incida sulla capacità del soggetto medesimo di provvedere alla cura dei propri interessi” (Cass. 20.11.1985 n. 5709). Infine, l’infermità di mente deve essere attuale, poiché “l’interdizione o l’inabilitazione dell’infermo di mente devono ricollegarsi alle condizioni di salute psichica in atto al momento della relativa pronuncia” (Cass. 13.3.1990 n. 2031) e, quanto alla incapacità di agire, “il giudice, nell’apprezzare se una persona sia più o meno capace di provvedere ai propri interessi ai sensi dell’art. 414 c.c., deve avere riguardo non ai soli affari di indole economica e patrimoniale, ma a tutti gli atti che attengano sia alla cura della persona sia all’adempimento dei doveri familiari e della vita civile nelle sue espressioni giuridicamente rilevanti” (Corte d’Appello di Milano 31.1.1999; Cass. 21.10.1991 n. 11131; Cass. 18.12.1989 n. 5652).
Ciò premesso in diritto, nel caso di specie deve osservarsi come dalla certificazione medica acquisita al processo si evinca che la resistente è affetta da una grave forma di demenza senile a genesi multifattoriale con vasculopatia degenerativa tipo Alzhaimer, oltre ad altre patologie invalidanti.
L’esame dell’interdicenda ha evidenziato tale grave patologia, nonché la sua incapacità di relazionarsi convenientemente con il mondo esterno e di rispondere anche alle domande più elementari (età, nome, parentele, etc.). Infatti C.F., già interrogata dal G.T. in sede di richiesta di nomina dell’amministratore di sostegno con i medesimi risultati, è apparsa al Giudice delegato del tutto assente al colloquio, e non ha fornito risposte confacenti a nessuna delle domande rivoltele.
La documentazione prodotta e l’esito dell’esame dell’interdicenda inducono, quindi, a ritenere che le sue condizioni non siano suscettibili di alcun apprezzabile miglioramento, anche in considerazione dell’età del soggetto (ultra ottantenne).
La situazione diagnosticata di “demenza senile con disturbi del comportamento”, comporta la evidente compromissione delle funzioni cognitive superiori e sul punto sono del tutto convergenti le dichiarazioni dei congiunti e dello stesso antagonista D.F.F..
L’evidenza della sua totale incapacità ha determinato, inoltre, lo stesso P.M. a ritenere superflua ogni ulteriore mezzo istruttorio teso a verificare il suo status fisico e mentale.
Appare, pertanto, incontestabile che l’infermità del soggetto de quo, concernente le facoltà sensoriali, intellettive (intelligenza e memoria) e le facoltà volitive (formazione e manifestazione della volontà), è abituale e di tale assoluta gravità da renderla completamente incapace ad affrontare autonomamente le questioni della vita quotidiana, a discernere correttamente il significato, il valore e le conseguenze giuridiche e morali di atti e fatti, nonché di orientarsi nel tempo e nello spazio.
Ben può affermarsi in conclusione che C.F. versi in uno stato di infermità abituale di mente tale da renderla totalmente incapace di intendere e di volere e di provvedere ai propri interessi e che tale status legittimi la dichiarazione di interdizione, ai sensi dell’art. 414 c.c., come richiesto dal ricorrente e dal P.M.
Peraltro, dopo l’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2004 n. 6, che ha introdotto il nuovo concetto di “misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”, per assicurare “protezione” alle persone che sono incapaci di provvedere ai propri interessi “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica (anche parziale o temporanea)” deve farsi ricorso (e questa è in sostanza ormai la regola) ad un “amministratore di sostegno”, il quale assisterà la persona secondo le specifiche indicazioni del Giudice Tutelare competente alla sua nomina (artt. 404 ss. c.c.).
Resta ferma, però, la possibilità di ricorrere all’interdizione (o inabilitazione) “quando ciò è necessario” per assicurare “adeguata protezione” al soggetto incapace (totalmente o parzialmente) di provvedere ai propri “interessi”.
Ne consegue che il punto focale dell’odierna decisione sta nell’individuazione di una corretta linea di demarcazione tra la misura dell’interdizione e quella dell’amministrazione di sostegno introdotta dalla legge n. 6 del 9 gennaio 2004.
Va premesso che il giudice delle leggi (Corte cost. Sent. 9.12.2005, n. 440) nel rigettare l’eccezione di legittimità costituzionale della nuova previsione normativa, che avrebbe creato un istituto (l’amministrazione di sostegno) sovrapponibile a quelli già esistenti dell’interdizione e inabilitazione, ha espressamente chiarito che l’ambito di operatività dell’amministrazione di sostegno non coincide con quello dell’interdizione o inabilitazione e che è affidato al giudice “il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità, e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto: solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”.
Partendo da questi principi la Corte di Cassazione da ultimo (Cass. civ. Sez. I Sent. 22.4.2009, n. 9628 (rv. 607599) N.A. c. N.I. che cassa con rinvio, App. Napoli, 3.1.2007) ha chiarito che “l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado d’infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa, ben potendo il giudice tutelare graduare i limiti alla sfera negoziale del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, a mente dell’art. 405, co. 5, nn. 3 e 4, cod. civ., in modo da evitare che questi possa essere esposto al rischio di compiere un’attività negoziale per se pregiudizievole” .
In maniera ancora più invasiva la giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Venezia 12 settembre 2005, depositata 13 ottobre 2005), valorizzando fino all’estremo limite i principi costituzionali del personalismo e solidarismo, finisce con l’affermare che, essendo evidente che uno degli scopi principali della riforma appare quello di ridurre al minimo indispensabile il ricorso a strumenti preventivi, generali, astratti e rigidi di incapacizzazione (interdizione/inabilitazione) che compromettono “definitivamente” gli stessi diritti inviolabili e la dignità di ogni essere umano, dichiarandolo in via generale e preventiva “incapace di agire” nel consorzio sociale, la novella del 2004 è totalmente incentrata sulla possibilità di “protezione attiva” (progetto di sostegno per le funzioni della vita quotidiana e non solo sostituzione necessaria di un rappresentante al non autonomo per gli atti giuridico-economici) di ogni categoria di persone non autonome per malattia e/o infermità fisica o psichica, tanto che si tratti di una situazione temporanea che permanente e che ogni esclusione pregiudiziale di categorie di persone (anche i cosiddetti infermi di mente per patologie psichiche o psichiatriche) da tale possibilità di protezione non solo violerebbe il principio costituzionale di eguaglianza, ma anche tutti i principi della legge 6/2004; oltre che essere positivamente vietata dall’art. 414 c.c. stesso che rende attualizzabile l’interdizione per gli infermi di mente solo quando ciò sia necessario per assicurare la loro adeguata protezione, ritenuta nel caso concreto, per le sue specifiche caratteristiche, impossibile attraverso l’amministrazione di sostegno.
Da ciò discende, secondo il Tribunale di Venezia, che “ogni persona che anche per infermità psichica possa trovarsi nelle condizioni di impossibilità di provvedere ai suoi interessi ha diritto ad essere inserita in un progetto solidaristico di sostegno nel cui ambito il decreto di cui all’art. 405 c.c. prevederà i provvedimenti indispensabili per la “cura della persona interessata”, determinando oggetto dell’incarico e durata, possibilità di sostituzione dell’A.d.S. al beneficiario per singoli atti giuridici o per una serie di essi o anche per tutti gli atti stessi, eventuale “esclusività” della sostituzione (art. 409, comma 1, c.c.), limiti di utilizzabilità delle risorse economiche da parte del beneficiario e/o dell’A.d.S., modalità dell’impiego del patrimonio e della sua conservazione a favore del beneficiario … È evidente che su queste premesse risulta inutile ogni discussione sulla ammissibilità di provvedimenti di sostituzione anche esclusiva del beneficiario per singoli atti o per una generalità di atti giuridico-economici, essendo evidente che il provvedimento personalizzato potrà estendersi fino ai limiti massimi per cui risulti utile nell’interesse del beneficiario in relazione a tutti, ad alcuni, a categorie di atti giuridici (art. 405, comma 5, n. 3); e mai superare i limiti stessi, in un rapporto di sussidiarietà solidale che dovrà valorizzare per quanto possibile i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, le sue richieste, le sue scelte, i suoi dissensi, compatibilmente con gli interessi e le esigenze oggettive di protezione dello stesso (artt. 410 e 407 c.c.)”.
Ma, a parere di questo Collegio, pur condividendo in linea di principio tale orientamento giurisprudenziale, non va dimenticato che se è vero che “il fine della normativa generale di protezione delle persone non autonome è in definitiva direttamente ed esclusivamente quello di “arricchire” in concreto le effettive possibilità di agire della persona non autonoma nelle funzioni della vita quotidiana (carattere personalistico della normativa novellata), in funzione del quale vanno letti anche i provvedimenti relativi al patrimonio, tutti strumentali ad assicurare per quanto possibile l’autonomia del beneficiario e comunque finalizzati a garantirgli la migliore qualità di vita, tenendo conto della sua situazione esistenziale e patrimoniale, riducendo al minimo indispensabile, nel concreto interesse del beneficiario il giudizio anticipato, generale ed astratto sulle sue capacità/incapacità di agire”, e se la possibilità di giungere correttamente ad un giudizio aprioristico di interdizione/inabilitazione è riservata ai casi in cui non si riesca, nonostante l’enorme possibilità di estensione, modulazione, integrazione e revoca dei provvedimenti adottabili nel procedimento di A.d.S. (la personalizzazione del provvedimento non impedisce affatto la previsione più o meno temporanea di sostituzioni generali o per categorie di atti dell’A.d.S. al beneficiario ai sensi dell’art. 405, co. 5, n. 3, c.c..), ad attuare una sufficiente protezione attiva e passiva del non autonomo, è conseguentemente incontrovertibilmente vero che la previsione dell’amministrazione di sostegno non può essere estesa fino a far collimare e coincidere, eventualmente anche ricorrendo al disposto del co. 3 dell’art. 411 c.c., 1’attuazione di tutta la protezione passiva possibile con l’interdizione con un articolato provvedimento di nomina di A.d.S.
In realtà, se il discrimen tra le due misure protettive non va individuato, come dice la Corte di Cassazione, nel diverso grado d’infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del beneficiato, non va però trascurata la finalità del nuovo istituto di “mantenere” al soggetto privo di autonomia un minimo spazio di “capacità di agire”, proprio in tal senso essendo prevista la modulazione dei compiti dell’amministratore in funzione dell’articolazione concreta della tutela del soggetto.
In altri termini anche il soggetto totalmente incapace di intendere e di volere può essere in condizioni di interrelazionarsi con il mondo esterno ed esprimere, sia pure su minimi aspetti e in specifici settori della convivenza sociale, alcune scelte autonome negli atti ordinari di vita quotidiana, sicché appare in linea con la riforma consentire a tali soggetti un inseri-mento e coinvolgimento nel progetto di sostegno che – anche avvalendosi dell’ausilio di forze familiari e sociali disponibili – renda per lui possibile in definitiva la realizzazione in concreto delle migliori condizioni esistenziali.
Ne consegue che l’interdizione, in presenza del presupposto di incapacità totale per infermità di mente, deve adottarsi, invece, nei casi in cui per le condizioni psichiche, fisiche e di vita di relazione del soggetto totalmente incapace non si ravvisino oggettivamente nemmeno “spazi minimi” di autodeterminazione e si imponga una permanente e completa sostituzione dell’amministratore anche nell’assolvimento dei più banali atti di vita quotidiana, non essendo realizzabile in tali condizioni una possibilità di qualsiasi diversificata autonomia del soggetto e un qualsiasi suo coinvolgimento nel progetto di sostegno teso a garantirgli condizioni esistenziali meno gravose.
Orbene nel caso in esame la nomina dell’amministratore di sostegno da parte della Corte d’Appello di Bari è fondata, previo richiamo ai principi già evidenziati della giuri-sprudenza di merito e di legittimità, sulla considerazione che “a parte le controverse ricadute della vendita della nuda proprietà di un modesto alloggio, l’interessata è semplice pensionata e vive assistita da una badante”, sicché “l’amministrazione di sostegno è strumento idoneo e agile per dare immediata risposta alle esigenze di cura dell’inferma e di gestione delle proprie modeste sostanze”.
Al contrario, ritiene questo Tribunale che proprio l’esigenza dell’adozione, nel provvedimento di nomina dell’amministratore, di compiti illimitati e di completa sostituzione all’amministrata sia nella cura della salute e nel materiale accudimento quotidiano, sia in tutti gli atti giuridici (relativi a rapporti con uffici pubblici di ogni genere, di amministrazione e gestione ordinaria delle risorse e provvidenze economiche, di impegni di spesa per le utenze e manutenzione della casa), dimostra la non duttilità dell’istituto prescelto che imporrebbe l’intervento continuo e prevaricante dell’amministratore su ogni aspetto della vita della C.F., a cui non può essere lasciato alcuno spazio di azione o di determinazione, così estendendo l’incapacità della amministrata a 360° gradi in palese opposizione con la filosofia e l’idea ispiratrice del legislatore della riforma.
Né vanno trascurate le condizioni specifiche della vita di relazione della interdicenda, che allo stato attuale non la vedono inserita in un ambito familiare idoneo a valorizzare una sua partecipazione attiva – sia pure minima – al progetto solidaristico di sostegno, vivendo da sola con l’assistenza di una badante cui andrebbero delegati tutti i compiti quotidiani il cui assolvimento non può certo richiedersi all’amministratore di sostegno.
Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono ritiene il collegio di poter concludere che nel caso in esame l’unica misura adeguata a tutelare in maniera sufficiente la sig.ra C.F. sia costituita dalla interdizione, come richiesta dal fratello. Per quanto attiene, poi, alla richiesta di nomina di tutore provvisorio avanzata dal ricorrente, non si ritiene ricorrano particolari ragioni di urgenza per anticipare la delibazione del giudice tutelare che ha sicuramente maggiori mezzi per effettuare la scelta della persona più idonea a ricoprire tale incarico.
La natura della domanda e la contumacia della resistente giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
in accoglimento del ricorso presentato in data 14 luglio 2008 da C.V., dichiara l’interdizione di C.F., n. a Bari (omissis) e res. in Trani alla via M.A.V..
Ordina l’annotazione della presente sentenza, a cura del Cancelliere, nell’apposito registro e la comunicazione al Giudice Tutelare e all’Ufficiale di Stato Civile per le annotazioni a margine dell’atto di nascita.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Trani, nella Camera di Consiglio della Sezione civile il 13.10.2009
IL PRESIDENTE est.
Dott. C. L. R.
Depositata in cancelleria il 28.10.2009
(1) Per maggiore chiarezza espositiva si riporta il testo del provvedimento nella parte che qui interessa:
“… Per l’effetto stabilisce quanto segue: (a) la durata dell’incarico è a tempo indeterminato; (b) l’a.d.s. provvederà alla cura della persona dell’amministrato, fornendogli l’assistenza necessaria tramite una badante e/o il ricorso strutture specializzate: (c) l’a.d.s. è abilitato ad intrattenere rapporti con l’autorità sanitaria (ed in particolare con i medici curanti e la Ausl competente, anche al fine di organizzare a domicilio eventuale assistenza specialistica medico-infermieristica ad alta intensità), con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, con gli uffici tributari e con ogni ufficio pubblico, anche al fine di richiedere prestazioni, provvidenze, indennità, ratei pensionistici, arretrati, miglioramenti, rimborsi e quant’altro a qualsiasi titolo spetti alla beneficiata, nonché a completare tutte le pratiche a tal fine necessarie; (d) l’a.d.s. è abilitato ad esperire ogni azione scaturente dal rogito per notar C. del 15.3.2004 (rep. 70503, racc. 16836); (e) l’a.d.s. provvederà a quanto necessario per utenze e munutenzione della casa di abitazione; (g) ogni altro atto di straordinaria amministrazione, tra quelli elencati negli artt. 375 e 376 c.c., sarà sottoposto alla preventiva autorizzazione del giudice tutelare; (f) l’a.d.s. è tenuto a far rendiconto annuale della gestione svolta e relazione trimestrale sulle condizioni personali dell’amministrata …”.
(2) Appare opportuno riportare il testo della citata sentenza nella parte di motivazione che qui interessa:
” … Con l’introduzione dell’amministrazione di sostegno nel nostro ordinamento – la quale ha comportato il superamento della rigida alternativa capacità/incapacità, che ha tradizionalmente contraddistinto l’atteggiamento del legislatore al cospetto delle situazioni di minorità – il dibattito della dottrina e dei giudici di merito si è da subito concentrato sulla delicata tematica dell’individuazione dei confini tra amministrazione di sostegno, da un lato, e interdizione o inabilitazione, dall’altro. La legge n. 6 del 2004, art. 1, attribuisce all’amministrazione di sostegno “la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. L’art. 404 cod. civ., nel testo modificato da tale legge, precisa che “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare”. Dal canto suo, l’art. 414 cod. civ., nel testo modificato dalla citata legge, dispone che il maggiore di età e il minore emancipato affetti da abituale infermità di mente, che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti “quando ciò é necessario per assicurare la loro adeguata protezione”; e l’art. 415 cod. civ. continua a prevedere l’inabilitazione per una serie di soggetti il cui stato non sia “talmente grave da far luogo all’interdizione”. Della questione del discrimen è stato investito il Giudice delle leggi, dinanzi al quale é stato sollevato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 404 cod. civ., art. 405 cod. civ., numeri 3 e 4, e art. 409 cod. civ., nel testo introdotto dalla legge n. 6 del 2004, sotto il profilo che essi non indicherebbero chiari criteri selettivi per distinguere il nuovo istituto dalle preesistenti figure dell’interdizione e dell’inabilitazione, e quindi darebbero luogo a tre fattispecie legali irragionevolmente coincidenti, con duplicazione di istituti “parzialmente fungibili”, lasciando di fatto all’arbitrio del giudice la scelta dello strumento di “tutela” concretamente applicabile, in violazione degli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione, che garantiscono la sfera di libertà e autodeterminazione dei singoli, e degli art. 41 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., che garantiscono il pieno dispiegarsi della personalità del disabile nei rapporti economici e nei traffici giuridici.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 440 del 2005, ha dichiarato infondata la questione, per l’erroneità del presupposto interpretativo circa la presunta coincidenza dell’ambito di operatività dell’amministrazione di sostegno con quelli dell’interdizione o dell’inabilitazione.
Secondo il Giudice delle leggi, “la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”. Inoltre – ha sottolineato la Corte – è da escludere che i poteri dell’amministratore di sostegno possano coincidere “integralmente” con quelli del tutore o del curatore, giacché, secondo il nuovo testo dell’art. 411 cod. civ., comma 4, il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre soltanto che “determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno”.
Questa Corte ha poi osservato che l’amministrazione di sostegno – introdotta nell’ordinamento dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3 – ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del codice civile. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto della complessiva condizione psico-fisica del soggetto da assistere e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie (Cass. 12.6.2006, n. 13584). In particolare, si è osservato che con l’amministrazione di sostegno “il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura”. Una tale scelta “non può non essere influenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della protezione”. “Ad un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto – vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti – e, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico – sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che … essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure dell’inabilitazione e dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a quelli di amministrazione ordinaria. Detto status non è, invece, riconoscibile in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, al quale viene comunque assicurata la possibilità di compiere, ove ne sia in grado, quelle attività nelle quali si estrinseca la c.d. contrattualità minima, attraverso il riconoscimento allo stesso, a norma dell’art. 409 cod. civ., comma 2, della possibilità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”. Nel caso in esame la Corte di appello ha ritenuto che, poiché il N. A. poteva compiere atti negozialmente rilevanti, occorreva una maggior protezione che poteva essere assicurata soltanto dal provvedimento d’interdizione. Con ciò peraltro i giudici di merito non hanno considerato che ai sensi dell’art. 405 cod. civ., comma 5, nn. 3 e 4, il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno deve specificare gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che il beneficiario può compiere soltanto con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Di conseguenza ben può il giudice graduare il progetto di sostegno in modo tale da escludere, che, fermo restando il diritto, assicurato al beneficiario dall’art. 409 cod. civ., di conservare la capacità di agire per gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, l’incapace possa svolgere un’attività negoziale pregiudizievole, senza per questo alterare legami familiari (nella specie l’interdicendo vive con la famiglia di origine) od impedire gli atti della vita quotidiana. …”.
