L’istituto dell’amministrazione di sostegno è volto alla tutela dei soggetti che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovino nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
Nel caso di specie il M. non ha mostrato alcuna incapacità a provvedere ai propri interessi patrimoniali: si è rivelato lucido e ha mostrato di conoscere il valore del denaro e di ricordare come lo spende nel corso della giornata; la somma da gestire (259,00 euro al mese), del resto, è talmente esigua che non necessita di spiccate doti intellettive per poter essere gestita. La circostanza che la madre del M., su richiesta di quest’ultimo, gli corrisponda giornalmente somme di denaro non è sufficiente a costituire un’ulteriore entrata da amministrare, non essendovi per la madre alcun obbligo giuridico di corresponsione della suddetta somma; del resto, deve evidenziarsi che da un lato la necessità di amministrare i soldi conferiti dalla madre cesserebbe al solo cessare del conferimento e dall’altro la sola esistenza della misura dell’amministrazione di sostegno non sarebbe in sé ostativa alla possibilità che la madre del beneficiando continui a corrispondergli – in assenza di controllo da parte del giudicante – ulteriori somme di denaro (v. verbale di udienza del 10.05.2011).
Riguardo poi alla situazione legittimante la richiesta di amministrazione di sostegno, occorre evidenziare che la relazione del C.S.M. e del S.E.R.T., in ogni caso sfornita di ulteriori certificazioni a supporto, non palesa in alcun modo l’impossibilità del M. di provvedere alla cura dei propri interessi economici, limitandosi a riportare dei suoi disagi caratteriali e della sua dipendenza da sostanze (occorre qui rilevare che, dalla lettura della relazione in atti, non sembra che la patologia riferita – disturbo bipolare – sia ex se generatrice del problema e che la mera dipendenza da sostanze stupefacenti non può costituire ragione idonea per la misura richiesta).
Ciò posto con riferimento alla cura degli interessi patrimoniali, deve evidenziarsi che il Centro di Salute Mentale di Corato e il SerT di Ruvo di Puglia hanno, per vero, invocato l’applicazione della misura per finalità eminentemente terapeutiche, e in particolar modo per la riferita necessità di ricoverare il M., contro la sua volontà, in una struttura, imponendogli di fatto un trattamento sanitario non gradito.
Orbene, deve sul punto rilevarsi che la nostra Carta Costituzionale stabilisce all’art. 13, commi 1 e 2:”La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge”. Parimenti, l’art. 32, comma 2, della Costituzione è previsto: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.
Dal combinato disposto delle predette norme si può evincere che le fattispecie legislativamente previste che stabiliscono la possibilità di disporre limitazioni della libertà personale o trattamenti sanitari obbligatori sono di stretta interpretazione e non possono essere estesi ad libitum dall’autorità giudiziaria.
Ebbene, nel caso dell’amministrazione di sostegno occorre evidenziare che l’art. 411 del codice civile, nel richiamare quelli relativi alla tutela, omette il richiamo all’art. 371 c.c., il quale, tra l’altro, affida al Giudice il potere di decidere sulla residenza del minore; detta omissione non costituisce, ad avviso del presente Giudice, un vuoto normativo, ma una consapevole scelta volta a limitare i poteri dell’autorità giudicante nell’ambito di un procedimento – quello dell’amministrazione di sostegno – di fatto privo di tutte le garanzie invece previste per il giudizio di interdizione, prima tra tutti la circostanza che detta misura possa essere disposta solo nel caso di totale incapacità di intendere e di volere del beneficiario.
Ciò risulta altresì confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte che, con le note sentenze Cass. 1 marzo 2010, n. 4866; Cass. 22 aprile 2009, n. 9628; Cass. 12 giugno 2006, n. 13584 ha definito il confine di demarcazione tra amministrazione di sostegno ed interdizione chiarendo, in particolare, che “il criterio distintivo tra l’amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell’incapace è qualitativo e non quantitativo e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie, con riguardo, in particolare, alla rete di protezione di cui la persona gode e alle esigenze che con l’invocata misura protettiva si mirano a soddisfare, dato il carattere estremamente più duttile dell’amministrazione di sostegno rispetto alle misure dell’interdizione e dell’inabilitazione. L’amministratore di sostegno, infatti, diversamente da quanto accade nel caso della altre misure a protezione dell’incapace, non si sostituisce al rappresentato, ma sceglie “con questo” il suo best interest” (Trib. Lamezia Terme, decreto 8 marzo 2011; Trib. Varese, decreto 6 ottobre 2009).
Orbene, il discrimen qualitativo rappresentato dalla Cassazione è chiaramente evincibile nel caso di specie, in cui con la misura dell’amministrazione di sostegno si vorrebbe, di fatto, in contrasto con i voleri e le scelte espressi dal beneficiario, privare lo stesso di due diversi diritti fondamentali: il diritto alla libertà personale e quello alla salute (sub specie di diritto alla scelta in merito ai trattamenti sanitari).
La richiesta di nomina di un amministratore di sostegno in favore di M. va, conclusivamente, allo stato, rigettata in quanto da un lato superflua (attesa la piena capacità dell’amministrato di disporre autonomamente delle proprie esigue finanze) e dall’altro inidonea allo scopo per il quale è stata richiesta.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
dispone la trasmissione degli atti del procedimento al Pubblico Ministero in sede per le determinazioni di sua competenza;
manda alla Cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti di rito.
Ruvo di Puglia, 13.05.2011
