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Tribunale Trani, 17/05/2011

Massima

Nel caso dell’amministrazione di sostegno, l’art. 411 c.c., nel richiamare gli articoli relativi alla tutela applicabili, omette il richiamo all’art. 371 c.c., il quale, tra l’altro, affida al giudice il potere di decidere sulla residenza del minore; detta omissione non costituisce un vuoto normativo, ma una consapevole scelta volta a limitare i poteri dell’autorità giudicante nell’ambito di un procedimento – quello dell’amministrazione di sostegno – di fatto privo di tutte le garanzie invece previste per il giudizio di interdizione, prima tra tutti la circostanza che detta misura possa essere disposta solo nel caso di totale incapacità di intendere e di volere del beneficiario.

Supporto alla lettura

Amministrazione di sostegno

Le ragioni sottese all’introduzione dell’amministrazione di sostegno (avvenuta, come è noto, ad opera dell’art. 3, legge 9 gennaio 2004, n. 6 , vanno rinvenute nelle avvertite esigenze di tutela dell’individuo e dei correlati interessi, patrimoniali e non. Oltre cioè alla gestione del patrimonio dell’incapace, l’istituto, disciplinato dagli artt. 404 ss. c.c., mira infatti a tutelare la sfera personale dell’incapace e a consentirne lo sviluppo. L’amministratore di sostegno viene nominato dal giudice tutelare del luogo in cui il soggetto beneficiario ha la residenza o il domicilio, su ricorso proposto dallo stesso soggetto infermo o menomato, dal coniuge, dal tutore, dal P.M., dal curatore, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dalla persona stabilmente convivente. Nello scegliere la persona da nominare amministratore di sostegno, il giudice deve preferire un soggetto familiare al beneficiario.
Il beneficiario conserva la capacità di agire per gli atti che non richiedono l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno.
Gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario sono stabiliti dal giudice tutelare con il decreto di nomina.
E’ fondamentale l’ascolto dell’interessato prima dell’adozione di un provvedimento che lo concerne direttamente (e non potrebbe essere altrimenti).

Mentre nel processo di interdizione, l’esame dell’interdicendo serve a saggiarne la capacità di intendere e volere; maggiormente ampia e complessa risulta la funzione esplicata dall’audizione del beneficiario nella procedura di amministrazione di sostegno. Non si tratta tanto o solamente di saggiare il tasso di autonomia della persona in correlazione alla disabilità, ma piuttosto di “ascoltare” l’interessato per raccoglierne “i bisogni e le richieste”, individuandone le effettive, concrete esigenze esistenziali e personali.
Le indicazioni fornite dal beneficiario in sede di ascolto sono estremamente significative ed il giudice ne deve “tener conto” agli effetti, ad es., della designazione dell’amministratore di sostegno, per la determinazione degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in sostituzione o in assistenza al disabile e che quest’ultimo non è in grado di effettuare in modo autonomo; come pure agli effetti dell’istituzione di un’amministrazione di natura prettamente patrimoniale, ovvero, anche (o esclusivamente) di tipo personale, volta alla protezione di esigenze esistenziali, ovvero, alla cura della salute personale.
Appare chiara la centralità e rilevanza dell’audizione del beneficiario della procedura, ben maggiore rispetto all’essenzialità dell’esame dell’interdicendo, nel processo di interdizione.
Può concludersi sul punto affermando che l’atto istruttorio più importante dell’intera procedura è appunto l’audizione del beneficiario.

Ambito oggettivo di applicazione

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è volto alla tutela dei soggetti che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovino nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Nel caso di specie il M. non ha mostrato alcuna incapacità a provvedere ai propri interessi patrimoniali: si è rivelato lucido e ha mostrato di conoscere il valore del denaro e di ricordare come lo spende nel corso della giornata; la somma da gestire (259,00 euro al mese), del resto, è talmente esigua che non necessita di spiccate doti intellettive per poter essere gestita. La circostanza che la madre del M., su richiesta di quest’ultimo, gli corrisponda giornalmente somme di denaro non è sufficiente a costituire un’ulteriore entrata da amministrare, non essendovi per la madre alcun obbligo giuridico di corresponsione della suddetta somma; del resto, deve evidenziarsi che da un lato la necessità di amministrare i soldi conferiti dalla madre cesserebbe al solo cessare del conferimento e dall’altro la sola esistenza della misura dell’amministrazione di sostegno non sarebbe in sé ostativa alla possibilità che la madre del beneficiando continui a corrispondergli – in assenza di controllo da parte del giudicante – ulteriori somme di denaro (v. verbale di udienza del 10.05.2011).

Riguardo poi alla situazione legittimante la richiesta di amministrazione di sostegno, occorre evidenziare che la relazione del C.S.M. e del S.E.R.T., in ogni caso sfornita di ulteriori certificazioni a supporto, non palesa in alcun modo l’impossibilità del M. di provvedere alla cura dei propri interessi economici, limitandosi a riportare dei suoi disagi caratteriali e della sua dipendenza da sostanze (occorre qui rilevare che, dalla lettura della relazione in atti, non sembra che la patologia riferita – disturbo bipolare – sia ex se generatrice del problema e che la mera dipendenza da sostanze stupefacenti non può costituire ragione idonea per la misura richiesta).

Ciò posto con riferimento alla cura degli interessi patrimoniali, deve evidenziarsi che il Centro di Salute Mentale di Corato e il SerT di Ruvo di Puglia hanno, per vero, invocato l’applicazione della misura per finalità eminentemente terapeutiche, e in particolar modo per la riferita necessità di ricoverare il M., contro la sua volontà, in una struttura, imponendogli di fatto un trattamento sanitario non gradito.

Orbene, deve sul punto rilevarsi che la nostra Carta Costituzionale stabilisce all’art. 13, commi 1 e 2:”La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge”. Parimenti, l’art. 32, comma 2, della Costituzione è previsto: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Dal combinato disposto delle predette norme si può evincere che le fattispecie legislativamente previste che stabiliscono la possibilità di disporre limitazioni della libertà personale o trattamenti sanitari obbligatori sono di stretta interpretazione e non possono essere estesi ad libitum dall’autorità giudiziaria.

Ebbene, nel caso dell’amministrazione di sostegno occorre evidenziare che l’art. 411 del codice civile, nel richiamare quelli relativi alla tutela, omette il richiamo all’art. 371 c.c., il quale, tra l’altro, affida al Giudice il potere di decidere sulla residenza del minore; detta omissione non costituisce, ad avviso del presente Giudice, un vuoto normativo, ma una consapevole scelta volta a limitare i poteri dell’autorità giudicante nell’ambito di un procedimento – quello dell’amministrazione di sostegno – di fatto privo di tutte le garanzie invece previste per il giudizio di interdizione, prima tra tutti la circostanza che detta misura possa essere disposta solo nel caso di totale incapacità di intendere e di volere del beneficiario.

Ciò risulta altresì confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte che, con le note sentenze Cass. 1 marzo 2010, n. 4866; Cass. 22 aprile 2009, n. 9628; Cass. 12 giugno 2006, n. 13584 ha definito il confine di demarcazione tra amministrazione di sostegno ed interdizione chiarendo, in particolare, che “il criterio distintivo tra l’amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell’incapace è qualitativo e non quantitativo e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie, con riguardo, in particolare, alla rete di protezione di cui la persona gode e alle esigenze che con l’invocata misura protettiva si mirano a soddisfare, dato il carattere estremamente più duttile dell’amministrazione di sostegno rispetto alle misure dell’interdizione e dell’inabilitazione. L’amministratore di sostegno, infatti, diversamente da quanto accade nel caso della altre misure a protezione dell’incapace, non si sostituisce al rappresentato, ma sceglie “con questo” il suo best interest” (Trib. Lamezia Terme, decreto 8 marzo 2011; Trib. Varese, decreto 6 ottobre 2009).

Orbene, il discrimen qualitativo rappresentato dalla Cassazione è chiaramente evincibile nel caso di specie, in cui con la misura dell’amministrazione di sostegno si vorrebbe, di fatto, in contrasto con i voleri e le scelte espressi dal beneficiario, privare lo stesso di due diversi diritti fondamentali: il diritto alla libertà personale e quello alla salute (sub specie di diritto alla scelta in merito ai trattamenti sanitari).

La richiesta di nomina di un amministratore di sostegno in favore di M. va, conclusivamente, allo stato, rigettata in quanto da un lato superflua (attesa la piena capacità dell’amministrato di disporre autonomamente delle proprie esigue finanze) e dall’altro inidonea allo scopo per il quale è stata richiesta.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

dispone la trasmissione degli atti del procedimento al Pubblico Ministero in sede per le determinazioni di sua competenza;

manda alla Cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti di rito.

Ruvo di Puglia, 13.05.2011

Allegati

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