Ebbene, in applicazione dell’art. 12 Disposizioni sulla legge generale, l’interprete dovrebbe prediligere l’esegesi letterale in tutti quei casi in cui il congegno normativo, per la sua linearità, lo consenta.
Muovendo da tale premessa, già l’interpretazione letterale della disposizione dovrebbe condurre a ritenere le imprese individuali escluse dal novero dei soggetti destinatari della disciplina, posto che – in disparte la nozione di “società” o di “associazioni anche prive di personalità’ giuridica”, cui pacificamente non può essere associata l’impresa individuale – residua la sola parola di “ente”, categoria non definita dal punto di vista normativo, a differenza di quanto accade per quelle di società (art. 2247 c.c.) e associazione (artt. 14 ss. c.c.)”. Ebbene, come chiarito dal legislatore delegato nella Relazione di accompagnamento al decreta, la scelta del termine “ente” deve essere letta – stante l’impossibilita di formulare un elenco tassativo di soggetti – in sinergia con la espressa indicazione di soggetti nominati, quali le “società” o le “associazioni anche prive di personalità giuridica”, di guisa da “indirizzare l’interprete verso la considerazione di enti che, seppur sprovvisti di personalità giuridica, possano comunque ottenerla”.
La Corte di Cassazione, in una primissima pronuncia sul tema, ha affermato che “la disciplina prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità da reato delle persone giuridiche, delle società e delle – associazioni, anche prive di personalità giuridica, non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli enti collettivi” (Cass., Sez. 6, n. 18941 del 03/03/2004). A tale conclusione la Suprema Corte è giunta valorizzando:
1) la voluntas legis, e precipuamente, in punto di non espressa inclusione, il portato esegetico condensato nel brocardo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”
2) l’esclusione di una disparità di trattamento, stante la diversità netta e sostanziale tra imprenditore individuale ed enti collettivi; 3) il divieto di analogia in malam partem, previsto dall’ art. 25 Cost.
Ad analoghe conclusioni perviene la Cass con sentenza più recente affermando che “La normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi” (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 30085 del 16/05/2012 Ce. (dep. 23/07/2012) Rv. 252995-01).
Di fatto nell’impresa individuale, imprenditore ed attività coincidono e non ricorre quella duplicità di centri di imputazione necessaria ai fini che occupano. Dunque, stante, l’assenza di una tale scissione soggettiva tra persona fisica e soggetto meta-individuale, con l’applicazione all’impresa individuale del D.Lgs. 231/2001 – che lo si ricorda, si aggiunge alle disposizioni recate dal codice penale nei confronti della persona fisica -si finirebbe per dar luogo ad una doppia punizione del medesimo soggetto per il medesimo fatto, con violazione del principio del ne bis in idem sostanziale: la persona fisica, difatti, sarebbe punito quale autore materiale del reato e quale titolare dell’impresa che con lui, alfine, si immedesima.
D’altra parte la ratio del D.Lgs. 231/2001 è quella di sanzionare quei soggetti collettivi che siano colpevolmente disorganizzati, ossia reprimere quelle situazioni riconducibili alla c.d. colpa di organizzazione, che rappresenta il terreno fertile per quelle prassi illecite che si annidano proprio nei meandri delle organizzazioni complesse, caratterizzate dalla moltiplicazione dei centri decisionali. Colpa di organizzazione che non sarebbe possibile ravvisare nell’ambito dell’impresa individuale, in ragione di quella sostanziale coincidenza tra persona fisica ed attività imprenditoriale esplicata.
Così deciso in Torre Annunziata il 4 dicembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2024.
