(omissis)
Con ricorso ex art. 1, c. 51 l. n. 92/2012 depositato il 19.08.2020, (omissis) ha proposto opposizione all’ordinanza di rigetto dell’impugnativa del licenziamento per giusta del 30.5.2019, a seguito di contestazione disciplinare avente ad oggetto la condotta consistita nell’aver aperto le porte del supermercato ad una persona travista successivamente resasi autrice di una rapina ai danni del punto vendita della resistente presso cui prestava la sua attività.
Ritenuto che nella propria condotta non sarebbero ravvisabili gli estremi della giusta causa, poiché avrebbe tenuto, nella vicenda in esame, un contegno sorretto da buona fede e comunque privo di dolo, ha anzitutto lamentato l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato e comunque la sproporzione nel provvedimento espulsivo adottato, stante l’assenza di gravità e di elemento intenzionale.
Ha infine censurato la tardività della contestazione disciplinare, intervenuta a distanza di oltre un mese dalla conoscenza del fatto, risalente al 14.2.2018.
Ha quindi concluso affinché, accertata l’illegittimità del licenziamento, ne sia disposto, ai sensi dell’art. 18, comma IV l. n. 300/1970, l’annullamento con condanna alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alle mensilità maturate dal licenziamento alla reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Si è costituita la società convenuta, richiamando le difese già spiegate nella fase sommaria del giudizio e deducendo la piena legittimità del licenziamento stante la sussistenza del fatto contestato, peraltro ammesso dallo stesso ricorrente, apparendo irrilevante l’assenza di elemento intenzionale e le ulteriori difese spiegate stante la rilevanza disciplinare della condotta serbata..
Tanto esposto, ha quindi concluso per l’integrale rigetto della domanda.
Escussi testimoni, all’udienza del 1.6.2021 celebratasi con le modalità della trattazione scritta stante l’emergenza epidemiologica in corso, la causa è stata trattenuta in decisione.
L’opposizione è infondata e non merita accoglimento peri motivi di seguito esposti.
Preliminarmente si osserva che il giudizio di opposizione all’ordinanza emessa sull’impugnativa di licenziamento ex lege n. 92/2012, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sentenza n. 25046 del 11/12/2015), non ha natura impugnatoria ma si pone in rapporto di prosecuzione nel medesimo grado di giudizio, con la conseguenza che il sindacato del giudice nella fase di opposizione non può che investire l’intera domanda azionata con il ricorso introduttivo. A differenza infatti dei giudizi di revisio prioris instantiae che mirano esclusivamente al riesame delle sole questioni trattate nel grado inferiore, con esclusione di nuove eccezioni e nuove prove, l’opposizione in esame si presenta come novum judicium: l’effetto devolutivo al giudice dell’opposizione è infatti completo, non rilevando preclusioni e decadenze in tutta la fase sommaria. Di conseguenza, la cognizione del giudice dell’opposizione non è affatto circoscritta alla verifica di errores in procedendo o in judicando eventualmente commessi nella fase sommaria.
Da tanto discende la piena ammissibilità delle allegazioni in fatto ed in diritto e del materiale probatorio offerto dalla parte ricorrente nella fase di opposizione.
Ciò premesso la richiesta di esibizione del cd rom contente le riprese video dei fatti occorsi presso la stazione dei carabinieri competente, avanzata in questa sede dalla parte ricorrente ed in fase sommaria dalla parte opposta, non appare rilevante atteso che il materiale probatorio raccolto appare sufficientemente e univocamente idoneo a chiarire l’andamento della vicenda non contestata nei suoi aspetti fondamentali e inerenti alle modalità di ingresso del rapinatore.
Nel merito, prima di passare all’esame della fondatezza o meno della contestazione disciplinare, giova anzitutto osservare in linea generale che la questione relativa alla pretesa illegittimità di un licenziamento disciplinare, anche a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 92/2012 all’art. 18 l. n. 300/1970 in punto di tutele invocabili, debba essere affrontata in prima battuta procedendo alla tradizionale verifica del duplice aspetto della fondatezza delle contestazioni mosse al lavoratore e della proporzionalità tra la gravità delle contestazioni disciplinari accertate (che devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, ed in particolare dell’elemento della fiducia che deve continuamente sussistere tra le parti) e la sanzione espulsiva adottata ex art. 2119 c.c..
Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.
Tale è infatti il consolidato insegnamento della S.C. di Cassazione, secondo la quale ‘Per giustificare un licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n. 13149 del 24/06/2016, Cass. n. 25608 del 03/12/2014). Tale valutazione rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice e non è vincolata dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo. Anche quando la condotta sia astrattamente corrispondente alla fattispecie tipizzata contrattualmente, infatti, occorre pur sempre che essa sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (cfr. Cass. n. 28492 del 07/11/2018 nonché Cass. n. 8826 del 05/4/2017, Cass. n. 1595 del 18/1/2016, Cass. n. 5280 del 04/03/2013, Sez. L, Sentenza n. 2117 del 16/10/2015, Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095; Cass. 21 maggio 2009, n. 11846, Cass. 4 marzo 2004, n. 4435, Cass. 22 marzo 2010, n. 6848; Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743; Cass. 24 luglio 2006, n. 16864; Cass. 25 febbraio 2005, n. 3994; Cass. 14 gennaio 2003, n. 444).
Ciò non comporta certamente che dalle valutazioni della contrattazione collettiva il giudice possa prescindere, atteso che esse, ancorché in modo spesso generico e meramente esemplificativo, individuano il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni degli artt. 2104 e 2105 c.c. in quel determinato momento storico ed in quel contesto aziendale, con la conseguenza che pur non essendo vincolante la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso, la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (v. Cass. 28492/2018 cit. nonché Cass. n. 18715 del 23/09/2016, Cass. n. 9396 del 16/04/2018).
Quindi, soltanto nel caso in cui l’interprete, all’esito della prima valutazione, dovesse addivenire alla conclusione per cui il licenziamento non è sorretto da una giusta causa per difetto del requisito della commissione di una grave infrazione e/o della proporzionalità della sanzione adottata rispetto alla gravità del fatto, per come valutato anche alla stregua dei criteri desumibili dalla stessa contrattazione collettiva, si aprirà la strada alla seconda verifica che attiene al tipo di tutela da applicare al caso di specie, secondo la gradazione enucleata dai commi 4 e 5 dell’art. 18 l. n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, di tal ché, ove si ritenesse che il fatto contestato al lavoratore sia del tutto insussistente (con varie declinazioni in giurisprudenza in ordine alla nozione di fatto rilevante) ovvero che esso sia già espressamente punito dalla contrattazione collettiva con una sanzione meramente conservativa, si potrà dare ingresso alla tutela reintegratoria cd. attenuata di cui al IV comma, mentre in tutti gli altri casi il lavoratore avrà diritto alla sola tutela indennitaria cd. forte di cui al comma V.
Tanto premesso in linea generale e passando alla verifica della sussistenza della giusta causa di recesso nel senso testé chiarito, si evidenzia anzitutto che nel caso di specie il licenziamento è stato adottato sulla base di una contestazione disciplinare avente ad oggetto la condotta tenuta dal lavoratore il quale ha consentito ad un estraneo di accedere nei locali aziendale e, dopo aver recuperato le chiavi della cassaforte al box informazioni, lo ha condotto alla cassaforte – da Lei disallarmata alle ore 04:59 contestualmente alla disattivazione del sistema di allarme del punto vendita – consentendo di prelevare gli incassi dei giorni sabato 18 e domenica 19 maggio. Infine, ha aperto all’estraneo la porta del magazzino, consentendogli di allontanarsi senza nessun ostacolo.
Tali fatti non sono contestati nel loro materiale accadimento ma il lavoratore sostiene di aver aperto confidando che la persona al di fuori del negozio non fosse un estraneo ma un addetto alle pulizie che soleva lamentarsi, anche di primo mattino, per le modalità di smaltimento dei cartoni da parte del supermercato resistente. In pratica egli afferma di aver aperto per sentire cosa avesse da comunicargli e insiste sul carattere non anomalo di tale condotta di tale condotta atteso che già era accaduto altre volte che l’addetto si fermasse e bussasse al supermercato per lamentele e che tale prassi era nota ai responsabili aziendali e ad altri dipendenti informati proprio dal ricorrente prima dei fatti oggetto di contestazione.
Ora sostiene il ricorrente l’illegittimità del provvedimento espulsivo per insussistenza del fatto contestato o comunque per l’irrilevanza disciplinare della condotta, non avendo egli dolosamente aperto ad un rapinatore ma ad un soggetto erroneamente ritenuto innocuo in quanto scambiato per ‘addetto alle pulizie del centro commerciale il quale, almeno in altre due o tre occasioni, si era recato a lamentarsi di primo mattino al punto vendita per i rifiuti custoditi e riposti dal medesimo supermercato sul piazzale.
Al fine di chiarire le circostanze dedotte dal ricorrente e valutare se tale circostanza integrasse una vera e propria prassi tale da affievolire la colpevolezza del ricorrente, sono stati escussi proprio i soggetti a cui il ricorrente afferma di aver riferito che l’addetto alle pulizie soleva recarsi al supermercato per lamentarsi.
In particolare il testimone (omissis), capoarea della resistente, ha riferito ‘ (..).
Vado una volta a settimana presso questa sede e a volte anche due. Spesso vado di mattina perché è il primo punto vendita che incontro nella mia area e ci passo per primo. Conosco il ricorrente. Mi ci relazionavo per lavoro. Il ricorrente non ricordo mi abbia mai parlato di persone delle pulizie che venivano a lamentarsi da lui. Mi è capitato di vedere un addetto alle pulizie che passava il lavasciuga di fronte al negozio. Mi sembra fosse sempre lo stesso una persona un po’ tarchiata. Non ricordo altri particolari. Nessuno mi fece mai presente che questo addetto andava a lamentarsi o bussare al punto vendita. Io non ho le chiavi sono ispettore commerciale ma non faccio apertura. (…) I cartoni vengono posti sul retro e portati al compattatore del centro commerciale almeno una volta al giorno con i roll. ADR Non sono mai stato contattato perché volassero dei cartoni. A (omissis)Il ricorrente non i ha mai riferito di aver aperto la porta all’addetto delle pulizie’
Il testimone Sa., ipiegato proprio presso il punto vendita di Formello, ha dichiarato ‘Vado tutti i giorni mattina o pomeriggio in base ai turni. Vado all’apertura alle 5 e trenta e apro io il punto vendita. Conosco il ricorrente e abbiamo lavorato insieme. Il ricorrente apriva anche lui che era un responsabile. Una seconda persona arriva più tardi. Il ricorrente non mi ha mai riferito di aver aperto la porta all’addetto delle pulizie per sentire le sue lamentele o altro. Nessun altro dipendente me lo ha mai detto. Non mi è mai capitato che l’addetto alle pulizie mi chiedesse di aprire on che mi fermasse a parlare dentro al negozio.(…). I cartoni vengono riposti all’esterno del magazzino che è dall’altro lato del negozio rispetto a dove entriamo noi. Può capitare anche adesso che il titolare del centro commerciale passi a segnalare che causa vento possono volare dei cartoni. Noi li svuotiamo tutti i giorni. ADR I cartoni stanno solo davanti al magazzino mai davanti all’entrata perché c’è il parcheggio sul piazzale. ADR e tira vento può capitare che voli un cartone noi teniamo però pulito visto che è responsabilità nostra. ADr Il pulitore non si è mai lamentato solo chi fa le veci del titolare del centro commerciale per essere precisi non so se sia proprio il titolare. ADR L’apertura la fa uno solo quindi non è che posso controllare se il ricorrente abbai aperto a qualcuno ma a me non ha mai riferito di averlo fatto. ADR Io e il ricorrente siamo di pari livello e poi c’era il direttore ma non ricordo il nome perché ne abbiamo cambiati. Adr I responsabili che aprono sono tre e poi più tardi dopo l’apertura arrivava un altro. Adr Non ho mai visto il pulitore con una felpa con il cappuccio.’
Anche la tesi difensiva ribadita in sede di opposizione e indagata dal Giudice attraverso l’ammissione della prova testimoniale, quindi, è rimasta del tutto sguarnita di prova.
Pacifico essendo che il ricorrente ha omesso di adottare qualsivoglia cautela pur trovandosi solo e prima dell’orario di apertura nel punto vendita, con grave negligenza, e che ha consentito l’ingresso di uno sconosciuto all’interno del punto vendita, senza accertarsi dell’identità della persona che ha bussato alla vetrata del supermercato, non ha trovato fondamento la tesi difensiva relativa alla frequente ‘visita’ matutina dell’addetto alle pulizie che avrebbe indotto il ricorrente ad ‘abbassare la guardia’.
Inoltre, i testimoni hanno recisamente negato che il ricorrente li avesse portati a conoscenza di queste lamentele dell’addetto alle pulizie ripetutesi più volti prima dell’apertura del supermercato.
L’assenza di fattori mitiganti il grado di diligenza esigibile dal ricorrente rende ancor più fondate le motivazioni poste alla base della contestazione disciplinare nonché dell’ordinanza di rigetto dell’impugnativa di licenziamento.
Ed infatti è lo stesso ricorrente ad aver riferito in sede di interrogatorio libero nella fase sommaria che ‘dal monitor è molto più semplice notare la calzamaglia, mentre dal box tale visuale è più ridotta ed era buio perché era mattina presto’ e ciò nonostante di non aver effettuato tale verifica.
Il ricorrente ancora, ha riferito di non trovarsi in condizioni fisiche ottimali e ciò avrebbe dovuto indurlo a prestare ancora più attenzione trovandosi da solo nel locale e prima dell’orario di apertura previsto.
Non v’è alcun elemento, e prova del medesimo, che possa ritenere scusabile la condotta tenuta dal De An..
Ritiene, quindi, il giudicante che la condotta del ricorrente debba certamente essere ritenuta idonea a recidere il vincolo fiduciario che deve necessariamente assistere il rapporto di lavoro, tenuto conto che la detta condotta integra certamente una violazione del dovere di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro e l’elemento soggettivo non risulta certamente affievolito, non essendo stata contestata la volontarietà dell’apertura al fine di consentire la rapina ma la grave negligenza che ha permesso di realizzarla e di non custodire correttamente i beni aziendali.
D’altronde, con riferimento a quanto in apertura argomentato in tema di ricorso del giudice, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento, alla scala valoriale desumibile dalle disposizioni della contrattazione collettiva, occorre evidenziare che nel caso di specie l’art. 220 del c.c.n.l. per il settore terziario stabilisce che ‘Il lavoratore ha l’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri e il segreto di ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri. Il lavoratore ha l’obbligo di conservare diligentemente le merci e i materiali, di cooperare alla prosperità dell’impresa’. Il successivo art. 225 legittima il licenziamento, con o senza preavviso, in caso di ‘grave violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma’.
Certamente la scala valoriale espressa dal contratto collettivo deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. , considerato altresì che la L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 3, ha previsto che ‘nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro’ (cfr. Cass. n. 32500 del 2018;Cass. n. 25201 del 2016; Cass. n. 9396 del 2018; Cass. n. 28492 dei 2018; da Cass. n. 14062 del 2019; Cass. n. 14063 del 2019; Cass. n. 13865 del 2019).
Il principio generale subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa: in tal caso il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore (L. n. 604 del 1966, art. 12).
Ciò non è il caso di specie, ove la condotta del dipendente, in astratto, poteva ritenersi grave al punto da giustificare il licenziamento ferma restando, in concreto, che il ccnl applicabile puniva con il licenziamento anche la grave mancanza rispetto agli obblighi lavorativi come sopra evidenziato.
Per quanto attiene alla sussumibilità in generale nella nozione di giusta causa della condotta sanzionata si osserva come ‘essa sia nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali correttezza (art. 1175 c.c.); obbligo di fedeltà, lealtà, buona fede (art. 1375 c.c.); giusta causa, appunto (art. 2119 c.c.) – il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che è stata definita la “spirale ermeneutica” (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare altresì le circostanze più concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilità della tota res (realtà fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà, alla soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona. ( Cass. 31/05/2019,n.15002; Cass., S.U., n. 2572/2012).
La gravissima disattenzione del De An. è senz’altro riconducibile a tale nozione legale di giusta causa ex art. 2119 c.c. senza che rilevi l’elemento soggettivo qualificabili in termini colposi in quanto idoneo ugualmente a minare il rapporto fiduciario sotteso al contratto di lavoro, ponendo in dubbio la futura correttezza dell’adempimento anche tenuto conto del ruolo del De An., cui erano affidate le chiavi del supermercato e nonché i codici di attivazione e disattivazione dell’allarme.
Quanto alle ulteriori difese spiegate si condivide il percorso motivazionale del giudice della fase sommaria cui si rimanda che non ha dato rilievo alle condizioni di stanchezza del ricorrente che gli avrebbero impedito di inquadrare per bene il rapinatore dal vetro del negozio e lo avrebbero indotto a commettere il travisamento di persona.
Né appaiono rilevanti le contestazioni inerenti alla mancata conoscenza del regolamento aziendale e del codice disciplinare da parte del ricorrente stante la natura della violazione commessa, particolarmente grave i ctu oculi e percepibile come tale dal medesimo lavoratore senza necessità di conoscere norme di sicurezza ulteriori rispetto a quelle esigibili da un soggetto che si trovava in una condizione di responsabilità del punto vendita e considerato che la condotta è consistita nell’aprire la porta ad una estraneo e non nel erronea attivazione/disattivazione di complessi sistemi di sicurezza.
Se il comportamento, infatti, è contrario al c.d. minimo etico non è necessaria l’affissione del codice disciplinare in quanto il lavoratore può tranquillamente rendersi conto che – anche al di là di un’analitica indicazione dei casi sanzionabili – della illiceità della propria condotta (cfr. Cass. 13414 del 2013; Cass. n. 21032 del 2016).
Non appare fondata, ancora, le doglianza inerente alla liquidazione delle spese effettuata in fase sommaria, peraltro compiutamente motivata, in linea con le tariffe vigenti.
Va, del pari, rigettata la domanda riconvenzionale volta ad ottenere risarcimento del danno cagionata all’immagine aziendale stante le modalità di accadimento dei fatti.
Al riguardo come argomentato dalla giurisprudenza di merito e legittimità, il danno non patrimoniale, al pari di qualsiasi altro tipo di danno, non può mai ritenersi in re ipsa ed i pregiudizi derivanti dalla condotta asseritamente dannosa al fine di essere risarcibili, devono superare una soglia minima di tollerabilità, ovviamente ben più elevata per le società commerciali rispetto alle persone fisiche.
Il giudice deve, dunque, accertare l’esistenza del danno in questione, verificando se e in quale misura il fatto illecito abbia nuociuto all’immagine pubblica della persona giuridica, con conseguente necessità di un’indagine sulla diffusione della notizia , sulla sua percepibilità da parte della collettività, sulla possibilità per fornitori e clienti di connettere un eventuale declino societario a quella notizia, nonché sull’eccedenza del danno rispetto alla soglia della normale tollerabilità.
Al riguardo le allegazioni della parte opposta appaiono del tutto scarne e inadeguate con conseguente impossibilità di raggiungere la prova del danno invocato.
Né alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa dello stesso considerato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili, ma che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, fermo restando dunque l’onere della parte di dimostrare l'” an debeatur ” del diritto al risarcimento (cfr.Cass. 30/10/2020, n.24146).
Le spese di lite vanno poste a carico del ricorrente e liquidate secondo le tariffe vigenti e il valore indeterminato della controversia.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta da (omissis) così provvede:rigetta il ricorso;
rigetta la domanda riconvenzionale;
condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della resistente, delle spese della presente opposizione che liquida, in complessivi E 2.788,70 a titolo di compensi professionali, oltre spese forfetarie, IVA e CPA come per legge da distrarsi.
Tivoli, il 19/06/2021
Depositata in cancelleria il 21/06/2021.