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Tribunale Roma sez. X, 08/07/2024

Massima

Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine, da condurre alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’eventuale uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata.

Supporto alla lettura

Risoluzione contratto

La risoluzione del contratto è un istituto che trova la propria compiuta disciplina agli articoli 1453 e seguenti del codice civile. Gli effetti della risoluzione di un contratto possono tanto ottenersi con una domanda giudiziale quanto di diritto, cioè automaticamente, quando sussistono determinati presupposti.  La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo contrattuale per il verificarsi di eventi successivi alla stipulazione che incidono sul vincolo sinallagmatico rendendo necessaria o quanto meno opportuna la sua rimozione. Questa forma di risoluzione, cosiddetta rimediale, ha dunque lo scopo di reagire a un malfunzionamento del contratto e si distingue dalle risoluzioni non rimediali che rispondono alla diversa logica di consentire a una delle parti di liberarsi dal vincolo in forza di una pattuizione prevista dallo stesso contratto, come ad esempio nelle ipotesi in cui sia prevista una condizione risolutiva. La risoluzione rimediale ha invece sempre fonte legale e può operare o automaticamente, come nell’ipotesi di scadenza del termina essenziale ex art. 1457 c.c., e di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., o per sentenza come la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., o ancora tramite manifestazione di volontà negoziale, come nell’ipotesi di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.. Sembra invece avere una collocazione ibrida la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c, che da un lato assume una funzione rimediale reagendo a un malfunzionamento del contratto, dall’altro poiché dà risalto alla volontà delle parti di considerare determinante l’inadempimento di una determinata obbligazione, sembra colorarsi anche di una funzione non rimediale. Preventivamente le parti possono inserire nel contratto una clausola penale. Rappresenta l’espressione del patto con il quale in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno che causano l’inadempimento delle obbligazioni o il ritardo nell’adempimento. Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è disciplinata agli articoli 1382 – 1384 e la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta. La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge, il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così espressamente stabilito. La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa. Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario.

Ambito oggettivo di applicazione

Preliminarmente, va evidenziato che la presente sentenza viene estesa senza l’esposizione dello “svolgimento del processo”, ai sensi delle indicazioni di cui al secondo comma dell’art. 132 c.p.c., come modificato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 45, comma 17, della L. 18 giugno 2009, n. 69.

Devono, pertanto, considerarsi integralmente richiamati dalla presente pronuncia gli atti introduttivi e di costituzione delle parti, le memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c. e i verbali di causa, compresi quelli ove è trascritta l’assunzione delle prove orali.

Appare comunque opportuno riportare, per comodità espositiva, le conclusioni delle parti e, sia pure brevemente, le rispettive deduzioni ed eccezioni.

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., N.E. ha agito in giudizio nei confronti di D.D. al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: “voglia l’On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, nel merito: 1) accertare e dichiarare l’inadempimento del Sig. D.D. agli obblighi assunti con il contratto preliminare del 21 maggio 2018 intercorso con la Sig.ra N.E., come integrato con scrittura del 06 agosto 2018, ivi compresi gli obblighi di regolarizzazione edilizia, urbanistica e catastale dell’immobile e di fornitura della documentazione attestante la regolarità edilizia, urbanistica e catastale dell’immobile; 2) per l’effetto di quanto sopra accertare e dichiarare legittimo il recesso dal contratto preliminare oggetto di causa, comunicato dalla Sig.a N.E. con raccomandata a.r. del 06 ottobre 2018, ex art. 1385, comma 2 c.c., per inadempimento del promittente venditore e conseguentemente condannare il Sig. D.D. al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 38.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria dalla medesima versata, oltre interessi e rivalutazione come per legge. 3) Con vittoria di spese e competenze del giudizio”.

A sostegno delle proprie pretese, la ricorrente ha sostanzialmente rappresentato:

1) che, con contratto preliminare del 21/5/2018, si era impegnata ad acquistare l’immobile sito a R., Via F. S. n. 22 (meglio descritto in atti), di proprietà di D.D., al quale aveva versato una somma complessivamente pari a Euro 19.000,00 a titolo di caparra confirmatoria;

2) che l’acquisto era stato condizionato alla regolarità urbanistica/edilizia dell’immobile de quo, in quanto requisito essenziale ai fini del trasferimento;

3) che, nel citato contratto, il resistente aveva dichiarato: i) che l’immobile per cui è causa, originariamente realizzato in assenza di titolo edilizio, era stato successivamente interessato da due domande di condono, di cui un’istanza del 30/9/1986, avente a oggetto l’intero edificio di cui il cespite era parte – afferente a circa 40 mq dello stesso – e un’ulteriore istanza del 9/12/2004, relativa a un ulteriore ampliamento (circa 20 mq) della preesistente porzione, interessata dalla predetta istanza di condono; ii) di aver ottenuto la proprietà del suddetto immobile all’esito di una vendita all’asta svoltasi nell’ambito della procedura esecutiva n. 1382/2011, ricavando l’oggetto e gli estremi delle suddette istanze di condono – non materialmente in suo possesso alla data della sottoscrizione del preliminare – dalla perizia resa dal CTU nel corso della stessa; iii) la presenza di ulteriori difformità edilizie – poste in essere, in assenza del necessario titolo, successivamente alle opere poi rese oggetto di condono – consistenti nella realizzazione di un tramezzo interno e di modifiche prospettiche (apertura di una finestra), per le quali non si era neppure provveduto all’aggiornamento della planimetria catastale;

4) che, trattandosi di un immobile privo dei necessari requisiti di commerciabilità, D.D. si era obbligato a regolarizzare, entro la data del 31/7/2018 prevista per la stipula del definitivo, tutta la relativa situazione edilizia/urbanistica e catastale e a ottenere, in particolare, le concessioni edilizie in sanatoria attestanti il positivo esito delle istanze di condono;

5) di aver dunque subordinato l’esecuzione del citato preliminare all’avverarsi della condizione del rilascio dei titoli edilizi in sanatoria entro la data del 20/7/2018, prevedendo, in caso contrario, una proroga della data fissata per la stipula del definitivo (31/7/2018), al fine di concedere al promittente venditore un ulteriore lasso di tempo per adempiere l’obbligo contrattualmente assunto di ottenere e certificare l’integrale regolarità edilizia e urbanistica del bene;

6) che il preliminare ottenimento delle suddette concessioni in sanatoria era altresì presupposto imprescindibile al fine di poter procedere alla regolarizzazione delle ulteriori difformità (apertura finestra e tramezzo interno) del bene, per le quali non era stato presentato alcun titolo edilizio, neppure in sanatoria;

7) che, in data 6/8/2018, al fine di consentire a D.D. di adempiere il predetto obbligo di regolarizzazione era stata concordata una proroga al 20/9/2018 del termine per la stipula del definitivo;

8) che, tuttavia, la prova dell’avvenuto rilascio dei predetti titoli edilizi in sanatoria non era stata fornita dal promittente venditore, né alla data del 20/7/2018, né entro il prorogato termine del 20/9/2018;

9) che, con nota del 25/9/2018, il D. aveva sollecitato la stipula del definitivo, nonostante i suoi gravissimi inadempimenti contrattuali in ordine alla mancata comprova della conformità urbanistica ed edilizia dell’immobile, cui il preliminare era stato espressamente subordinato;

10) che il resistente, nonostante le numerose richieste avanzate nei suoi confronti, non aveva neppure materialmente prodotto le istanze di condono pendenti, ritenendo sufficiente consegnare, in luogo delle stesse, una relazione tecnica del 24/7/2018 e una perizia giurata del 4/9/2018, in cui si dava unicamente atto dell’esistenza delle citate istanze, del pagamento delle oblazioni e degli oneri a esse relativi, nonché dell’insussistenza di vincoli paesaggistici sull’area in esame;

10a) che, nella predetta relazione – la cui esibizione non poteva in ogni caso essere ritenuta sostituiva dell’obbligo, gravante sul D., di esibire materialmente le istanze di condono – non era previsto alcun accenno all’ammissibilità a sanatoria delle domande presentate;

11) che il contratto preliminare era stato subordinato al rilascio dei titoli edilizi in sanatoria proprio in ragione dei forti dubbi manifestati dall’esponente in ordine all’effettiva possibilità di regolarizzazione delle opere oggetto delle due domande di condono, relative ad abusi rilevanti;

12) che la domanda di condono del 9/12/2004 avrebbe potuto essere presentata solo in caso di buon esito di quella del 30/9/1986 o, in mancanza, avrebbe dovuto includere anche la preesistente volumetria e, dunque, l’intera consistenza dell’immobile de quo (circa 60 mq);

12a) che, in ogni caso, l’istanza del 9/12/2004 soggiaceva al rispetto dei limiti di cubatura previsti dalla normativa condonistica regionale – più restrittivi rispetto a quella statale di cui al D.L. n. 269 del 2003 – i quali avrebbero dovuto essere calcolati rispetto alla preesistenza originaria, nel caso di specie rappresentata dall’intero edificio;

12b) che le modifiche prospettiche necessitavano in via ordinaria di un permesso di costruire, e non di una S. edilizia, pertanto occorrendo, per la loro legittimazione ex post, un’istanza d’accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001;

13) che l’immobile de quo era dunque sprovvisto dei requisiti giuridici essenziali ai fini del suo legittimo godimento e della sua commerciabilità, conseguentemente evidenziandosi il palese inadempimento di D.D. al contratto stipulato in data 21/5/2018;

14) che anche il perito dell’istituto di credito cui si era rivolta ai fini dell’ottenimento di un mutuo fondiario, nella perizia di stima predisposta in data 19/7/2018, aveva evidenziato la non conformità dello stato dei luoghi alla planimetria catastale e riscontrato delle difformità urbanistiche;

15) che, con raccomandata a/r del 6/10/2018, aveva comunicato al resistente il proprio recesso dal citato preliminare, contestualmente invitandolo ex art. 1385, comma 2, c.c. al pagamento in proprio favore della somma di Euro 38.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata ai sensi dell’art. 4 lett. a) e b) dell’accordo sottoscritto;

16) di aver infruttuosamente avviato la procedura di negoziazione assistita, la quale si era conclusa con verbale di mancato accordo del 30/1/2019.

Si è costituito in giudizio D.D., chiedendo di sentire accogliere le seguenti conclusioni: “In via preliminare, dichiarare l’inammissibilità del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dalla ricorrente N.E. per mancanza dei presupposti di legge (non sommarietà dell’istruzione), così come meglio specificato in narrativa; – Nel merito rigettare integralmente la domanda di parte attrice nei confronti del sig. D.D. per insussistenza di qualsivoglia inadempimento in capo allo stesso, con conseguente diritto a ritenere quanto percepito dal signora N., in conseguenza del suo illegittimo recesso; – In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse ravvisarsi inadempimento in capo al resistente, accertare e dichiarare che le somme corrisposte costituiscono acconto sul prezzo e dichiarare il resistente tenuto soltanto alla restituzione dell’importo percepito; – In via riconvenzionale condannare la ricorrente al rimborso in favore del signor D. di tutte le somme sostenute nel corso delle trattative nella misura di Euro 7.000,00. Con vittoria di spese, competenze, onorari e rimborso forfetario del presente giudizio”.

A tal fine, il resistente, in sintesi, ha eccepito:

1) l’inammissibilità del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dalla ricorrente per mancanza dei presupposti di legge, non essendo i fatti di causa provati, né contestati dalla stessa, stante anche la non sommarietà della relativa istruttoria;

2) di essersi prontamente attivato presso i competenti uffici urbanistici per il reperimento della documentazione urbanistica necessaria per il rogito;

3) l’avvenuto rilascio delle concessioni in sanatoria relativamente a entrambe le istanze di condono presentate, a conferma della sanabilità dell’immobile de quo e della sua commerciabilità;

3a) che le difficoltà riscontrate nell’acquisizione delle predette concessioni erano state unicamente determinate dalla congestione degli uffici urbanistici nel fare fronte alle numerose istruttorie di condono avviate a partire dal 1985;

4) che la sanabilità del predetto cespite era comunque emersa dalla ctu redatta nell’ambito della procedura esecutiva n. 1382/2011, atteso che la stessa aveva espressamente escluso la sussistenza di vincoli urbanistici e/o paesaggistici, tali da precludere l’accoglimento delle istanze di condono;

5) la piena consapevolezza, in capo alla ricorrente, della situazione urbanistica dell’immobile per cui è causa, come risultante dal disposto dell’art. 2 del citato preliminare, secondo il quale “la parte promittente venditrice avendo acquistato l’immobile in sede di asta immobiliare 1382/11 con decreto di trasferimento allegato ed essenziale affidato alle risultanze della CTU ivi depositata, garantisce la regolarità edilizia e urbanistica dell’immobile, la presenza dei requisiti e la conformità dei dati catastali e della planimetria depositata in Catasto allo stato di fatto dell’immobile nei limiti espressi nella perizia tecnica sopra citata”;

5a) di avere comunque già in precedenza consegnato alla N., così come all’agenzia immobiliare incaricata, tutta la documentazione urbanistica relativa all’immobile de quo;

6) che l’ultimo abuso – il quale era stato già menzionato nelle perizie agli atti della procedura esecutiva – era fin dall’inizio apparso tecnicamente sanabile con una S. in sanatoria, in seguito effettivamente presentata con prot. (…) in data 19/7/2018, con il pagamento dei prescritti costi e sanzioni, cui aveva fatto seguito la V.C. DocFa del 23/7/2018; 6a) che, pertanto, il predetto abuso era stato regolarizzato ben prima della scadenza del termine di proroga della stipula del definitivo;

7) che, in particolare, dalla relazione tecnica asseverata del 24/7/2018, a firma del geometra P. – richiesta al deducente dal notaio incaricato del rogito dalla N. – era emerso l’integrale versamento delle oblazioni dovute per entrambe le sanatorie attese, essendo dunque in corso le procedure che avrebbero condotto al rilascio delle relative concessioni;

7a) che la citata perizia era stata consegnata alla ricorrente, come dalla stessa espressamente richiesto, prima della scadenza del termine prorogato del 20/9/2018;

8) che, pertanto, al mese di luglio 2018, era stato sanato anche l’ultimo abuso con la prescritta S.c.i.a, trovandosi così nella assoluta consapevolezza che fossero in via di definizione le procedure di rilascio dei permessi edilizi in sanatoria;

9) che, dunque, tutta la documentazione contenuta nel fascicolo della procedura esecutiva – ivi inclusi gli atti di provenienza, con la specifica indicazione degli estremi dei versamenti effettuati – era stata consegnata alla ricorrente, ed era quindi nella disponibilità del notaio incaricato ben prima della scadenza del termine fissato per il rogito;

9a) che, in particolare, la predetta circostanza era altresì confermata dallo scambio di corrispondenza del 24/7/2018 e del 30/7/2018, intercorso con l’agenzia immobiliare A. e il notaio S.V., attestante l’avvenuta trasmissione a quest’ultimo di tutta la documentazione urbanistica dell’immobile, aggiornata alla perizia del geometra P.;

10) che, pertanto, alcun inadempimento poteva essergli imputato posto che, essendo tenuto a garantire ” la regolarità edilizia e urbanistica dell’immobile, la presenza dei requisiti e la conformità dei dati catastali e della planimetria depositata in Catasto allo stato di fatto dell’immobile nei limiti espressi nella perizia tecnica sopra citata” e “a fornire la relativa documentazione nei sopra indicati prima della data prevista per la stipula del contratto definitivo di compravendita”, aveva consegnato alla N., nei limiti espressi dalla ctu, tutta la documentazione urbanistica attestante la regolarità dell’iter a tal fine avviato;

11) la sussistenza, pertanto, di tutte le condizioni e i requisiti urbanistici richiesti a norma di legge per poter procedere a un regolare trasferimento della proprietà;

12) l’evidente malafede della N. che, per giustificare il venir meno del proprio interesse all’acquisto dell’immobile, aveva lamentato – peraltro solo con missiva del 25/9/2018 in riscontro alla diffida ex art. 1454 c.c., essendosi invece resa, nell’imminenza della scadenza del termine, del tutto irreperibile – la mancata produzione delle concessioni in sanatoria che non erano oggetto degli obblighi gravanti sull’esponente;

13) che la ricorrente gli aveva espressamente richiesto la perizia asseverata, a integrazione della documentazione già disponibile, e non anche la produzione delle concessioni in sanatoria, trattandosi comunque di un onere al quale avrebbe senz’altro adempiuto a fronte di un’ulteriore proroga ragionevolmente accettabile, compatibile con i tempi di definizione dell’iter procedimentale degli uffici urbanistici;

14) che, infatti, il termine indicato nel contratto preliminare del 21/5/2018 non poteva in alcun modo essere ritenuto essenziale ai fini della stipula del definitivo;

15) che, secondo quanto previsto dal citato preliminare, gli importi corrisposti dalla ricorrente ai sensi dell’art. 4 lett a) e b) non potevano essere considerati quali versamenti effettuati a titolo di caparra confirmatoria quanto, piuttosto, a titolo di anticipo o acconto del prezzo pattuito;

16) che le trattative in questione avevano comunque comportato degli ingenti esborsi da parte dell’esponente, il quale aveva dovuto provvedere al pagamento della provvigione, pari a Euro 3.000,00, in favore dell’agenzia immobiliare contattata, nonché della somma di Euro 2.000,00 per la redazione della perizia a firma del geometra P..

Il Giudice, ritenuto che le difese svolte dalle parti richiedessero un’istruzione non sommaria, con ordinanza dell’11/11/2019, ha disposto il mutamento del rito.

Con memoria ex art. 183, VI comma, n. 1 c.p.c. N.E. ha eccepito la nullità della domanda riconvenzionale formulata da D.D. in quanto generica e indeterminata, difettando la causa petendi della richiesta di condanna al rimborso della somma di Euro 7.000,00, in ogni caso evidentemente afferente a prestazioni spontaneamente rese dal convenuto, in alcun modo a sè imputabili.

In via istruttoria è stato esperito l’interrogatorio formale di parte attrice; all’esito, la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni di cui in epigrafe, con l’assegnazione dei termini di legge per conclusionali e repliche.

N.E. ha agito in giudizio per far accertare e dichiarare l’inadempimento di D.D. in relazione al contratto preliminare stipulato tra le parti in data 21/5/2018, come integrato con scrittura del 6/8/2018, nonché per far accertare e dichiarare la legittimità del proprio recesso dal citato accordo, azionato con lettera del 6/10/2018, e ottenere la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 38.000,00, pari al doppio della caparra versata in suo favore, e dallo stesso illegittimamente ritenuta.

Con riguardo all’inquadramento giuridico della fattispecie, va ricordato che il recesso previsto dal comma 2 dell’art. 1385 c.c., presupponendo l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, configura uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelle di cui agli art. 1454, 1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Al fenomeno risolutivo, infatti, lo collegano sia i presupposti, rappresentati dall’inadempimento dell’altro contraente, che deve essere gravemente colpevole e di non scarsa importanza, sia le conseguenze, ravvisabili nella caducazione ex tunc degli effetti del contratto (v. Cass. Civ. Sez. II 06/9/2011 n. 18266).

Si deve inoltre precisare che il creditore che agisce in giudizio, per la risoluzione (e dunque anche per il recesso), deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento (v. per tutte Cass. Civ. Sez. Un. 30 ottobre 2001, n. 13533).

Ciò posto, si rileva che N.E., a supporto della sua pretesa, ha allegato per quanto qui rileva:

1) la proposta di acquisto dell’immobile di proprietà di D.D., sito a R., in Via F. S. n. 22 (meglio descritto in atti), sottoscritta in data 20/2/2018 e da quest’ultimo accettata in data 28/3/2018;

2) il contratto preliminare del 21/5/2018, con il quale D.D. si era impegnato a trasferire in suo favore la proprietà del suddetto immobile al prezzo di Euro 109.000,00, e dal quale emerge: i) che il bene era stato acquistato dal convenuto all’esito di una vendita all’asta nell’ambito della procedura esecutiva n. 1382/11; ii) che il D., oltre a garantire la regolarità edilizia e urbanistica dell’immobile de quo nei limiti espressi nella perizia tecnica resa nell’ambito della citata procedura, si era altresì obbligato, laddove necessario, a regolarizzare la situazione edilizia, urbanistica e catastale dello stesso prima della data del 31/7/2018, fissata per la stipula del definitivo; iii) che, a fronte della realizzazione del suddetto cespite in assenza di autorizzazione o concessione edilizia, erano state presentate due domande di condono, di cui una in data 30/9/1986 e l’altra in data 9/12/2004, con relativo versamento dell’intera oblazione, e il contestuale impegno del convenuto a regolarizzare anche l’ultima difformità catastale gravante sull’immobile – creatasi a seguito della realizzazione di un tramezzo e dell’apertura di una finestra – mediante la presentazione di una S. in sanatoria a proprie cure e spese; iv) la possibilità di prorogare il termine previsto per la sottoscrizione del definitivo, laddove le concessioni edilizie in sanatoria non fossero state rilasciate entro la data del 20/7/2018;

3) la perizia redatta in data 19/7/2018 dal tecnico incaricato dall’istituto di credito cui si era rivolta ai fini dell’ottenimento del mutuo, la quale aveva evidenziato la non conformità dello stato dei luoghi alla planimetria catastale e la sussistenza di difformità catastali;

4) la scrittura del 6/8/2018, redatta a integrazione del contratto preliminare, per mezzo della quale le parti – dando atto di non essere potute addivenire al rogito entro la data precedentemente stabilita del 31/7/2018 – avevano concordemente prorogato al 20/9/2018 il termine per provvedervi, ferme restando le condizioni di cui al citato accordo del 21/5/2018;

5) la relazione tecnica del 24/7/2018 e la perizia giurata del 4/9/2018, entrambe a firma del geometra P.M., nelle quali si dava rispettivamente atto dell’esistenza delle istanze di condono e del pagamento delle relative oblazioni, nonché dell’insussistenza di vincoli paesaggistici sull’area in esame;

6) la missiva con la quale, in data 5/10/2018, aveva comunicato a D.D. il proprio recesso dal preliminare, stante il grave inadempimento dello stesso agli obblighi contrattualmente assunti, contestualmente invitandolo ex art. 1385, comma 2, c.c. al pagamento in proprio favore della somma di Euro 38.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata (cfr. documentazione acclusa al fascicolo di parte attrice).

Passando all’esame della citata documentazione, si osserva che l’attrice ha prodotto il titolo posto a fondamento della sua pretesa – e dunque il contratto preliminare del 21/5/2018, dal quale si evince l’avvenuta corresponsione della complessiva somma di Euro 19.000,00 a titolo di caparra confirmatoria – e ha dedotto l’inadempimento del promittente venditore.

A fronte delle predette allegazioni, D.D. ha sostenuto che alcun inadempimento poteva essergli ascritto, avendo correttamente adempiuto gli obblighi su di sé gravanti in forza degli artt. 2 e 5 del citato preliminare – e, in particolare, essendosi tempestivamente attivato presso i competenti uffici urbanistici per il reperimento della documentazione relativa alla regolarizzazione all’immobile de quo, necessaria al fine di addivenire al rogito, avendo altresì provveduto a sanare l’ultimo abuso ivi realizzato – stante anche la non essenzialità del termine del 31/7/2018, poi prorogato al 20/9/2018, previsto per la stipula del definitivo.

Osserva il Giudicante che tali assunti difensivi colgono nel segno.

Va anzitutto precisato che è evidente che il termine fissato per la stipula del definitivo – di cui all’art. 6 del contratto preliminare – non fosse essenziale.

A tale riguardo, è opportuno ricordare che, per condivisibile giurisprudenza, il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine, da condurre alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’eventuale uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (cfr. Cass. Civ. Sez. II, n. 5797/2005; nello stesso senso Cass. Civ. n. 3645/07).

Ebbene, nel caso di specie non può ritenersi che il termine indicato nel citato preliminare per la stipula del definitivo fosse stato pattuito come essenziale – circostanza peraltro non contestata da parte attrice – non emergendo dallo stesso alcun elemento che consenta di reputare che, l’inutile decorso del predetto termine, avrebbe comportato la definitiva perdita dell’utilità perseguita con il regolamento contrattuale.

Sul punto, inoltre, occorre sottolineare il breve lasso di tempo di appena due mesi intercorrente tra la stipula del preliminare (21/5/2018) e il termine (peraltro, come visto, non essenziale) indicato per il rogito (31/7/2018) – anche a fronte della successiva proroga dello stesso al 20/9/2018 in forza della scrittura integrativa stipulata in data 6/8/2018 – verosimilmente insufficiente per l’espletamento di pratiche volte all’ottenimento della documentazione urbanistica di cui all’art. 2 del medesimo accordo, le quali, con ogni prevedibilità, avrebbero richiesto delle tempistiche molto più lunghe (cfr. doc. nn. 2 e 3 acclusi al fascicolo di parte attrice).

Alcun rilievo in termini di inadempimento può assumere, pertanto, quanto dedotto dalla N. circa la mancata consegna, da parte del convenuto, della richiesta documentazione catastale e urbanistica entro la data del rogito.

A tale riguardo appare, infatti, anzitutto opportuno evidenziare quanto espressamente pattuito dalle parti all’art. 5 del contratto preliminare, ai sensi del quale l’adempimento da parte del promittente venditore dell’obbligo, sullo stesso gravante, di provvedere alla regolarizzazione della difformità catastale consistente, in particolare, nell’avvenuta realizzazione di un tramezzo e nell’apertura di una finestra, avrebbe dovuto verificarsi, a cure e spese dello stesso D., “nei tempi tecnici necessari all’amministrazione (il cui eventuale adempimento o tardivo adempimento non potrà esser imputato alla parte promittente venditrice), a fronte della presentazione di una S. in sanatoria … avendo già incaricato il proprio tecnico di fiducia” (cfr. doc. n. 2 accluso al fascicolo di parte convenuta).

Dal tenore della predetta pattuizione emerge, con ogni evidenza, come le parti – e dunque anche la stessa N. – avessero piena contezza del fatto che i suddetti adempimenti non solo non fossero di immediata realizzazione – richiedendo tempistiche verosimilmente lunghe e, in ogni caso, non concretamente prevedibili – ma fossero altresì strettamente legati ai tempi amministrativamente richiesti e a tal fine impiegati dagli uffici competenti.

Ciò posto va precisato che, dagli atti di causa, emerge come il D., in seguito alla stipula del preliminare, avesse provveduto ad adempiere gli obblighi sullo stesso gravanti, attivandosi – seppure non solertemente, ma comunque entro un periodo di tempo non suscettibile di essere apprezzato, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, in termini di inadempimento – per reperire la predetta documentazione necessaria al fine di regolarizzare la situazione urbanistica del bene promesso in vendita e, pertanto, addivenire al rogito.

Dalla documentazione versata in atti si evince, infatti, l’intervenuta regolarizzazione dell’ulteriore difformità catastale gravante sull’immobile de quo – seguita ai lavori di ristrutturazione e redistribuzione degli spazi interni ivi realizzati e, peraltro, già configurata come sanabile all’esito della ctu svolta in sede di procedura esecutiva n. 1382/2011 – come evincibile dalla variazione catastale registrata in data 23/7/2018 (cfr. doc. nn. 4 e 10 acclusi al fascicolo di parte convenuta), nonché l’avvenuto rilascio da parte del Comune di Roma, in forza dei protocolli nn. (…) e (…) del 2/4/2019, delle concessioni edilizie in sanatoria relative alle istanze di condono del 1986 e del 2004 presentate per il citato bene (cfr. doc. n. 5 accluso al fascicolo di parte convenuta).

Si rileva inoltre che la presentazione, in data 19/7/2018, della S. in sanatoria avente a oggetto le suddette opere da ultimo eseguite nell’immobile per cui è causa in assenza di titolo edilizio, cui aveva fatto seguito la citata variazione catastale del 23/7/2018, era stata già evidenziata nella relazione tecnica redatta il 24/7/2018 dal geometra P.M., all’uopo incaricato, il quale aveva altresì confermato l’avvenuto integrale versamento degli importi previsti a titolo di oblazione, propedeutici al rilascio delle richieste concessioni in sanatoria (cfr. doc. n. 4 accluso al fascicolo di parte attrice). Parimenti rilevante deve ritenersi la perizia giurata redatta in data 4/9/2018, a integrazione della suddetta relazione tecnica, dallo stesso P., nella quale quest’ultimo, certificando l’insussistenza di vincoli paesaggistici sull’area di interesse dell’immobile de quo – e, in particolare, che “le opereoggetto di condono che riguardano l’immobile sopracitato non sono state realizzate su area sottoposta ai vincoli per cui … il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è subordinato al parere favorevole delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” – aveva sostanzialmente attestato l’inesistenza di motivi eventualmente ostativi al rilascio delle richieste concessioni in sanatoria (cfr. doc. n. 7 accluso al fascicolo di parte convenuta).

E’ poi il caso di precisare come le predette circostanze abbiano trovato una ulteriore conferma nel contratto di compravendita – tempestivamente prodotto dal convenuto con memoria ex art. 183, VI comma, n. 2, c.p.c. – in forza del quale quest’ultimo, in data 18/9/2020, ha alienato a terzi la proprietà del suddetto cespite (cfr. doc. n. 13, pagg. 3 e 4, accluso alla memoria n. 2 di parte convenuta/ compravendita del 18/9/2020).

Del resto, a fronte del protrarsi delle tempistiche necessarie per l’espletamento delle suddette pratiche, alcun sollecito risulta essere stato inviato dalla N., o altra comunicazione eventualmente idonea a manifestare la persistenza del proprio interesse alla stipula del definitivo, quale un invito a presentarsi dinanzi al notaio prescelto per il rogito, essendosi l’attrice unicamente limitata a comunicare al convenuto, in data 6/10/2018, il proprio recesso dal contratto preliminare – peraltro quale riscontro alla missiva del 25/9/2018 con cui proprio il D. aveva sollecitato la stipula del definitivo – lamentando la mancata tempestiva consegna, da parte dello stesso, della documentazione urbanistica relativa all’immobile de quo (cfr. doc. n. 7 accluso al fascicolo di parte attrice).

Né può ritenersi, infine, che, dalle dichiarazioni rese dall’attrice in sede di interpello, possa ricavarsi la prova di fatti favorevoli a tale parte (v. Cass. Civ., Sez. III, 09/01/2002, n. 200).

A fronte delle suesposte risultanze documentali e di prova orale, è dunque evidente che D.D. non possa essere considerato inadempiente, avendo provveduto, in ottemperanza agli accordi contrattuali, a reperire la documentazione urbanistica relativa alla regolarizzazione all’immobile, necessaria al fine di addivenire alla stipula del rogito.

Non ravvisandosi, quindi, alcun inadempimento del convenuto, deve ritenersi che il recesso esercitato da N.E. sia illegittimo in quanto ingiustificato e che, pertanto, le domande avanzate dalla stessa debbano essere rigettate.

Di contro, a fronte dell’inadempimento dell’attrice – la quale, stante il reperimento della suddetta documentazione, non aveva inteso provvedere alla stipula del contratto definitivo, come successivamente confermato dal recesso manifestato con la lettera del 6/10/2018, evidentemente illegittimo – pienamente legittima si appalesa la ritenzione, da parte di D.D., dell’importo di Euro 19.000,00 versatogli quale caparra confirmatoria.

Non può, invece, trovare accoglimento la domanda riconvenzionale risarcitoria spiegata dal convenuto, in quanto la stessa, pur essendo sufficientemente specifica – con conseguente rigetto dell’eccezione di inammissibilità formulata dall’attrice -, è rimasta sfornita di prova.

Invero, il D. ha allegato di aver dovuto provvedere al pagamento della provvigione, pari a Euro 3.000,00, in favore dell’agenzia immobiliare, nonché della somma di Euro 2.000,00 per la redazione della perizia in favore del geometra P. ma si è limitato a produrre le fatture del 3/10/2018 e del 13/5/2019, aventi a oggetto le somme dovute alla A.I. Srls, e la copia di un assegno di Euro 6.000,00 ad apparente firma di E.N., in assenza della dimostrazione di aver effettivamente sostenuto i relativi esborsi, nonché la ricevuta di un bonifico di importo pari a Euro 2.500,00 disposto in data 19/10/2018 in favore di un terzo, tale M.M., che non appare in alcun modo riconducibile al pagamento della provvigione o al pagamento della perizia (cfr. doc. n. 13 accluso al fascicolo di parte convenuta).

Ne deriva che la suddetta domanda riconvenzionale spiegata dal convenuto debba essere rigettata.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede:

1. Rigetta le domande avanzate da N.E.;

2. In parziale accoglimento delle domande riconvenzionali spiegate da D.D. dichiara l’illegittimità del recesso esercitato da N.E. dal contratto preliminare concluso tra le parti e dichiara il diritto di D.D. di trattenere la somma di Euro 19.000,00 versata dall’attrice a titolo di caparra confirmatoria,

3. Rigetta la domanda riconvenzionale risarcitoria formulata da D.D.;

4. Condanna N.E. al pagamento delle spese processuali sostenute da M.T., procuratore dichiaratosi antistatario di D.D., che si liquidano in complessivi Euro 4.237,00, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 2024.

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