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Tribunale Roma sez. III, 10/10/2016, n. 18690

Massima

La società non è mai titolare della legittimazione processuale attiva all’impugnazione delle delibere assunte dalla propria assemblea per chiederne l’accertamento della nullità o l’annullamento. Nell’azione di impugnazione della delibera assembleare promossa da un socio i restanti soci non sono titolari della legittimazione processuale passiva, la quale spetta esclusivamente alla società, mentre i soci non impugnanti devono sottostare all’eventuale invalidazione della delibera.

Supporto alla lettura

IMPUGNAZIONE DELIBERE SRL

L’art. 2479 ter 3° comma c.c. prevede tre ipotesi di nullità della delibera:

  • le decisioni aventi oggetto impossibile o illecito;
  • le decisioni prese in assoluta mancanza di informazione;
  • le decisioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.

In caso di vizi suscettibili di produrre la nullità della delibera è legittimato ad agire, come nelle S.p.a., chiunque vi abbia interesse, da intendersi in senso sostanziale e processuale. Tuttavia, legittimati ad impugnare delibere che hanno approvato il bilancio sono solo i soci che possiedono il 5% (art. 2434-bis, comma 2, c.c. richiamato dall’art. 2479-ter, comma 4, c.c.). Non si possono, comunque, impugnare le delibere di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo. Le cause di annullabilità delle delibere della S.r.l. sono previste dai co. 1, 2 e 4 dell’art. 2479-ter c.c., ovvero:

  • le decisioni prese in difformità alla legge o dell’atto costitutivo;
  • le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un conflitto di interessi  con quello della società;
  • le decisioni prese con la mancanza di legittimazione dei partecipanti se determinante per la delibera;
  • le decisioni prese in presenza di singoli voti invalidi o con il loro indebito conteggio;
  • le decisioni per le quali il verbale risulti incompleto o inesatto a tal punto d impedire l’accertamento nel merito della delibera.

Le delibere annullabili per difformità alla legge o all’atto costitutivo riguardano per lo più vizi relativi al procedimento, ovvero vizi della convocazione. In giurisprudenza, sono state individuate le seguenti ipotesi:

  • convocazione dell’assemblea ad opera del solo Presidente del Cda anziché da delibera collegiale come previsto dall’atto costitutivo;
  • mancata convocazione del creditore pignoratizio;
  • delibera assunta senza il differimento richiesto da un socio (art. 2374 c.c.);
  • diversità del luogo di svolgimento dell’assemblea rispetto a quello indicato nell’avviso di convocazione;
  • esercizio infedele del potere di rappresentanza.

In caso di vizi suscettibili di produrre l’annullabilità della delibera, nelle S.r.l. è legittimato ad agire:

  • ogni socio assente, dissenziente o astenuto;
  • ciascun amministratore;
  • l’organo consiliare.

Come si è accennato, a differenza di quanto previsto in tema di S.p.a., ai fini della legittimazione all’impugnazione non è richiesto né il possesso di una quota minima del capitale sociale, né la titolarità del diritto di voto rispetto alla decisione oggetto di impugnazione: pertanto, a condizione che non vi abbia consentito, ogni socio di S.r.l. ha diritto di impugnare una decisione dei soci non conforme alla legge o all’atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2479 ter, 1° e 2° co. c.c.

Ambito oggettivo di applicazione

Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. S. D’A., in proprio ed in qualità di amministratore unico della società G. Immobiliare Terza s.r.l., conveniva in giudizio il sig. M.D’A., la sig.ra G.M. e la C.C.I.A.A., in persona del Conservatore, chiedendo l’accertamento e la dichiarazione della “inesistenza dell’assemblea della G. Immobiliare Terza s.r.l. (e, conseguentemente, di ogni deliberazione in quella sede assunta) pretesamente tenutasi il giorno 1 agosto 2014 alle ore 10,00 presso lo Studio Mangiapane di Roma, ordinando conseguentemente al Conservatore del Registro delle Imprese di Roma la cancellazione della relativa iscrizione del verbale (pubblicato presso C.C.I.A.A. di Roma Registro Imprese con protocollo n. 49/PRA/2014/246571, codice pratica 801N3128, alle ore 14,47); ancora in via principale nella denegata ipotesi di dichiarazione di inesistenza: – dichiarare nulla la delibera, così come adottata nella riunione “autoconvocata” presso lo studio Mangiapane di Roma, dai soci M.D’A. e G.M. in data 1 agosto 2014, e registrata presso la C.C.I.A.A. in pari data al n. prot. RI/PRA/2014/246571, codice pratica 801N3128, portante anche revoca dell’amministratore unico per tutti i motivi sopra dedotti”.

Rimasta contumace la Camera di Commercio, si costituivano i Sig.ri M.D’A. e G.M. i quali – eccepito preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva – concludevano per il rigetto della domanda.

Con ricorso depositato in cancelleria ai sensi dell’art. 669 quater e 700 c.p.c. in data 18 novembre 2014, il sig. S.D’A. , in proprio ed in qualità di amministratore unico della società G. Immobiliare Terza s.r.l., ricorreva al Tribunale di Roma, chiedendo l’adozione degli “opportuni provvedimenti per impedire al sig. M.D’A., autoproclamatosi amministratore unico, di procedere all’alienazione del patrimonio immobiliare della G. Immobiliare Terza s.r.l., esemplificativamente, ma non esaustivamente, ordinando: a) al Conservatore del Registro delle Imprese di Roma la cancellazione della (inesistente) decisione dei soci assunta da alcuni soci il giorno 1 agosto 2014, al di fuori della regolare assemblea contemporaneamente tenutasi, con la quale è stato nominato il sig. M. D’A. alla carica di amministratore; b) la trascrizione della domanda giudiziale proposta di inesistenza della deliberazione assunta, di modo da rendere edotti i terzi della contestazione sull’esistenza stessa dei poteri in capo al Sig. M.D’A.: perché non è sufficiente rendere una decisione illegittima davanti ad un Notaio per rendere la stessa legale ed opponibile ai terzi; ovvero con qualsiasi altro provvedimento che verrà ritenuto utile per evitare il pregiudizio lamentato dalla società e dal socio attori”.

Con ordinanza resa in data 16 dicembre 2014, il Tribunale – “a prescindere dalla questione inerente la legittimazione attività della società ad impugnare una propria deliberazione (legittimazione che sembrerebbe da escludere) come pure dall’ulteriore questione afferente la legittimazione a resistere dei soci D’A. M. e G.M. – profili questi che verranno esaminati nel merito del giudizio – si ravvisa, quale aspetto dirimente, un difetto di residualità del rimedio attivato in sede cautelare” – dichiarava inammissibile il ricorso presentato dal S. D’A., in proprio ed in qualità di amministratore unico della società G. Immobiliare Terza s.r.l., per difetto di residualità.

In data 22 maggio 2015, si costituiva il nuovo difensore della società G. Immobiliare Terza s.r.l. il quale insisteva nelle conclusioni originariamente formulate.

Istruita la causa esclusivamente mediante l’acquisizione della documentazione prodotta, successivamente, all’udienza del 22 febbraio 2016 le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva rimessa per la decisione al Collegio – trattandosi di causa ricompresa nell’art. 50 bis c.p.c. – con concessione alle parti del termine di giorni sessanta per il deposito di comparsa conclusionale e di giorni venti per repliche.

Diritto

Motivi della decisione

Il Sig. S.D’A. e la G. Immobiliare Terza S.r.l. (rappresentata dal primo) hanno instaurato il presente giudizio civile al fine di sentire dichiarare l’inesistenza e/o la nullità delle deliberazioni assunte dalle assemblee della predetta società in data 1 agosto 2014.

In via del tutto preliminare rispetto al merito della vicenda in esame occorre verificare la legittimazione delle parti del presente giudizio sia dal lato attivo che dal lato passivo.

Come è noto, la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa – pertanto – va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito l’esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cassazione civile sez. III, 9 aprile 2009, n. 8699; Cassazione civile sez. II, 23 maggio 2012, n. 8175).

Ebbene, in primo luogo, va verificata la legittimazione attiva ad impugnare le predette delibere da parte della società G. Immobiliare Terza S.r.l.

L’art. 2479 ter c.c. attribuisce ai soci assenti, dissenzienti od astenuti, agli amministratori ed al collegio sindacale la legittimazione ad impugnare le decisioni dei soci che non sono prese in conformità alla legge o all’atto costitutivo e questo perché solo deliberazioni assunte in conformità della legge e dello statuto vincolano tutti i soci ed impongono anche all’eventuale dissenziente di sottostare al volere della maggioranza.

Alla luce della riportata disposizione codicistica deve escludersi in radice che la società sia legittimata a chiedere l’annullamento di deliberazioni assunte dalla propria assemblea: e ciò dal momento che l’ordinamento appresta per il caso di invalidità delle deliberazioni assembleari di società di capitali e cooperative i soli rimedi dell’annullamento e della nullità delle deliberazioni stesse di cui agli artt. 2377 e 2479 ter che individuano quali soggetti legittimati a proporre il giudizio i soggetti indicati e non già la società medesima. Infatti, secondo giurisprudenza costante (Cassazione civile, sez. I, 5 ottobre 2012, n. 17060), la società è (solo) legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell’impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà.

A ciò non resta che aggiungere che una tale conclusione si spiega razionalmente con la considerazione che la società non ha un “proprio” interesse rispetto ad una determinata deliberazione.

In definitiva, la società non può quindi chiedere l’annullamento di deliberazioni riferibili ad assemblee dei propri soci ovvero l’accertamento della nullità di tali deliberazioni. La domanda proposta dalla G. Immobiliare Terza S.r.l. deve essere, dunque, dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione attiva della società.

Venendo ora all’esame della (medesima) domanda proposta dal Sig. S.D’A., giova evidenziare come questi, in quanto socio ed amministratore unico, sia certamente legittimato a proporre l’impugnativa delle delibere sopra richiamate.

Tuttavia, tale domanda andava proposta nei confronti della società e non già nei confronti dei restanti soci i quali non sono titolari del dovere di subire un giudizio in ordine al rapporto dedotto.

Sul punto merita di essere evidenziato come la giurisprudenza formatasi in materia di impugnativa di deliberazioni assunte dall’assemblea di società di capitali, il socio di una società per azioni non è legittimato a resistere all’azione d’impugnazione di una delibera assembleare ex art. 2377 c.c., spettando la legittimazione passiva alla sola società e dovendo, per specifica disposizione di legge, il socio non impugnante e non parte in causa, sottostare all’eventuale annullamento della deliberazione. Tant’è che l’intervento del socio per resistere all’impugnazione di delibera da altri proposta viene qualificato come intervento adesivo dipendente e da questa posizione processuale non deriva il diritto all’autonomia impugnazione della sentenza, così come è precluso al socio, riflessi e non diretti (in questo senso, Corte appello Milano, 12 dicembre 2003, Corte appello Catania, 28 ottobre 1980; ma si vedano anche le motivazioni poste a fondamento di Cassazione civile sez. III, 2 marzo 2006, n. 4652).

Ebbene, alla luce delle precedenti considerazioni ed anche prescindendo dalla effettiva titolarità del rapporto giuridico dedotto in causa appare del tutto evidente l’estraneità dei soci oggi convenuti dal rapporto processuale instaurato dal Sig. S.D’A.

Né, al fine di ritenere ammissibile la domanda, potrebbe argomentarsi dalla circostanza che la società è comunque parte in causa (quale attrice), in quanto non risulta neppure concettualmente concepibile una domanda proposta dall’attore nei confronti di altro attore. Né la società, costituendosi attraverso nuovo difensore, può mutare la propria posizione processuale.

Il sig S. D’A. e la società G. Immobiliare Terza s.r.l., rimasti soccombenti, devono essere condannati alla refusione, in favore dei Sig.ri G.M. e M.D’A., delle spese legali relative al presente giudizio, spese che vengono liquidate come in dispositivo sulla base delle statuizioni contenute nel d.m. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2014). Nessuna statuizione si impone tra gli attori e la Camera di Commercio, rimasta contumace.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando in composizione collegiale, nel contraddittorio tra le parti, così provvede:

I. dichiara inammissibili le domande proposte dal Sig. S.D’A. e dalla società G. Immobiliare Terza s.r.l.;

II. condanna il Sig. S. D’A. e la società G. Immobiliare Terza s.r.l., in solido tra loro, alla refusione, in favore dei Sig.ri M.D’A. e G.M., delle spese legali del presente giudizio che liquida in complessivi euro 7.000,00 per compensi oltre rimborso forfettario spese generali al 15% Iva e cpa come per legge;

III. nulla sulle spese nei rapporti tra gli attori e la Camera di Commercio di Roma, rimasta contumace.

Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Roma in data 19 luglio 2016.

Allegati

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