RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto del 14 dicembre 2021 del GUP del Tribunale di Pescara è stato disposto il giudizio per PE. Va., chiamata a rispondere del reato contestato in epigrafe, indicando per la comparizione l’udienza del 10 marzo 2022.
Nel corso di tale udienza, assente l’imputato, il Tribunale ha dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti: testi di lista e produzione documentale per la Pubblica Accusa, testi di lista ed esame imputato per la Difesa.
All’udienza del 21 settembre 2022, sono state assunte le deposizioni testimoniali di Cr. Gi., Gi. Gi., Fe. Ni.. L’imputata si è sottoposta ad esame. Le parti hanno chiesto darsi lettura dell’annotazione di servizio del 16 dicembre 2020 a firma di Po. e Ca.. Il PM ha quindi rinunciato all’esame dei testi Po. e Ca. e il Tribunale ha revocato l’ordinanza ammissiva della prova nella parte relativa a tali testi.
Quindi, in esito alla discussione, sulle conclusioni delle parti riportate in epigrafe, il Tribunale ha pronunciato dispositivo di sentenza, riservando il deposito della motivazione nei termini ivi indicati.
Ritiene il Tribunale che l’istruzione dibattimentale non abbia consentito di riscontrare la fondatezza della tesi accusatoria e che pertanto PE. Va. debba essere assolta dal fatto di reato a lei ascritto.
La versione dell’accusa, fondata principalmente sulla dichiarazione di Cr. Gi., madre dell’imputata, non può ritenersi accertata oltre ogni ragionevole dubbio, considerato che i fatti contestati appaiono poco circostanziati e confusamente descritti.
La ricostruzione dei fatti, come emersa in dibattimento, non può che prendere le mosse dalle dichiarazioni della persona offesa.
Cr. Gi. ha riferito che nel periodo tra giugno 2020 e dicembre 2020 la PE. prestava dei soldi a lei e a suo marito, che in quel momento affrontavano delle difficoltà economiche. A causa di questo prestito, sorgevano delle liti in famiglia perché la PE. chiedeva la restituzione del denaro, impegno di restituzione che la madre in quel momento non poteva onorare. Le liti a volte diventavano violente, sfociando in “insulti e qualche percossa, insomma, da ambedue le parti”. La PE. dava qualche “colpetto sul braccio” alla madre, che le provocava dei lividi. In seguito ad alcuni episodi, accadeva che la Cr. chiamasse i Carabinieri, per porre fine alle liti e riportare alla calma la figlia (“per le urla e per queste liti, per porre fine a queste liti, per dare una calmata a mia figlia”). In particolare, nel dicembre del 2019 la PE. aggrediva il marito della madre, Fe. Al., tirandolo per i capelli, colpendolo in testa con pugni fino a minacciare di colpirlo con un martello. In questa circostanza, anche la Cr. veniva aggredita con pugni. Ancora, durante una lite del mese di aprile del 2020, la PE. la colpiva sulle gambe e sulle braccia finché, per paura, la Cr. si chiudeva in camera da letto e chiamava nuovamente i Carabinieri. I litigi si susseguivano dal mese di aprile fino a dicembre (per “due tre o quattro” volte, secondo quanto riferito dalla Cr.), quando la PE. colpiva la madre con pugni in testa e le tirava i capelli, anche in presenza del figlio minorenne della Cr., Fe. Ni.
Tuttavia, per come riferito dalla persona offesa, non era solo la PE. a manifestare la propria rabbia con violenza, ma anche la Cr. reagiva nei confronti della figlia e al pari della stessa: “gli dicevo smettila, qualche colpetto sulle braccia più che altro tirate di capelli da entrambe le parti.”
In seguito a questi episodi la Cr. non si recava mai al pronto soccorso né riportava particolari problematiche fisiche, se non “qualche lividuccio”.
Dopo questo periodo di tempo, risolte le questioni economiche che causavano i litigi, i rapporti si appianavano e si ristabiliva un clima di serenità tra madre e figlia.
Dalla complessiva valutazione della narrazione della persona offesa, come appena riferita, emerge confusione e incoerenza, sia interna che esterna. La coerenza interna viene dedotta dalla sequenza logica e cronologica della narrazione, che in questo caso appare però priva di un filo conduttore logico e cronologico degli eventi. I singoli episodi e i dettagli sono carenti di linearità, disordinati, e i fatti dichiarati sono imprecisi, privi di particolari e di aneddoti tali da caratterizzarne la verosimiglianza. Inoltre, per come si dirà, anche a ritenere pienamente credibile il racconto della persona offesa, non risulterebbero comunque acquisiti elementi processuali tali da ritenere integrato il reato di maltrattamenti.
Né significativi elementi – idonei a supportare la prospettazione accusatoria – sono risultati dalle acquisizioni processuali esterne alle dichiarazioni della persona offesa.
In particolare, il testimone Gi. Gi. ha dichiarato di aver effettuato un intervento in casa della PE. in data 13 dicembre 2020, sempre a seguito di un litigio. Il teste ha affermato che “in quella sera non c’erano segni di violenza, non c’era nulla e abbiamo risolto il problema”. Si trattava in definitiva, per come accertato, di un mero litigio verbale per una piccola somma di denaro.
Durante un altro intervento di poco successivo, gli agenti del Nucleo Operativo e Radiomobile di (omissis) si recavano nuovamente in via (omissis) nr. (omissis), poiché veniva segnalato un litigio in atto da Cr. Gi.. All’arrivo, gli agenti trovavano la casa a soqquadro La Cr. non mostrava segni di percosse e riferiva che la PE., che si trovava in stato di ebbrezza alcolica, l’aveva aggredita (vedi annotazione di P.G. del 16 dicembre 2020 acquisita ex art. 493 comma 3 c.p.p. all’udienza del 21 settembre 2202).
Il fratello della PE., Fe. Ni., si è limitato a confermare che avvenivano dei litigi in casa nel periodo tra aprile 2020 e dicembre 2020 e che erano entrambe, sia la madre sia la figlia, ad alzare la voce e a volte le mani: “a volte si alzava le mani addosso però senza diciamo una persona offesa in particolare, a volte non so iniziava l’una a volte l’altra, insomma in generale c’era abbastanza equilibrio, del resto, si litiga in due quindi…”.
Infine, l’imputata ha riferito che aveva prestato dei soldi al marito della madre, Al. Fe., il quale si approfittava del fatto che lei riceveva dei soldi da sua nonna (“Al. sarebbe il compagno di mia madre, sinceramente io li ho prestati a lui solo che lui se ne stava approfittando che vedeva che mia nonna tutti i mesi mi mandava soldi, poi aveva problemi con mia mamma per i tradimenti, allora si è lasciato andare e non è andato più a lavoro, tanto ci stavo io”). Nonostante questi prestiti, ha affermato di non essere trattata con affetto in casa, sentendosi un fastidio e un peso. Ha inoltre aggiunto di far uso di sostanze alcoliche e che questo peggiorava la sua situazione in famiglia. Per tutte queste problematiche, a volte litigava con il Fe., che durante uno dei litigi le spaccava un comodino in testa. In seguito a questo episodio la PE. si recava in pronto soccorso, perché soffriva di vertigini e giramenti di testa, anche a distanza di tempo. L’episodio è confermato dalla annotazione di P.G. del 01 marzo 2020 (annotazione di P.G del NOR di (omissis), acquisita ex art. 493 comma 3 c.p.p. all’udienza del 21 marzo 2022). Nella annotazione si rileva che nella serata del 29 febbraio 2020 gli agenti si recavano in (omissis), Via (omissis) nr. (omissis), a causa di un litigio che aveva allarmato i vicini. All’arrivo, trovavano una ragazza (identificata come PE. Va.) con una ferita alla testa che le era stata provocata dal compagno della madre (identificato come Al. Fe.) che gli aveva lanciato un mobiletto in testa.
Così compendiati gli esiti delle risultanze istruttorie, si evidenzia, in diritto, che il reato di cui all’art. 572 c.p. consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continua, tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio incessante ed incompatibile con normali condizioni di vita. Si tratta di comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall’imputato nei confronti della persona offesa, realizzatrici di un regime di vita avvilente e mortificante (C., Sez. VI, 21.1.2015, n. 12065).
I singoli episodi devono quindi ricondursi all’interno di un comportamento abituale, rendendo con tale abitualità manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà di vessare il soggetto passivo e diretto a ledere l’integrità morale della persona offesa (Cass., Sez. VI, 21.1.2015, n. 12065; Cass., Sez. VI, 16.11.2010), sempre che non si tratti di mere manchevolezze o sgarbi privi di capacità offensiva per il bene tutelato (Cass., Sez. VI, 11.7.2014, n. 34197).
Non occorre che i comportamenti di vessazione fisica o morale siano singolarmente qualificabili come reati, potendo i singoli accadimenti di sofferenze fisiche e morali, isolatamente considerati, anche non costituire reato; è necessario tuttavia che le azioni o le omissioni siano ripetute nel tempo, in quanto la ratio dell’antigiuridicità penale risiede proprio nella loro reiterazione, protrattasi in un arco di tempo che, anche se limitato, dimostri la “sistematicità” delle condotte violente e sopraffattaci (C., Sez. VI, 5.12.2011-14.3.2012, n. 9923). Queste, peraltro, possono anche non realizzare l’unico registro comunicativo col familiare, potendo essere intervallate da condotte prive di connotazioni negative o dallo svolgimento di attività familiari, persino gratificanti, per la persona offesa (C., Sez. VI, 20.11.2018-9.1.2019, n. 761); né il reato esclude il temporaneo riavvicinamento della vittima al suo persecutore (C., Sez. V, 19.2-8.6.2020, n. 17361). Il contenuto dell’offesa deve quindi rapportarsi in termini di continuità d’aggressione al bene tutelato, secondo il concetto di abitualità e sistematicità richiamato. Ne consegue che gli atti di maltrattamento non devono essere sporadici né manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività (C., Sez. VI, 9.10.2018-7.2.2019, n. 6126).
Ora, nel caso di specie, risulta evidente dalle dichiarazioni della persona offesa la carenza del requisito dell’abitualità della condotta, essendo stati di fatto descritti singoli e sporadici episodi di aggressività – peraltro, come si è detto, generici e per nulla circostanziati – riconducibili tutti ad un rapporto di conflittualità tra madre e figlia in disaccordo su questioni economiche, senza che dagli episodi descritti possa trarsi la prova di un regime di vita avvilente e mortificante per la persona offesa, caratterizzato dalla sistematicità di una condotta violenza e sopraffattrice. Non sono stati infatti riferiti episodi abituali di minaccia e di vessazioni, bensì uno stato di alterazione ed irascibilità dell’imputata, dovuto di base a motivazioni economiche e generante discussioni da parte di entrambi, imputata e persona offesa, peraltro su un piano di piena parità, per come riferito dalla stessa persona offesa e dal figlio di questa e fratello dell’imputata.
Non sussistono i presupposti per una derubricazione del reato di maltrattamenti in quello di percosse, ingiuria, minaccia e lesioni, in quanto non è stato riportato nell’imputazione alcun episodio specifico circostanziato (senza tacere, peraltro, che difetta la querela in relazione a specifici fatti).
Dato il suesposto, lacunoso e generico, quadro probatorio, ritiene il Tribunale che non vi siano elementi sufficienti per ritenere integrato il reato di maltrattamenti in famiglia contestato.
Visto l’art. 544 c.p.p. indica la data del 20 novembre 2022 per il deposito della motivazione della sentenza.
P.Q.M.
Visto l’art. 530 co. 2° c.p.p. assolve PE. Va. del reato a lei ascritto perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 544 c.p.p. indica la data del 20 novembre 2022 per il deposito della motivazione della sentenza.
Così deciso in Pescara, il 21 settembre 2022
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2022
