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Tribunale Pescara, 12/01/2024, n. 4

Massima

Ripetuti e frequentissimi messaggi, continui appostamenti presso l’ abitazione della persona offesa, ingrassi in casa suonando insistentemente il campanello, atteggiamento intimidatorio dell’ imputato emerge, altresì, dalle continue richieste di informazioni sulla persona offesa, nonché dalle minacce, rivolte ai suoi conoscenti sono condotte idonee a determinare un perdurante stato di ansia nella persona offesa e la modifica delle proprie abitudini di vita costituiscono proprio i possibili eventi del delitto di atti persecutori.

Supporto alla lettura

ATTI PERSECUTORI

Il reato di atti persecutori (c.d. stalking) si sostanzia in condotte reiterate che ingenerano un fondato timore da parte della vittima di un male più grave, pure senza arrivare ad integrare il reato di lesioni o maltrattamenti. Introdotto dal D.L. 11/2009, convertito in L. 38/2009, con l’inserimento dell’art. 612 bis c.p., non tutela soltanto il soggetto che ne è stato vittima in prima persona, ma anche le persone legate a quest’ultimo da vincoli di parentela o relazioni affettive.

Atti persecutori possono essere per esempio:

  • il danneggiamento della propria auto;
  • le aggressioni verbali in presenza di testimoni;
  • l’invio di baci o sguardi insistenti, non desiderati e minacciosi;
  • lo stalking telefonico;
  • la pubblicazione di post o video a contenuto sessuale, minaccioso o ingiurioso su un social network;
  • lo stalking su whatsapp o quello sul lavoro;

Nel momento in cui si verifica un reato di atti persecutori, il giudice ha la possibilità di applicare alcune misure coercitive, come per esempio il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, o dai parenti congiunti o legati a lei da relazioni affettive. In aggiunta la persona offesa prima di fare querela per atti persecutori, potrà scegliere di procedere con l’ammonimento al questore.

Il reato in esame rientra nelle previsioni del Codice Rosso. Fondamentale punto di riferimento è la legge 19 luglio 2019, n. 69 – in vigore dal 9 agosto 2019 – recante, tra gli altri, interventi sul codice di procedura penale accomunati dall’esigenza di evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano pregiudicare la tempestività di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima dei reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e di lesioni aggravate in quanto commesse in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza. Tra le principali innovazioni apportate vi è l’accelerazione dei tempi processuali, al fine di garantire risposte più rapide e incisive da parte della giustizia. Inoltre, sono state introdotte pene più severe per gli autori di questi reati, nell’ottica di deterrenza e punizione proporzionata. Il “Codice Rosso” presenta una serie di “nuovi” reati volti a contrastare specifiche forme di violenza e aggressione, ampliando così gli strumenti legali per la tutela delle vittime. Ecco i principali reati contemplati:

  • ​Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (Revenge Porn) – Articolo 612-ter del Codice Penale;
  • Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso – Articolo 583 quinquies del Codice Penale;
  • Costrizione o induzione al matrimonio – Articolo 558 bis del Codice Penale;
  • Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa – Articolo 387 bis del Codice Penale.

 

Il Codice Rosso Rafforzato, in vigore dal 30 settembre 2023, mira a potenziare la risposta giudiziaria contro la violenza domestica e di genere, accelerando indagini e introducendo nuove misure cautelari.  Questo codice introduce due modifiche alla legge del 2019 relative alle misure contro la violenza domestica e di genere. La prima modifica riguarda il ruolo del pubblico ministero assegnato a un caso di violenza domestica e di genere. In base al nuovo provvedimento, il pubblico ministero deve ascoltare la persona che ha denunciato i fatti entro tre giorni dalla ricezione del caso. Se non lo fa, il suo procuratore ha il potere di togliergli il caso e assegnarlo a un altro pubblico ministero.

L’obiettivo dichiarato di questa misura è quello di velocizzare le indagini e rendere più stretti i termini di operatività del Codice Rosso, presumibilmente per garantire una risposta più rapida e efficace ai casi di violenza domestica e di genere.

Ambito oggettivo di applicazione

Con decreto in data 10.10.2022 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara ha emesso decreto di giudizio immediato nei confronti di D.Za. per rispondere del reato trascritto in epigrafe.

All’udienza del 12.12.2022, dichiarata l’assenza dell’imputato, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove richieste dalle parti.

Alla successiva udienza del 12.06.2023 si procedeva all’esame di alcuni dei testi indicati nella lista del Pubblico Ministero. DI.GI. ed altri (…).

Il PM produceva screenshots delle conversazioni whatsapp intercorse tra la vittima e l’imputato.

All’udienza del 16.10.2023 venivano sentiti i testi residui della lista depositata dalla Pubblica Accusa: Ass. Capo (…) in Servizio presso la Questura di Pescara e (…).

All’udienza del 13.11.2023, effettuato l’esame dell’imputato, il giudice invitava le parti a concludere.

Esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza del cui dispositivo è stata data lettura in aula rinviando all’udienza dell’08.01.2024 per decidere in ordine alla sostituzione della pena detentiva breve avendo il Difensore e l’imputato presente, esplicitamente richiesto la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.

Quindi, all’udienza dell’08.01.2024 il giudice, vista la relazione fatta pervenire dall’UEPE in cui si dava atto dell’impossibilità di predisporre il programma per il lavoro di pubblica utilità per via del mancato reperimento di un ente presso il quale eseguirlo non avendo provveduto in tal senso l’imputato e preso atto della dichiarazione del difensore in ordine al mancato reperimento dell’ente, ha confermato il dispositivo ai sensi dell’art. 545 bis c.p.p.

All’esito dell’istruttoria dibattimentale espletata, ritiene questo Tribunale che la penale responsabilità dell’odierno imputato, in ordine al reato contestatogli, sia stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio.

La ricostruzione dei fatti non può che partire dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato Ro.Yl. (escussa all’udienza del 12.6.2023).

In proposito, va rilevato che alcun limite è previsto dal codice di procedura penale circa la capacità di testimoniare della parte lesa di un reato.

Trova applicazione, anche in relazione alla testimonianza della persona offesa, la norma generale di cui al comma 1 dell’art. 192 c.p.p. che sancisce il principio del libero convincimento del giudice che può ritenere che sussista il fatto riferito dal teste per il solo fatto che questi glielo rappresenta.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la testimonianza della parte offesa ha piena efficacia probatoria quando ne sia accertata la piena coerenza logica, anche ove manchino elementi esterni di riscontro.

E vero che la dichiarazione della persona offesa dovrà essere valutata con maggiore cautela da parte del giudicante, atteso l’interesse di cui essa è portatrice, più rigorosa deve essere, dunque, la valutazione delle dichiarazioni della parte lesa ai fini del controllo dell’attendibilità, rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone, per cui opportuno appare il riscontro di altri elementi.

Ciò non significa che necessariamente la testimonianza debba essere corroborata da “elementi di riscontro”, essendo questi richiesti solo per le dichiarazioni accusatorie provenienti dai soggetti indicati nel comma 3 dell’art. 192 c.p.p.

E’, dunque, generalmente sufficiente verificare che non risultino acquisiti elementi specifici incompatibili con quanto raccontato dal teste, atti a rendere fondato il sospetto che abbia detto il falso o che, comunque, si inganni su ciò che forma l’oggetto essenziale della propria deposizione.

E’ principio del tutto consolidato nella giurisprudenza della Cassazione che la condanna può essere fondata anche esclusivamente sulla testimonianza resa dalla persona offesa, purché si dia adeguatamente conto dell’attendibilità, sulla base di una valutazione di opportuna cautela e di un esame penetrante e rigoroso, considerando che si tratta di un teste direttamente interessato all’esito del processo (Cass. Sez. 4 n. 30422 21/6-10/8 del 2005, Poggi; sez. 3 n. 34110 27/4-12/10 del 2006, Valdo Iosi), specie ove vi sia costituzione di parte civile.

La relativa valutazione deve porre in relazione le dichiarazioni della persona offesa con tutto il materiale probatorio a disposizione del giudice, valorizzando eventuali riscontri disponibili o elementi di segno contrario, per confermare ovvero escludere il giudizio di attendibilità.

Dunque, ricordate le coordinate generali del giudizio di attendibilità da svolgersi sulle dichiarazioni della persona offesa, ritiene questo giudice che nel caso di specie la persona offesa possa essere ritenuta nel complesso attendibile.

La sig.ra RO.Yl. ha riferito che, in data 13 maggio 2022, si trovava costretta a sporgere denuncia querela nei confronti del suo ex compagno in quanto vittima di comportamenti persecutori.

La persona offesa ha dichiarato che la relazione con l’imputato, iniziata nel giugno 2021, veniva da lei stessa interrotta a fine novembre 2021, a seguito di alcuni fraintendimenti nella coppia. Da quel momento, ha riferito la Ro., il D.Za. iniziava ad assumere comportamenti sempre più insistenti (cfr. “è iniziato che all’inizio lui, dunque, lui rimaneva a dormire da me solo il fine settimana, poi via via si è intrufolato sempre di più” – deposizione della persona offesa all’udienza del 12.6.2023) e, talvolta, minacciosi nei suoi confronti (cfr. deposizione persona offesa “ecco da novembre mi ha è iniziato a dire della frasi strane per farmi spaventare” ). Il 31 dicembre, dopo l’ennesimo litigio, la Ro. riferiva di essersi trovata costretta ad aprire tutte le finestre di casa e a parlare ad alta voce per far intimorire l’ex compagno il quale, a quel punto, lasciava l’abitazione per farvi rientro il successivo 4 gennaio. In quella circostanza, portatosi sul pianerottolo di casa ed oscurando con il dito l’occhiolino della porta, iniziava a suonare insistentemente al campanello. La Ro., terrorizzata, chiamava i Carabinieri e, al loro arrivo, il D.Za. si intrufolava nell’abitazione inscenando un finto suicidio.

Su consiglio anche dei Carabinieri che le suggerivano di allontanarsi da casa per qualche giorno per permettere all’imputato di calmarsi, la donna si trasferiva (cfr. “e così mi sono allontanata un mese invece di qualche giorno, perché avevo paura” – dep. udienza del 12.6.2023). Vi faceva rientro solo il 3 febbraio quando, appena toltasi la giacca per poggiarla sul letto, sentiva di nuovo il D.Za. citofonare. In quella circostanza, intervenuta nuovamente la Polizia, l’imputato si giustificava dicendo di voler soltanto riprendere un mobiletto e due tazzine di caffè.

La Ro. ribadiva che, anche successivamente, riceveva pressioni da parte dell’ex compagno il quale iniziava a minacciare anche alcuni dei suoi conoscenti (cfr. dep. del 12.6.23: “ha iniziato, dunque, a minacciare anche i miei coinquilini, anche appunto un ristoratore, un amico. Ha iniziato a minacciare chiunque lui sapeva che mi conoscesse, insomma”). A riguardo, la Pubblica Accusa ha prodotto le schermate delle conversazioni Facebook e whatsapp intercorse tra il D.Za. e la persona offesa ed alcuni conoscenti della stessa (sig.ra Em.Pe., amica della Ro., e sig. Ma.Qu., coinquilino della persona offesa). E’ emerso dalla documentazione prodotta, e dall’esame della stessa persona offesa, che l’imputato la contattava anche tramite il telefono della madre, sig.ra Valeria Pesci. La Ro. si decideva a sporgere querela solo a metà maggio dell’anno 2022 quando, esasperata, veniva a conoscenza dal suo coinquilino che il D.Za. si era presentato la sera del 30 aprile 2022 sotto la loro abitazione, chiedendo informazioni sulla Ro.

Tale comportamento perdurava sino a quando all’imputato veniva applicata la misura del divieto di avvicinamento in data 31 agosto 2022.

La versione dei fatti riportata dalla persona offesa ha trovato conferma nella deposizione del teste D.Gi., titolare del locale nel quale la Ro. aveva lavorato. Il teste ha riferito di aver ricevuto, per mesi, insistenti chiamate da parte dell’imputato il quale gli chiedeva di poter convincere la Ro. a tornare con lui. Le chiamate erano diventate insistenti, anche verso la moglie, al punto che costringevano il D.Gi. a denunciare i fatti. Il teste Gi.Gi., coinquilino della persona offesa, ha dichiarato di conoscere l’imputato e ha riferito circa l’episodio sopra accennato, accaduto la sera del 30 aprile 2022, in cui il D.Za. si era presentato sotto la loro abitazione cercando l’ex compagna che, tuttavia, si era da qualche tempo trasferita. La stessa sera, il D.Za. era tornato a citofonare, in un secondo momento, questa volta accompagnato da due amici e, per quanto potuto osservare dal teste e dalla compagna tramite il videocitofono, con in mano un oggetto di colore nero, presumibilmente una pistola.

Il teste Ass. Capo (…), escusso all’udienza del 16.10.2023, ha riferito in ordine all’intervento dell’I maggio 2022 alle ore 00:15 in via (…), quando il Gi. riferiva la presenza del D.Za. che, dapprima, al citofono aveva chiesto informazioni sulla ragazza e, qualche istante dopo, era intervenuto con alcuni amici presumibilmente armato di pistola.

Alla stessa udienza è stato escusso il teste Qu.Ma., coinquilino della Ro. e del Gi., nell’appartamento di via (…), il quale ha confermato di conoscere il D.Za. e di averlo visto nella loro abitazione, negli ultimi mesi del 2021. Dopo quel periodo, aveva ricevuto delle chiamate, anche insistenti, da parte dell’imputato il quale gli chiedeva insistentemente informazioni circa il nuovo indirizzo di residenza della ex compagna (cfr. “però lui non credeva al fatto che lei avesse cambiato appartamento e di conseguenza dare iniziato a prendere un pò con me e un pò con l’altro ragazzo, Gi.” – dep. ud. 16.10.2023). Ha riferito, altresì, di aver visto in più occasioni il D.Za. aggirarsi nei pressi della loro abitazione anche dopo la separazione con la Ro.

Ebbene, data la suesposta ricostruzione del quadro probatorio, e constatati i precisi riscontri alla versione dei fatti offerta dalla persona offesa, non v’è dubbio che l’imputato si sia reso responsabile delle condotte delittuose contestate nell’imputazione e che le dette condotte integrino gli estremi del reato di cui all’art. 612 bis c.p.

Le condotte di reato si sono esplicitate in minacce e molestie integrate dai ripetuti e frequentissimi messaggi, oltre che dai continui appostamenti presso l’abitazione della persona offesa dove spesso si era introdotto suonando insistentemente il campanello. Tale circostanza ha trovato riscontro anche nella deposizione del teste di PG intervenuto, Ass. (…).

L’atteggiamento intimidatorio dell’imputato emerge, altresì, dalle continue richieste di informazioni sulla persona offesa, nonché dalle minacce, rivolte ai suoi conoscenti (cfr. screenshots prodotti dal PM all’udienza del 12.6.2023); questi ultimi, escussi in dibattimento, hanno tutti confermato le circostanze (cfr. vedi deposizione dei testi Gi.Gi. e Di Gi.Gi., all’udienza del 12.06.2023 e Qu.Ma. all’udienza del 16.10.2023).

Questi fatti si sono ripetuti per un consistente lasso di tempo (quasi un anno). La persona offesa ha ricostruito il periodo in questione con precisione e lo ha collocato tra la fine della loro relazione (novembre 2021) e la data di applicazione della misura del divieto di avvicinamento (31 agosto 2022).

Tali avvenimenti sono stati di indubbia gravità obiettiva e si sono interrotti solo per effetto dell’intervenuta applicazione della misura cautelare.

Le condotte descritte hanno comportato per la persona offesa un grave e perdurante stato di ansia e di paura che ha impedito alla stessa di fare rientro nella sua abitazione, perché nota all’imputato, oltre ad averla costretta a cambiare utenza telefonica.

Quanto al trasferimento, anche i testi Gi. e Qu., coinquilini della Ro., hanno confermato che la stessa si era trasferita (nei primi mesi del 2022) proprio a causa dello stato di agitazione in cui versava per via del comportamento del D.Za.

Inoltre, la Ro. ha riferito di non essere più riuscita ad uscire di casa da sola, se non accompagnata, e solo per necessità (cfr. “poi io non uscivo più sola, uscivo solo per le cose necessarie, e soprattutto mi facevo sempre accompagnare, perché comunque avevo paura”- dep. ud. 12.06.2023).

E’ risultato chiaro, dunque, come la persona offesa si sia trovata in un perdurante stato di ansia che l’ha indotta ad un cambiamento delle abitudini di vita.

Il perdurante stato di ansia e la modifica delle proprie abitudini di vita costituiscono proprio i possibili eventi del delitto di atti persecutori, che, quindi, nel caso di specie, deve intendersi configurato in tutti i suoi elementi costituitivi.

Tanto premesso, considerato dell’atteggiamento processuale collaborativo tenuto dall’imputato nel corso del processo (l’imputato ha sostanzialmente ammesso l’addebito) ed al fine di adeguare la pena alla reale offensività della condotta il Tribunale ritiene doversi riconoscere la concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto la contestata aggravante e alla recidiva.

Quindi, tenuto conto dei parametri di cui all’art. 133 c.p., considerate l’intensità e la persistenza delle condotte persecutorie, e le conseguenze derivate alla persona offesa, pena equa risulta essere quella di mesi otto di reclusione (pena base anni uno di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p. a mesi otto di reclusione). L’imputato va condannato altresì al pagamento delle spese processuali. Le precedenti condanne di cui è gravato l’imputato non consentono di riconoscergli il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Di contro, visto l’art. 168, co. 1 n. 1 c.p., revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a D.ZA. con sentenza resa dal Tribunale di Pescara in composizione monocratica il 13.11.2017, irrevocabile il 07.12.2017.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara D.ZA. colpevole del reato a lui ascritto e, per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante e alla recidiva, lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 168, co. 1 n. 1 c.p., revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a D.ZA. con sentenza resa dal Tribunale di Pescara in composizione monocratica il 13.11.2017, irrevocabile il 07.12.2017.

Così deciso in Pescara l’8 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

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