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Tribunale Napoli Nord sez. uff. indagini prel., 13/06/2018, n.440

Massima

La ripetitività dei fatti di ingiurie e percosse tali da generare un clima di vita avvilente per la vittima anche se non provochi una totale soggezione integrano il reato di maltrattamenti in famiglia. (Nel caso di specie, il padre era costantemente offeso ed umiliato dalla figlia convivente con atti di prevaricazione gratuita e non giustificati tanto che le violenze fisiche o psichiche gli rendevano impossibile una normale vita di relazione con mondo esterno).

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con richiesta del 16.4.2018 il P.M. in sede chiedeva procedersi con le forme del giudizio immediato nei confronti di C.P., in atti generalizzata, per il reato alla stessa ascritto e di cui alla rubrica.

Emesso il relativo decreto, il difensore dell’imputata, munito di procura speciale, avanzava nei termini richiesta di rito abbreviato condizionato alla perizia psichiatrica e, in subordine, quella di celebrazione del processo nelle forme del giudizio abbreviato “secco”.

All’odierna udienza, il difensore di fiducia rinunciava alla richiesta di abbreviato condizionato e chiedeva di procedersi direttamente nelle forme dell’abbreviato “secco”.

La persona offesa presente, C.Pa., chiedeva che fosse messo a verbale la sua intenzione di accogliere nuovamente in casa la figlia P., che da vent’anni si occupava di lui; l’uomo, visibilmente emozionato e provato dalla vicenda, pur confermando il contenuto delle denunce in atti, dichiarava di aver perdonato la figlia per condotta tenuta e di voler tornare a vivere con lei.

Preso atto di tanto, questo giudice disponeva procedersi nelle forme di cui all’art. 438, comma 1, c.p.p. (1).

Dichiarata aperta la discussione, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni, in epigrafe sinteticamente riportate. In ultimo, il Giudice, all’esito della camera di consiglio, pronunciava e pubblicava mediante lettura del dispositivo la presente sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il giudicante che il materiale probatorio acquisito all’esito delle indagini, utilizzabile in virtù del rito prescelto, consenta la pacifica affermazione della penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato a lei ascritto, per le ragioni e con le specificazioni che seguono. Questi i fatti.

In data 6.12.2017, C.D. sporgeva querela nei confronti della sorella P., denunciando quanto segue: “Mio padre Pa. ha 81 anni ed abita alla Via G.V. E’ vedovo ed abita insieme a mia sorella C.P., nubile. Mia sorella ha sempre avuto dei problemi di salute mentale, ma non si è mai curata né si è mai recata da specialisti. Non sono in grado di specificare il suo disturbo psichico, anche perché a volte sembra normale. Purtroppo negli ultimi due o tre anni le sue condizioni sono peggiorate sempre di più. Non conosco nemmeno quale sia il suo attuale medico curante, perché ogni tanto lo cambia.

Negli ultimi tempi, sia io che gli altri familiari abbiamo cercato di intervenire, ma abbiamo dovuto rinunciare perché P. e arrivata anche a minacciarli.

Negli ultimi tempi, infatti, ho appreso che mia sorella arriva persino a picchiare mio padre. Per la verità, già da qualche tempo qualche vicino si era lamentato che di notte sentiva mia sorella gridare, e poi si sentiva urlare anche mio padre. Alla sorella diceva a mio padre di vedere i fantasmi e mio padre veniva picchiato fino a quando non le confermava di vederli anche lui.

Mio padre subisce i maltrattamenti che gli vengono imposti senza ribellarsi, credo perché si sente comunque protettivo verso P., con cui vive da quando è nata. Mia sorella immagina che l’abitazione sia infestata da entità soprannaturali, spiriti e fantasmi per questo motivo ha sempre del sale sparso sui pavimenti.

Quando esce di casa, vi chiude dentro mio padre, impedendogli di uscire, perché teme che malintenzionati possano approfittare della sua assenza per entrare in casa e rubare.

Ultimamente, per non farsi rubare le cose in casa, ha cominciato anche a tagliare gli abiti con le forbici. Questa mattina intorno alle ore 07:15, mio padre è venuto a casa mia, con la sua bicicletta. Mio padre era molto agitato e mi ha confessato che non ce la faceva più. Mi ha chiesto di chiamare qualche ambulanza per prendere mia sorella e farla curare.

Mi ha riferito che P. aveva cercato di picchiarlo per tutta la notte, colpendolo in testa, ma di essere riuscito a difendersi, tanto che alla fine P. gli aveva tirato addosso una macchinetta per il caffè. Mi ha anche detto che, temendo che P. potesse fargli del male, aveva nascosto dei coltelli e delle bottiglie di vetro, per impedirle di usare tali oggetti contro di lui.

Siccome P. accusa spesso mia sorella O. di rubarle le cose, mio padre con la scusa di andare da mia sorella O., è riuscito ad uscire di casa ed è venuto a casa mia.

Dopo un po’, mio padre è ritornato a casa sua.

Siccome volevo accertami della situazione, intorno alle 10:30 mi sono recato a casa di mio padre, alla Via V., dove ho trovato P. davanti al cancello di casa, che lo stava aspettando.

Quando le ho chiesto delle condizioni di nostro padre, mi ha risposto dicendo che lo aveva mandato a comprare delle cose e che me ne potevo andare perché stava bene.

Visto che indugiavo, ha cominciato ad accusarmi di pagare le persone per dire che lei era matta e drogata e che la stavamo rovinando.

A quel punto sono andato via.

Proprio mentre mi stavo allontanando, ho incontrato mio padre che stava ritornando, con la sua bicicletta.

Passandogli vicino gli ho chiesto dove fosse andato e mi ha risposto che era andato a comprare delle prese, perché nella notte mia sorella le aveva tirate fuori dal muro.

Voglio aggiungere che tali episodi si verificano spesso.

Già in un’altra occasione, circa una settimana fa, mio padre mi ha confidato che P. lo picchia durante la notte.

Preciso che nell’ultimo mese mi sono recato da mio padre almeno una svolta alla settimana e ogni volta, mio padre mi ha riferito le stesse circostanze.

Una inquilino del palazzo di nome M., abitante al primo piano, proprio sopra l’abitazione di mio padre, ha detto che anche sabato notte sentiva mia sorella gridare contro mio padre.

Credo che i maltrattamenti che subisce mio padre siano quotidiani.

Mi ha anche riferito che C.P. si disinteressa di ogni faccenda domestica. Non cucina e non provvede neanche alle pulizie più elementari, tanto che tiene le pentole nel bagno.

E’ mio padre che provvede a cucinare ed alle altre necessità domestiche, con i soldi che C.P. non riesce a prendergli. Mio padre ha una pensione di arca 700 euro al mese, ma so che non stanno neanche pagando l’affitto di casa. Anche dalla precedente abitazione sono stati sfrattati perché non pacavano.

Non credo che mia sorella faccia uso di sostante alcoliche, né di stupefacenti.

Temo per l’incolumità di mio padre, perché mia sorella è pericolosa e non accetta di essere curata.

Non mi risulta che mio padre si sia mai recato in strutture sanitarie o al pronto soccorso, anche perché mia sorella gli impedisce persino di andare dal suo medico, il dottor M.M.”.

In seguito alla denuncia, una pattuglia di Carabinieri della Stazione di Caivano si recava presso l’abitazione della famiglia C.P., dove trovavano solo C.P..

La stessa, alle richieste di informazioni che le venivano rivolte, reagiva agitandosi in modo tale che la p.g. operante riteneva opportuno richiedere l’intervento di personale sanitario del 118, che a sua volta, però, dopo averla sottoposta a visita, non la riteneva bisognevole di cure.

Nel corso dell’intervento sopraggiungeva il sig. C.Pa., che oralmente confermava i fatti denunciati dal figlio D. e che, su invito dei carabinieri, si recava successivamente in Caserma per formalizzare la querela.

In data 24.1.2018, C.D. denunciava che nonostante la querela del 6.12.2017, il padre Pa. continuava a subire violenze e maltrattamenti da parte della sorella C.P., la quale, a suo dire, continuava a picchiarlo, tenerlo chiuso in casa e ad umiliarlo.

In data 26.1.2018 lo stesso C.Pa. sporgeva querela nei confronti della figlia C.P., dichiarando quanto segue: “Premetto di convivere da sempre con mia figlia C.P. di arca 50 anni. Mia figlia da circa 7-8 mesi ha gravi problemi di natura mentale in quanto assume comportamenti inspiegabili ed è di frequente aggressiva nei miei confronti tanto che spesso è irascibile e mi picchia anche per futili motivi. Ho quattro figli, tra cui mia figlia L. che vive per conto suo ed e sposata. Ogni volta che L. manifesta la volontà di venire a trovarmi e io lo riferisco a C.P., quest’ultima diventa aggressiva in quanto non vuole nella maniera più assoluta che la sorella venga a casa in quanto a suo dire ruba, cosa che non è assolutamente mai successa.

C.P. non ha mai voluto sottoporsi a visite o trattamenti che la potessero aiutare e alterna momenti in cui è perfettamente normale a momenti in cui perde completamente la ragione.

L’attuale medico curante di C.P. e la dott.ssa Z. di Caivano (NA), rintracciabile sull’utenza mobile nr. (omissis). La dott.ssa sopra citata ha spesso prescritto dei farmaci per curare C.P. ma quest’ultima ogni volta si rifiuta categoricamente di seguire le cure prescritte e strappa i certificati del medico curante.

La situazione di mia figlia come ho anzidetto si è aggravata negli ultimi 7-8 mesi ed in questo periodo la stessa mi aggredisce quotidianamente con calci e pugni, provocandomi anche segni e lesioni su varie parti del corpo.

L’ultimo episodio si è verificato questa mattina in casa, quando C.P. mi si è scagliata contro lanciandomi prima un bicchiere di vetro addosso, che però per fortuna non mi ha colpito, ma cadeva a terra ed andava in frantumi e poi mi spintonava, tanto da farmi cadere in tetra e una volta a terra mi calpestava salendomi sopra con i tacchi sul costato. Riuscivo a rialzarmi ma lei continuava a darmi calci e pugni sulle spalle.

Un’altra volta, esattamente il 6 dicembre 2017, così come indicato in denuncia, C.P. nel cuore della notte mi ha lanciato una macchinetta del caffi addosso senza colpirmi in quanto riuscivo a schivarla.

Dopo avermi lanciato la macchinetta del caffè però non mi ha picchiato.

La notte spesso non dormo per paura di venire aggredito nottetempo da lei con percosse o lancio di oggetti.

Mia figlia inoltre C.P. dice spesso di vedere entità soprannaturali girare per casa ed e arrivata persino a spargere l’intero appartamento con del sale in tetra perché a suo dire in tale modo scaccia tali fantasmi.

Quando io le dico di non vedere nessun fantasma lei mi aggredisce perché si convince che io sono contro di lei.

Inoltre dice anche di sentire dentro di lei una voce che la comanda e che la fa diventare aggressiva.

Non mi sono mai fatto refertare per gli episodi di percosse e aggressioni subite.

Oltre alla denuncia che mi mostrate in visione ne ho presentata anche un’altra qualche mese prima sempre per maltrattamenti da parte di mia piglia C.P..

In data 6 dicembre 2017 a seguito dell’aggressione indicata nella denuncia sporta da mio figlio D. per mio conto sono intervenuti a casa anche i carabinieri, nonché un autoambulanza del 118.

Tutte le volte che mia figlia C.P. diventa aggressiva nei miei confronti lo fa quando siamo io e lei soli a casa, quindi tutte le frequenti aggressioni che avvengono con frequenta quasi quotidiana si verificano senza la presenta di testimoni.

Anzi quando ci sono persone in casa mia piglia C.P. è perfettamente normale e non manifesta segni di squilibrio.

Spesso C.P. mi sputa anche in faccia e mi ingiuria con parole di ogni tipo, come (omissis).

Non mi ha mai minacciato con armi ma io per sicurezza ho fatto sparire i coltelli da cucina ovvero quelli di certe dimensioni.

Temo per la mia incolumità personale. Vivo nell’ansia. Continuo a vivere con mia figlia C.P. nonostante tutto. Io ho una pensione di 700 euro mentre mia figlia C.P. non lavora e non ha reddito. Per tale ragione ho sempre evitato di abbandonarla e di trasferirmi a casa di altri familiari”.

Ad integrazione della querela sopra riportata, C.Pa., in data 6.2.2018, denunciava ai carabinieri che la figlia continuava a maltrattarlo. Per ragioni di chiarezza e di comodità espositivi, si riporta di seguito lo stralcio della integrazione di querela: “Nonostante la denuncia sporta lo scorso 29 gennaio, mia figlia C.P. continua a maltrattami. Ieri notte, intorno alle 02:30, mia figlia C.P. ha ricominciato ad accusarmi di far entrare in casa la sorella O. a sua insaputa. C.P. si è messa in testa che O. viene in casa quando lei non c’è e ogni volta si prende qualcosa, abiti, posate, cibo.

Nonostante le assicurassi che O. non era venuta, ad un certo punto ha preso il televisore e lo ha scagliato verso di me. Sono riuscito a ripararmi, ma poi mi ha tirato addosso anche alcuni piatti. Ho dovuto subire passivamente le sue grida, perché avevo paura che mi facesse del male. Mia figlia ha continuato a gridare per tutta la notte. Intorno alle 10:00 sono uscito. Dopo qualche ora sono rientrato, ma poco dopo mia figlia ha ricominciato a rimproverarmi, gridando che facevo entrare O. in casa, ha cominciato ad insultarmi ripetutamente in ogni modo, ripetendo che doveva rompermi la testa e che mi doveva dare una coltellata.

Mia figlia è andata avanti così per ore. Purtroppo sono costretto a subire gli sfoghi di rabbia di mia figlia, cercando di assecondarla, perché ho paura che mi faccia del male. Proprio per questo, sono settimane che non riesco a dormire. Non ho chiamato i carabinieri, perché ho paura che mi rompa il telefono. Preciso che per non addormentami, sono costretto a stare seduto sulla sedia, in cucina, e con una mano cerco di sostenermi il capo e di stare sveglio. La mattina, di solito, quando mia figlia si calma, non ricorda nulla delle sue sfuriate.

Ogni volta che è intervenuto qualcuno, riesce sempre ad ingannarlo. Questa mattina mi sono recato anche da mio piglio D., perché volevo chiedergli di trovarmi un posto in una qualche residenza per anziani, ma non era in casa. Per le ultime aggressioni, non mi sono recato in nessuna struttura sanitaria”.

Nel corso delle indagini preliminari, veniva emessa nei confronti dell’odierna imputata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa (poi aggravata con la custodia cautelare in carcere in seguito a plurime violazioni alle prescrizioni imposte con la predetta misura). La C.P. decideva di non sottoporsi ad interrogatorio di garanzia.

Alla luce di quanto fin qui esposto, ritiene questo Giudice che possa dirsi provato il delitto di maltrattamenti in famiglia.

La prova della penale responsabilità di C.P. è costituita, principalmente, dalle dichiarazioni rese da C.Pa. (padre dell’imputata, nonché persona offesa dal reato) e da C.D. (fratello dell’imputata).

Alle loro dichiarazioni può infatti riconoscersi piena valenza dimostrativa dei fatti descritti, superando le stesse il vaglio di attendibilità, soggettiva e oggettiva. A proposito, si ricorda che la giurisprudenza ormai consolidata attribuisce piena valenza sul piano probatorio alle dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti/testimone che sia anche persona offesa, evidenziando che, ancorché il suo contributo dichiarativo non possa essere equiparato a quello del dichiarante estraneo (in considerazione del particolare interesse accusatorio di cui la stessa è portatrice, confliggente con quello dell’imputato), esso può essere, anche da solo, assunto come fonte di prova, ove accompagnato da un’ indagine rigorosa e positiva sulla credibilità soggettiva e oggettiva, non abbisognando di riscontri esterni, il ricorso ai quali è funzionale esclusivamente al vaglio di credibilità del teste (Cass. I, 3220/92; VI, 1505/2005; I, 653/94).

In altre parole, il Giudice deve verificare la veridicità di quanto narrato dal testimone/persona offesa sulla base di un duplice giudizio, fondato sulla coerenza intrinseca di quanto riferito rispetto a tutte le parti del racconto, che devono risultare rispondenti ad una logica motivazionale ed immuni da profili di inverosimiglianza, derivanti dalle altre risultanze processuali.

Nel caso di specie, la valutazione dell’attendibilità del dichiarante ha avuto esito ampiamente positivo atteso che C.P. ha reso dichiarazioni precise, circostanziate, genuine e spontanee, dalle quali traspare anche il dolore per essersi visto costretto a denunciare la propria stessa figlia, con la quale convive da un ventennio. Va dunque esclusa la sussistenza in capo al denunciante di intendimenti di tipo persecutorio o calunniatorio ai danni dell’imputata, dovendosi ritenere che la denuncia sia scaturita dalla esasperazione determinata dai comportamenti della C.P. e dalla acquisita consapevolezza della inutilità di ogni tentativo volto a placarne gli atteggiamenti aggressivi.

Le dichiarazioni della persona offesa, peraltro, collimano con quelle rese da C.D., in ordine alle quali neppure si rinvengono profili di inattendibilità; peraltro, dagli atti non si ricava elemento alcuno per dubitare della sua credibilità, in assenza di motivi che inducano anche solo a sospettare un suo intento calunnioso.

Infine, va osservato che dalla annotazione di p.g. del 7.12.2017 risultano parziali riscontri ai racconti di C.Pa. e C.D., atteso che effettivamente i Carabinieri, in seguito ad un sopralluogo effettuato presso l’abitazione della persona offesa, constatavano il grave stato di incuria in cui versava l’appartamento abitato dall’imputata e dal padre […abiti e contenitori di vario genere (buste, scatole, secchi ecc.), ammucchiati alla rinfusa su sedie e su altri mobili, appoggiati sul patimento, stoviglie sporche e confezioni di medicinali vari, aperte e chiuse, appoggiate qua e là. Sulla soglia dell’ingresso, inoltre, era visibile una manciata di cristalli di colore bianco, rivelatosi sale. Alla presenta del sig. C.Pa. si accedeva all’interno, notando che tale disordine era presente in tutte le stanze dell’abitazione…

Deve essere riconosciuta, pertanto, la gravità indiziaria in ordine ai fata contestati, correttamente qualificati, stante la serialità delle condotte di ingiurie, minacce e percosse, ai sensi della fattispecie di reato in contestazione, rubricata ai sensi dell’art. 572 c.p.

Si osserva in proposito come il delitto di maltrattamenti in famiglia consista in una serie di atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà e del decoro del soggetto passivo, nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata, tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa. Si tratta, cioè, di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni e umiliazioni, le quali costituiscono fonte di disagio continuo ed incompatibile con normali ed accettabili condizioni di vita (Cass. Pen. Sez. VI n. 7192 del 4.12.2003; conf, tra le altre, Cass. Pen. Sez. VI n. 55 dell’8.11.2002; Cass. Pen. Sez. III n. 4752 del 9.3.1998).

Dalla ripetitività dei fatti di percosse ed ingiurie deve, cioè, ricavarsi l’esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente per la vittima, consapevolmente instaurato dall’agente; non è necessario che la condotta di questi provochi la totale soggezione, essendo sufficiente che le aggressioni abituali attentino alla dignità ed al decoro oltre la soglia della normale tollerabilità.

Al riguardo, occorre evidenziare che deve escludersi la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pencolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia (in relazione ai quali sussistono autonome e distinte figure di reato), essendo necessario che tali fatti siano la componente di una più ampia unitaria condotta abituale idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Cassa. Pen. Sez. VI n. 37019 del 27.5.2003).

Il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima, e si concretizza nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando, in modo che il colpevole pone in essere le singole sopraffazioni nella consapevolezza di persistere in un’attività illecita posta in essere già altre volte e complessivamente finalizzata ad avvilire la personalità della vittima (Cass. Pen. Sez. VI n. 39927 del 22.9.2005; conf. Cass. Pen. Sez. VI n. 6541 dell’11.12.2003), a nulla rilevando, data la natura abituale del reato, che nel lasso di tempo preso in considerazione siano ravvisabili nella condotta del soggetto agente periodi di normalità e intesa con il soggetto passivo.

Ebbene, nel caso in esame, deve ritenersi che l’essere costantemente offeso e umiliato nella propria dignità con atti di prevaricazione gratuiti e non giustificati da alcuna effettiva motivazione, l’essere destinatario di violenze fisiche e psichiche, l’impossibilità di avere una normale vita di relazione con il mondo esterno, costituiscono condotte che hanno compromesso in maniera insopportabile la vita della persona offesa, al punto da farla vivere costantemente nella paura e nell’ansia e, conseguentemente, da comprometterne il senso di libertà e di sicurezza, nonché l’incolumità fisica e psichica, che significa soprattutto rispetto della personalità altrui nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari improntati al rispetto reciproco.

Pertanto, si ribadisce, può ritenersi che C.P. si sia resa responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, del delitto di cui all’art. 572 c.p. ai danni del padre Pa. Sotto il versante sanzionatone, si ritiene, innanzitutto di poter concedere all’imputata le circostanze attenuanti generiche, in ragione della sua incensuratezza e della sua particolare vulnerabilità psichica (quale emerge dai racconti dei denunciano e dalla annotazione di p.g.), che pur non determinando una incapacità di intendere e di volere, certamente ha influito sulle condotte da lei tenute.

In ragione di quanto fin qui esposto, tenuti presenti gli indici di commisurazione della pena di cui agli artt. 133 e 133 bis c.p., si stima equa applicare nei confronti della predetta imputata la pena finale di anni 1 di reclusione, e ciò partendo dalla pena base di anni 2 di reclusione (minimo edittale per il delitto di maltrattamenti in famiglia); ridotta ad un anno e mesi sei di reclusione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche; ridotta a quella finale indicata per la riduzione di 1/3 connessa alla scelta del rito.

Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere.

Nella concreta graduazione della pena può essere riconosciuto, ai sensi degli artt. 163 e segg. c.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo consentita, in assenza di cause ostative, la formulazione di un giudizio prognostico positivo in ordine alla futura commissione di ulteriori reati.

Va, infine dichiarata ai sensi dell’art. 303, comma 3, c.p.p. l’estinzione della misura cautelare in atto, con conseguente immediata liberazione di C.P. se non detenuta per altro titolo.

P.Q.M.

Visti gli artt. 438 e segg. c.p.p.,

dichiara l’imputata responsabile del reato alla stessa ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, ed effettuata la riduzione per effetto della scelta del rito, la condanna alla pena di anni 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere.

Letto l’art. 303, comma 3, c.p.p. dichiara estinta la misura cautelare in atto e, per l’effetto, dispone l’immediata liberazione dell’imputata se non detenuta per altro titolo.

Aversa, 12.6.2018

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