Massima

La sentenza di accertamento della filiazione naturale dichiara e attribuisce uno status che conferisce al figlio naturale i diritti che competono al figlio riconosciuto con efficacia retroattiva, sin dal momento della nascita, con la conseguenza che dalla stessa data decorre anche l’obbligo di rimborsare  pro quota l’altro genitore che abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio.

Supporto alla lettura

RICONOSCIMENTO PATERNITA’

La ricerca della paternità naturale su basa sul principio della libertà della prova.

L’art. 269, c. 2, c.c. dispone che la prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. L’unico limite posto dal legislatore è quello contenuto nell’ultimo comma dell’art. 269 c.c., che afferma che la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della filiazione.

Generalmente la prova relativa al riconoscimento giudiziale di paternità si ottiene mediante prova ematologica e genetica, ma l’ammissione del test del DNA non è subordinato all’accertamento di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre (Cassazione n. 11299/2023). Infatti la dichiarazione giudiziale di paternità, in base al principio di libertà della prova, può risultare anche solo da una serie di elementi presuntivi.

Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici è un comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove di rapporti carnali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processule dei soggetti coinvolti.

Il convenuto ha sempre la possibilità di fornire prova contraria, dimostrando che la madre ha avuto altri rapporti carnali e la precisa collocazione di questi al tempo del concepimento; tale prova però non sempre è sufficiente, spesso, infatti, è comunque necessario eseguire la prova dei gruppi sanguigni o l’analisi del DNA.

Ambito oggettivo di applicazione

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Mediante atto di citazione depositato i l 30-10-2020 (omissis) adiva il Tribunale di Napoli Nord affinché accertasse e dichiarasse che il convenuto (omissis) sia il proprio padre naturale e per l’effetto, pronunciasse dichiarazione giudiziale di paternità ex art. 269 c.c..

Sulla scorta di quanto dedotto in atti , richiedeva la fissazione di un contributo di mantenimento in € 500,00 mensili , oltre arretrati dalla nascita all’attualità, con condanna del convenuto al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni pari ad € 235.360,80 come da tabelle di Milano.

In particolare rappresentava di aver appreso, nell’anno 2018, dalla madre di non essere figlio del sig. (omissis) (coniugato con la madre all’epoca della nascita dell’attore) e di aver promosso azione per il disconoscimento di paternità nei confronti del genitore sociale che l’aveva legittimato, conclusasi con sentenza n. 1633/2020 emessa dall’intestato Tribunale in data 24-7-2020, che escludeva al 100% la paternità del (omissis) medesimo (munita di certificazione di passaggio in giudicato emessa dalla competente Cancelleria in data 15-3-2021: cfr . doc. dep. 1-4-2021) .

Instaurato il contradditto io per l’udienza dell ’1-2-2021, si costituiva in giudizio, mediante comparsa del 25.1.2021, il convenuto (omissis) che, contestando in fatto e in diritto le avverse pretese, deduceva di non essere il padre naturale dell ’attore e non essere mai stato posto a conoscenza di tale circostanza, “…appresa solo a seguito di una inopinata telefonata ricevuta a fine settembre 2020 dallo sconosciuto difensore costituito dell’attore, che lo invitava presso il proprio studio per ulteriori ragguagli. Ed infatti, in data 26/09/2020, il comparente, accompagnato dal sottoscritto difensore, si recava presso lo studio del Professionista, dal quale veniva, appunto, informato che l’odierno attore era venuto a conoscenza, a seguito di una lettera inviatagli dalla madre, di essere suo figlio naturale e che, pertanto, in caso di mancato accordo, avrebbe chiesto al competente Tribunale il riconoscimento della paternità naturale… ” (cfr . comparsa di costituzione).

Inoltre il (omissis) contestava di aver instaurato i rapporti con la madre (omissis)) dell’attore prima e dopo il suo presunto concepimento, la nascita e anche la presunta assistenza prestata al bambino; in particolare, affermava di conservare “…solamente un vago ricordo della (omissis) (conosciuta in quanto inquilina di parte di uno stabile di proprietà di un suo parente, sito nel cortile condominiale dove aveva (e tuttora ha) lo studio professionale), con la quale non ricorda di aver avuto particolari rapporti amorosi e, sicuramente, non è mai esisistita la fantasiosa relazione sentimentale dedotta nell’atto introduttivo.” (cfr. comparsa di costituzione).

Sulla scorta di quanto eccepito, richiedeva quindi il rigetto della domanda , sia in relazione al chiesto riconoscimento della paternità che ai danni rivendicati, in quanto domande inammissibili, improcedibili e totalmente infondate con conseguente condanna di parte attrice alla rifusione delle spese processuali.

Trattato il giudizio e concessi i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c. , espletata la prova orale e disposta CTU genetico-ematologica, la causa veniva rinviata per la precisazione dell e conclusioni a trattazione scritta all’udienza del 11-4-2022 e assunta in decisione collegiale previa concessione dei termini ordinari di cui art. 190 c.p.c. e per l ’acquisizione delle conclusioni del P.M.

2. La domanda attorea è meritevole di accoglimento, nei limiti che si passa ad esplicitare.

3. È o ientamento consolidato della giurisprudenza, non solo di legittimità, quello per cui in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale tutti i mezzi di prova hanno “ex lege” pari valore e che il giudice può liberamente valutare il materiale probatorio sottopostogli, non sussistendo, al riguardo, limiti legali.

Ai sensi dell’art. 269 c.c. è da escludere che possa sussistere un ordine gerarchico, cronologico ed assiologico delle prove.

Nel caso in trattazione, mediante ordinanza in data 3-9-2021 il G.I. disponeva l’indicata CTU, con conferimento incarico alla dott.ssa (omissis) (in sostituzione di precedente ausiliario tecnico: cfr ordinanza del 8 -9-2021).

Senonché, mediante comunicazioni del 22-10-2021, 22-11-2021 e con relazione finale del 4-1-2022, l’ausiliari o trasmetteva verbale del 22-12-2021 nel quale, a fronte della disponibilità di parte attrice, il difensore del convenuto dichiarava che “il proprio assistito (omissis), non intende sottoporsi all’espletamento della prova” (cfr. dep. ult. cit.).

Il CTU, quindi , dichiarava chiuse le operazioni peritali in quanto, nonostante la regolare convocazione del convenuto, questi non si era presentato per sottoporsi al prelievo necessario al test genetico.

Ne deriva quindi che, in assenza di campioni biologici di raffronto, il CTU non è stato posto in condizione di accertare la relazione di paternità biologica per cui è causa.

A questo riguardo, deve evidenziarsi come anche in sede conclusionale, la difesa del (omissis) ha ribadito la volontà del predetto di sottrarsi all’accertamento della paternità onde preservare la serenità della propria famiglia.

E’ del tutto evidente che il (omissis), scientemente, ha voluto sottrarsi all’esame e con esso alle proprie responsabilità di padre biologico in patente lesione degli interessi conoscitivi delle origini del giovane (omissis).

Peraltro, pur essendo a conoscenza di tutta la vicenda processuale, parte convenuta non ha avanzato istanze istruttorie relativamente ai fatti posti alla base delle proprie eccezioni e contestazioni rispetto alla domanda giudiziale (limitandosi a richiedere una prova contraria nelle memorie del 21-4-2022 con gli stessi testi di parte attrice).

3.1. Ciò premesso, va osservato che più volte la giurisprudenza ha attribuito valore confessorio alla scelta consapevole del padre di non partecipare all’incontro fissato per il prelievo e l’esame del DNA, dal perito incaricato dal Giudice (ex plurimis, Cass. n. 28886 del 2019; Cass. ord. n. 16128 del 14.06.2019).

E’ stato in diverse occasioni affermato che il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda.

In altri termini, il rifiuto ingiustificato a sottoporsi alle analisi del D.N.A. è suscettibile di essere considerato come ammissione di paternità e come comportamento valutabile da parte del giudice di valore indiziario talmente alto da potere, di per sé solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cassazione Civile, 27.07.2017, n. 18626).

In una recente orientamento la S.C. (Cass. civ. Sez. I, Ord. 11/12/2020 n. 28330, richiamando Cass. civ. n. 11223/2014 ; Cass. Ord. n. 14458 del 05/06/2018 ) ha precisato che il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa e ciò an che in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione alla libertà personale del preteso padre, che conserva piena determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza.

In questo contesto di riferimento la condotta del (omissis) assume un valore di certezza probatoria della paternità dello stesso che ha, infatti, callidamente evitato di sottoporsi all’esame che avrebbe in modo tombale accertato che l’attore è suo figlio naturale. Deve evidenziarsi come mai ha inteso comparire personalmente in udienza né partecipare al procedimento se non mediante il proprio difensore, il quale addirittura è stato delegato a presentarsi dinnanzi al CTU per rendere la dichiarazione di rifiuto ad effettuare il test genetico.

Nessun rilievo potrebbero avere altre prove, atteso il comportamento processuale del convenuto che ha reiteratamente respinto il contraddittorio con chi voleva solo affermare l’insopprimibile diritto ad essere figlio.

3.2. In ogni caso, deve richiamarsi come il Conte non è comparso a rendere all’udienza del 3-9-2021 il deferito interrogatorio formale ammesso mediante ordinanza del 9-6-2021 in relazione ai capi relativi, tra l’altro, ai rapporti sentimentali con la madre dell’attore e al relativo concepimento nelle circostanze di fatto e temporali ivi indicate (cfr. memoria istruttoria del 1-4-2021). In relazione al rapporto instaurato dal (omissis) con la (omissis), il primo non ha reso interpello, in particolare, sul capo 9 ove è indicato il momento temporale del concepimento dell’attore e sul capo 10) il quale richiamava come il 3-9-1989 la (omissis) avesse comunicato al (omissis) di essere incinta e che il concepito era suo figlio.

Su queste stesse circostanze la teste (omissis) ha affermato quanto segue: “…ADR. In relazione al capo n. 9) posso solo dire che durante l’estate del
1989, mia zia aveva litigato malamente con il marito ed era andata con i figli a Monza; nello stesso periodo ho potuto verificare che lo studio del (omissis) era chiuso. ADR. In relazione al capo n. 10), il fatto mi è stato riferito dalla sorella del (omissis), ossia (omissis) che all’epoca aveva 9/10 anni. Ricordo che la bambina, ossia la figlia della (omissis), volle venire a dormire a casa mia; durante la notte, piangeva e mi chiamò per dirmi di aver sentito la madre al telefono dire al (omissis) di calmarsi per la morte del padre perché a breve sarebbe nato il loro figlio. E questo avvenne nel mese di settembre 1989. Il giorno dopo il fatto ne parlai con mia zia (omissis) e lei mi confermò che il figlio non era del marito ma del (omissis);… ” (cfr. verb.ud. 3-9-2021).

A fronte di tali dati conoscitivi, parte convenuta non ha fornito alcuna prova e/o conferma probatori a circa la non consapevolezza della nascita del bambino (attuale attore) come concepito con la (omissis); inoltre, il suddetto teste ha espressamente affermato come il (omissis) abbia visitato e incontrato l’attore dopo la sua nascita presso il proprio studio medico: “…ADR. In relazione al capo 13) Dopo la nascita del bambino, la (omissis) si recava presso lo studio del (omissis) per far visitare il bambino nei prime 8/9 mesi di vita…” (cfr. verb. ud. 3-9-2021).

4. Quanto alle domande di mantenimento, rimborso del mantenimento pregresso e risarcimento del danno da mancato riconoscimento va osservato quanto segue.

4.1. In primis deve precisarsi che, per esigenze di economia processuale, il rapporto che esiste fra la dichiarazione giudiziale di paternità e le domande a contenuto economico non impedisce che le rispettive azioni possano essere svolte in un unico processo e possano essere decise in un unico contesto, fermo restando che il credito potrà essere azionato – o la condanna potrà essere eseguita – solo all’esito del passaggio in giudicato del capo relativo all’accertamento dello status di figlia/figlio (Si richiama a tale riguardo Cass. Civ. n. 5652 del 2012 e Cass. Civ. 17914/2010: “la domanda di rimborso delle somme anticipate da un genitore può essere proposta nel giudizio di accertamento della paternità o maternità naturale, mentre l’ esecuzione del titolo e la conseguente decorrenza della prescrizione del diritto a contenuto patrimoniale richiedono la preventiva definitività della sentenza di accertamento dello “status””).

4.2. Per quanto attiene il primo aspetto, nulla può essere fissato a titolo di mantenimento del figlio maggiorenne a carico del padre in quanto, come emerge dalle stesse allegazioni processuali, lo stesso, a seguito anche degli studi intrapresi, ha conseguito idonea capacità lavorativa tanto da averla spesa anche all’estero mediante esecuzione di prestazioni lavorative per lasso di tempo non trascurabile .

Inoltre come indicato nella comparsa del 23-7-2021, “Allo stato, archiviati tutti i sogni di conoscenza, si è trasferito a Berlino dove vive e lavora.” (cfr. pag. 5 della comparsa citata).

Il collegio ritiene, pertanto, che, a fronte di quanto sopra indicato e dei plurimi viaggi all’estero per lavoro e studio nonché dell’età raggiunta (32 anni), il (omissis) abbia raggiunto conseguito autonoma capacità economica e lavorativa, tanto da aver instaurato il presente giudizio allorquando era già ampiamente maggiorenne.

L’aver fissato in nazione straniera il proprio stabile domicilio, fa presumere che, in assenza di somme versate dalla madre (di cui nulla si dice e/o si allega), l’attore sia pienamente capace di acquisire redditi in modo autonomo, senza alcuna dipendenza da genitori e/o terze persone.

4.3. Resta pertanto da verificare se sussistono le condizioni per riconoscere il rimborso delle spese di mantenimento pregresso sostenuto dall’altro genitore e quando l’attore non era autonomo.

A questo riguardo, è indubbio che, in via generale, è ammissibile l’intervento nel processo di separazione del figlio maggiorenne, al fine di richiedere la condanna del genitore al pagamento del contributo per il suo mantenimento, come da orientamento costante della giurisprudenza della Cassazione (richiamata anche da parte attrice nella comparsa conclusionale) .

E’ innegabile, in via di principio, che la questione della legittimazione del figlio maggiorenne a intervenire nel giudizio di separazione o di divorzio dei propri genitori è intimamente connessa con quella del genitore convivente che agisca per ottenere non solo il rimborso di quanto versato per il mantenimento del figlio, ma anche la determinazione di un contributo per il futuro.

Sussiste pertanto la coesistenza, quanto meno in astratto, di due posizioni giuridiche meritevoli di tutela: quella del genitore convivente, diretta ad ottenere dall’altro l’attribuzione di un assegno di contribuzione, sulla base delle immutate norme contenute negli artt. 147 e 148 c.c., al fine di assolvere compiutamente i propri doveri senza dover anticipare la quota gravante sull’altro coniuge (su tale persistenza cfr. Cass. 23 luglio 2010, n. 17275); quella, del figlio maggiorenne, avente diritto al mantenimento, ed anzi legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento dire tto del contributo ex art. 337 septies c.c. .

Tanto premesso, nel caso in trattazione, in relazione alla domanda di rimborso delle somme non versate a titolo di mantenimento pregresso non sussiste la legittimazione del figlio divenuto maggiorenne all’esito della presente pronuncia in quanto, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, il rimborso delle spese spettano al genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita e tale obbligo ha natura in senso lato indennitaria, essendo dirett o ad indennizzare il genitore che ha riconosciuto il figlio degli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole.

L’attore non ha provato di non essere autonomo né la cessazione della convivenza con la madre e con il padre sociale e quindi non si è in grado di verificare il periodo di tempo in cui era legittimato a richiedere le somme arretrate a titolo di mantenimento. Inoltre, tutta la documentazione versata con la comparsa di costituzione del secondo avvocato di parte attrice in data 23-7-2021 non può essere esaminata in quanto di formazione precedente al decorso dei termini per la definizione del thema probandum ex art. 183 sesto comma c.p.c. concessi all’udienza dell’1 -2-2021.

Come è noto, la sentenza di accertamento della filiazione naturale dichiara e attribuisce uno status che conferisce al figlio naturale i diritti che competono al figlio riconosciuto con efficacia retroattiva, sin dal momento della nascita, con la conseguenza che dalla stessa data decorre anche l’obbligo di rimborsare pro quota l’altro genitore che abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio.

Peraltro, la condanna al rimborso di detta quota, per il periodo precedente la proposizione dell’azione, non può prescindere da un’espressa domanda proposta dalla parte in nome proprio, attenendo tale pronunzia alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali in relazione a diritti disponibili (cfr. Cass. 9300/2010; Cass. 3991 del 2010 ; Corte di Cassazione, Civile, Sezione 1, Sentenza del 4 novembre 201 0, n. 22506; Cass. Corte di Cassazione, Civile, Sezione 1, Ordinanza del 13 giugno 2022, n. 19009 ).

Difatti l ‘obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da entrambi i genitori, per effetto della sentenza dichiarativa della filiazione naturale, collegandosi allo “status” genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita del figlio, con la conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 del cod. civ. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell’art. 1299 cod. civ..

Tale posizione risulta anche seguita dalla giurisprudenza di merito (cfr. sent. Trib. Palermo, 11-1-2016 in Rivista telematica ONDIF 11-3-2016) secondo la quale, in caso di mancato versamento di parte consistente degli assegni di mantenimento da parte del padre per il figlio, nel frattempo divenuto maggiorenne e quindi astrattamente titolare del diritto al mantenimento diretto nei confronti del genitore con lei non convivente, potrà essere ottenuto solo sulla scorta di apposito titolo esecutivo emesso con il riconoscimento di un contributo a carico del primo.

Il diritto al contributo nei confronti dell’altro genitore (eventualmente da corrispondere direttamente nelle mani del figlio) potrà venire meno soltanto qualora il figlio maggiorenne stesso inizi un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente.

Ebbene nel caso, in analisi, non risulta l’intervento della madre dell’attore nel presente giudizio e pertanto nulla può essere riconosciuto in capo al figlio divenuto maggiorenne a titolo di rimborso delle somme sostenute in forma diretta dalla madre nel tempo in cui lo stesso non era autonomo economicamente.

4.4. Accoglibile è invece la domanda risarcitoria di parte attrice, connessa alla lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile, sulla scorta del totale disinteresse mostrato dal convenuto nei confronti del figli o naturale.

Difatti, alcun rapporto si è instaurato tra i medesimi né risulta che il padre abbia supportato in alcun modo l’attore nel relativo mantenimento e nell’assolvimento degli obbligo gravanti sul genitori di istruzione ed educazione della prole. Tale situazione legittima (omissis) a richiedere il risarcimento del danno “da privazione paterna” ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., così come da richiesta avanzata dall’attrice.

Ritenuto quindi sussistente l’an della pretesa risarcitoria, si deve ora valutare il quantum di essa, in relazione al quale, stante la particolare tipologia di pregiudizio sofferto, non può che riconoscersi l’applicabilità del giudizio in via equitativa di cui all’art. 1226 c.c.

Ciò posto, questo Collegio ritiene di aderire all’indirizzo ermeneutico, avallato anche dalla Corte di Cassazione, in forza del quale, in caso di danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale, si pone a base del calcolo liquidatorio la voce appositamente prevista dalle tabelle adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano.

Infatti, la Suprema Corte ha riconosciuto che “quelle tabelle rimangono utilizzabili come parametro di valutazione, con gli opportuni adattamenti” (Cass. Civ., sez. I, 22 luglio 2014, n . 16657), nonché che “il criterio tabellare può rappresentare un punto di riferimento nella liquidazione del danno in via analogica” (Cass. Civ., 22 novembre 2013, n. 26205).

E’ noto che in numerose sentenze di merito è stato utilizzato un criterio di liquidazione equitativa cd. puro, ossia svincolato da qualunque parametro tabellare di riferimento, mentre in altre pronunce, tanto di merito (Corte appello Napoli sez. famiglia, 15/05/2019, ud. 24/04/2019, dep. 15/05/2019, n.2618 ; Trib. Lecce 9 settembre 2020 ) che di legittimità (da ultimo Cassazione civile sez. III, 10/11/2021, n. 33005 altresì Cass. 20 ottobre 2020 n. 22895, Cass. 21 agosto 2020 n. 17554 ), si è affermata la possibilità di avvalersi di criteri tabellari previsti per il cd. danno esofamiliare, seppur con adeguate cautele.

Vi è, non solo un’ontologica diversità tra il danno endofamiliare e il cd. danno esofamiliare, cioè cagionato da un terzo ma che ha inciso significativamente sul rapporto che lega la vittima dell’illecito ai suoi congiunti, ma anche i presupposti delle due tipologie di danno risultano ab origine differenti.

Stante le diversità, si è tentato, ricorrendo a criteri tabellari, di arginare il rischio di una sorta di “anarchia” risarcitoria nella materia in esame, pur dovendo riconoscersi i limiti dell’utilizzo di parametri di riferimento relativi ad altri settori della responsabili tà civile (quali quelli previsti per il danno esofamiliare); si sentiva così l’esigenza di pervenire ad un criterio unitario di quantificazione anche per questa delicata materia, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento da una Corte all’altra.

Difatti, la Cassazione, in alcune recenti pronunce, è tornata sul tema, approfondendo la questione relativa alla liquidazione del pregiudizio di tipo non patrimoniale. In linea con le nuove tendenze che ripudiano il criterio liquidatorio puro, la giurisprudenza richiama, ai fini della quantificazione del pregiudizio, dei parametri uniformi e oggettivi come le tabelle elaborate dall’osservatorio della Giustizia Civile di Milano.

Tanto premesso, le tabelle milanesi 2021, a favore di un figlio, per la perdita di un genitore, prevedono una c.d. Forbice da € 168.250,00 a € 336.500,00 .

Tuttavia, pur ritenendosi corretto quale punto di partenza liquidatorio quello individuabile nel parametri tabellari previsti per la voce “perdita del genitore”, deve procedersi ad un ulteriore adeguamento in diminuzione in ragione della minore gravità della fattispecie in esame rispetto a quella oggetto delle tabelle .

Difatti la liquidazione ivi contemplata per il danno da perdita del rapporto parentale postula la irrevers ibile perdita del rapporto per la morte del congiunto e va al di là del mero dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità, nonché nel non potere fare più ciò che per anni si è fatto e nell’alterazione che un a scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra superstiti, tutte sofferenze non ravvisabili nella specie.

In questa sede, le tabelle devono quindi utilizzarsi solo come parametro di riferimento da applicare in via analogica, postulando il ragionamento analogico la sola similitudine tra due fattispecie e non già la piena identità, risultando in caso contrario direttamente applicabile il parametro in discussione.

La stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto come, pur se utilizzabili, come sopra descritto, le tabelle hanno ad oggetto i criteri di quantificazione del cd. danno da lesione del rapporto parentale nelle ipotesi in cui una persona sia vittima (o subisca gravi lesioni a causa) della condotta illecita di un terzo che per questo sia chiamato a rispondere delle conseguenze dannose nei confronti di coloro che erano legati alla vittima da relazioni parentali di varia natura e intensità.

Diverso è il caso del genitore che, non riconoscendo il figlio e facendogli mancare i mezzi di sussistenza, si sottragga al ruolo genitoriale e colpevolmente impedisca il sorgere in concreto del rapporto parentale che deriva dalla procreazione (così Cass. Civ., 16657/2014).

Conseguentemente, non può che riconoscersi la necessità di rideterminazione verso il ribasso del parametro liquidatorio previsto dalle tabelle milanesi per l’ipotesi di perdita definitiva del genitore per decesso.

Adottato come base di calcolo l’importo tabellare tendenzialmente medi o della Forbice sopra indicata pari ad euro 250.000,00 ritiene questo Tribunale che sia congruo abbatterlo a 1/2 (Euro 125.000,00 ) in ragione della diversità della fattispecie in esame rispetto al danno contemplato dalle tabelle milanesi senza possibilità di applicazione degli ulteriori criteri incrementativi c.d. a punti, come riportati nella vigente tabella milanese .

Tale importo appare idoneo a ristorare la mancanza della figura genitoriale nelle fasi della crescita e adolescenza e il vuoto relazionale e sociale a ciò collegato.

Sono inoltre dovuti gli interessi legali dalla decisione sino al saldo.

Deve anche tenersi conto come l’abbattimento per 1/2 si giustifica anche per la circostanza che, a fronte dell’instaurazione del presente giudizio, il convenuto non si è adoperato per ricucire i rapporti con il figlio naturale né ha inteso incontrarlo in sede di udienza e dinnanzi al CTU.

Non assumerebbe alcun rilievo – anche se non eccepito da controparte -, neanche sotto il profilo del calcolo del quantum, la condotta tenuta dalla madre dell’attore: invero, le conseguenze pregiudizievoli nella vita dinamico relazionale dell’attore si sono manifestate con l’acquisita consapevolezza dell’esistenza del padre in vita ma hanno interessato anche il periodo anteriore, rispetto al quale la condotta paterna di disinteresse e di violazione degli obblighi genitoriali ha causato gli stessi effetti pregiudizievoli, anche se percepiti dall’attore in un momento successivo.

La più ampia domanda risarcitoria resa nella comparsa conclusionale senza riferimento alle istanze formalizzate nei termini per la definizione del thema decidendum ex art. 183 c.p.c. sono inammissibili e ciò con particolare riferimento alla somma ivi quantificata a titolo di risarcimento danni.

Come, invece, opportunamente osserva la difesa ricorrente, il disinteresse del padre naturale nei confronti del figlio, nonostante la consapevolezza della sua esistenza, il non essersi mai concretamente ed effettivamente occupato dello stesso mediante assicurazione del fondamentale sostegno affettivo e psicologico, ha comportato indubbiamente la dolosa e illecita privazione della figura paterna .

Infine deve dirsi anche come l’attore non ha chiesto la sostituzione del cognome e quindi nulla può disporsi i n merito, tenendo conto della maggiore età dello stesso.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza di parte resistente e sussistendo, pertanto, le condizioni per l’applicazione della normativa regolamentare di cui al D.M. 55/2014 che ha sostituito le precedenti tariffe e parametri professionali, questo Collegio ha proceduto alla liquidazione del compenso professionale tenendo conto del valore indeterminato della causa (valore fino ad euro 125.000,00 ), dei parametri medi per le fasi previste nel DM sopra citato, della natura e della complessità della controversia nonché del comportamento processuale di parte soccombente il quale si è opposto all’effettuazione del teste genetico.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli Nord, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulla controversia R.G.N. 9938/2020, come innanzi proposta, così provvede:

1. Dichiara, accerta e dichiara che (omissis) nato ad Aversa (CE) il (omissis) è il figlio di (omissis) nato a San Marcellino (CE) il (omissis);

2. ordina al competente Ufficiale dello Stato civile di provvedere alle annotazioni di legge;

3. Condanna (omissis) al versamento in favore di (omissis) della somma, stabilita in via equitativa, di Euro =125.000,00= all’attualità a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione dei doveri di mantenimento, istruzione, educazione, determinata dalla privazione del rapporto parentale oltre interessi legali fino all’effettivo soddisfo;

4. Rigetta le ulteriori domande di parte attrice in quanto infondate;

5. Condanna il convenuto (omissis) al pagamento delle spese di lite a favore dell’attore (omissis) che si liquidano in euro =13.430,00= per compenso professionale ed euro =528,79= per esborsi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso indicato per la prestazione nonché IVA e CPA come per legge, con attribuzione da attribuirsi ai sottoscritti procuratori anticipatari ex articolo 93 Legge Professionale.

Così deciso in Aversa nella camera di consiglio de l 13-7-2022.

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