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Tribunale Modena sez. II, 09/05/2023, n. 749

Massima

Il giudice che non possa pronunziare la risoluzione del contratto per colpa di una delle parti, in caso di istanza svolta reciprocamente da entrambe, deve dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta (ex art. 1453 co. 2 c.c.) di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c.; le contrapposte manifestazioni di volontà, infatti, seppur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.

Supporto alla lettura

Risoluzione contratto

La risoluzione del contratto è un istituto che trova la propria compiuta disciplina agli articoli 1453 e seguenti del codice civile. Gli effetti della risoluzione di un contratto possono tanto ottenersi con una domanda giudiziale quanto di diritto, cioè automaticamente, quando sussistono determinati presupposti.  La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo contrattuale per il verificarsi di eventi successivi alla stipulazione che incidono sul vincolo sinallagmatico rendendo necessaria o quanto meno opportuna la sua rimozione. Questa forma di risoluzione, cosiddetta rimediale, ha dunque lo scopo di reagire a un malfunzionamento del contratto e si distingue dalle risoluzioni non rimediali che rispondono alla diversa logica di consentire a una delle parti di liberarsi dal vincolo in forza di una pattuizione prevista dallo stesso contratto, come ad esempio nelle ipotesi in cui sia prevista una condizione risolutiva. La risoluzione rimediale ha invece sempre fonte legale e può operare o automaticamente, come nell’ipotesi di scadenza del termina essenziale ex art. 1457 c.c., e di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., o per sentenza come la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., o ancora tramite manifestazione di volontà negoziale, come nell’ipotesi di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.. Sembra invece avere una collocazione ibrida la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c, che da un lato assume una funzione rimediale reagendo a un malfunzionamento del contratto, dall’altro poiché dà risalto alla volontà delle parti di considerare determinante l’inadempimento di una determinata obbligazione, sembra colorarsi anche di una funzione non rimediale. Preventivamente le parti possono inserire nel contratto una clausola penale. Rappresenta l’espressione del patto con il quale in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno che causano l’inadempimento delle obbligazioni o il ritardo nell’adempimento. Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è disciplinata agli articoli 1382 – 1384 e la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta. La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge, il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così espressamente stabilito. La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa. Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario.

Ambito oggettivo di applicazione

1) L’oggetto della domanda originariamente proposta dagli attori non è ricompreso fra quelli elencati nell’art. 5 co 1-bis del Dlgs n°28 del 2010, per cui il procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

È poi superfluo chiedersi se le domande proposte in via riconvenzionale dalla convenuta rientrino in dette materie, visto che l’eventuale loro autonoma improcedibilità non è stata eccepita dalla controparte, né rilevata d’ufficio dal giudice, entro la prima udienza, come imposto dalla medesima norma.

Le contrapposte domande delle parti vanno, dunque, affrontate nel merito.

2) Rispetto al contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato dalle parti il 29 agosto 2019, si contrappongono due domande, aventi identica finalità solutoria:

A) quella degli attori, promissari acquirenti, che chiedono venga pronunciata la risoluzione di tale contratto per inadempimento della promittente venditrice Si. Ve., con altrui condanna al pagamento del doppio della caparra;

B) quella proposta in via riconvenzionale da quest’ultima, che chiede venga accertata la legittimità del proprio recesso, ed il conseguente diritto di ritenere la caparra versata.

2.1) Secondo il convincente insegnamento di Cass. SU n°553 del 2009, il diritto di recesso previsto dall’art. 1385 cc non è altro “che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)”; tanto che, ad esempio, “una domanda di risoluzione contrattuale correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della caparra…..non è altro … che una domanda di accertamento dell’avvenuto recesso”.

Ciò comporta la necessità di procedere a corretta qualificazione in iure delle contrapposte domande solutorie al di là del loro dato formale, considerando l’interesse in concreto perseguito dalle parti.

Interesse che nella specie è per entrambe volto ad ottenere, con la caducazione del contratto, il beneficio previsto dall’art. 1385 co. 2° cc (di ritenere la caparra, o, specularmente, di conseguirne il doppio), per effetto dell’altrui inadempimento.

Beneficio che non è possibile conseguire senza l’esercizio del diritto di recesso ed il conseguente accertamento dell’avvenuta risoluzione negoziale del contratto; nella specie, neppure per la via alternativa del risarcimento ordinario dei danni -conseguibile in caso di pronuncia dichiarativa o costitutiva di risoluzione, che per entrambe le parti è in causa del tutto sfornito di allegazione e prova.

Le speculari domande vanno pertanto entrambe ricondotte nell’alveo del recesso; che per entrambe le parti va considerato esercitato con i rispettivi atti introduttivi del giudizio -posto che l’anteriore recesso della promittente venditrice non è mai pervenuto a conoscenza dei promissari acquirenti.

Peraltro, la questione della corretta riqualificazione delle domande non ha altre ricadute processuali, visto che “nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio” (sempre Cass. n°553/09); ovvero “si sia resa responsabile delle trasgressioni che, per numero o per gravità ovvero per entrambe le cause, si rivelino idonee a turbare il sinallagma contrattuale” (Cass. n. 28391 del 2020).

3) Operando nel modo suddetto, si osserva in primo luogo che nel contratto per cui è causa, stipulato il 29 agosto 2019, era prevista a carico dei promissari acquirenti la contestuale consegna di una caparra di €.45.000 a mezzo assegno.

E pacifico o documentato che l’assegno a tal fine consegnato, tratto dalla sig.ra Ra. Mo., è risultato insoluto, sicché Si. Ve., ottenuto decreto ingiuntivo nei suoi confronti ed iscritta ipoteca su un suo immobile (sito in Modena, via (omissis)), ha poi incassato la somma corrispondente alla caparra dalla terza acquirente di tale immobile, maggiorata di spese, in forza di apposita previsione nel rogito d’acquisto del 27 gennaio 2020, cui per questo ha personalmente partecipato.

3.1) Sostengono a tal proposito gli attori che, una volta incassata la caparra, non v’era più alcun loro rilevante inadempimento che potesse giustificare l’altrui iniziativa di recesso -che risulta intrapresa nel febbraio 2020, con raccomandate però non ricevute per irreperibilità o restituzione al mittente senza invio.

3.2) Il rilievo è corretto.

In effetti, la ricezione della caparra (che va fatta risalire all’incasso, posto che “la caparra confirmatoria può essere costituita anche mediante la consegna di un assegno bancario, pur se l’effetto proprio di essa si perfeziona al momento della riscossione della somma da esso recata e, dunque, salvo buon fine”: Cass. n°10366 del 2022) è avvenuta in un momento in cui era ancora possibile dar corso all’attività prevista nel preliminare, secondo cui “lo studio Arkimo di Formigine, nella persona dell’arch. St. Be., o suo incaricato, in concerto con un tecnico abilitato nominato dalla parte promittente l’acquisto presenterà presso il comune di Campogalliano una pratica edilizia di ‘valutazione preventiva’ unica cumulativa atta ad ottenere un parere preventivo di fattibilità del comune stesso…”.

Attività prevista come prodromica alla vendita (“ottenuta la valutazione preventiva dal comune di Campogalliano, le parti addiverranno alla compravendita..”), sicché la previsione di termine per il rogito definitivo “entro e non oltre il 30 novembre 2019” (per il lotto A; per il lotto B il termine è al 31 marzo 2023) risulta chiaramente considerata non essenziale dalle parti.

3.3) Ciò, per altro verso, consente anche di escludere in radice rilievo alle condotte delle parti relative all’invito a rogito entro detto termine, che in assenza della preventiva valutazione positiva del comune, costituente “idoneo titolo per la stipula del rogito notarile (lotto A)” sarebbe stato comunque privo di effetti.

4) Entrambe le parti sostengono che non si sia pervenuti neppure alla valutazione preventiva del comune, addebitandosene reciprocamente la colpa.

L’adempimento non è più possibile, perché inibito dalle reciproche domande solutorie delle parti, ex art. 1453 co. 3° cc.

Può quindi darsi per avvenuta la caducazione contrattuale, e certa la sua dipendenza causale da tale iniziale inerzia.

Occorre, pertanto, indagare sulla condotta delle parti contraenti, per verificare se il mancato compimento dell’attività prodromica, secondo previsione contrattuale da compiersi “in concerto”, sia imputabile in via esclusiva ad una sola di esse.

Detta analisi va condotta, in punto di fatto, tenendo conto del noto principio giurisprudenziale fissato da Cass., sez.U., sent. n°13533 del 30 ottobre 2001, secondo cui “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento”; che va integrato con il rilievo secondo cui “nel caso di proposizione di una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, l’attore ha l’onere di indicare le specifiche circostanze materiali lesive del proprio diritto e di allegare le specifiche circostanze integranti l’inadempimento, in quanto l’allegazione costituisce l’imprescindibile presupposto che circoscrive i fatti cui si correla il diritto di difesa, a presidio del contraddittorio” (Cass. n°10141 del 2021).

Principio che, nel caso di contrapposte domande solutorie, qui ricorrente, impone di ritenere ciascuna parte onerata della prova del proprio esatto adempimento, nel perimetro fissato dalle altrui allegazioni d’inadempimento

5) L’attività prodromica alla vendita non portata a termine consisteva nella presentazione al comune di “una pratica edilizia di ‘valutazione preventiva’ unica cumulativa atta ad ottenere un parere preventivo di fattibilità del comune”, munita degli “elementi necessari a valutare: cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione; progetto di ristrutturazione con modifiche interne ed accorpamento delle due unità (ora A/10 e A/7) in una sola … con redazione di nuove planimetrie di progetto da depositare in Comune e catastali, elaborato planimetrico con evidenziata area esclusiva di proprietà ed assegnazione di nuove Rendite Catastali”.

Come detto, era previsto che tale attività fosse svolta “in concerto” fra l’arch. Be. dello studio Arkimo, incaricato della venditrice, ed un tecnico incaricato dai promissari acquirenti, ovvero l’ing. Me..

Mentre può darsi per certo (per ragioni giuridico-amministrative) che il deposito finale fosse a carico del rappresentante della proprietà, il contratto non disciplina specificamente le modalità di realizzazione del concerto.

Ciò significa che entrambe le parti, tramite i loro rappresentanti, erano gravate dal reciproco obbligo contrattuale di collaborazione, che implica, da un lato, il dovere di interlocuzione sull’altrui iniziativa; dall’altro, la necessità di assumere l’iniziativa in caso di altrui inerzia.

6) La prova raccolta in causa -documentale ed orale-, in parte qua, riguarda esclusivamente gli accadimenti iniziali, fino al luglio 2019. Non risulta, invece, alcuna iniziativa delle parti riconducibile all’adempimento dell’obbligo (come sopra declinato) successiva al gennaio 2020, in cui la caparra è stata ricevuta dalla promittente venditrice.

Per quello che dicono gli atti, costei ha (inutilmente) inviato raccomandata di recesso nel febbraio 2020, e null’altro. I promissari acquirenti, dal canto loro, si sono limitati ad inviare nel settembre 2020 una diffida ad adempiere, in cui si allega l’altrui inerzia colpevole.

7) Procedendo all’analisi del materiale istruttorio secondo la regola di riparto esposta in precedenza, si perviene alla constatazione che nessuna delle parti ha offerto sufficiente prova del proprio esatto adempimento. Queste le ragioni.

7.1) I promissari acquirenti hanno dato prova (testimoniale) di aver inizialmente consegnato allo studio Arkimo della documentazione, ma non anche che la stessa fosse sufficiente allo scopo di consentire allo studio Arkimo di procedere in autonomia al completamento e deposito della pratica. Ciò non può presumersi, visto che la documentazione asseritamente consegnata (a doc. 4 prodotto dagli attori con la memoria n°183 co. 6 n°2 cpc) è un progetto di ristrutturazione interna dell’edificio, ma non risulta che il concerto si limitasse alla sua consegna, e che pertanto spettasse allo studio Arkimo di procedere in autonomia alla “redazione di nuove planimetrie di progetto da depositare in Comune e catastali, elaborato planimetrico con evidenziata area esclusiva di proprietà ed assegnazione di nuove Rendite Catastali”, costituente l’ulteriore attività specificata in contratto come da compiersi in collaborazione.

Ciò non può ritenersi neppure in esito alla deposizione del teste Angelo Catania sul cap. 7) -teso a dimostrare “che nell’incontro successivo alla consegna dell’elaborato progettuale redatto dall’Ing. Me. lo studio Arkimo comunicava alla Ra. Mo. Ad. la fattibilità dello stesso oltre allo svolgimento da parte propria di ogni attività necessaria per la presentazione all’Ufficio Tecnico del Comune di Campogalliano della documentazione per ottenere una valutazione preventiva”, poiché costui non ha presenziato a tale incontro, ed avrebbe appreso la circostanza che i professionisti della proprietà “avrebbero garantito la fattibilità” soltanto “giorni dopo” dalla sig.ra Mo..

In parte qua trattasi, quindi, di teste “de relato actoris”; che sono “quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell’accertamento, fondamento storico della pretesa” (ex multis Cass. n°569 del 2015).

L’insufficienza di prova della circostanza di aver esattamente adempiuto rende per altro verso del tutto irrilevante la successiva diffida ad adempiere, che per conseguire i suoi effetti (peraltro non invocati in causa) necessiterebbe della certezza istruttoria che, a tale momento, l’incaricato della proprietà fosse in grado di (prima ancora che tenuto a) procedere in autonomia al completamento e deposito della pratica, senza ulteriori interlocuzioni con l’altrui tecnico.

7.2) La condotta inerte della promittente venditrice fino al gennaio 2020 trova giustificazione nell’altrui inadempimento alla consegna della caparra.

Dopo la ricezione della caparra, però, come detto, vi è stata piena riespansione dell’obbligo in concerto.

La promittente venditrice avrebbe quindi dovuto dar prova:

a) di essere impedita a dar corso al proprio adempimento, a causa della omessa collaborazione altrui;

b) di aver diligentemente sollecitato la controparte a detta collaborazione, assumendo quell’iniziativa costituente parte integrante dell’obbligo.

In realtà, la dimostrazione della circostanza a) non è fornita, mentre quella sub b) non risulta neppure allegata dalla parte onerata.

8) Più in generale, risulta evidente che il concerto delle parti si è realizzato nel non dar corso all’attività preliminare alla vendita, reciprocamente giustificando il proprio inadempimento con quello altrui.

Tale fine accomuna la condotta della promittente venditrice che, ottenuta per vie traverse e complicate la consegna della caparra a distanza di mesi, subito dopo prova ad inviare raccomandata di recesso, senza assumere altre iniziative; con quella dei promissari acquirenti che, finalmente pagata la caparra, restano inerti per sette mesi, salvo poi inviare una diffida ad adempiere fondata sull’indimostrato presupposto di aver già eseguito quanto era in proprio obbligo.

Deve pertanto conclusivamente ritenersi che la mancata esecuzione del contratto sia dipesa da colpa equivalente di entrambe le parti contrattuali.

9) In detta situazione, non è pertanto possibile assegnare all’una o all’altra parte la colpa esclusiva, o quantomeno prevalente, della caducazione del contratto.

In tal caso il giudice, “non potendo pronunziare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta (ex art. 1453 c.c., comma 2) di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c. …Il giudice deve in tale ipotesi far comunque luogo a declaratoria di risoluzione del contratto, in quanto le contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, attese le contrastanti premesse, sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale” (ex multis Cass. n°6675 del 2018).

10) In definitiva, le contrapposte domande solutorie conducono a pronuncia di risoluzione del contratto.

Poiché la caducazione non è però addebitabile in via esclusiva ad una delle parti contrattuali, vanno rigettate le contrapposte domande ex art. 1385 co. 2 cc, non avendo né i promissari acquirenti diritto alla restituzione del doppio della caparra, né la promittente venditrice diritto a trattenere la caparra.

11) La caparra va, però, restituita; perché la sua restituzione è effetto della risoluzione, che priva ex tunc il pagamento della sua causa (art. 1458 cc), e perché la relativa richiesta è da intendersi ricompresa nel perimetro della domanda proposta dagli attori, di condanna al pagamento del suo doppio, o in quella somma maggiore e/o minore che sarà accertata in corso di causa e/o comunque ritenuta, ex art. 1226 Cod. Civ., congrua, equa e di giustizia.

In tal senso si pronuncia.

Trattandosi di obbligo restitutorio conseguente a caducazione contrattuale, come tale governato dai “principi della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.” (ex multis Cass 35280 del 2022), la somma capitale di €.45.000 non va rivalutata, ma maggiorata degli interessi legali dal giorno della domanda (11 novembre 2020), dovendo escludersi la mala fede dell’accipiens.

12) Passando alla domanda proposta da Si. Ve. allo scopo di ottenere il risarcimento del danno da occupazione dell’immobile per il periodo in cui, scaduto il contratto di comodato, essa è divenuta sine titulo e, quindi, illegittima, si rileva che:

a) gli attori hanno ricevuto la materiale disponibilità dell’immobile in forza di contratto di comodato gratuito “convenuto a titolo precario, quindi senza determinazione di durata. I comodatari, ai sensi dell’art. 1810 cc saranno obbligati a liberare e restituire gli ambienti in questione entro due mesi dalla richiesta avanzata dalla comodante o suoi aventi causa senza possibilità alcuna di ottenere proroghe o di opporre eccezioni” (art. 8: vedi doc. 2 convenuta);

b) nella sentenza che ha disposto il rilascio si dà per non controversa l’avvenuta richiesta di restituzione nel settembre 2019. L’occupazione risulta quindi non più legittima a partire dal dicembre 2019, in cui è scaduto il termine contrattuale di rilascio;

c) l’immobile è stato rilasciato, in esito ad esecuzione in data 7 giugno 2021. Il periodo in considerazione è pari, dunque, a circa 18 mesi.

12.1) La parte istante allega unicamente la mancata disponibilità dell’immobile per detto periodo, senza prospettare occasioni di guadagno mancate.

Orbene, nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile la recente Cass. SU n°33645 del 2022, a soluzione di pregresso contrasto giurisprudenziale, ha evidenziato che in tal caso il danno può consistere sia in un mancato guadagno, che in una perdita, ed ha chiarito che in tale seconda ipotesi “fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta”.

Ove il risarcimento sia richiesto per tale danno, come nella specie, l’onere assertivo si risolve nell’allegazione del “fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa”; mentre l’onere probatorio, salvo specifiche contestazioni del convenuto costituito, “può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici”.

Inoltre, “sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa.”.

Poiché nella specie gli attori nulla hanno dedotto, ne consegue il riconoscimento del diritto di Si. Ve. al risarcimento del danno per il periodo di altrui illegittima occupazione di 18 mesi circa. Danno da liquidarsi in via equitativa, ex art. 1226 cc.

12.2) Nella specie, non disponendosi di alcun dato relativo al parametro di mercato, il danno si determina, prudenzialmente, nel 50% di quello richiesto dalla parte, e quindi in attuali complessivi €. 10.500, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.

13) La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

definitivamente pronunziando;

P.Q.M.

riqualificate le contrapposte domande come in motivazione; ogni altra istanza rigettata;

1) DICHIARA risolto il contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato in data 29 agosto 2019 da Ad. Ra. Mo. e Ma. Fa., quali promissari acquirenti, e Si. Ve., quale promittente venditrice;

2) CONDANNA Si. Ve. al pagamento, in favore di controparte, della somma di €.45.000 oltre interessi legali maturati dal 11 novembre 2020 e maturandi al saldo, a titolo di restituzione della caparra a suo tempo ricevuta;

3) CONDANNA Ad. Ra. Mo. e Ma. Fa. al solidale pagamento, in favore di Si. Ve., della somma di €.10.500 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo, a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima.

4) DICHIARA le spese di giudizio integralmente compensate fra le parti.

Modena, 8 maggio 2023

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 9 MAG. 2023.

Allegati

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