Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il ricorso, nonostante la poca precisione delle conclusioni sopra riportate, può essere interpretato come richiesta di un provvedimento volto ad ovviare al comportamento del minore – condotta violenta e prevaricatrice, probabilmente originata da disturbo mentale – mercé la sua sottoposizione a misure di natura coercitiva, anche di carattere sanitario.
Siccome nel ricorso, peraltro presentato da entrambi i genitori, non vengono prospettate censure in ordine all’esercizio della potestà genitoriale, è esclusa l’applicabilità degli artt. 330 ss. C.c.; residuerebbe, come attribuzione di questo Tribunale, l’applicazione dell’art. 25 R.D.L. 20.7.1934 n. 1404 che determina una situazione di presa in carico di tipo assistenziale fino al compimento del 21° anno di età, ma tale norma è esclusa dalla circostanza che, nel caso di specie, non trattasi di “minore deviante”, ma di soggetto adolescente affetto da patologia psichiatrica e sarebbe contra legem l’applicazione della normativa richiamata in assenza dei suoi presupposti o per colmare una presunta lacuna, stante la disciplina recata, specificamente, dalla L. n 180 del 1978 e dalla L. n. 833 del 1978, entrambe sui trattamenti sanitari obbligatori.
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunziarsi sulla applicabilità dei trattamenti sanitari obbligatori su pazienti minorenni in sporadiche occasioni e con esiti contrastanti (Pretura di Milano, decreto del 7.1.1983, in Foro Italiano, 1984, I, 3066; Pretura di Milano, decreto del 18.9.1982, in Foro Italiano, 1984, I, 3066; Trib. minori Firenze, decreto 29 maggio 1968; Trib. min. Bari, decreto 7.7.1977; Trib. min. Bari, decreto del 2.7.2009 e T.A.R. Lazio, 8.7.1985 n. 1887, in Dir. Fam., 1985, 998, queste ultime due pronunzie obiter). In particolare risulta problematico, anche in dottrina, il rapporto tra l’incapacità di agire dell’infradiciottenne e la tutela di diritti personalissimi come quello alla salute ed alla libertà personale.
L’interpretazione classica dell’art. 2 C.c. vede il soggetto minore di età assoggettato alla potestà genitoriale, dunque la volontà dei soli genitori sarebbe sufficiente per la sottoposizione del figlio minore a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, anche di natura contenitiva ed a seguito di patologia psichiatrica (Pret. Milano 18.9.1982 cit., Trib. minori Firenze 29 maggio 1968, cit.), per cui l’odierno ricorso potrebbe essere interpretato come richiesta all’A.G. di ordinare alle strutture sanitarie la presa in carico di Giacomo a seguito della manifestata volontà degli esercenti la potestà in tal senso.
Ad avviso di altro orientamento (Pret. Milano 7.1.1983, cit., Trib. min. Bari 7.7.1977, cit.), sostenuto specialmente nella dottrina più recente e condiviso da questo Collegio, l’interpretazione riferita non può essere accolta poiché essa pretermette la considerazione di ulteriori indici normativi, anche di rango costituzionale, che debbono invece essere adeguatamente considerati, anche in una prospettiva storica giacché il giudice è tenuto “in sede di interpretazione di una norma giuridica rimasta immutata nel tempo malgrado sia mutato il quadro normativo di riferimento, a ritenere il significato più possibile coerente con le disposizioni risultanti dal complesso normativo globale in cui la norma da interpretare si trova collocata, facendo a tal fine ricorso, oltre che al criterio letterale e logico, anche a quello sistematico” (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 31 magio 1989, n. 717).
Questi, brevemente, i passaggi argomentativi di maggior rilievo a sostegno della tesi condivisa:
– la scienza sanitaria ha da tempo abbandonato l’idea che l’atto medico sia un processo unilaterale e di natura tecnica cui la volontà del paziente possa solo accedere senza recarvi alcunché di proprio: la determinazione del trattamento terapeutico deve essere frutto di un rapporto dialettico tra medico e paziente, costruendo così quella che è stata chiamata “alleanza terapeutica”, in cui il primo mette le proprie competenze professionali, il secondo il proprio vissuto, i propri valori, le peculiari esigenze, per trarne, assieme, una cura che assicuri la guarigione e rispetti il vissuto del paziente, gli fornisca cioè il “benessere”, concetto non sovrapponibile alla semplice assenza di malattia;
– è emerso, quanto ai soggetti maggiorenni, un diritto alla autodeterminazione anche in ambito sanitario il quale non è collegato alla sola salute, ma è espressivo del generale diritto di libertà dell’individuo (Cass. civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913; Corte d’Assise Firenze, 18 ottobre 1990, in Foro It., 1991, II, 236; Cass. civ. sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, in Foro it., 2007, I, 3025; www.dirittoegiustizia.it; Cass. pen., 16 gennaio 2008, n. 11335; in Riv. pen., 2008, 773; secondo C. Cost. sent. 438/2008, www.cortecostituzionale.it il consenso all’atto medico funge da “sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute”);
– gli artt. 2 e 320 C.c. hanno la loro radice storica nel Codice napoleonico – dove l’incapacità legale del minore era strumento di protezione, tipicamente economica – ed essa, in assenza di qualsiasi disciplina specifica per gli aspetti di natura personale, ha travalicato l’ambito contrattualistico: muovendo da un concetto monolitico di capacità giuridica, intesa come qualcosa di non graduabile né misurabile e sull’assunto che lo statuto normativo del minorenne fosse rappresentato dall’art. 2 c. c., è stato giocoforza escludere l’infradiciottenne da qualsiasi partecipazione alla sua vita in ambito giuridico;
– l’ordinamento presenta diversi indici a favore della gradualità del concetto di capacità, sia in ambito patrimoniale – l’incapace può compiere quegli atti che non richiedano una attività negoziale, ad esempio rendersi acquirente di diritti per invenzione ed occupazione o testimoniare, nonché quelli che pur richiedendo attività negoziale siano di poco rilievo economico, come l’ acquisto di riviste e libri, vestiario; occorrerà invece valutare la sua capacità caso per caso per gli atti non negoziali, ammettendosi quelli volti a tutelare i propri interessi (messe in mora, diffide, interruzione della prescrizione), oppure quelli dovuti (es. l’adempimento) – sia personale – l’ultrasedicenne deve prestare il proprio assenso al riconoscimento tardivo (art. 250., c. 2, C.c.), può chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale per promuovere l’azione di disconoscimento della paternità o di impugnazione del riconoscimento falso (artt. 244, c. 4, e 264, C.c.), può riconoscere il figlio naturale (art. 250, c. 5, C.c.), può contrarre matrimonio, previa autorizzazione del Tribunale (art. 84 C.c.); dai quattordici ai sedici anni acquista la capacità lavorativa (l. 67/77), sebbene non quella per alcuni atti ad essa connessi come quietanze, rinunzie e transazioni; può decidere in merito all’insegnamento religioso confessionale, partecipare agli organi elettivi della scuola ed alla vita associativa in generale (anche politica); il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento deve essere ascoltato nei procedimenti che riguardano la separazione o il divorzio dei genitori (art. 155-sexies, comma 1, c.c., introdotto dalla l. 54/06) -;
– anche il soggetto infradiciottenne è titolare dei diritti costituzionali (cfr. da ultimo ed in maniera espressa Cass. sent. 22080/2009: ” a fronte di un ordinamento precostituzionale ricco di riferimenti alla peculiarità, alla specificità della questione minorile(…)è scelta ben condivisibile quella della Costituzione(…)di porre il minore sul medesimo piano di ogni altro cittadino. Tale prospettiva è rettamente evidenziata dall’analisi degli artt. 2 e 3 Cost., che costituiscono veramente il fondamento di tutto l’edificio costituzionale. Da un lato, è il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, dall’altro l’impegno pubblico a rimuovere gli ostacoli che – limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini – impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Significativamente, nell’una e nell’altra norma è presento il riferimento alla personalità e al suo sviluppo: un’indicazione siffatta, se appare diretta a tutti i cittadini o, ancor di più, a tutti gli individui, pure, come si è detto, si attaglia particolarmente al fanciullo, per il quale lo sviluppo della personalità costituisce un dato fisiologico. Dunque, tutela dei diritti fondamentali del minore (come di ogni individuo)”) ed in tali casi non è giuridicamente corretto collegare il godimento di tali diritti al dato della capacità giuridica senza considerazione alcuna per la capacità naturale (per un collegamento tra libertà personale e capacità naturale, in ambito sanitario – vaccinazioni obbligatorie – si veda, seppure obiter, C. Cost. 27 marzo 1992 n. 132, in Giur. cost., 1992, 1108);
– la giurisprudenza minorile, chiamata a verificare l’adeguatezza dell’esercizio della potestà genitoriale in casi nei quali uno o entrambi i genitori si opponevano alla somministrazione di determinate cure che, seppure invasive, erano ritenute scientificamente appropriate, ha dato rilievo alla capacità di autodeterminazione del minore – concetto ormai entrato nel nostro ordinamento per il tramite di diverse Convenzioni internazionali che sollecitano la considerazione della volontà dell’infradiciottenne – (Trib. min. Brescia, decr. 28 dicembre 1998, App. Brescia, decr. 13 febbraio 1999 e Trib. min. Brescia, decr. 22 maggio 1999, tutti in Nuova giur. civ. commentata, 2000, I, 204, hanno affrontato il caso di una minore che rifiutava di riprendere il ciclo di chemioterapia: di fronte al suo rifiuto si è ritenuto di non poter coartare la sua volontà ; App. Ancona, decr. 26 marzo 1999, in Nuova giur. civ. commentata, 2000, I, 218; Trib. minori Brescia, decr. 25 ottobre 2000, in Minorigiustizia, 2001, 197; Proc. Trib. Venezia, 2 giugno 1998 e Trib. min. Venezia, 7 ottobre 1998, in Dir. fam. e pers., 1999, 689), del resto in linea con quanto deciso anche da altre Corti europee (cfr. sentenza 18 luglio 2002, n. 154, del Tribunale costituzionale spagnolo che, in un caso di un minorenne che rifiutava le trasfusioni di sangue in una maniera così ferma, vivendo con terrore ed agitazioni tali l’intervento dei medici sul proprio corpo da convincere anche i sanitari della impossibilità di eseguire coercitivamente l’intervento, arrivando poi alla morte, affermava: “al di là delle ragioni religiose(…)riveste particolare interesse il fatto che il minore, opponendosi ad un’ingerenza estranea sul proprio corpo, stava esercitando un diritto di autodeterminazione che ha per oggetto il proprio corpo”).
Sulla base di tali premesse non è possibile sostenere che i genitori rappresentino i figli minori anche relativamente alle scelte mediche e ciò, per rimanere al caso concreto ed in disparte di ogni considerazione circa diverse soluzioni astrattamente possibili per soggetti di tenera età, specialmente quando il minore abbia raggiunto una età prossima al raggiungimento della piena capacità di agire, poiché diversamente opinando si giungerebbe alla privazione di diritti personalissimi mercé la sola considerazione del dato formale rappresentato dall’incapacità legale, giungendo al paradosso che il soggetto legalmente incapace ma naturalisticamente capace non possa decidere della propria salute, mentre il soggetto legalmente capace ma naturalisticamente minus, per il tramite dell’istituto dell’amministratore di sostegno, potrebbe esercitare una maggiore autodeterminazione. Del resto, che la rappresentanza genitoriale debba cedere il passo all’accrescersi della capacità naturale del minore, è dimostrato dall’analisi dell’art. 147 C.c. – che rappresenta la potestà genitoriale dal lato funzionalistico – il quale “sta ad indicare che il potere discrezionale dei genitori sui figli va progressivamente riducendosi in rapporto al progressivo accrescersi dell’autonomia e del peso della volontà del minore” (C. Cost., 6 ottobre 1988, n. 957, in Giur. it., 1989, coll. 1).
Esclusa la praticabilità dell’applicazione delle norme che disciplinano l’esercizio della potestà genitoriale ed il suo controllo ad opera del Tribunale per i minorenni, rileva la normativa in tema di trattamenti sanitari obbligatori, di cui alle leggi n. 180 del 1978 e n. 833 del 1978.
Entrambe le leggi non presentano alcuna esplicita esclusione ratione personae per cui non vi è dubbio sulla loro applicabilità anche ai pazienti minorenni.
Del resto il trattamento sanitario obbligatorio tutela la personalità del paziente, sia esso capace di agire o meno, poiché deve essere effettuato ” nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura” (art. 1, c. 2, L. 180/78) e deve essere accompagnato “da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato” (art. 1, c. 5, L. 180/78).
La situazione che giustifica il T.S.O. attuato in degenza ospedaliera, ritenuta questa la richiesta formulata col presente ricorso in ragione delle condotte tenute dal minore in casa e della manifesta incapacità dei genitori a contenerle con i mezzi ordinari, è tale che essa trae origine da una serie di circostanze di fatto – ” alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere ” (art. 2, c. 2, L. 180/78) – che rendono sostanzialmente uguale la posizione del paziente maggiorenne o minorenne; è infatti la proposta motivata del medico, atto a carattere tecnico, a dare inizio alla procedura ed essa, nel considerare le circostanze richieste dalla legge appena richiamate, parte da un dato fattuale, senza considerazione alcuna della capacità giuridica del paziente.
Esclusa la praticabilità delle attribuzioni proprie di questo Tribunale e rinvenuta una disciplina applicabile al caso concreto, va dichiarato non luogo a provvedere sul ricorso.
P.Q.M.
Visti gli artt. 330 e ss. C.c., sentito il P. M., definitivamente pronunziando
dichiara non luogo a provvedere ed ordina l’archiviazione degli atti, mandando la Cancelleria per la comunicazione ai genitori nel domicilio eletto ed al P. M. in sede.
Così deciso in Milano, 30.03.2010
