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Tribunale Milano sez. IV, 10/12/2021, n. 10255

Massima

In materia di compravendita, il dies a quo del termine di decadenza per la denuncia dei vizi è diverso a seconda che essi siano apparenti od occulti, obiettivamente riconoscibili o non riconoscibili e non effettivamente riconosciuti al momento della conclusione del contratto: per i primi, tale momento coincide solitamente con la consegna della cosa e per i secondi ha inizio dal giorno in cui sono divenuti riconoscibili per il compratore.

Supporto alla lettura

Compravendita

La compravendita è il contratto avente per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo  (artt. 1470 ss. c.c.). Si tratta di un contratto consensuale (per il suo perfezionamento è sufficiente il semplice consenso delle parti); traslativo (attua il passaggio della proprietà della cosa o della titolarità del diritto da un soggetto all’altro); a titolo oneroso (entrambe le parti ricevono un vantaggio economico in cambio della loro prestazione); sinallagmatico (a prestazioni corrispettive); commutativo (i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’atto sono valutabili fin dal momento della stipulazione). Pertanto, è imprescindibile, perché si versi nell’ipotesi del contratto tipico de quo che il compratore si impegni a pagare un prezzo espresso e corrisposto in quantità di moneta: nel caso in cui, infatti, la controprestazione avesse ad oggetto un bene di altro tipo, si tratterebbe di “permuta”, la quale consiste, appunto, nello scambio di cosa contro cosa (negozio meglio noto con il nome di “baratto”).La compravendita immobiliare si articola in più fasi: la proposta di acquisto, il preliminare di vendita e l’atto di acquisto vero e proprio. Nei casi in cui non sia possibile procedere con la vendita immediata, si ricorre al contratto preliminare di compravendita immobiliare, chiamato anche compromesso di compravendita.

Ambito oggettivo di applicazione

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

R.P. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 21757/2019 emesso dal Tribunale di Milano il 12 ottobre 2019 con il quale gli si ingiungeva di pagare la somma di euro 5.053,95, oltre interessi e spese, in favore della ECO TRADE COMPANY s.r.l. per la fornitura di merce. A sostengo dell’opposizione ha allegato la diversità del prodotto consegnato da quello ordinato (in particolare “una percentuale d’acqua superiore a quanto promesso”). Ha quindi concluso per:

revocare e porre nel nulla nonché dichiarare privo di ogni effetto giuridico il Decreto Ingiuntivo n. 21757/2019 emesso dal Tribunale di Milano, per i motivi di cui in narrativa. Il tutto con vittoria di spese, competenze e onorari di giudizio;

in via riconvenzionale accertare e dichiarare il danno subito dall’opponente e per l’effetto condannare la Soc. Eco Trade Company Srl al pagamento nei confronti dell’Az. Agricola R.P.” della somma di Euro 6.000,00 oltre al danno d’immagine subito dalla stessa che verrà quantificato in via equitativa.

Si è costituita nella presente fase con comparsa di risposta telematica del 3 marzo 2020 la ECO TRADE COMPANY s.r.l. instando:

Nel merito via preliminare: accertare e dichiarare la nullità, o quantomeno l’inammissibilità, illegittimità ed infondatezza della citazione in opposizione a decreto ingiuntivo e, in ogni caso, delle richieste risarcitorie avanzate da controparte perché generiche, astratte, ipotetiche ed in violazione dei requisiti prescritti dall’art. 163 c.p.c

Concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 21757/2019 RG 41594/2019 emesso dal Tribunale di Milano, ivi opposto, poiché controparte non domanda la sospensione e per i motivi esposti in narrativa e, comunque, non essendo l’opposizione fondata su prova scritta o di pronta soluzione.

Nel merito e in via principale: rigettare l’opposizione e la domanda riconvenzionale proposta dalla R.P. Impresa Individuale nei confronti di Eco Trade Company in quanto infondate in fatto e in diritto e comunque non provate, confermando il decreto ingiuntivo n. 21757/2019 RG 41594/2019 emesso dal Tribunale di Milano

Condannare la R.P. Impresa individuale ai sensi dell’art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni da “lite temeraria” da liquidarsi d’ufficio in via equitativa.

All’esito della prima udienza di comparizione e trattazione (celebrata ex art. 83 comma settimo lett h) del d.l. 17 marzo 2020, n. 18) il g.i. non ha autorizzato la provvisoria esecutorietà al decreto, ha concesso termini di cui all’art. 183 comma sesto c.p.c. e rinviato la causa per la discussione delle eventuali istanze istruttorie all’udienza del 19 novembre 2020. La celebrazione dell’udienza è stata revocata con successiva ordinanza del 3 novembre 2020 con la quale il g.i. ha:

ritenuto inammissibili i capitoli di prova orale dedotti dall’opponente nella seconda memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c. poiché aventi ad oggetto circostanze genericamente formulate (cap, 1,2 ed in parte documentale, 5 in quanto indicativo di una prassi), documentali o da provarsi documentalmente (cap. 3,4 e generico);

ritenuto inammissibili i capitoli di prova orale dedotti dall’opposta nella seconda memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c. poiché aventi ad oggetto circostanze non contestate (cap. 1 ed in parte valutativa e generica,2,3 ed in parte generica,6) genericamente formulate (cap. 4), irrilevanti e/o superflue ai fini della decisione (cap. 5,7);

ritenuto, di poi, intrinsecamente inammissibili i capitoli n. 6,7, e 8 dedotti dall’opponente nella terza memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c. in quanto dedotti a prova diretta;

rinviato la causa all’udienza del 15 luglio 2021 per la precisazione delle conclusioni.

L’udienza è stata celebrata mediante trattazione scritta e le parti hanno concluso come da note scritte ex art. 221 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 depositate il 5 luglio 2021.

L’opposizione è infondata e va respinta.

Sono note le coordinate ermeneutiche in materia di contratti di compravendita. il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo costituisce una mera “fase”, peraltro, eventuale del procedimento c.d. monitorio incardinato inaudita altera parte dal creditore quale domanda diretta alla condanna del debitore al pagamento di una somma di denaro. Ne segue che l’opponente agisce quale attore formale ma in qualità di convenuto sostanziale rispetto al rapporto di credito fatto valere dall’opposto quale attore in senso sostanziale nel rapporto processuale.

Il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SS.UU. 30 ottobre 2001, n. 13533).

In materia di compravendita di beni, tuttavia, in base ai princìpi generali di riparto dell’onere, spetta al compratore provare l’esistenza dei vizi che allega (Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748, Cass. II, 27 aprile 2020, n. 8199). Vizi che devono essere, quindi, sia allegati in modo specifico sia dimostrati nella loro sussistenza.

Il compratore è soggetto a un onere di denuncia dei vizi e a particolari termini di decadenza e prescrizione (art. 1495 c.c.). Il termine per la denuncia è piuttosto breve, soli otto giorni. È un termine di decadenza, che può essere impedito solo se viene compiuto l’atto che elimina la situazione di incertezza; nel nostro caso, solo, se vengono tempestivamente denunciati i vizi annessi alla cosa venduta. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il dies a quo, dal quale decorre il termine di decadenza è diverso a seconda che i vizi siano apparenti e occulti, siano obiettivamente riconoscibili o non riconoscibili e non effettivamente riconosciuti al momento della conclusione del contratto. Il termine di cui si dice per i primi, coincide di solito con la consegna della cosa e per i secondi ha inizio dal giorno in cui essi sono divenuti riconoscibili per il compratore (Cass. II, 10 marzo 2011, n. 5732). È, altresì, orientamento consolidato quello secondo cui: per la denuncia non sono richieste particolari formalità (basta anche l’oralità); essa non deve essere in forma analitica o specifica, con precisa indicazione dei difetti riscontrati, ma può anche essere sommaria, salvo precisare in un secondo tempo la natura e l’entità dei vizi (Cass. 9 maggio 1969, n. 1602), è perfezionata anche se comunicata a un familiare del venditore o al suo rappresentante (Cass. 27 gennaio 1986, n. 539 e 26 ottobre 1960, n. 2908).

La decadenza dall’azione di garanzia per omessa o tardiva denunzia, essendo relativa a diritti disponibili, non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere chiesta o eccepita dalla parte interessata (Cass. II, 10 luglio 1987, n. 6031). Qualora sia eccepita dal venditore la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, incombe sull’acquirente, trattandosi di condizione necessaria per l’esercizio dell’azione, l’onere della prova di aver denunziato i vizi nel termine di legge ex art. 1495 c.c. (infra ex multis Cass. II, Ord. 30 settembre 2019, n. 24348; Cass. II, 14 maggio 2008, n. 12130).

Ciò anche qualora l’acquirente sia convenuto in giudizio per l’esecuzione della sua di prestazione in quanto il principio quae temporalia sunt ad agendum, perpetua sunt ad excipiendum rileva unicamente rispetto alla prescrizione del diritto di opporre la garanzia edilizia non a quello della denunzia del vizio che, comunque, deve essere stata esplicitata nel termine e con i modi di cui sopra. L’art. 1495 comma terzo c.c. prescrive, infatti, che: “il compratore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunciato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna”. Diversamente vi sarebbe un fatto estintivo all’esercizio dell’eccezione impeditiva che il compratore può sollevare per paralizzare la pretesa creditoria.

Seguendo tali coordinate ermeneutiche può convenirsi con la ricostruzione offerta dalla parte convenuta in termini di sussistenza del credito e della sua esigibilità nei limiti di cui appresso.

La sussistenza del rapporto contrattuale e la sua esecuzione in termini di consegna della merce il 23 marzo 2018 sono incontestati tra le parti (la consegna è anche documentata – infra doc. 2 fasc. ECO).

La controversia concerne:

l’oggetto della pattuizione sotto forma della qualità della miscela acquistata in quanto l’opponente allega l’inversione delle percentuali degli “ingredienti” di mais dolce e buccette di pomodoro (80%- 20%) che avrebbero dovuto comporlo;

la decadenza dalla garanzia del vizio di qualità.

Occorre partire da un dato storico- fattuale incontestabile ovvero che l’opponente ha utilizzato e consumato interamente il prodotto acquistato nel periodo che va dalla prima contestazione della merce (4 aprile 2018) al 30 giugno 2020. Su tale dato svolge una difesa giuridicamente contraddittoria in quanto:

solleva una sorta di eccezione “estintiva” del credito – non sospensiva dell’adempimento;

svolge una domanda riconvenzionale di danni che sarebbero occorsi proprio dall’utilizzo della merce che avrebbe avuto il difetto di qualità in parola.

Ora le difese redibitorie- anche se svolte in opposizione alla richiesta creditoria altrui – non possono portare ad una sospensione sine die della prestazione in quanto la parte può richiedere:

la risoluzione del contratto se la cosa non è idonea alla funzione sua svolta;

la riduzione del prezzo proporzionale alla idoneità e valore residuo della cosa.

L’exceptio inadimpleti– astrattamente sollevabile – può avere soltanto natura temporanea fino ad un lasso di sua tollerabilità temporale; di poi, rende irreversibile la lesione dell’interesse creditorio e la parte non può che rivolgersi ai rimedi redibitori.

In questo caso l’attore ha utilizzato la cosa, non ha chiesto (ovviamente) la risoluzione del contratto ma neanche la riduzione del prezzo. Non soltanto vorrebbe esimersi dal corrispondere il prezzo pattuito ma sulla scorta dell’utilizzo della cosa priva delle qualità promesse, il risarcimento del danno derivante da esse. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito giuridico.

Già in questi termini l’opposizione intesa quale difesa svolta rispetto all’azione creditoria deve essere disattesa.

In secundis non si può sottacere l’intervenuta decadenza dalla garanzia per difformità rispetto alle qualità promesse ex art. 1497 c.c. con riferimento alla composizione della miscela vista la macroscopica emersione visiva della stessa da un punto di vista cromatico. La norma richiama espressamente al comma secondo il regime giuridico in materia di garanzia per vizi, compreso quello della decadenza anche in sede di esecuzione del contratto.

Le fotografie prodotte dalla opposta (doc..3 fasc. ECO) dimostrano la riconoscibilità visiva della diversa qualità che non poteva sfuggire ad un soggetto professionale come l’opponente. Risulta acquisito agli atti che:

la consegna sia avvenuta il 23 marzo 2018;

la prima contestazione sull’argomento il 4 aprile 2018, ovvero oltre il termine di decadenza degli 8 giorni.

Sul punto appare fuorviante la difesa spesa dall’opponente riferendosi agli esami di laboratorio necessari per la percezione della difformità. Ora la semplice lettura del rapporto esitato dalle analisi del 4 aprile 2018 rivela che l’opponente le eseguì sul campione predeterminato di: ” Buccetta 80% + mais dolce insilato”. Tanto era evidente ab initio la qualità della merce ricevuta che le analisi furono svolte in relazione ad un suo specifico campione della merce avente già quelle caratteristiche (doc. 4 fasc. R.P.). Di poi, lo si ricorda, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, con riferimento agli effetti di tale garanzia, deve ritenersi che la “ratio” della preclusione dell’azione di risoluzione, prevista dall’ultimo comma, ultimo periodo, dell’articolo 1492 cod. civ., per il caso in cui il compratore abbia alienato o trasformato la cosa venduta, risieda nella oggettiva rilevanza della utilizzazione definitiva della cosa viziata, della quale l’acquirente ha usufruito (infra Cass. II, 25 maggio 2006, n. 12382). La consumazione delle cose generiche equivale a tale utilizzazione e determina la preclusione ad una difesa (esplicita o implicita che sia) che miri alla “esenzione” dal pagamento del corrispettivo nonostante l’utilità ritratta dalla cosa. Se ciò preclude l’azione di risoluzione, a fortiori, lo determina per l’exceptio inadimpleti poiché in questo lo squilibrio sinallagmatico è divenuto definitivamente tale per fatto dell’eccipiente.

L’unico vizio rispetto al quale non è intervenuta la decadenza è quello autenticamente redibitorio della presenza di umidità eccessiva nel composto superiore a quella della qualità media oggetto di specifico riconoscimento (v. doc. 9 fasc. R.P. “il sig. S. G., si recava presso l’Azienda del sig. R.P., e provvedeva a prelevare un campione per effettuare le analisi, ed accertato che il prodotto presentava una percentuale di acqua superiore a quanto promesso, dava la propria disponibilità per il ritiro della merce”). Atto ricognitivo avvenuto successivamente alle analisi svolte dall’opponente (cit. doc. 4 fasc. R.P.) e alla comunicazione dei relativi risultati alla opposta.

Questo difetto, tuttavia, non può trovare sfogo nel presente procedimento in quanto l’opponente non ha eccepito una quanti minoris – quale forma potestativa di difesa – e come tale il giudice non può introdurla d’ufficio. Si tratta di un rimedio manutentivo del contratto che, tuttavia, non può che essere esercitato in via giudiziale dalla parte.

Come anticipato l’azione di risoluzione risulterebbe ex se preclusa in quanto l’acquirente ebbe a consumare interamente la merce dopo aver riscontrato tale anomalia con quel che ne segue in ordine all’impossibilità di far valere la inidoneità della cosa all’uso quale fondamento della risoluzione. In definitiva tale “scarto contrattuale” non è stato fatto valere dalla parte nelle forme potestative previste dalla legge.

Residuerebbe in astratto la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

Si tratterebbe di una domanda riconducibile a quella di cui all’art. 1494 cod. civ., che presuppone di per sé la colpa del venditore, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l’altro, che tale azione si rende ammissibile, in alternativa, ovvero cumulativamente, con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo.

In termini di rito e regime giuridico sostanziale non vi sono ostacoli. In fatto, tuttavia, risulta infondata per difetto di nesso causale materiale ex art. 1227 comma primo c.c. quale norma del codice civile disciplinante la responsabilità, sia sotto il profilo del nesso causale, sia sotto il profilo della natura – che deve essere colposa – della condotta rilevante. Consolidata giurisprudenza di legittimità insegna che, affinché la condotta del danneggiato integri la fattispecie di cui all’articolo 1227, primo comma, occorre che essa costituisca una colposa cooperazione attiva per la realizzazione del fatto dannoso, laddove nel caso in cui il fatto dannoso sia eziologicamente imputabile esclusivamente al danneggiante ricorre la fattispecie di cui al secondo comma dello stesso articolo (tra gli arresti meno risalenti cfr. Cass. sez.3, 9 gennaio 2001 n. 240; Cass. sez.3. 8 aprile 2003 n. 5511, Cass. sez.2, 6 giugno 2007 n. 13242; e cfr. da ultimo Cass. sez. 3, 4 novembre 2014 n. 23426).

Va ricordato che ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e non il fatto in quanto. E tuttavia un “fatto” è pur sempre necessario perché la responsabilità sorga, giacché l’imputazione del danno presuppone l’esistenza di una delle fattispecie normative codicistiche le quali tutte si risolvono nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento o ad una condotta o a cose o a fatti di altra natura, che si trovino in una particolare relazione con il soggetto chiamato a rispondere. Il “danno” rileva così sotto due profili diversi: come evento lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, retto il primo dalla causalità materiale ed il secondo da quella giuridica. Il danno oggetto dell’obbligazione risarcitoria aquiliana è quindi esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo (di cui è un elemento l’evento lesivo). Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria.

Pertanto esistono due momenti diversi del giudizio aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità e la determinazione dell’intero danno cagionato, che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria (v. infra in motivazione Cass. SS.UU. 11 gennaio 2008, n. 576). Difetta nel presente causa la fattispecie materiale in virtù del comportamento “eziologicamente sorpassante” tenuto dal danneggiato-acquirente. L’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227, comma 1, c.c., non costituendo un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, dev’essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte (infra et ex multis Cass. III, Ord. 2 aprile 2021, n. 9200).

L’opponente prospetta un danno – conseguenza costituito dal mancato conseguimento del premio “latte qualità”, “poiché a causa della fornitura de qua, il latte prodotto conteneva cellule somatiche superiori alla quantità richiesta”. In sostanza la merce fornita “non poteva essere utilizzata come cibo per le vacche da latte” in quanto “Il disciplinare per la produzione del Grana Padano, infatti, prevede dei rigidi standard qualitativi del latte e, conseguentemente, i bovini non possono essere alimentati con scarti di altre lavorazioni come le buccette di pomodoro e tale necessità” (infra p. 2 prima memoria ex art. 183 c.p.c. R.P.).

Ebbene l’opponente una volta, a suo dire, acquisiti i risultati di laboratorio sulla qualità della merce (4 aprile 2018), ha deciso di somministrare il “mangime” alle proprie vacche da latte nella piena consapevolezza della sua “inidoneità all’suo particolare” (come prospettato). Riprendendo le fila del discorso di cui sopra, l’opponente avrebbe:

scoperto solo il 4 aprile 2018 la presenza di buccette di pomodoro;

somministrato agli animali tale miscelato nonostante la sua asserita e specifica inidoneità all’uso.

Il contegno attivo dell’acquirente costituisce il fattore predominante e unificante nell’asserita causazione del danno (a prescindere dall’accertamento della sussistenza degli altri elementi della fattispecie) in quanto frutto di una propria autonoma decisione nonostante la “scoperta” della difformità qualitativa del miscelato acquistato. Ciò è tanto più emblematico se si pone l’attenzione sulla offerta svolta dall’opposta di ritirare la merce venduta (doc. 9 fasc. R.P.) in risposta alla comunicazione del 13 giugno 2018 con la quale l’opponente affermava che sarebbe stata a disposizione per il ritiro (anche se oramai deteriorata). Tale asserto stragiudiziale risulta incompatibile logicamente con quella dell’avvenuta consumazione – già occorsa (leggendo gli scritti conclusivi dell’opponente) a quel periodo e, quindi, con il sofferto danno che ne sarebbe derivato.

In definitiva l’opposizione va respinta e il decreto ingiuntivo n. 21757/2019 emesso dal Tribunale di Milano il 12 ottobre 2019 va confermato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate (tenendo conto dello scaglione da euro 1.100,01

a euro 5.200,00) in euro 2.430,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta, e C.P.A.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni domanda o eccezione avversa

rigetta l’opposizione proposta da Pietro R.P. avverso il decreto ingiuntivo n. 21757/2019 emesso dal Tribunale di Milano il 12 ottobre 2019 in favore della ECO TRADE COMPANY s.r.l. e, visto l’art. 653 c.p.c., lo dichiara definitivamente esecutivo;

condanna Pietro R.P. al pagamento delle spese processuali sostenute nella presente fase dalla ECO TRADE COMPANY s.r.l. che si liquidano in euro 2.430,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta, e C.P.A..

Milano, 9 dicembre 2021

Il Giudice

Allegati

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