Lo svolgimento processuale.
Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo può essere omessa, alla luce del nuovo testo dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. (come riformulato dall’art. 45 comma diciassettesimo della legge n. 69 del 2009) nel quale non è più indicata, fra i contenuti necessari della sentenza, la “esposizione dello svolgimento del processo”, essendo richiesta soltanto la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.
Dunque, la vicenda processuale sarà riportata con riferimento ai tratti più salienti e rilevanti ai fini della decisione.
Con atto di citazione ritualmente notificato, C. M. G.B. – in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale nei confronti della figlia A. B. – conveniva in giudizio con azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. S. D.F., G.M.A.D.F. e P. O. F., per sentire dichiarare inefficace nei loro confronti l’atto notarile, datato 31.7.2014 di risoluzione, per mutuo consenso, della donazione datata 10.5.2010, attraverso la quale i genitori di S. D.F., G.M.A.D.F., avevano donato allo stesso il diritto di usufrutto dell’unità immobiliare sita in Milano, via O.
Parte attrice ha esposto in origine in atto di citazione di vantare un credito divenuto inoppugnabile, non essendo stato proposto alcun appello nel termine perentorio alla “sentenza n. 4432/2016”, la quale – respingendo le domande di parte attrice S. D.F. – lo condannava alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta C. M. G. B. per un importo di € 3.487,00 oltre accessori di legge.
Parte attrice poneva inoltre a fondamento dell’azione revocatoria il credito basato sulla sentenza del Tribunale di Milano n. 8298/2018 del 24 luglio 2018 (pag. 5 citazione), la quale aveva accertato che A. B. è figlia di S. D.F., condannando quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite in favore della B. in misura di € 25.254,00 per compensi professionali oltre rimb. forf., IVA e CPA di legge, nonché al pagamento nei confronti di A. e C. M. G. B. – in solido tra loro – della somma ulteriore di € 20.000,00 ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c. oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Nella prospettazione attorea, l’atto dispositivo posto in essere dai convenuti risulta gravemente lesivo della garanzia patrimoniale dell’attrice B. ex art. 2740 c.c. e sussistono i presupposti normativamente richiesti ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria, essendosi privato S. D.F. di qualsivoglia altro bene, sul quale dar corso ad azioni esecutive in caso di mancato pagamento del proprio credito.
La preordinazione dolosa sarebbe inoltre evidente, in ragione del fatto che l’atto di risoluzione per mutuo consenso era stato stipulato per atto notarile a Milano il 31.7.2014 “nel periodo in cui lo stesso aveva dichiarato la non presenza sul territorio dello Stato fino alla fine di agosto 2014 per un incarico professionale all’estero”, sussistendo anche la prova della preordinazione dolosa del terzo, ricavabile “dallo stretto rapporto di parentela esistente, nonché dalla pacifica conoscenza, quanto meno da parte della sig.ra P. O. F., della causa di accertamento giudiziale di paternità intrapresa dall’attrice nei confronti del figlio (nella quale, poco tempo prima dell’atto, aveva deposto quale teste)”.
Si costituivano in giudizio – con comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata in cancelleria in data 21 giugno 2019 – le parti convenute G.M.A.D.F., insistendo per il rigetto di ogni domanda attorea, eccependo in via pregiudiziale di rito solo l’improcedibilità della domanda simulatoria, deducendo inoltre:
– l’insussistenza dei crediti vantati da parte attrice e riferiti a S. D.F., fondati su una sentenza non passata in giudicato e comunque suscettibile di modifica e di annullamento, trattandosi di credito eventuale, per le seguenti ragioni: “…in quanto la sentenza n. 8298 del 24.7.2018… è stata appellata dal sig. S. D.F.… ed è sottoposta al vaglio della Corte d’Appello di Milano…parimenti insussistente è il credito di cui al doc. 6 di parte attrice, in quanto si tratta di domanda proposta anche nel giudizio di accertamento della paternità, sebbene dichiarata inammissibile dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 8298/2018. Si tratta anche in questo caso di credito eventuale, mai precettato da parte attrice ed, inoltre, essendo stato richiesto con l’atto di annullamento in toto della sentenza n. 8298/2018 è, pertanto, suscettibile di annullamento da parte della Corte d’Appello di Milano…”;
– l’insussistenza di un atto di disposizione patrimoniale suscettibile di revocatoria, trattandosi di trasferimento mai avvenuto e quindi di un atto di risoluzione convenzionale ripristinatorio con effetti ex tunc ex art. 1458 c.c., eliminativo dell’effetto giuridico di trasferimento del diritto reale nascente della donazione del 2010, con efficacia retroattiva, anche ai fini dell’imposizione fiscale, come dichiarato in atto notarile (vedi anche Cass. n. 20445/2011);
– l’insussistenza dell’eventus damni ovvero della diminuzione delle garanzie patrimoniali del creditori, essendosi semplicemente ripristinata la situazione di fatto e di diritto in cui si trovava l’immobile ante donazione del 10 maggio 2010, ciò in particolare alla luce della scrittura privata in pari data secondo la quale la predetta donazione sarebbe stata priva di efficacia tra le parti;
– l’assenza del consilium fraudis alla luce della predetta scrittura privata – che di seguito si trascrive – con obbligo di ri-trasferimento nel termine quinquennale, per totale assenza di dolo, anche in ragione del fatto che l’atto di risoluzione per mutuo consenso era avvenuto in data anteriore alla nascita del presunto credito vantato da parte attrice: quando gli odierni convenuti avevano donato al figlio S. D.F. l’usufrutto dell’immobile vi erano gravami ipotecari verso banche per € 310.000,00, mentre quando vi era stata la risoluzione per mutuo consenso nel 2014 l’immobile era libero da trascrizioni pregiudizievoli;
PREMESSO
a) che in data 10/5/2010 le parti hanno stiputato un atto di donazione di usufrutto. In particolare D.F.G.M.A. e F.P.O. hanno donato al |sig. D.F.S. rispettivamente genitori e figlio, l’usufrutto dell’immobile di proprietà sito in Milano, Via O., appartamento al piano terzo del fabbricato C colonna O distinto al Catasto Fabbricati di Milano, Foglio .. mappale .. Via O. – piano 3 zona censuaria 3 – categoria A/3 – classe 3 – vani 6 – rendita castale Euro 641,72 di cui all’atto di donazione a firma del Notato dott. I.G., repertorio n. 48831 – raccolta n. 7068;
b) che le parti dichiarano che l’atto di donazione di cui sopra è da intendersi privo di efficacia in quanto i sig.ri D.F.G.M.A. e F.P.O. continueranno ad abitare l’immobile sito in Milano Via O., ed il sig. D.F.S. non potrà per alcun motivo alienare il diritto di usufrutto né cedere a terzi in locazione l’immobile di cui sopra. Il Kg. D.F.S. continuerà a vivere presse l’immobile sito in Milano, Via A. e non potrà ventare alcun diritto sull’immobile dei propri genitori;
c) che l’abitazione sita in Milano Via O. risulta gravata da due ipoteche legali, una a favore della Banca Antoniana Popolare Veneta Spa dell’importo di Euro 160.000,00 e l’altra a favore del Banco di Brescia, dell’importo di Euro 150.000,00 come risulta, dall’atto di donazione e, pertanto, il sig. D. F. G.M. A. e la sig.ra F.P.O. hanno il timore di perdere la possibilità di vivere nella propria abitazione nell’ipotesi in cui non riuscissero più a pagate tutti i debiti;
d). che la donazione dell’usufrutto al proprio figlio consente al sig. D. F. G. M. A. ed alla sig. F.P.O. di continuare ad abitare nella propria abitazione, anche nell’ipotesi di esecuzione forzata da parte degli istituti bancari creditori di cui al punto c), che rimarrebbero comunque garanti, dalla possibilità di pignorare la nuda proprietà dell’immobile in questione;
Tanto premesso le parti convengono e stipulano quanto segue:
1) la premessa forma parte integrante del presente atto;
2) l’atto di donazione stipulato in data 10/5/2010 di cui al punto a) della premessa è da intendersi privo di effetti tra le parti;
3) il sig. D. F. S. non avrà il possesso del bene né potrà godere della sua utilità e dei suoi frutti sia civili che naturali né potrà cedere il proprio diritto a terzi né locare il bene né concedere ipotesa né avvalersi di ogni altra facoltà insita nel diritto di usufrutto in relazione all’immobile di cui al punto a);
4) i sig.ri D. F. G. M. A. e F.P.O. continueranno ad abitare l’immobile oggetto di donazione;
5) i sig.ri D. F. G. M. A. e F.P.O. si impegnano a ripristinare lo stato di fatto e di diritto in cui si trovava l’immobile di cui al punto a) prima dell’atto di donazione attraverso la risoluzione dell’atto di donazione entro 5 anni dalla stipula dello stesso.
Milano, 10/05/2010
Costituitosi regolarmente il contraddittorio nei confronti di tutti i convenuti, a verbale di udienza ex art. 183 c.p.c. in data 1 dicembre 2020 veniva resa la seguente verbalizzazione: “Si dà atto che come da deposito in PCT l’avv. C. ha notificato presso la residenza del convenuto S. D.F. l’atto di citazione in rinnovazione ed i successivi atti processuali in data 12.6.2020 presso la residenza anagrafica ed in data 10.6.2020 presso lo studio professionale come da originali che vengono oggi prodotti e chiede pertanto dichiararsi la contumacia.
L’avv. M. insiste nell’eccezione di improcedibilità della domanda di simulazione in quanto rientrante in materia sottoposta alla mediazione obbligatoria e comunque eccepisce la prescrizione dell’azione revocatoria.
L’avv. C. in relazione all’improcedibilità precisa che la revocatoria non necessita di mediazione obbligatoria anche se riferita ad immobili, come da sentenza della Corte di Appello di Milano Sez. IV 25.5.2017 in Leggi d’Italia, nonché Tribunale Catania del 29.7.2020 Sezione III e quindi insiste per il rigetto delle eccezioni preliminari e chiede la concessione dei termini ex art. 183 comma 6 numeri 1, 2 e 3 c.p.c., rilevando che l’azione è stata iniziata ben prima del decorso del termine di prescrizione quinquennale.”
Con ordinanza emessa in data 6 dicembre 2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza che precede in data 1 dicembre 2020, lo scrivente giudice così provvedeva: “…rilevato il perfezionamento della notifica a mani di addetto incaricato alla ricezione/portiere in busta chiusa in data 12.6.2020, con avviso a mezzo raccomandata al destinatario in data 17.6.2020 e quindi con successiva C.A.N. ex art. 139 c.p.c., come da residenza dichiarata in atti in Milano Via Orbetello n. 1 dallo stesso D.F., nel rispetto dei termini a comparire ex art. 163 bis c.p.c.; vista la richiesta dei termini ex art. 183 co. 6 numeri 1, 2 e 3 c.p.c. formulata all’udienza dalla parte attrice; PQM rigetta allo stato l’eccezione di improcedibilità per difetto di mediazione formulata dai convenuti F. e D.F. e non concede termine di giorni 15 per l’introduzione del procedimento di mediazione obbligatoria; dichiara la contumacia dell’avv. S. D.F. quale parte convenuta; concede alle parti i termini ex art. 183 co. 6 numeri 1, 2 e 3 c.p.c. decorrenti dalla comunicazione della presente ordinanza a cura della cancelleria, fissando udienza per la discussione ed ammissione dei mezzi istruttori in data 23 marzo 2021 ore 9.45.”
All’udienza di ammissione e discussione sui mezzi istruttori tenutasi per via telematica in data 23 marzo 2021, i difensori delle parti rendevano la seguente verbalizzazione: “L’avv. C. chiede in principalità fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ritenendo la causa matura per la decisione e solo in via subordinata chiede ammettersi i mezzi istruttori di cui alla memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. quanto alla richiesta di ordine di esibizione; contesta altresì il contenuto della memoria avversaria ex art. 183 co. 6 n. 3 c.p.c. e la relativa documentazione.
L’avv. M. non si oppone alla richiesta di precisazione delle conclusioni, ritenendo anch’egli la causa matura per la decisione e comunque si oppone all’ordine di esibizione come in atti, richiamando le proprie memorie autorizzate integralmente.”
Con ordinanza emessa in data 24 marzo 2021, a scioglimento della riserva assunta all’udienza che precede in data 23 marzo 2021, lo scrivente giudice così provvedeva: “Rigetta l’istanza istruttoria di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. richiesto nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. di parte attrice depositata per via telematica il 5.2.2021; fissa per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 15 giugno 2021 ore 10:15.”
La causa veniva infine trattenuta in decisione – come da verbale/ordinanza di trattazione scritta dell’udienza di PC in data 15.6.2021 – con contestuale concessione dei termini ordinari di legge per il deposito degli scritti conclusivi contenenti le difese finali ex art. 190 c.p.c., incombente processuale seguito dal deposito delle comparse conclusionali e della memoria di replica della parte attrice (che produceva anche nota spese giudiziali) e dei convenuti costituiti.
Come noto, giova premettere che ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, i presupposti che devono ricorrere sono tradizionalmente indicati nella sola esistenza di un debito, ancorché non concretamente esigibile, nel requisito oggettivo dell’eventus damni e nel requisito soggettivo della scientia damni; tramite detta azione, “il creditore può conseguire la declaratoria di inefficacia, nei suoi confronti, degli atti di disposizione pregiudizievoli posti in essere dal debitore, così conservando integra la garanzia offerta dal patrimonio di quest’ultimo” (Trib. Treviso, n. 382/2016).
2. L’improcedibilità della domanda di simulazione per assenza della mediazione obbligatoria.
Parte convenuta ha reiterato l’eccezione in sede di precisazione delle conclusioni, ma tale formulazione è assorbita nell’espressa rinuncia di parte attrice della domanda simulatoria, come si desume dalle conclusioni da quest’ultima precisate, che attengono solo alla richiesta di revocatoria ex art. 2901 c.c.
In ogni caso si deve integralmente richiamare e confermare quanto già statuito nell’ordinanza in data 6 dicembre 2020 per rigettare l’eccezione di improcedibilità per difetto di mediazione formulata dai convenuti F. e D.F., senza necessità di dover concedere un termine di giorni 15 per l’introduzione del procedimento di mediazione obbligatoria, con la motivazione che segue:
“rilevato che la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 2 maggio 2017 est. Barbuto, ha ritenuto quanto segue con motivazione condivisibile e che viene qui trascritta:
rilevato che l’appellante principale lamenta, in secondo luogo, che abbia errato il Tribunale nel pronunciare sul merito della lite, pur in mancanza di previo esperimento della procedura di mediazione, qui obbligatoria, avuto riguardo al “rapporto causate sottostante che – nel caso di specie – riguarda appunto diritti reali” (appello, pag.6), perciò, condizione di procedibilità della domanda giudiziale;
ritenuto, secondo la Corte, che anche tale censura sia infondata, poiché la funzione dell’azione revocatoria ordinaria è soltanto quella di ricostituire la garanzia generica ex art. 2740 c.c., tramite l’inefficacia relativa dell’atto dispositivo, sicché non v’è controversia alcuna sulla validità dell’atto, né, tantomeno, solforici etto della disposizione;
rilevato che già in tema di mediazione nel rapporto con l’azione revocatoria si è espressa la giurisprudenza di merito aderendo ad una impostazione condivisibilmente restrittiva: cfr. Tribunale Pavia, 27 ottobre 2011 – Est. Balba “La mediazione cd. obbligatoria, prevista dall’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010, costituisce una condizione per l’esercizio dell’azione giudiziaria, altrimenti libero, con la conseguenza che l’elenco di materie, contenuto nella norma, in relazione alla quali il previo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, deve essere interpretato restrittivamente. Ne deriva che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., anche se giustificata da un contratto bancario che ricade sotto il fascio applicativo dell’art. 5, I cit., non deve essere preceduta dall’obbligo preliminare della mediazione“; cfr. Tribunale Varese Sez. I Ord., 10/06/2011 “La mediazione cd. obbligatoria, prevista dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, costituisce una limitazione alla regola generale dell’accesso diretto alla Giustizia, e, come tutte le ipotesi di giurisdizione cd. condizionata, costituisce quindi una norma eccezionale non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica. Ne consegue che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., anche se giustificata da contratti che ricadono sotto il fascio applicativo dell’art. 5, 1 cit., non deve essere preceduta dall’obbligo preliminare della mediazione“; cfr. sempre in tema di revocatoria e contratti bancari, Tribunale di Milano, II sez. Civile, est. Giudice dr. Rossetti, ha, stabilito che la necessità di esperire il tentativo di mediazione c.d. obbligatoria, prevista dall’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010, costituisce una condizione per l’esercizio dell’azione giudiziaria, altrimenti libero.
Di conseguenza, l’elenco di materie contenuto nella norma deve essere interpretato restrittivamente.
Ne deriva che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., anche se giustificata da un contratto bancario, non deve essere preceduta dall’obbligo preliminare della mediazione riguardando una controversia in materia di conservazione della garanzia patrimoniale e nello specifico, il Giudicante ha stabilito che: “nel caso di specie il contratto bancario di cui si discute costituisce esclusivamente il titolo in virtù del quale l’attrice ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della società (omissis), deve in ogni caso darsi seguito all’interpretazione fornita dalla maggioritaria giurisprudenza di merito (v. ad es. Trib. Pavia, sez. I, 26 ottobre 2011; Trib. Varese, 10 giugno 2011) secondo cui l’azione revocatoria non è relativa ad una controversia in materia di contratti bancari, essendo in quest’ambito inscrivibili le sole cause in sui si faccia discussione delle obbligazioni negoziali che dal contratto scaturiscono, ovvero ancora si metta in discussione la validità o efficacia della stipula.
Esercitando l’azione ex art. 2901 c.c., invece, si attiva un mezzo di tutela del diritto di credito e, quindi, l’azione è relativa ad una controversia in materia di conservazione della garanzia patrimoniale.
Non è possibile, poi, l’interpretazione analogica o estensiva dell’art. 5, comma 1 bis, d.lgs. n. 28 del 2010 atteso che la giurisprudenza costituzionale ha enunciato, ad esempio nella sentenza n. 403 del 2007, il generale per cui deve essere garantito l’accesso immediato alla giurisdizione ordinaria ed ha ammesso che questo può essere sì ragionevolmente derogato, introducendo forme di giurisdizione cd. condizionata tramite disposizioni di legge, le quali vanno però considerate “di stretta interpretazione; rilevato che in tema di mediazione obbligatoria a pena di improcedibilità la interpretazione restrittiva impone di considerare come – analogamente all’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. proposta in via principale e che ha funzione reintegrativa della garanzia patrimoniale – l’azione di simulazione assoluta è un’azione contrattuale anche quando sia volta a privare di efficacia tra le parti un negozio traslativo di un diritto reale ex art. 1414 c.c., ragion per cui la tutela giurisdizionale domandata in via diretta appare di tipo contrattuale e non reale né di tipo possessorio né petitorio, venendo in considerazione il diritto di usufrutto solo quale petitum mediato e ius ad rem a valle dell’azione contrattuale predetta, mentre la mediazione obbligatoria nell’intento del legislatore deve riguardare le cause inerenti direttamente la proprietà, il possesso, o diritti reali minori quali diritti “assoluti” e non quali pretese restitutorie o sottostanti, come nel caso della riconsegna di bene mobile a valle dell’azione di risoluzione; rilevato che in ultima analisi non viene in questione quale petitum immediato l’usufrutto ma soltanto in via mediata, essendo l’azione volta in via diretta ed immediata a sentire dichiarare l’inefficacia, ex art. 1414 c.c. e comunque la revocabilità ex art. 2901 c.c. del predetto negozio con proposizione di azioni costitutive relative a situazioni giuridiche in via diretta volte a tutelare pretese contrattuali o derivanti da diritti “relativi” di obbligazione o ex art. 2740 c.c.”.
3. L’eccezione di prescrizione formulata dai convenuti costituiti.
In sede di precisazione delle conclusioni, la parte convenuta ha eccepito quanto segue in via preliminare di merito: “dichiarare l’intervenuta prescrizione dell’azione revocatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 2903 cod. civ., poiché l’atto di citazione è stato notificato oltre il termine di 5 anni dall’atto in ipotesi revocabile”.
In realtà l’eccezione è intempestiva e la parte convenuta risulta decaduta dalla sua formulazione, atteso che la parte convenuta “A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, come appunto l’eccezione di prescrizione (che deve essere opposta da chi vi abbia interesse), ex art. 2938 c.c.
In realtà, nelle conclusioni e nella narrativa della comparsa di risposta tempestivamente depositata in data 21 giugno 2019, era contenuta quale unica eccezione pregiudiziale in rito la improcedibilità della domanda di simulazione (per difetto di preventiva instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria), ma non l’eccezione preliminare di intervenuta prescrizione, formulata per la prima volta a seguito della costituzione di nuovo difensore a pagina 2 della memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c., depositata per via telematica in data 5 gennaio 2021.
Come noto, l art. 2903 c.c. dispone che “l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto”.
Secondo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5889 del 24/03/2016, conforme Sez. 3 – , Sentenza n. 11758 del 15/05/2018 “La disposizione dell’art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, su un’azione revocatoria ordinaria di costituzione del fondo patrimoniale, ha ritenuto la decorrenza della prescrizione non dalla stipula dell’atto, ma dal giorno dell’annotazione dell’atto stesso nei registri dello stato civile).”
In particolare, come si desume dallo stesso doc. 3 di parte convenuta, l’atto di risoluzione di cui si richiede la revoca ex art. 2901 c.c. – compiuto in data 31.7.2014 – ha avuto pubblicità nei registri immobiliari conservatoria di Milano 1 in data 3 settembre 2014, con domanda di annotazione presentazione n. 32 reg. gen. N. 44556 e reg. part. N. 5277, con la conseguenza che il termine di prescrizione sarebbe maturato e scaduto solo in data 3 settembre 2019.
In realtà, nei confronti dei convenuti oggi costituiti, l’eccezione è anche nel merito infondata (ove mai potesse ritenersi ammissibile), atteso che essi i sono costituiti in data anteriore al 3 settembre 2019 e segnatamente con comparsa di risposta del 21 giugno 2019, dopo aver ricevuto la notifica in data 29 gennaio 2019, quale valido ed efficace atto idoneo ad interrompere la prescrizione di cinque anni prima del suo decorso.
Con riferimento al convenuto contumace S. D.F., che non costituendosi non ha mai eccepito la prescrizione (e quindi la trattazione della medesima è superflua), deve precisarsi che la prima notifica era stata tentata in data 29 gennaio 2019 e ciò è sufficiente a fini interruttivi della prescrizione: la giurisprudenza di legittimità con una pronuncia espressione dell’orientamento nettamente maggioritario e qui condiviso (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 13070 del 25/05/2018) ha infatti opinato che “La nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non impedisce l’effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione previsto dal combinato disposto degli artt. 2943, comma 1 e 2945, comma 2, c.c., atteso che, nel silenzio delle norme citate, la “notificazione” cui allude la prima di tali disposizioni deve essere intesa come atto meramente esistente, prescindendo dalla sua validità formale, secondo il criterio distintivo tra nullità ed inesistenza della notifica indicato dalle Sezioni Unite (sent. n. 14916 del 2016), il cui insegnamento, incentrato sul principio di strumentalità delle forme degli atti processuali, risulta dirimente in relazione a tutti gli argomenti, sia di carattere letterale che sistematico, fondanti i precedenti diversi orientamenti che, con interpretazioni sostanzialmente integrative (se non correttive) delle norme coinvolte, avevano inserito nel meccanismo di cui agli artt. 2043 e 2945 c.c. una eccezione di inoperatività nell’ipotesi di notifica nulla.” (in tal senso anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 24822 del 09/12/2015 (Rv. 637603 – 01) “La regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario.“).
In tal senso, è sufficiente la mera esistenza dell’atto notificando in uno con la consegna all’ufficiale giudiziario perché si tratti di un effettivo atto di esercizio del diritto, ove manchi la sua conoscenza legale, posto che per il combinato disposto degli articoli 2943-2945 c.c., “La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio”.
L’eccezione di prescrizione è pertanto tardiva ed inammissibile (oltre che infondata) e non specificamente svolta o motivata dagli odierni convenuti.
4. Il credito vantato dalla parte attrice.
Va premesso che legittimato all’azione ex art. 2901 c.c. è colui che vanta un credito nei confronti dell’autore dell’atto che si intende revocare, asseritamente leso dall’atto di trasferimento immobiliare, di cui viene domandata la declaratoria di inefficacia nei propri confronti.
Deve premettersi che secondo il condivisibile orientamento espresso da ultimo da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 22/03/2016 “L’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore.“; conf. Cass. n. 9855/2014; Cass. n. 1893/2012; Cass. n. 5359/2009; Cass. n. 24757/2008; Cass. n. 20002/2008; conformi le successive Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 23208 del 15/11/2016 (Rv. 642978 – 01) “In tema di azione revocatoria ordinaria, l’art. 2901 c.c. accoglie una nozione lata di “credito”, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi restitutori…”; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 1593 del 24/01/2020; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 11121 del 10/06/2020 (Rv. 658141 – 01) “Nel caso di credito litigioso, comunque idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, per stabilire se esso sia o meno sorto anteriormente all’atto di disposizione del patrimonio è necessario fare riferimento alla data del contratto, ove sia un credito di fonte contrattuale, o a quella dell’illecito, qualora si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito.).”
Secondo l’orientamento iniziato da Cass. Sez. U, Ordinanza n. 9440 del 18/05/2004 “Poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 cod. proc. civ. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico – giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito“; Conf. Sez. 1, Sentenza n. 17257 del 12/07/2013 (Rv. 627499 – 01) “Quando oggetto dell’azione revocatoria ordinaria sia una “res” litigiosa, la definizione dell’eventuale controversia sull’accertamento del credito non costituisce l’antecedente logico-giuridico indispensabile della pronuncia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto a sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., neppure in generale ponendosi il conflitto pratico tra giudicati che tale norma intende evitare, non si pone in via generale, in quanto l’accertamento svolto “incidenter tantum” dal giudice dell’azione revocatoria in ordine al credito contestato è esclusivamente finalizzato ad ottenere l’inefficacia dell’atto pregiudizievole alle ragioni del creditore, ma non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente“; conf. Sez. 3, Sentenza n. 2673 del 10/02/2016 (Rv. 638928 – 01); conf. Da ultimo Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3369 del 05/02/2019 (Rv. 653004 – 01).
Il credito di parte attrice è suffragato da quanto esposto dalla narrativa, nonché per tabulas documentato ed in particolare ab initio dalle statuizioni di condanna alle spese di lite e per responsabilità a titolo di danni ex art. 96 cpc a carico di S. D.F., in virtù delle sentenze del Tribunale di Milano n. 4332 del 2016 (doc. 6 parte attrice) – per la quale risulta esservi stato adempimento spontaneo da parte di S. D.F. (doc. 13 parte convenuta) – e n. 8298/2018 (doc. 9 parte attrice), entrambe successive all’atto revocando compiuto il 31 luglio 2014.
La seconda sentenza è stata appellata e l’appello è stato integralmente rigettato (doc. 25 di parte attrice) con sentenza della Corte d’Appello di Milano in data 10 dicembre 2020, pubblicata il 14 gennaio 2021, n. 123/2021, rg n. 3713/2018: parte convenuta afferma in proposito che vi sarebbe stato ricorso per Cassazione, trattandosi dunque di credito litigioso, che non consentirebbe l’accoglimento dell’azione revocatoria in quanto sub iudice.
Tale difesa appare priva di pregio, atteso che il credito litigioso, in base al pacifico orientamento della S.C. diffusamente sopra riportato, è idoneo a sorreggere l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., tanto più come nel caso di specie oggetto di un doppio conforme vaglio giurisdizionale in primo ed in secondo grado; l’eventuale accoglimento del ricorso per Cassazione al più impedirà l’esercizio dell’azione esecutiva sul bene immobile, trattandosi peraltro di azione ad inefficacia relativa.
Nell’atto di citazione la prospettazione originaria era stata nel senso di chiedere l’accoglimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. rispetto a crediti per condanne giudiziali intervenute successivamente (2016 e 2018) rispetto all’atto revocando del 31 luglio 2014, laddove nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. del 7 gennaio 2021 (pag. 5) parte attrice ha poi precisato che il fondamento del proprio credito è anteriore all’atto revocando, nei termini che seguono: “Ed è pacifico che l’obbligo al mantenimento di un figlio grava sul genitore sin dal momento della nascita, anche se poi questa viene accertata, in via giudiziale, in un momento successivo (si veda, per tutte, Cassazione Civile, Sezione Prima, Sentenza del 10.4.2012, numero 5652). Appare quindi del tutto superfluo disquisire sulle infondate argomentazioni avversarie, sulla natura dell’azione di accertamento giudiziale di paternità. Sebbene si possa concordare che la sentenza che accerti la paternità abbia natura dichiarativa (e quindi necessiti la definitività per gli effetti sullo stato), occorre altresì osservare che le statuizioni accessorie, come la condanna alle spese e la condanna al risarcimento dei danni ex articolo 96 del c.p.c., sono pacificamente immediatamente esecutive (si veda, a mero titolo di esempio, Cassazione Civile, Sezione Terza, Ordinanza del 5.6.2020, numero 10826).”
Non pare allo scrivente giudice che si tratti di una inammissibile mutatio libelli né che si versi in ipotesi di indebita estensione del thema probandum con passaggio dell’oggetto di prova dal “dolo specifico” al “dolo generico”, come eccepito dai convenuti costituiti con rinvio alla (piuttosto datata) sentenza della Cassazione Sez. 3, n. 13446 del 29/05/2013.
Infatti, la causa petendi ed il fatto costitutivo dell’accertamento giudiziale di paternità e delle relative pronunce sul punto era stato tempestivamente introdotto da parte attrice ed aveva formato oggetto di contraddittorio specifico anche nella comparsa di risposta dei convenuti con riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano, sez. IX Civile, n. 8298 del 2018 che, per la prima volta aveva accertato giudizialmente – con efficacia dichiarativa ex tunc a far data dalla nascita – che A. B., nata a Milano in data .., è figlia del convenuto contumace S. D.F..
Dalla citata sentenza deriva la conseguente sussistenza degli obblighi alimentari e di mantenimento a far data appunto da inizio 2007, trattandosi in tal senso di credito anteriore all’atto revocando, senza che per questo motivo possa parlarsi di mutatio libelli inammissibile: si tratta infatti di una vicenda sostanziale senz’altro connessa a quale introdotta in giudizio; il credito vantato è infatti fondato sull’obbligo retroattivo di mantenimento/alimentare discendente dalla stessa sentenza in materia di famiglia prodotta con l’atto introduttivo e fondante la pretesa non solo per condanna alle spese e ai danni per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc.
Quanto alla sussistenza di tale posizione creditoria da parte del genitore S. D.F. a far data dal 15 gennaio 2007 e fin dalla data di procreazione, quale circostanza nota e conoscibile dal contumace e dai suoi genitori (data la vicinanza parentale), occorre richiamare Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012 (Rv. 622137 – 01) secondo la quale “L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.” (in tal senso anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26205 del 22/11/2013: “L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento.”
Del resto, che si tratti di una consentita mutatio libelli è conforme ai principi di economia e concentrazione processuale (quale riflesso della ragionevole durata ex art. 111 Cost.) e discende dal recente orientamento della S.C. divenuto pacifico a seguito delle plurime pronunce che qui si citano: Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 32146 del 12/12/2018 (Rv. 651641 – 01) “Esorbita dai limiti di una consentita “emendatio libelli” il mutamento della “causa petendi” che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente“; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 27566 del 21/11/2017 (Rv. 646846 – 01) “La modificazione della domanda ammessa in corso di causa può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), purchè la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall’art. 183 c.p.c.. Ne consegue che detta modificazione, qualora avvenga dopo la scadenza del termine ex art. 183, comma 6, c.p.c., risulta inammissibile; qualora formulata per la prima volta in appello, costituisce un “novum” inammissibile, vietato dall’art. 345, comma 1, c.p.c..“; ma soprattutto Cass. Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015 “La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali…”
Sussiste pertanto pienamente il diritto di credito di parte attrice per spese di lite e danni ex art. 96 c.p.c. oltre che per obblighi alimentari verso la figlia, non rilevando che si tratti di credito litigioso, non essendo stata peraltro prodotta prova del deposito del ricorso per cassazione.
5. L’elemento oggettivo: il pregiudizio alle ragioni dei creditori per effetto dell’atto a titolo gratuito revocando.
Ciò posto, deve evidenziarsi che l’art. 2901 c.c. richiede, inoltre, quale requisito oggettivo dell’azione revocatoria, il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dall’atto di disposizione compiuto dal debitore (c.d. eventus damni); tale pregiudizio, consistente nell’insolvenza del debitore, deve essere conseguenza diretta dell’atto revocando e va riferito al momento dell’atto dispositivo, dal quale deve derivare direttamente la lesione della garanzia patrimoniale.
Ulteriore presupposto per l’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. è il pregiudizio che dall’atto impugnato deriva (o possa derivare) alle ragioni dell’attore – creditore.
A tal fine va ricordato che, avendo l’actio pauliana la funzione di ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore e non la garanzia specifica, per la configurabilità del pregiudizio alle ragioni dello stesso, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore, tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità.
In particolare, per l’integrazione dell’elemento oggettivo dell'”eventus damni” non è necessario che l’atto dispositivo abbia reso del tutto impossibile la soddisfazione del credito, essendo invece sufficiente che tale atto abbia determinato maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo.
Il creditore risulta conseguentemente pregiudicato sia quando il patrimonio del debitore diventa incapiente, sia nell’ipotesi in cui il creditore, a seguito dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, sia costretto ad intraprendere procedure maggiormente dispendiose, aleatorie o lunghe ovvero quando sussista un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità (ad es. trasformazione del bene immobile in denaro fungibile e per definizione meno aggredibile in sede esecutiva).
Ciò in quanto l’azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica del patrimonio del debitore assicurata al creditore, ma anche di garantire uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia.
Non è, quindi, richiesta la prova della totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma solo il compimento di un atto che la renda più incerta o difficile.
Ad avviso di chi scrive, non è concretamente sostenibile che l’atto di risoluzione per mutuo consenso della donazione non sia lesivo delle ragioni di creditorie della parte attrice, al di là della rimozione retroattiva degli effetti del trasferimento del diritto reale di usufrutto con efficacia ex art. 1458 c.c.
Deve ritenersi che la lesione al patrimonio si sia verificata, atteso che per un rilevante periodo temporale (dal 10 maggio 2010 al 31 luglio 2014) – a fronte di un diritto al mantenimento della figlia A.B. sorto fin dal gennaio 2007 – la consistenza patrimoniale aggredibile di S. D.F. si era “arricchita” dell’usufrutto economicamente valutabile e separato dalla nuda proprietà, anche autonomamente aggredibile, a seguito di donazione con atto pubblico, consistenza patrimoniale repentinamente venuta meno a seguito dell’atto risolutorio per mutuo consenso.
Non v’è dubbio che l’aspettativa giuridica di soddisfazione del diritto di credito di chi agisce sia stata frustrata – anche in termini di legittimo affidamento – con annessa lesione dell’apparenza di aggredibilità di tale diritto immobiliare, a fronte della mancata dimostrazione da parte dei convenuti e dello stesso S. D.F. (rimasto contumace) della permanenza di un residuo patrimonio immobiliare aggredibile o di altri diritti reali; nulla conta che l’effetto giuridico sia stato eliminato ora per allora, atteso che per una rilevante unità di tempo le chances di soddisfazione esecutiva erano maggiori per effetto della mutata (in melius) consistenza patrimoniale; anzi, la retroattività degli effetti della risoluzione per mutuo consenso vieppiù conclama tale lesione ed il danno all’aspettativa creditoria, divenuta impossibile ora per allora.
In una fattispecie similare si pone anche l’orientamento espresso da (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 338 del 11/01/2001), che conferma la sussistenza del danno anche in presenza di un sottostante accordo simulatorio che – come si vedrà – non è opponibile in assenza di data certa all’odierna parte attrice che si configura come terza estranea rispetto ad esso: “Perché l’accordo simulatorio possa essere fatto valere, per accertare l’effettiva realtà negoziale, da quei terzi i cui diritti ne siano pregiudicati (e, in particolare, dai creditori del simulato alienante) o perché la simulazione non possa essere opposta ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente (ed ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni oggetto del contratto simulato) è necessario che il terzo sia titolare di una situazione giuridica connessa o dipendente o che in qualche modo possa essere influenzata dall’accordo simulatorio, nel senso che essa venga meno o diminuisca nella sua consistenza e divenga difficilmente attuabile in concreto in conseguenza del permanere dell’accordo simulatorio, o del discoprimento della simulazione con la conseguente manifestazione esteriore della effettiva realtà giuridica esistente tra le parti dell’accordo simulatorio.”
Dunque, è sufficiente la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore causata dal compimento del predetto atto, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, essendo stati sottratti i beni ad un verosimile pignoramento immobiliare di parte attrice.
Sotto il profilo probatorio, spetta al creditore il solo onere di provare la variazione patrimoniale (quantitativa e/o qualitativa) determinata dell’atto di disposizione impugnato, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che nonostante tale negozio il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente, anche all’attualità, le ragioni creditorie.
In particolare, l’onere probatorio del creditore si restringe alla dimostrazione della variazione patrimoniale; per contro è il debitore il quale deve provare che, nonostante l’atto di disposizione, il suo patrimonio abbia conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà.
Ciò detto non può dubitarsi della sussistenza nel caso di specie dell’eventus damni.
L’atto impugnato ha, infatti, comportato una rilevantissima modificazione, sia quantitativa che qualitativa, del patrimonio del debitore, dal momento che ha comportato l’impossibilità di una esecuzione relativamente all’usufrutto immobiliare, diminuendo grandemente se non compromettendo totalmente la garanzia patrimoniale generica.
In realtà non è stata fornita alcuna prova all’attualità (e nemmeno al momento dell’atto revocando) – attraverso idonee visure ipotecarie e catastali (terreni e fabbricati) – che S. D.F. sia dotato di un patrimonio immobiliare del tutto capiente a garantire la soddisfazione in sede esecutiva dei crediti di parte attrice, in proprio ed anche quale esercente la potestà genitoriale nei confronti di A.B., titolare di diritti alimentari e di mantenimento a seguito dell’accertamento giudiziale di paternità con “doppia conforme”.
Anzi a ben vedere manca l’allegazione e dimostrazione di assenza di pregiudizio per effetto di un residuo patrimonio aggredibile o anche di altri redditi, utilità economiche da ritenersi dunque non esistenti e non valutabili in questo giudizio.
Conseguentemente, si ritiene l’integrazione dell’ulteriore requisito dell’eventus damni, quantomeno nel senso della variazione peggiorativa, in senso quantitativo e qualitativo, del patrimonio del debitore, con conseguente messa in pericolo e rischio di infruttuosità della soddisfazione del credito vantato da parte dell’attrice, in ragione del venir meno della garanzia generica sul diritto reale minore insistente sugli immobili, che sarebbero stati l’unica speranza di (non minimale) concreta soddisfazione in sede esecutiva del credito per effetto del vincolo del pignoramento immobiliare.
Del resto, il pregiudizio patrimoniale appare ancora più intenso rispetto a quello verificatosi nell’unico precedente noto, citato e riportato ampiamente in memoria di replica anche dalla convenuta, ove si discettava di risoluzione per mutuo dissenso di donazione di nuda proprietà, laddove l’usufrutto ha un contenuto economicamente e giuridicamente valutabile ben più pregnante (sentenza del Tribunale di Roma in data 10 ottobre 2019, n. 19515, che ha argomentato quanto segue in relazione al pregiudizio dell’attore: “Ancora in via di fatto, deve ritenersi provato che con i suddetti atti di trasferimento, il convenuto F.D.G. si sia reso del tutto impossidente. Detta circostanza, allegata da parte attrice, non è stata contestata dal convenuto sul quale gravava, invero, l’onere di dimostrare la residua capienza del suo patrimonio per garantire la fruttuosità dell’eventuale esecuzione: sulla base del generale principio di distribuzione dell’onere probatorio – “è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore”. (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018). Nella specie, il debitore nulla ha eccepito o dimostrato in tal senso.”
6. La scrittura privata del 10 maggio 2010 per la quale i convenuti invocano la natura giuridica di accordo simulatorio sottostante.
Tale scrittura privata è assolutamente priva di data certa, risultando carente qualunque timbro postale e non risultando neppure inviata e ricevuta a mezzo Posta Elettronica Certificata, fatto che avrebbe conferito piena certezza alla data predetta, il che sarebbe stato anche facilmente fruibile dal convenuto contumace S. D.F., professionista avvocato dotato di PEC per l’esercizio dell’attività professionale.
L’assenza di data certa è stata eccepita tempestivamente nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. del 7 gennaio 2021 depositata per via telematica da parte attrice, che non l’ha mai ritenuta a lei opponibile, sostenendo anche in comparsa conclusionale (ad avviso di chi scrive correttamente) che “…la scrittura privata datata 10.5.2010 (della quale la risoluzione per mutuo consenso della donazione costituirebbe l’adempimento) sia stata evidentemente redatta in un momento successivo all’introduzione del presente giudizio… Lo S. D.F., di professione Avvocato, era poi una parte qualificata per comprendere l’importanza di conferire data certa alla richiamata scrittura, che avrebbe potuto ottenere in altri modi (per esempio, attraverso la registrazione del documento, oppure, molto più semplicemente, attraverso l’inoltro della scrittura a mezzo del Servizio Postale; oppure, ancora, l’invio della stessa tramite comunicazioni di P.E.C.). La scrittura privata apparentemente datata 10.5.2010, pertanto, nulla può rilevare nella presente sede, essendo solo un maldestro tentativo di giustificare l’ingiustificabile…”
In particolare, ciò la rende del tutto inopponibile all’odierna parte attrice e non consente di sostenere che il ri-trasferimento a distanza di cinque anni possa costituire adempimento di atto dovuto (che sarebbe in ogni caso revocabile attesa la natura fraudolenta e dannosa delle ragioni creditorie, vedi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9970 del 16/04/2008), idoneo a paralizzare l’accoglimento dell’azione revocatoria; parte attrice è terza rispetto alla scrittura ed anzi direttamente danneggiata per effetto della titolarità di una posizione giuridica connessa, così come terzo dovrebbe considerarsi eventualmente il curatore di un fallimento.
In tal senso, il tralatizio ed insuperato orientamento giurisprudenziale della S.C. ha opinato che il terzo è pienamente legittimato, in quanto direttamente “inciso” dalla simulazione, ad invocare l’inopponibilità della simulazione in assenza di data certa e di trascrizione nei pubblici registri della domanda di accertamento della simulazione (vedi Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1382 del 09/02/1987) “Nella controversia promossa dal venditore nei confronti del compratore, per sentire accertare la simulazione assoluta della compravendita di immobile, qualora, a seguito del fallimento del compratore, il giudizio venga riassunto nei confronti del curatore, il curatore medesimo, a difesa degli interessi dei creditore, può invocare l’inopponibilità della simulazione, a norma dell’art. 1416 primo comma cod. civ., salvo che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2915 secondo comma e 2652 n. 4 cod. civ. (applicabili anche nella situazione contemplata dal citato art. 1416), la domanda risulti trascritta in data anteriore alla dichiarazione del fallimento. Peraltro, ove ricorra quest’ultima ipotesi, con conseguente opponibilità della simulazione al curatore, lo accoglimento della domanda stessa postula la prova dell’accordo simulatorio, anteriore o coevo al contratto, da fornirsi mediante atto scritto di data certa anteriore alla dichiarazione del fallimento, a norma dell’art. 2704 cod. civ.” ( V 2923/82, mass n 420820; ( V 382/80, mass n 403763; ( Conf 6381/82, mass n 424008); nel medesimo senso, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6381 del 25/11/1982 (Rv. 424008 – 01).
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4565 del 22/05/1997 (Rv. 504610 – 01) ha invece condivisibilmente opinato che “La simulazione totale o parziale del contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” può essere provata dai contraenti contro i terzi soltanto per mezzo di controdichiarazione, che deve essere anteriore o coeva all’atto e la cui data, quindi, deve essere certa ai sensi dell’art. 2704 cod. civ..“: nessuna prova vi è in concreto che la data sia certa, pur potendo per alcuni arresti dalla S.C. essere la scrittura costituente contro-dichiarazione, prova dell’accordo simulatorio, non solo coeva ed anteriore ma anche successiva al negozio assolutamente simulato.
Parte convenuta in comparsa conclusionale ha sostenuto che due sarebbero le presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a conferire certezza alla data quali fatti esterni alla scrittura, ovvero:
a) il fatto che – in adempimento al dictum della scrittura privata del 10 maggio 2010 – S. D.F. non avrebbe mai preso residenza in Milano Via O., atteso che secondo il punto 4) della scrittura più volte citata gli odierni convenuti avrebbero continuato ad abitare il predetto immobile, mentre S. D.F. avrebbe continuato a risiedere in Milano Via A.;
b) la cancellazione successiva al 2010 ed anteriore al 2014 delle ipoteche bancarie citate nella contro-scrittura; in tal senso, i convenuti hanno evidenziato che “nella specie, è provato in via documentale che alla data dell’atto di donazione del 2010 vi erano due ipoteche iscritte dalle banche sull’immobile degli esponenti e che alla data dell’atto di risoluzione per mutuo consenso della donazione del 2014 tali ipoteche erano state cancellate dalle banche (docc. n. 1 e 3 cit.). E’ altresì provato che dal 2010 al 2014 gli esponenti hanno sempre vissuto nell’immobile di Via O. (Milano), mentre il figlio S. D.F. ha sempre abitato nell’immobile di Via A. (Milano), per cui non ha mai né formalmente né sostanzialmente esercitato il diritto di usufrutto apparentemente donatogli (docc. nn. 4, 6, 7, 8, 9 e 10 cit.). Questi indizi consentono di ritenere provato ex artt. 2727 e ss. cod. civ. (si veda sul quanto verrà detto al prossimo paragrafo) che la controdichiarazione del 10.05.2010 era stata stipulata proprio in tale data.”
La prima argomentazione non coglie nel segno, in quanto ai fini della dimostrazione dell’assenza e del momento di cancellazione delle ipoteche originarie, le parti convenute avrebbero potuto produrre – anche in virtù del principio di vicinanza della prova e trattandosi di onere probatorio su di loro ricadente ai fini di supportare un fatto estintivo ex art. 2697 c.c. – una dichiarazione delle banche liberatoria ovvero certificazione e visure ipotecarie e catastali, in specie assenti.
In ogni caso, la eventuale (indimostrata) cancellazione successiva proverebbe solo la sussistenza originaria di gravami ma non la certezza della data, potendo essere tale cancellazione avvenuta in qualunque momento dal 2010 al 2014 e dovendo la data certa essere esatta; non rileva poi la mera dichiarazione di S. D.F. operata in sede di atto notarile revocando del 31.7.2014 (che ha garantito la libertà dei beni ri-trasferendi da ipoteche ai sensi del punto n. 8), che al più fonderebbe una sua responsabilità contrattuale nei confronti dei donanti originari ove si trattasse di dichiarazione non veritiera, ma non potrebbe spiegare effetti nei confronti di parte attrice, a fini presuntivi, in assenza di certificazioni di atti soggetti a pubblicità immobiliare.
Anche la seconda argomentazione non è rilevante, in quanto non è mai stato prodotto un certificato di residenza di S. D.F. e dei suoi genitori nel periodo 2010-2014 (trattandosi di persona che, lo si ricorda, ha diverse volte mutato la propria residenza), né è indiziante in modo univoco il pagamento di spese di utenza elettrica o la partecipazione ad assemblee condominiali di altro immobile, ai fini di escludere l’abitazione presso l’immobile di Via O.; in ogni caso lo stesso atto pubblico prodotto dalla parte convenuta al doc. 4 appare escludere questa ricostruzione proposta dai convenuti, atteso che in sede di tentativo di notifica tale domicilio è stato trovato chiuso a fine maggio 2013, in via P. Milano.
In punto data certa, la Cassazione ha opinato che opera il divieto di prova testimoniale diretta sulla data di redazione dell’atto a cui si intenda conferire certezza della data ex art. 2704 c.c., mentre spetta al prudente apprezzamento del giudice la valutazione degli altri atti o fatti idonei a conferire certezza alla data.
In tal senso, Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 20813 del 21/07/2021, ha ritenuto che “L’assenza, nella previsione dell’art. 2704, comma 1, c.c., di un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata possa ritenersi opponibile nei confronti dei terzi, consente al giudice di merito di valutare, col suo prudente apprezzamento, se sussiste un fatto, diverso dalla registrazione, che sia idoneo a dimostrare con certezza l’anteriorità della formazione del documento rispetto ad una data determinata.”
L’inopponibilità, di cui all’art. 2704 c.c., non riguarda il negozio ma la data della scrittura; non attiene all’efficacia dell’atto, ma alla prova di esso che si intende dare a mezzo della scrittura; la prova del negozio e della sua stipulazione anteriore ad un certo evento può quindi essere fornita, prescindendo dal documento contrattuale, con tutti gli altri mezzi consentiti, anche nei confronti dei terzi e del curatore, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio, nella consapevolezza peraltro che la prova testimoniale non può vertere direttamente sulla data della scrittura o direttamente su un documento relativo alla parte interessata alla prova, per consolidato orientamento della S.C.
In tal senso, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13424 del 2021 in motivazione ha opinato che “a tale proposito la giurisprudenza, se esclude l’ammissibilità della prova per testi o per presunzioni direttamente venente sulla data (Cass., sez. I, 4 giugno 1986, n. 3742„ Cass., sez. I, 8 novembre 2001, n. 13813), ammette che la prova per testimoni o per presunzioni possa avere per oggetto i fatti idonei a stabilire in modo certo l’anteriorità della formazione del documento (Cass.„ 11 ottobre 1985, n. 4945, Cass 13813/01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19656 del 01/10/2015 (Rv. 637288 – 01) secondo cui “In assenza delle situazioni tipiche di certezza contemplate dall’art. 2704, comma 1, c.c., la data della scrittura privata è opponibile ai terzi se sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento; la relativa prova può essere fornita anche per testimoni o in via presuntiva, atteso che, a differenza di quella vertente direttamente sulla data, i limiti probatori previsti dalla citata norma riguardano la natura del fatto idoneo a stabilire con certezza l’anteriorità, non anche le modalità di prova di tale fatto.“).
Applicando tali coordinate interpretative al caso di specie, non può essere ammessa la prova testimoniale sui capitoli richiesti dai convenuti, in quanto non vertenti su altri atti o fatti presuntivi gravi/precisi/concordanti idonei a conferire certezza alla data ma direttamente sulla data stessa (cui si intende conferire certezza), oltre che sul fatto non contestato della presenza di un testimone sig.ra B.M., circostanza irrilevante a tal proposito: “1. Vero che in data 10.5.2010 i sig.ri D.F. G. M. A., F. P. O. e D.F. S. sottoscrivevano una scrittura privata nella quale, all’art. 5), si impegnavano a ripristinare lo stato di fatto e di diritto in cui si trovava l’immobile prima dell’atto di donazione, attraverso la risoluzione dell’atto di donazione entro 5 anni dalla stipula dello stesso (doc. n. 2 da mostrarsi al teste). 2. Vero che alla sottoscrizione della scrittura privata del 10.05.2010 era presente quale testimone la sig.ra M. B. (doc. n. 2 da mostrarsi al teste).”
La difesa dei convenuti ha poi invocato il disposto liberatorio dell’art. 1416 co. 1 c.c., atteso che “La simulazione non può essere opposta dai contraenti ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che furono oggetto del contratto simulato”.
Tale norma appare inapplicabile in assenza di opponibilità, per carenza di data certa, all’attrice odierna quale creditrice dell’apparente titolare, della scrittura recante l’accordo simulatorio del maggio 2010; in ogni caso, l’attrice ha proposto idonea azione revocatoria ex art. 2901 c.c. chiaramente finalizzata alla tutela del diritto di credito a fini esecutivi, manifestando espressa e sottintesa volontà di compiere atti esecutivi, impossibili senza il previo accoglimento dell’azione di inefficacia relativa, sicché in ogni caso l’inerzia in tal senso non sarebbe a lei addebitabile, operando parimenti la regola di inopponibilità.
Rigettate le tesi difensive dei convenuti, non resta che confermare la assoluta lesività dell’atto di disposizione patrimoniale, non configurabile come atto dovuto né come adempimento di un accordo simulatorio, non opponibile a parte attrice per carenza di data certa e per le altre motivazioni esposte.
7. L’elemento soggettivo: la mera consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, trattandosi di atto a titolo gratuito posteriore al sorgere del credito.
Ciò posto, va precisato che in astratto, ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria, l’art. 2901 comma 1 n. 1 c.c. richiede un determinato atteggiamento soggettivo del debitore, consistente nella consapevolezza di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie.
La conoscenza del pregiudizio è richiesta nel solo debitore qualora si tratti di atti a titolo gratuito (scientia damni o consilium fraudis) ed anche nel terzo in caso di atti a titolo oneroso, ciò ai sensi dell’art. 2901 co. 1 n. 2 c.c.
Inoltre, il legislatore ha previsto ai sensi del n. 1) la possibilità di agire in via revocatoria anche contro atti compiuti anteriormente al sorgere del credito, purché gli stessi fossero dolosamente preordinati al fine di pregiudicare le ragioni del creditore (c.d. “dolo specifico” o animus nocendi); in questo caso, ai sensi del n. 2), qualora l’atto di disposizione sia oneroso, è necessaria altresì la conoscenza da parte del terzo acquirente della dolosa preordinazione della vendita rispetto al credito futuro; in questo caso, l’atto revocabile partecipa di una connotazione fraudolenta che ne rivela l’intrinseca illiceità.
Orbene, ritiene il Tribunale che la valutazione di anteriorità o posteriorità dell’atto dispositivo immobiliare vada effettuata in relazione all’insorgenza del credito vantato da parte attrice al momento della nascita di A. B. nel 2007, trattandosi quindi di atto revocando successivo al sorgere del credito ed a titolo gratuito.
A ben vedere, l’atto impugnato è costituito da una risoluzione con efficacia retroattiva per mutuo consenso senza alcun corrispettivo o contro-prestazione economicamente valutabile, e che – contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa di parte convenuta – appare un atto a titolo gratuito similare alla rinuncia abdicativa unilaterale al diritto di usufrutto, con la differenza che in tal caso vi è il mutuo, plurilaterale consenso di tutte le parti originarie della donazione e come atto a titolo gratuito esso appare trattato a fini di imposizione fiscale anche dalla S.C. (Vedi Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2252 del 28/01/2019).
Ne consegue che – ai fini della sussistenza delle ulteriori condizioni previste ex art. 2901 c.c. – deve essere vagliata nel presente giudizio unicamente la conoscenza del pregiudizio arrecato dall’atto revocando alle ragioni creditorie in capo al debitore (da provarsi a carico di chi agisce in revocatoria) o al più la dolosa preordinazione di S. D.F. laddove l’atto revocando possa essere considerato successivo all’insorgenza del credito, con esclusione della valutazione dell’elemento soggettivo dei terzi compartecipanti all’atto evidentemente gratuito.
Peraltro qualora, come nel caso di specie, il debitore, con l’atto impugnato, disponga di una quota ovvero della totalità del patrimonio immobiliare (cooperando per la risoluzione del diritto di usufrutto sull’unità immobiliare), la consapevolezza dell’evento dannoso e del compromettere la fruttuosità di ogni possibile azione esecutiva deve ritenersi sussistente in re ipsa.
Nel caso di specie, trattandosi di atto successivo al sorgere del credito, tale requisito soggettivo è integrato dalla consapevolezza nel debitore del carattere pregiudizievole del proprio comportamento, e quindi dalla coscienza del fatto che l’atto vada a ridurre la garanzia patrimoniale in pregiudizio dei creditori (evento di danno già prima diffusamente esaminato), senza che sia necessaria anche la dimostrazione che vi fosse un’effettiva intenzione di nuocere al creditore.
Trattandosi dunque nel caso di specie di atto successivo al sorgere del credito occorre avere riguardo unicamente alla sola prima parte del n. 1 dell’art. 2901 c.c., la quale impone la verifica della sola conoscenza, in capo al debitore, del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (scientia damni).
In proposito si ricorda che la prova dello stato soggettivo del debitore, scientia damni, e quindi la consapevolezza da parte del debitore stesso, di arrecare un pregiudizio con l’atto di disposizione impugnato alle ragioni del creditore, può essere fornita anche mediante presunzioni, che nel caso di specie paiono essere gravi, precise e concordanti.
Sicché, la decisione della convenuta di escludere dalla garanzia patrimoniale generica dei creditori ex art. 2740 c.c. e segnatamente dell’attrice la parte del proprio patrimonio immobiliare, coperta da un pregnante e significativamente rivestito di contenuto economico ius utendi fruendi, significa averla voluta sottrarre alla possibile e futura azione monitoria ed esecutiva ed alle successive azioni esecutive da intraprendere sulla base delle sentenze favorevoli.
Come sopra esposto, trattandosi di atto successivo al sorgere del credito, è pertanto sufficiente che tale generica consapevolezza sussista anche in capo al terzo acquirente, solo ove l’atto debba essere qualificato come oneroso (ma non è il caso di specie).
Infatti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., in caso di atti a titolo gratuito, compiuti successivamente al sorgere del credito, non è necessaria anche la dimostrazione che vi fosse partecipatio fraudis del terzo contraente e cioè la conoscenza e/o partecipazione rispetto alla natura pregiudizievole dell’atto medesimo, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore (e non anche del terzo beneficiario), del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore.
Infatti, la revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, trattandosi di requisito richiesto solo per la diversa ipotesi degli atti a titolo oneroso, in quanto il terzo ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore (cfr. Cass. civ., sez. III, 03.03.2009, n. 5072; Cass. civ. Sez. I, 12/04/2000, n. 4642; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12045 del 17/05/2010).
Nel caso concreto, sussiste vieppiù (ed anche se non necessaria) la prova della conoscenza diretta del pregiudizio anche in capo ai genitori dell’attore, se non anche la loro compartecipazione dolosa e fraudolenta (irrilevante per l’atto a titolo gratuito), che può dunque inferirsi attraverso presunzioni semplici, fondate sulla qualità delle parti del negozio.
Il fine di dismissione in danno dei creditori e l’animus nocendi, quantomeno in capo a S. D.F., è conclamato dal rapporto parentale strettissimo che fa pensare ad una concreta pianificazione dell’operazione con preordinazione dolosa da parte di tutti i partecipanti agli atti notarili del 2010 e del 2014; in particolare, la risoluzione dell’atto di donazione di usufrutto è temporalmente di poco successiva (circa un anno e due mesi) rispetto alla notifica dell’atto di citazione contenente la domanda dell’accertamento giudiziale di paternità, che secondo la sentenza è avvenuta il 30 maggio 2013 (vedi anche doc. 4 delle parti convenute).
S. D.F., anche in relazione alla sua qualità professionale ed esperienza, ben conosceva i riflessi esecutivi dei procedimenti di cui era parte convenuta ed ha pertanto deciso intenzionalmente, ad avviso di chi scrive, di rendersi impossidente, con animo di nuocere alle ragioni della B. – con la quale appare esservi una risalente ed intensa conflittualità – anticipando i tempi e decidendo unitamente ai genitori di risolvere la donazione avvenuta quattro anni prima, quando peraltro mancavano ancora dieci mesi alla decorrenza ultima del quinquiennio (prestando fede per mera ipotesi all’accordo simulatorio)
Ne deriva che l’operazione di dismissione dell’intero patrimonio, attuata in ambito della ristretta cerchia familiare, senza particolari asserite ragioni di fatto o di interesse economico-patrimoniale della famiglia e di tutela dei diritti, sono presunzioni gravi, precise e concordanti che evidenziano la consapevolezza diretta del pregiudizio, se non la compartecipazione fraudolenta, anche dei convenuti unitamente a S. D.F., non potendosi ragionevolmente credere che i genitori non fossero informati pienamente del procedimento giudiziario in atto e delle controversie familiari in ordine all’accertamento di paternità della minore A. B., evidentemente coinvolti nel medesimo dolo intenzionale di sottrazione del diritto reale minore su cespiti aggredibili.
Né poteva essere ignorata tale controversia da P. O. F. che era stata escussa a teste nel procedimento rg n. 42572 del 2013, come riportato in sentenza, che appare pienamente consapevole e “attrice” unitamente al proprio marito della dolosa preordinazione dell’atto negoziale del 2014 in danno delle ragioni creditorie; del resto, non appare peregrino che vi fosse stata tale finalità ed elemento psicologico anche da parte dei genitori, alla luce del fatto che gli stessi convenuti hanno già affermato in causa di aver donato il diritto di usufrutto nel 2010 per segregare il loro patrimonio immobiliare rispetto a possibili aggressioni delle banche ipotecarie.
Particolarmente forte appare poi l’intensità del dolo e della preordinazione in capo al contumace, atteso che l’atto negoziale risolutorio di fine luglio 2014 aveva visto la partecipazione dello stesso S. D.F., nonostante lo stesso avesse sostenuto di trovarsi all’estero fino alla fine di agosto 2014 (cfr. pagina 10 della sentenza di primo grado, veniva infatti da lui allegato tale impedimento ai fini della impossibilità di sottoporsi alla CTU ematogenetica).
Ciò porta ad affermare che, tra genitori e figli, laddove non vi sia stata una interruzione dei rapporti brusca (e non vi è allegazione o prova di ciò) si condividono notizie, preoccupazioni, scopi e sentimenti e, perciò, secondo l’id quod plerumque accidit, ciò che è conosciuto dal figlio si presume noto ai suoi genitori, soprattutto se si tratta di questioni fondamentali per il futuro dell’intera famiglia, come un accertamento giudiziale di paternità che attiene a diritti fondamentali della sfera di personalità.
Sussiste dunque quel rapporto parentale strettissimo che ha agevolato l’occasione far sottrarre l’usufrutto all’esecuzione immobiliare ed alle ragioni del creditore, del tutto immotivata da valide ragioni alternative, qui non esplicate, fuori dall’intento segregativo, tale da ritenersi in ogni caso integrata una dolosa preordinazione dei soggetti coinvolti (non in capo al solo S. D.F.) prima nella donazione del 2010 e poi nel successivo atto caducatorio di ri-trasferimento immobiliare del luglio 2014.
In altri termini, i rapporti di stretta parentela esistenti altro non possono che dimostrare, in ogni caso, la dolosa partecipazione dei genitori alle azioni del figlio mirate a spogliarsi dell’unico bene immobile astrattamente aggredibile dall’attrice, in ragione della significativa valenza economica del diritto di usufrutto insistente su di esso.
8. Le spese di lite.
Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate secondo i nuovi parametri del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (in attuazione del D.L. 1/2012) entrato in vigore – ex art. 29 – il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 77 del 2 aprile 2014), e per espressa previsione normativa (art. 28) applicabile alle liquidazioni effettuate dopo l’entrata in vigore della disciplina.
Dall’accoglimento integrale delle domande di parte attrice, con conseguente declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. del contestato atto notarile del 31 luglio 2014, deriva la soccombenza di entrambi i convenuti (e del contumace S. D.F.), a carico dei quali devono essere poste le spese di lite, nel rapporto processuale con parte attrice, in solido tra loro data la posizione processuale comune e sostanzialmente omogenea quanto alle difese ex art. 97 co. 1 seconda parte c.p.c., in quanto trattasi di convenuti assistiti dallo stesso difensore e visto il loro interesse concreto comune quanto all’unitaria operazione negoziale, realizzata con atto notarile del 31 luglio 2014 (cfr. il qui condiviso orientamento espresso da Cass Sez. 3 – , Sentenza n. 27476 del 30/10/2018, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9063 del 02/04/2019, Sez. 3, Sentenza n. 20916 del 17/10/2016).
Deve infatti rilevarsi quanto alla posizione del convenuto contumace S. D.F. “poiché, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l’aver dato causa al giudizio, la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta, così da renderne necessario l’accertamento giudiziale” (v. da ultimo Cass. Civ. n. n. 13498 del 29/05/2018; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6722 del 10/12/1988).
Le spese di lite vanno liquidate – secondo i valori medi del DM n. 55/2014 (con fase istruttoria e di trattazione al minimo per assenza di prove costituende orali), avuto riguardo al valore della controversia dichiarato da parte attrice indeterminabile di media complessità – nella misura di complessivi € 9.275,00 per compensi professionali, oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali ex art. 2 DM n. 55/2014, CPA ed IVA, che risulta dovuta solo se non recuperabile dalla parte per effetto del regime fiscale di cui gode, sugli importi imponibili.
Inoltre, i medesimi convenuti devono essere condannati in solido a rifondere in favore di parte attrice € 545,00 per spese vive borsuali/anticipazioni pari al valore del contributo unificato e delle marche da bollo per l’iscrizione al ruolo.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa e contraria istanza, eccezione o deduzione disattesa e assorbita:
– rigetta l’eccezione preliminare di prescrizione dei convenuti, assorbita ogni statuizione di improcedibilità della domanda di simulazione, attesa la rinuncia a tale domanda dell’attrice;
– in accoglimento della domanda proposta da parte attrice C. M. G. B. nei confronti dei convenuti S. D.F., G.M.A.D.F. E P. O. F. revoca e, per l’effetto, dichiara inefficace ex art. 2901 c.c., nei confronti dell’attrice, l’atto notarile a rogito Notaio dott. D.R. n. di repertorio 1281 e n. 703 di raccolta, datato 31.7.2014 e trascritto nei registri immobiliari presso la conservatoria di Milano 1 in data 3 settembre 2014, con domanda di annotazione presentazione n. 32 reg. gen. N. 44556 e reg. part. N. 5277, atto di risoluzione, per mutuo consenso, della donazione repertorio n. 48831 e raccolta n. 7068, datata 10.5.2010 a rogito notaio dr. Ivano Guarino, attraverso la quale i genitori di S. D.F., G.M.A.D.F. E P. O. F., avevano donato allo stesso il diritto di usufrutto dell’unità immobiliare sita in Milano, via O., di seguito descritta: al piano terzo del fabbricato C-colonna O-, composto da tre locali oltre bagno e cucina, con annesso un vano ad uso cantina, il tutto censito nel catasto Fabbricati del Comune di Milano (foglio .., mappale .., subalterno 12, Via O., piano 3-S1, z.c. 3, cat. A/3, Classe 3, consistenza vani 6, rendita catastale 681,72);
– ORDINA al competente conservatore dei registri immobiliari e a tutti i responsabili dei competenti servizi l’annotazione della presente sentenza ai sensi dell’art. 2655 c.c. e comunque di dare pubblicità alla medesima;
– condanna i convenuti S. D.F., G.M.A.D.F. E P. O. F., in solido tra loro, alla rifusione in favore di parte attrice C.M. G.B. delle spese di lite, che si liquidano in complessivi € 9.275,00 per compensi professionali ed € 545,00 per spese vive, oltre il rimborso forfettario del 15% per spese generali ex art. 2 DM n. 55/2014, CPA ed IVA (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) come per legge.
Così deciso in Milano, il 15 novembre 2021.
