I.1- Con atto di citazione regolarmente notificato, don (omissis) ha convenuto in giudizio (omissis) S.p.a. nonchè (omissis) e (omissis), rispettivamente all’epoca dei fatti direttore responsabile e giornalista del quotidiano on Line la (omissis), per sentir dichiarare la natura diffamatoria dell’articolo apparso in data 27.4.2018 sulla edizione On Line dal titolo “Il ‘padrone’ del Santuario che piace alla ‘Ndrangheta” chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni non patrimoniali, quantificati in misura pari ad Euro 50.000,00, oltre al pagamento di una somma a titolo di riparazione ex art. 12 L. n.47/1948 da quantificarsi in via equitativa e alla pubblicazione della sentenza sui principali giornali a tiratura nazionale e locale.
A fondamento della domanda ha dedotto in ordine alla natura lesiva della propria integrità morale, reputazione, identità personale e attività professionale dell’articolo nella parte in cui contiene, a suo avviso, false informazioni circa i suoi rapporti di parentela con “quegli (omissis) divenuti noti per la strage di ferragosto che ha mostrato alla Germania il volto più sanguinoso della ndrangheta” e con altre famiglie ‘ndranghetiste ovvero in ordine alla sua attività professionale (“dal pulpito per anni il parroco ha tuonato contro giornalisti, forze dell’ordine e magistrati accusati di perseguitare intere famiglie «solo per il cognome che portano»”). Ha aggiunto che anche l’articolo pubblicato il 31.05.2018 avente ad oggetto la replica concessa al proprio difensore contiene una nota di commento del quotidiano inveritiera e lesiva della sua reputazione.
I.2- Si sono congiuntamente costituiti la giornalista e il direttore responsabile all’epoca dei fatti del quotidiano online La (omissis) chiedendo il rigetto della domanda evidenziando la verità e completezza delle notizie riportate – a loro avviso – prive di contenuto diffamatorio in quanto l’articolo muoverebbe dalla sentenza resa dal GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria, dott. Laganà, dell’01 marzo 2018, nei confronti di alcuni imputati che avevano scelto il rito abbreviato nell’ambito dell’indagine GOTHA che vede coinvolta anche la odierna parte attrice nei cui confronti pende un procedimento penale ordinario per il capo “e. del delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 9, 110 e 416 bis commi 1,2,3,4,5 e 6 c.p.” e per il capo “i. del delitto p. e p. dagli artt. 1,2 commi 1 e 2 L. 25 gennaio 1982, n. 17 e 7 L. 12 luglio 1991, n. 203, (Legge Anselmi sulle associazioni segrete, nda)” dell’imputazione. Hanno dedotto, inoltre, circa la rilevanza della notizia e la finalità dello scritto di richiamare l’attenzione dei lettori sui rapporti tra la Massoneria e le associazioni criminali di stampo mafioso e, infine, dato atto che in data 31 maggio 2018 la (omissis), all’interno dello stesso Blog (omissis) ha pubblicato la replica del legale di don (omissis). Hanno contestato, in ogni caso, la genericità della richiesta di risarcimento in assenza di qualsivoglia allegazione dei pregiudizi assuntamente subiti dall’attore in conseguenza dell’articolo in esame la cui lesività si intende far valere in questa sede; pertanto, hanno insistito anche nella condanna per temerarietà della lite.
I.3– Rigettate le istanze di prova orale articolate da parte attrice con ordinanza del 27.2.2020, la causa – istruita sulla base della sola documentazione offerta dalle parti – all’udienza del 25 giugno 2020 è stata introitata in decisione, sulle conclusioni dei difensori delle parti, previa concessione dei termini di cui all’art. 190, comma I, cpc.
II.- La domanda attorea è infondata.
Tanto premesso appare opportuno affrontare le questioni sollevate dalle parti secondo l’ordine logico-giuridico delle stesse muovendo innanzitutto dalla conferma della ordinanza del 27.2.2020 con la quale sono state rigettate le istanze istruttorie articolate dalle parti per le ragioni ivi meglio esplicate e da intendersi qui integralmente richiamate.
Parimenti è appena il caso di ribadire che è infondata l’eccezione di tardività e conseguente inammissibilità della memoria ex art. 183, VI comma, n. 2 c.p.c. di parte convenuta atteso che nel caso di specie la ordinanza di assegnazione dei termini di cui all’art. 183, VI comma, c.p.c. è stata pronunciata alla udienza del 06.6.2019 con la conseguenza che deve trovare applicazione l’art. 155, comma I, c.p.c. la cui ratio si fonda sul presupposto che il dies a quo (o il dies ad quem, nel caso di termini che si devono computare “a ritroso”), sia, o debba presumersi, indisponibile per l’attività difensiva, in quanto giorno nel quale avviene o si realizza l’atto o il fatto processuale (o cade l’udienza: art. 166 c.p.c), in relazione al quale è riconosciuto il diritto al compimento (in un dato termine) dell’attività o all’esercizio (in un dato termine) del potere processuale; che, in altri termini, la disposizione da ultimo richiamata deve intendersi ispirata all’esigenza di assicurare la fruibilità del periodo temporale nella sua interezza e, pertanto, ai fini della verifica della tempestività del deposito delle memorie istruttorie deve richiamarsi il prospetto contenuto nella citata ordinanza del 27.2.2020.
II.1- Nel merito, riassumendo Don (omissis) lamenta la lesione della propria reputazione sulla base di illazioni e notizie false contenute nell’articolo in questione dalle quali, a suo dire, si desumerebbe – (direttamente o indirettamente) sulla base della narrazione e delle espressioni formali -, il suo legame con losche attività e i rapporti di interesse con famiglie mafiose locali. I convenuti, al contrario, hanno eccepito l’esimente del diritto di critica e concluso per il rigetto della domanda.
Giova anteporre un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, deve ritenersi che la disciplina contenuta nella legge sulle stampa (legge 47/1948) sia applicabile anche in caso di articoli pubblicati su testate on-line, in quanto medesima è la provenienza e la finalità dell’informazione resa, cambiando unicamente il mezzo di diffusione (quotidiano on-line e non anche carta stampata), con l’ulteriore considerazione che in caso di diffusione di una notizia su una testata on-line la capacità divulgativa – e contestualmente anche la potenzialità lesiva – dell’articolo pubblicato sono maggiormente accresciute; sul punto si è chiaramente espressa la Suprema Corte (così, da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 11.12.2017 n. 13398).
In secondo luogo, come noto, in tema di danni per effetto di diffamazione a mezzo stampa, la richiesta risarcitoria si giustifica in chiave di lesione dei diritti (della personalità) che non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca ovvero di critica politica purchè condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti:
i) la verità oggettiva, o anche solo putativa, purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata, non solo sulla fonte ma anche sulla verità sostanziale delle notizie (condizione che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche colposamente taciuti altri fatti tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore o dell’ascoltatore false rappresentazioni della realtà oggettiva Cass. 4 ottobre 2011 n. 20285);
ii) interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cd. “pertinenza”) e
iii) la correttezza formale dell’esposizione (cd. “continenza”) che comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l’altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sè, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi (Cass. 5 dicembre 2014 n. 25739) e la valutazione in concreto della sussistenza di tali elementi è un potere spettante al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua ed immune da vizi logici (da ultimo, Cass. 27/01/2015 n. 1435).
I contorni dei parametri così delineati, tuttavia, subiscono un ragionevole adattamento qualora debbano essere applicati a uno scritto che coniughi diritto di critica e diritto di cronaca, in virtù del carattere peculiare dello stesso, che si sostanzia in una inscindibile esposizione di fatti e di opinioni e valutazioni dell’autore della pubblicazione. Segnatamente, “il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l’altro, nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un’interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti. Ciò comporta che in tema di diritto di critica il requisito della verità è da intendere limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e della valutazioni espresse” (Cassazione Penale, sez. V, 26 febbraio 2016, n. 26745). Da ciò consegue che, laddove alla narrazione di determinati fatti si unisca un’esposizione di carattere valutativo, rappresentativa di opinioni dell’autore, i parametri suddetti richiedono una valutazione diversa e più elastica, nonchè più attenta al bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero. Con riguardo al requisito della verità del fatto, si sottolinea che esso riveste “un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di ‘argumenta ad hominem'” (Cassazione Penale, sez. V, 28 ottobre 2010, n. 4938). Il requisito della continenza, nello specifico, assume un rilievo peculiare sia sotto l’aspetto formale della correttezza dell’esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse. Va osservato, infatti, che in caso di attività giornalistica costituente esercizio del diritto di critica, e quindi realizzata attraverso la manifestazione di opinioni e interpretazioni soggettive dei fatti narrati, il limite in esame svolge un ruolo dirimente tra ciò che è lecito e ciò che invece è idoneo ad integrare una condotta diffamatoria: se, da un lato, si presuppone che il fatto o comportamento oggetto della critica corrisponda a verità – anche putativa purchè appaia ragionevole in virtù delle fonti da cui proviene o di altre circostanze oggettive – è necessario, dall’altro, che l’autore dello scritto, pur potendo avvalersi di un linguaggio colorito o pungente, non trascenda mai in affermazioni ingiuriose e denigratorie o in attacchi personali gratuiti, immotivati, puramente offensivi e diretti a colpire la dignità morale e professionale della persona presa di mira. Invero, “ove la narrazione di determinati fatti, per essere esposta insieme ad opinioni dell’autore, rappresenti nel contempo esercizio del diritto di cronaca e di quello di critica (come nella specie), la valutazione di continenza non può essere condotta sulla base degli indicati criteri di natura essenzialmente formale, ma deve lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti, di modo che la critica – che, come detto, mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali – non può ritenersi sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, essendo, invece, decisivo, ai fini del riconoscimento dell’esimente, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Un siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto dalla stessa, e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto”(cfr. Cassazione Civile, sez. III, 20 gennaio 2015, n. 841; Cassazione Civile, sez. III, 15 gennaio 2002, n. 370; Cassazione Penale, sez. V, 16 novembre 2004, n. 6419; Cassazione Penale, sez. V, 14 febbraio 2002, n. 20474; Tribunale di Grosseto, 13 ottobre 2016, n. 791; Tribunale di Bari, 14 ottobre 2016, n. 5219).
Va infine precisato in ordine agli elementi atti a integrare la fattispecie di diffamazione a mezzo stampa e, dunque, per ritenere configurabile una responsabilità in tal senso, che il soggetto offeso deve risultare espressamente individuato o quantomeno individuabile.
Quanto infine all’onere probatorio occorre ribadire che la responsabilità del giornalista per lesione dell’altrui onore o reputazione è esclusa dal legittimo esercizio del diritto di cronaca sia quando il giornalista riferisca fatti veri, sia quando riferisca fatti che apparivano veri al momento in cui furono riferiti (in virtù del principio della c.d. verità putativa). Ne consegue che al giornalista, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno da diffamazione, per andare esente da responsabilità, basta dimostrare non la verità storica dei fatti narrati, ma anche soltanto la loro verosimiglianza; fornita tale prova, è onere di chi afferma di essere stato diffamato dimostrare che la fonte da cui il giornalista ha tratto la notizia, al momento in cui questa venne diffusa, non poteva ritenersi attendibile.
II.2– Chiariti i consolidati principi generali a cui il Giudicante intende uniformarsi, la domanda è da ritenersi infondata e va, pertanto, rigettata, non risultando ravvisabile una responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. in capo ai convenuti.
Si rileva, infatti, che l’articolo pubblicato sul quotidiano on line ‘La (omissis)‘ e ritualmente prodotto in atti, ritenuto dall’attore offensivo della propria reputazione e dunque diffamatorio, deve reputarsi rispondente ai parametri di verità, pertinenza e continenza come sopra descritti, validi a ritenere operante la scriminante del diritto di cronaca e di critica giornalistica, ai sensi dell’art. 51 c.p.
Nel dettaglio, il predetto articolo non risulta violativo del parametro della verità su cui in particolare si è soffermata la difesa di Don (omissis). Invero, l’articolo – nell’ambito di un blog tematico sulle mafie, muove da un maxiprocesso antimafia (l’indagine (omissis), per l’appunto) e dalla posizione della odierna parte attrice, sacerdote operante in un territorio indubbiamente e storicamente minato dalla presenza della ‘ndrangheta, ma emerge la volontà del giornalista di segnalare la vicinanza di alcune associazioni – apparentemente neutre e/o anche religiose e filantropiche – con famiglie mafiose e comunque con logiche criminali. L’intento è quello di mettere in evidenza questo profilo della lotta alle associazioni di stampo mafioso che di solito sfugge alla evidenza ma che è presente nella vita quotidiana specie di alcuni territori stante la capacità delle mafie di infiltrarsi in ogni settore della vita sociale anche religioso, sportivo in modo celato e dissimulato e tuttavia incisivo.
Le vicende narrate – come evidenziato dalla difesa dei convenuti e non contestato nemmeno genericamente dallo (omissis)– non sono frutto di ideazione della giornalista ma si fondano sui capi di imputazione per i quali l’odierna parte attrice è stata rinviata a giudizio, sulle risultanze delle indagini (in specie, dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e intercettazioni di conversazioni telefoniche) nonchè su circostanze note e di dominio pubblico quali la rilevanza storica del santuario della (omissis) per le famiglie ‘ndranghetiste.
Alla luce dei principi sopra enunciati, gli articoli contestati sono corretta estrinsecazione dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, essendo stati rispettati i requisiti della pertinenza, continenza e verità.
Innanzitutto non può essere messa in discussione la pertinenza delle notizie, attesa la sussistenza di un rilevante interesse pubblico – in specie nell’ambito di un blog tematico – a conoscere dell’inchiesta giudiziaria di mafia che involge, tra gli imputati, anche un sacerdote e ciò evidentemente anche tenuto conto del ruolo ricoperto nella società civile e nell’immaginario comune da una figura religiosa. D’altronde la vicenda ha avuto risonanza anche su altre testate giornalistiche locali e nazionali – i cui articoli sono stati allegati dai convenuti (doc. n. 3 della produzione) – che hanno riportato la notizia delle dimissioni di don (omissis) dalla reggenza del santuario di Polsi in concomitanza con il suo coinvolgimento nel procedimento penale per appartenenza ad associazione di stampo massonico e per “aver svolto il ruolo di mediatore nelle relazioni tra esponenti istituzionali ed esponenti della ‘Ndrangheta, funzionali allo scambio tra informazioni ed agevolazioni” nonchè contribuito “concretamente, senza farne parte, al rafforzamento alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa, armata (…) ed unitaria denominata ‘Ndrangheta”.
Parimenti risulta rispettato anche il requisito della continenza, in quanto le espressioni contenute nel testo e nel corpo dell’articolo sono legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica, avuto riguardo al clamore, nonchè all’eco sociale collegato a quel genere di reato.
L’articolo in esame, infatti, risulta misurato sia nel suo contenuto che nella sua forma espositiva; peraltro, la valutazione del carattere diffamatorio di uno scritto da parte dell’organo giudicante deve essere effettuata tenendo conto non solo delle singole espressioni utilizzate dallo scrivente in sè considerate, ma dell’intero contesto e delle complessive modalità attraverso cui il testo è redatto.
Ciò premesso, con riferimento nello specifico al titolo dell’inchiesta “Il ‘padrone’ del santuario che piace alla ‘Ndrangheta” censurato da parte attrice come diffamatorio, va sottolineato che il carattere offensivo o meno del titolo di una pubblicazione va esaminato anche alla stregua del rapporto di esso con il contenuto dell’articolo, potendo essere escluso ogni qual volta da tale analisi non risulti idoneo a offendere la reputazione di un soggetto (cfr. Cassazione civile 25 luglio 2000 n. 9746). Il riferimento al ‘padrone’ non include alcuna accezione negativa atteso che segue nel testo la precisazione che don Gi. St. è stato “per decenni canonico del santuario di Polsi”; analogamente deve dirsi per l’espressione “piace alla ‘Ndrangheta”, volutamente atecnica, per catturare l’attenzione del lettore ma il cui senso viene, poi, puntualizzato nel prosieguo dell’articolo, in relazione al procedimento penale che vede imputato il sacerdote. Allo stesso modo, il verbo “tuonava” è evidentemente iperbolico per evidenziare che don (omissis) era solito esprimere con vigore la sua opinione (contro le accuse per la “sospetta densità mafiosa della comunità di pellegrini che affollavano il suo santuario” ovvero nei confronti di “qualcuno che faceva notare quelle pesanti che forse non facevano di lui la persona più adeguata a gestirlo”) e non aveva problemi a rapportarsi con “giornalisti, forze dell’ordine e magistrati”.
Sicchè, il testo non valica il limite della continenza in quanto non si ravvisa il ricorso ad espressioni gravemente infamanti o umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.
Da ultimo, nessun profilo diffamatorio risulta sussistere con riguardo al profilo della verità. La vicenda giudiziaria che ha interessato don (omissis) è stata riportata in aderenza a quelle che erano all’epoca le risultanze investigative e processuali portate a conoscenza dei giornalisti. Come innanzi chiarito, ‘in tema di diritto di critica il requisito della verità è da intendere limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e della valutazioni espresse’ (Cassazione Penale, sez. V, 26 febbraio 2016, n. 26745). A tal proposito si osserva che si evince chiaramente che vi è in corso una indagine sui fatti narrati per i quali l’odierna parte attrice è stata rinviata a giudizio ma non pende ancora alcuna condanna nei suoi confronti (si legge testualmente “dice l’inchiesta che oggi lo ha spedito davanti ai giudici”). I fatti narrati riprendono i fatti addebitati nel predetto procedimento nonchè le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ( (omissis) e (omissis)).
Da ultimo, si evidenzia che la testata giornalistica ha consentito alla difesa di don (omissis) di replicare e di fornire ai lettori il proprio punto di vista sulla vicenda. Aggiugasi che la nota esplicativa inserita al margine della rettifica, non a firma della giornalista odierna convenuta ma riconducibile alla redazione del giornale, è stata inserita per contestualizzare le dichiarazioni del difensore della odierna parte attrice e riporta pertanto (correttamente) la mera notizia di un procedimento penale in corso in cui Don (omissis) è imputato senza aggiungere ulteriori considerazioni sicchè nulla fa propendere per una sua condanna. Rispetto alle ulteriori contestazioni invece si osserva che risulta sempre dall’incarto penale (nè tale circostanza è stata contestata in modo specifico e analitico) che l’odierno attore era presidente della squadra dilettantistica di calcio della U.S. Nuova Folgore San Luca allorquando i cui calciatori l’8.11.2009, in occasione dell’incontro San Luca – Bianco, scesero in campo con il lutto al braccio, senza alcuna autorizzazione da parte del competente organo sportivo, in segno di cordoglio lutto per la morte dello strico boss (omissis) (alias ‘ (omissis)‘), avvenuta nei giorni immediatamente precedenti; vi è infatti il riferimento alla squalifica di due mesi per i protagonisti del gesto, tra cui don (omissis), disposta dalla Lega Nazionale Dilettanti, il 18.3.2010. Infine, si osserva che del tutto priva del carattere diffamatorio è la fotografia che ritrae l’attore presumibilmente quale relatore in occasione di un convegno che accompagna l’articolo del 31 maggio 2018.
In definitiva va esclusa la responsabilità dei convenuti in ordine all’illecito diffamatorio contestato, risultando la condotta del giornalista scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, tutelato dall’art. 21 Cost.
II.3- Per dovere di completezza, si osserva che – anche a voler ritenere in astratto l’articolo diffamatorio, non vi è prova del pregiudizio in concreto patito. Con maggiore impegno esplicativo, se è ben vero che nel caso di risarcimento del danno non patrimoniale da reato il danneggiato può fare ricorso a presunzioni semplici, tuttavia, deve essere sempre allegato e provato dal soggetto e non mai essere ritenuto “in re ipsa”(Cass. Civ. n. 3289/2018); nel caso di specie, manca qualsivoglia riferimento ai pregiudizi e alle ripercussioni patite dall’attore.
Nulla può, dunque, essere riconosciuto all’attore a titolo di risarcimento danni per la pubblicazione dell’articolo in esame sul quotidiano ” (omissis)” in data 27.4.2018 nè per la nota di commento che accompagna la replica della odierna parte attrice pubblicata il 31.5.2018.
Deve conseguentemente essere rigettata la domanda di condanna della giornalista convenuta a corrispondere una somma ritenuta di giustizia, a titolo di sanzione riparativa ai sensi dell’art. 12 L. n. 47 del 1948, avendo quale presupposto l’accertamento della diffamazione.
III.- Va rigettata, invece, la richiesta di risarcimento del danno da lite temeraria avanzata dalla difesa dei convenuti, dal momento che l’avversa domanda creditoria, sia pure infondatamente proposta, non travalica affatto i limiti della legittima prospettazione difensiva; sicchè difetta macroscopicamente (quanto meno) la prova dell’elemento soggettivo, ossia della mala fede o della colpa grave sottesa all’azione giurisdizionale, indispensabile ai fini del riconoscimento della responsabilità ex art. 96 c.p.c. (Cass. n. 24645/2007).
IV.- Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 (e successive modifiche) per le fasi studio ed introduttiva ed in misura inferiore per le successive (stante la assenza di attività istruttoria e il tenore meramente ripetitivo delle difese conclusionali rispetto agli scritti in atti in assenza di nuovi elementi emersi nella istruttoria), tenuto conto dell’aumento ex art. 4/2, relativo all’assistenza di più di una parte.
2) condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite in favore dei convenuti che si liquidano in complessivi Euro Euro 6.961,50 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Locri, 02.11.2020
