Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, M.A. conveniva in giudizio dinnanzi all’intestato Tribunale il fratello M.M., chiedendo la divisione dei beni del defunto padre, M.L., deducendo: – che il 27 gennaio 1999 era deceduto il di lei padre M.L., che aveva lasciato quali legittimi eredi la moglie G.F., essa attrice ed il fratello M.; – che i beni caduti in successione consistevano in: a) 1/2 della casa di civile abitazione sita in località “R.” del Comune di D., riportata al foglio (…), part.lla (…) del catasto fabbricati, di vani 6,5, con annessa corte, essendo l’altra metà del figlio M., odierno convento; b) terreno in località “R.”, foglio (…), part.lla (…), di are 8,33; c) terreno sempre in località “R.”, foglio (…), part.lla part. (…), are 4,16; – che era deceduta anche la di lei madre G.F. e, non avendo costei disposto per testamento, la parte dei beni pervenutele dalla successione del marito, non possedendo altro, era andata in accrescimento ai figli -odierni attrice e convenuto-, per cui si era consolidata in loro favore la seguente situazione di fatto: M.M. è proprietario dei 3/4 dei beni sopra citati, mentre la odierna attrice M.A. è proprietaria di 1/4 degli stessi; – che era risultato vano ogni tentativo di dividere bonariamente il patrimonio comune.
Sulla scorta di tali considerazioni, la sig.ra M.A. concludeva chiedendo al Tribunale di dichiarare aperta la successione del fu M.L. e, per l’effetto, disporre la divisione dei beni relitti, con condanna del convenuto al rendimento dei conti per aver utilizzato in modo esclusivo i cespiti comuni.
Si costituiva in giudizio il convenuto M.M., il quale rappresentava che il defunto M.L. aveva corrisposto la somma di Euro 12.900,00 alla ditta G.E. a titolo di corrispettivo per i lavori di ristrutturazione dell’abitazione di proprietà di M.A., chiedendo l’imputazione all’asse ereditario della predetta somma ed evidenziava di aver formulato all’attrice la proposta di attribuzione per intero dei terreni e di ½ della cappella di famiglia; proposta che veniva rifiutata dalla sorella. Concludeva, pertanto, chiedendo, previa imputazione all’asse ereditario della predetta somma di Euro 12.900,00, di procedere alla divisione dei cespiti, mediante attribuzione all’attrice dei terreni e di ½ della cappella e a sé stesso della residua quota di ¼ dell’abitazione posta in località “R.” di D..
La causa veniva istruita attraverso l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e mediante l’espletamento di prova per testi, nonché di CTU volta ad accertare e valutare la massa ereditaria e a redigere un progetto di divisione dei beni (con elaborato peritale redatto dalla dott.ssa A.M., depositato il 28.02.2021).
All’udienza del 7.03.2023, dopo alcuni rinvii interlocutori, le parti precisavano le rispettive conclusioni.
In particolare, l’attrice rassegnava le seguenti testuali conclusioni: “a) preliminarmente valutare le osservazioni formulate da questa difesa con riferimento al valore attribuito alla casa e se ritenute fondate, procedere, quale peritus peritorum, al conseguente adeguamento ovvero demandarlo al CTU; b) rigettare la domanda avanzata da controparte relativa alla donazione che M.A. avrebbe avuta dal proprio genitore perché non provata, ed in conseguenza estrapolare dalla massa da dividere e quindi dal progetto di divisione per come predisposto, la corrispondente somma di Euro 12.900,00; c) statuire che il rendiconto dovuto dal Convenuto all’attrice, per le motivazioni sopra assunte, deve decorrere dal dì della morte di M.L. avvenuta il 27 gennaio 1999 e non dalla morte di G.F.. In conseguenza di ciò a modifica di quello determinato in perizia dal CTU in Euro 3.004,04, rapportarlo a quello effettivamente dovuto in Euro 10.715,00; d) attribuire alle parti in causa le quote dei beni per come individuate dal CTU in risposta al quesito nr. 2, con costituzione, in favore di M.A., della suggerita servitù per accedere ai terreni alla stessa assegnandi, altrimenti interclusi; e) spese e competenze, con accessori, secondo legge”.
La causa era dunque trattenuta in decisione con concessione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni venti per memorie di replica.
Motivi della decisione
La domanda di divisione ereditaria formulata da M.A. è inammissibile per più motivi e, pertanto, non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito riportate.
Innanzitutto, nell’adire il Tribunale per la divisione di comunione ereditaria, è indispensabile l’allegazione alla domanda dei certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e le trascrizioni relativamente ai beni nell’ultimo ventennio o quantomeno della relazione notarile in sostituzione, attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Ciò per consentire al giudice di verificare la presenza di condizioni ostative dell’azione divisoria, quali quelle afferenti alla sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del giudizio, nonché l’esistenza eventuale di altri litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un partecipante alla comunione) a norma degli artt. 1113 c.c e 784 c.p.c.
Nemmeno la dichiarazione di successione che ha rilevanza meramente fiscale (cfr. Cass. n. 14395/04, n. 15716/02) o i certificati catastali (v. Cass. n. 5257/11) provano la qualità per formulare domanda di divisione, né permettono di accertare l’integrità del contraddittorio e non compete al giudice di ordinare alle parti la produzione documentale o di conseguirla per CTU (v. Corte di Appello di Roma, 1 giugno 2011 n. 2480).
In assenza di certezza sulla proprietà dei beni dell’asse ereditario, su eventuali loro vincoli o pregiudizi, come, pure, sulla integrità del contraddittorio, che solo una idonea documentazione potrebbe determinare, la domanda va dichiarata inammissibile.
Tale considerazione è conforme ad un indirizzo consolidato nella giurisprudenza di merito (v. Tribunale Salerno sez. II, 05/01/2018, ud. 04/01/2018, dep. 05/01/2018, n. 38), che si riassume nella massima secondo cui: “L’omessa rituale produzione dei certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e trascrizioni nel ventennio anteriore ovvero di relazione notarile sostitutiva è indispensabile per verificare la sussistenza di condizioni dell’azione di divisione, quali la sussistenza del diritto dominicale in capo alle parti del giudizio e l’esistenza di altri eventuali litisconsorti necessari (creditori o aventi causa da un partecipante alla comunione) ex art. 1113 c.c. e 784 c.p.c.; di conseguenza, in difetto della suddetta tempestiva produzione, è inammissibile in radice la domanda di divisione ereditaria (v. Trib. Roma 16 luglio 2004, in Corr. merito, 2005, 1, 23).
Il menzionato indirizzo trova fondamento, oltre che sulla regola generale secondo cui la divisione può essere domandata soltanto da ciascuno dei coeredi (art. 713 c.c.) ovvero dei comunisti (art. 1111 c.c.), sicché l’esistenza della menzionata qualità costituisce indispensabile condizione dell’azione, la cui ricorrenza va verificata d’ufficio, sul principio dell’universalità della divisione, del quale è espressione l’art. 784 c.p.c., ove è stabilito che le domande di divisione ereditaria e di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono (essere) proposte in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se vi sono, avuto riguardo al disposto dell’art. 1113 c.c.
Dunque, incombendo sul giudice adito con la domanda di divisione la doverosa verifica officiosa, per un verso, della qualità di coerede-comunista in capo a colui il quale formula la domanda, nonché, per altro verso, della integrità del contraddittorio, con riguardo a tutti i possibili litisconsorti necessari, è indispensabile che la parte attrice depositi la documentazione a tal fine necessaria, ossia l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento o, altresì, un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.
Documentazione per l’appunto necessaria a verificare che le parti stiano dividendo beni effettivamente ed oggettivamente propri (e non semplicemente beni tra le parti incontestatamente propri) e che non vi siano altri soggetti titolari della qualità di litisconsorti necessari.
La documentazione necessaria alla esatta individuazione e proprietà del bene ed all’accertamento della eventuale esistenza di iscrizioni e/o trascrizioni pregiudizievoli, anche ai fini e per gli effetti di cui all’art. 1113 c.c., acquista particolare rilevanza, altresì, per l’individuazione delle modalità esecutive della divisione e, segnatamente, per l’accertamento sulla eventuale commerciabilità dei beni.
E, in definitiva, in assenza di certezza sulla proprietà degli stessi e sull’assenza di vincoli o pregiudizi, conseguibile solo attraverso idonea documentazione, non è possibile dunque adottare alcuna statuizione in merito.
Nemmeno la CTU disposta in corso di causa, che ha lo scopo di recare ausilio al giudice nell’esame delle materie che richiedono speciale competenza tecnica, può – salvo che nell’ipotesi di CTU percipiente, estranea al caso di specie – supplire all’osservanza dell’onere probatorio gravante sulle parti (ex multis Cass. 6 aprile 2005 n. 7097). In altre parole, la CTU non può risolversi in una relevatio ab onere probandi, né in uno strumento per aggirare preclusioni ormai maturate; tantomeno può avere funzione esplorativa, salvo il limite in cui essa diventa lo strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche – ma non è ovviamente il caso delle produzioni documentali in potere della parte interessata – nel caso già indicato dell’accertamento percipiente.
In conclusione, alla luce delle superiori considerazioni, la domanda di divisione ereditaria avanzata da M.A. va dichiarata inammissibile.
Tale inammissibilità investe, peraltro, le domande di divisione riguardanti tutti i beni compresi nell’asse ereditario, stante il principio della universalità della divisione ereditaria che è derogabile (con la possibilità di una divisione parziale), solo quando al riguardo intervenga un accordo tra le parti, ovvero quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. II, 08/04/2016, n. 6931; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 573 del 12/01/2011; in precedenza, nello stesso senso, Cass. 29 novembre 1994, n. 10220, in DVD Iuris Data,1/2008; Cass. 5 settembre 1978, n. 4036, in Giust. civ. Mass., 1978, II, 1681; implicitamente Cass. 9 febbraio 1980, n. 905, in Giust. civ. Mass., 1980, I, 380; Cass. 12 febbraio 1980, n. 1012, in Giust. civ., 1980, I, 1643).
Ma vi è, in ogni caso, un secondo profilo di inammissibilità della domanda, legato agli abusivismi che interessano il fabbricato sito in località R. del Comune di D., distinto al Catasto fabbricati al foglio di mappa (…), particella (…).
Difatti, si legge nell’elaborato peritale, agli atti: “Al sopralluogo effettuato hanno fatto seguito approfondite indagini effettuate presso il comune di Decollatura, (si veda allegato n.3), dalle quali è emerso che, il fabbricato in questione è stato costruito, inparte, con Licenza Edilizia, rilasciata dal Comune di D. in data 18 maggio 1973, protocollo n. (…), pratica n. 10, a nome di M.L., per la realizzazione di una casa per abitazione ad un unico piano, come da allegata documentazione reperita presso lo stesso Comune (si veda allegato n.4), ed in parte è stato oggetto di domanda di sanatoria per abusi edilizi, per cui, successivamente, in data 29 aprile 1986, è stata presentata, domanda di sanatoria, L. 28 febbraio 1985, n. 47 (si veda allegato n.5). Concessione in Sanatoria, peraltro, mai ottenuta in quanto deficitaria di documentazione integrativa, come richiesta dall’Ente, e delle somme dovute a titolo di oblazione e come oneri concessori per l’ottenimento del provvedimento sanante. Gli abusi consistono nella realizzazione di un piano cantinato da cui scaturisce l’ampliamento della superficie e l’aumento della relativa volumetria, per cui il fabbricato si presenta nella consistenza attuale, di seguito dettagliatamente descritta. …”.
Orbene, la Suprema Corte ha recentemente stabilito che l’immobile abusivo è destinato a rimanere in comunione fin quando l’abuso non è sanato o demolito, affermando il seguente principio di diritto: “quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46 e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio” (V. Cass. SSUU, 7 ottobre 2019, n. 25021).
La domanda di divisione, dunque, appare inammissibile anche sotto questo profilo.
Risultando assorbite tutte le altre domande proposte dalle parti; trattandosi, infatti, di domande proposte al fine di determinare l’esatta consistenza dei beni ricompresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione, la pronuncia di inammissibilità della domanda di divisione ereditaria assorbe tutte le questioni pregiudiziali e preliminari sollevate.
Considerata la reciproca soccombenza, atteso che il convenuto ha sostanzialmente aderito alla domanda di divisione ereditaria, le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti e le spese di CTU, già liquidate in corso di causa, vanno poste definitivamente a carico delle parti in solido in egual misura, detratto ogni acconto eventualmente già corrisposto.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda come sopra proposta, così provvede:
-dichiara inammissibile la domanda di divisione ereditaria;
-compensa integralmente tra le parti le spese di lite;
-pone definitivamente a carico delle parti in solido, in egual misura, le spese della CTU espletata in corso di causa, come liquidate durante il giudizio, detratto ogni acconto eventualmente già corrisposto.
Conclusione
Così deciso in Lamezia Terme, il 31 agosto 2023.
Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.
