Tanto premesso e passando ad esaminare il merito della res controversa, si evidenzia che con atto di citazione ritualmente notificato, (omissis) e (omissis) convenivano in giudizio (omissis) S.P.A. affinché fosse condannato al risarcimento in loro favore dei danni occorsi all’immobile in loro proprietà. A fondamento della domanda, gli attori deducevano: di essere proprietari di un immobile a (omissis), composto da due corpi di fabbrica adiacenti, entrambi costituiti da piano seminterrato e piano rialzato; che nel mese di luglio-agosto 2007 (omissis), nel realizzare dei lavori di completamento della rete fognaria, aveva eseguito a ridosso di tale immobile un pozzetto di raccolta delle acque bianche; che tale pozzetto, situato più in basso rispetto al livello della condotta fognaria, aveva determinato un ristagno di acqua causando danni da infiltrazioni alla loro abitazione; che la società convenuta, in seguito alle loro proteste, aveva rimosso le cause delle infiltrazioni convogliando le acque bianche mediante una condotta di metri 15 nel vicino pozzetto della rete fognaria; che, pertanto, i danni causati dalle infiltrazioni ammontavano a circa Euro 13.200,00 dei quali veniva richiesto il risarcimento, in misura maggiore o minore.
Si costituiva in giudizio (omissis) S.P.A. contestando la domanda e chiedendone il rigetto. La convenuta deduceva: di non essere passivamente legittimata all’azione risarcitoria, in quanto la gestione delle acque bianche competeva al Comune di Cersosimo; che, allorquando furono eseguiti i lavori di scavo per il rifacimento della condotta fognaria era stata rinvenuta una vena d’acqua sotterranea che interferiva con la esecuzione dei lavori, talché si era reso indifferibile e urgente il convogliamento di tali acque in un pozzetto di raccolta, rendendo edotto di tanto il Sindaco del Comune di (omissis) il quale aveva manifestato il proprio consenso ai lavori; che, invero, gli attori non avevano dato alcuna prova della derivazione causale delle infiltrazioni dal pozzetto di raccolta, ben potendo le stesse discendere da altri fattori. La società convenuta, pertanto, chiedeva di chiamare in causa il Comune di Cersosimo, affinché fosse dallo stesso manlevato dalle conseguenze risarcitorie in caso di accoglimento della domanda.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva in giudizio il Comune di (omissis), il quale contestava la domanda, chiedendone il rigetto. Il terzo chiamato in causa deduceva: di non essere passivamente legittimato all’azione risarcitoria; che, pur sussistendo la sua competenza nella gestione delle acque bianche, non era stato mai reso edotto del problema, né vi era alcuna formale delibera che autorizzasse l’esecuzione dei lavori; che, dunque, la responsabilità per gli eventuali danni arrecati all’immobile attoreo doveva imputarsi unicamente alla condotta dell’(omissis); che, inoltre, non era stato provato il nesso di causalità tra la erronea esecuzione dei lavori e i danni lamentati, contestandone il relativo ammontare.
Prodotta ed acquisita documentazione, ammessi ed espletati interrogatorio formale e prova testimoniale, disposta C.T.U. la causa, sulle conclusioni in epigrafe veniva riservata in decisione da questo giudice (subentrato nella trattazione del procedimento solo a far data dal 12 gennaio 2015), con i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per lo scambio degli scritti conclusionali.
La domanda è infondata e va rigettata per le ragioni che seguono.
Il Tribunale osserva, invero, che non è stata acquisita la prova in termini di certezza ovvero di elevata probabilità che i danni occorsi all’immobile in proprietà degli attori siano stati cagionati dalle infiltrazioni propagatesi dal ristagno di acqua nel pozzetto adiacente. Invero, in primo luogo, l’atto di citazione sconta evidenti carenze in punto di compiuta deduzione dei fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria, laddove il nesso di causalità tra le infiltrazioni e il ristagno di acqua nel pozzetto è stato meramente allegato in termini apodittici, senza addurre alcun elemento probatorio ovvero indiziario da cui potersi logicamente e ragionevolmente desumersi tale relazione causale. Parte attrice, del resto, ha demandato l’assolvimento del necessario onere assertivo e probatorio ad una consulenza di parte, alla quale non può riconoscersi la funzione di integrare le allegazioni della parte né la stessa può ritenersi dotata di efficacia probatoria in relazione ai fatti oggetto delle indagini del perito. La Corte di Cassazione, infatti, ha più volte affermato che la perizia di parte non è una fonte di prova, in quanto, non solo essa è formata al di fuori del giudizio, ma la sua precostituzione non trova disciplina nell’ordinamento; pertanto, anche quando sia giurata, la perizia stragiudiziale rientra pur sempre nel novero delle attività difensive della parte, in questo caso, di carattere tecnico, con la conseguenza che alla stessa deve essere riconosciuto il valore di mero indizio, il cui esame e valutazione è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il quale non è, tuttavia, affatto obbligato a tenerne conto (cfr., sul punto, Cass. n. 9551/2009, Cass. n. 1902/2002, Cass. n. 4437/1997). Sul punto non pare superfluo rammentarsi che nella struttura dell’illecito aquiliano, l’attore che agisce chiedendo il risarcimento dei danni ha l’onere di provare il “fatto” che costituisce fondamento della pretesa fatta valere, il nesso di causalità tra il comportamento altrui e l’effetto dannoso nonché l’entità dei danni. Per altro verso, proprio con riferimento all’analisi della sussistenza del nesso causale appare opportuno operare una ricognizione dei criteri giuridici di verifica del rapporto di derivazione causale nell’ambito della responsabilità civile. La dottrina e la giurisprudenza civilistica hanno più volte attinto agli orientamenti più significativi sviluppatisi sul punto in campo penale ma, nondimeno, hanno doverosamente apportato quei necessari correttivi ed adattamenti alla struttura dell’illecito civile (inteso in senso ampio e comprensivo sia della responsabilità contrattuale che aquiliana) che il problema della causalità necessariamente impone. Secondo il più recente orientamento dei giudici di legittimità “in tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (Cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581). Orbene, dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata, non emergono elementi convincenti ed univoci, tali da far ritenere certa ovvero altamente probabile la derivazione causale del fenomeno infiltrativo dal presunto ristagno di acqua nel pozzetto realizzato dalla società convenuta. Il consulente, invero, nei chiarimenti richiesti dal Tribunale, depositati in data 10.03. 2017, si è limitato a “ragionevolmente supporre” il nesso di causalità tra gli i segni che evidenziavano la presenza di infiltrazioni in passato e il ristagno di acqua nel pozzetto. Le risultanze dell’indagine peritale, in ogni caso, in disparte la indubbia portata esplorativa che la consulenza ha assunto in ragione delle evidenti lacune assertive della domanda, destano forti perplessità in punto di sicura riconducibilità delle infiltrazioni al ristagno di acqua avuto, in particolare, riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità in termini meramente presuntivi, neppure adeguatamente circostanziati. Tali perplessità risultano ancor più avvalorate da quanto emerso dall’istruttoria testimoniale espletata, avendo i testi di parte convenuta riferito che durante i lavori di scavo avevano constatato la presenza una “vena” di acqua nel sottosuolo in prossimità dell’immobile attoreo e che si era reso necessario il suo drenaggio al fine di completare i lavori sulla condotta fognaria. Ebbene, la presenza di acqua sotterranea come accertata dai testimoni, direttamente impegnati nelle operazioni di scavo, potrebbe ragionevolmente porsi quale fattore causale alternativo del fenomeno infiltrativo, rispetto al quale, dunque, la correlazione eziologica tra le infiltrazioni e il dedotto ristagno di acqua nel pozzetto non potrebbe essere apprezzata in termini certi ovvero altamente probabilistici, tale, dunque, da ascrivere la produzione dei danni lamentati alla responsabilità della convenuta.
Da quanto argomentato in precedenza deve concludersi per il rigetto della domanda, con il conseguente assorbimento della domanda di manleva formulata da (omissis) S.P.A. nei confronti del Comune di (omissis).
Con riguardo al regolamento delle spese di lite, va osservato che la controvertibilità delle questioni oggetto del giudizio in punto di ricostruzione del nesso causale è idonea ad integrare una grave ragione per disporne la integrale compensazione tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma secondo, c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis al giudizio.
Le spese di C.T.U., liquidate con separato decreto, devono essere definitivamente poste a carico delle parti in solido.
• – Rigetta la domanda;
• – Compensa interamente tra le parti le spese di lite;
• – Pone definitivamente a carico delle parti in solido le spese di C.T.U., liquidate con separato decreto.
Così deciso in Lagonegro, il 20 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2018