Svolgimento del processo
Con atto di citazione, notificato in data 13/04/2017, la sig.ra (omissis) conveniva in giudizio avanti questo Tribunale il Condominio (omissis) di (omissis), esponendo:
– di essere proprietaria dell’immobile sede dello studio ove la stessa esercitava la propria attività di grafologa forense, sito al piano terra di un palazzo in (omissis), Corso (omissis), costruzione di quattro piani del secolo XVIII, con cavedio concepito per dare luce ed aria agli appartamenti;
– che in particolare lo studio in proprietà aveva vista sul portone di ingresso, essendo così la stessa in grado di veder arrivare, da parecchi metri, chiunque entrasse nel portone;
– che il 17 gennaio 2017 si era tenuta l’assemblea dei condomini di Corso (omissis) con all’ordine del giorno la realizzazione ed installazione, a totale carico di due condomini, di un ascensore di 4 fermate progettato nel cavedio;
– che l’attrice dava voto contrario perché nel progetto la struttura dell’ascensore risultava posta ad un metro dalla porta del proprio studio, facendo altresì presente che l’innovazione proposta avrebbe per varie ragioni violato il disposto dell’art. 1120, comma 2, c.c.;
– che nondimeno l’assemblea, con il solo voto contrario dell’attrice, aveva approvato costruzione e installazione dell’ascensore;
– che, chiamato in mediazione il Condominio, presentatosi all’incontro l’amministratore geom. (omissis), la procedura, non essendo stato possibile trovare un accordo, si era chiusa con esito negativo.
Poste tali premesse, l’attrice con l’atto di citazione impugnava la delibera condominiale del 17.01.2017, di cui chiedeva venisse dichiarata la nullità.
A motivi dell’impugnativa deduceva:
a) il mancato rispetto delle distanze ex artt. 873 e 907 c.c. (l’ascensore si sarebbe trovato a distanza non legale, essendo posto a distanza di circa un metro dalla proprietà (omissis));
b) il pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza del fabbricato (esigenza di perforare il cavedio con putrelle di peso e dimensioni tali da non poter sostenere l’intera struttura; presenza sotto il palazzo ed il cavedio dell’acquedotto romano, fabbricato di valore storico tutelato dalla Soprintendenza alle Belle Arti, laddove lo spessore che li separava era di appena tre metri);
c) il pregiudizio al decoro architettonico (per il contrasto tra la modernità dell’ascensore e lo stile antico del fabbricato, vincolato dalla Soprintendenza alle Belle Arti);
d) il fatto che l’innovazione sarebbe tale da rendere inservibili le parti comuni (impossibilità di vedere fino in fondo all’androne, “impallato” dalla presenza dell’ascensore; ingombro del cavedio, con sottrazione di luce ed aria ai condomini; difficoltà d’ingresso di clienti e fornitori allo studio (omissis); impossibilità, in caso di urgenza, di passaggio di barella in posizione orizzontale; impossibilità di introdurre merci voluminose attraverso la porta di ingresso, avendo lo studio destinazione d’uso di laboratorio artigianale, con conseguente diminuzione di valore dell’immobile).
Si costituiva, con comparsa di risposta depositata il 04.09.2017, il Condominio convenuto, in persona dell’amministratore, contrastando deduzioni e domande dell’attrice e concludendo per il rigetto dell’impugnativa.
In sintesi deduceva che:
– l’assemblea condominiale aveva deciso, con regolare maggioranza prevista dall’art. 1136 comma 5 c.c., l’installazione dell’ascensore, a cura e spese esclusive dei condomini (omissis) e (omissis), i quali avevano necessità del manufatto per esigenze proprie e familiari;
– all’assemblea era presente l’arch. (omissis), progettista e direttore dei lavori dell’integrale ristrutturazione del Condominio (omissis), al quale era stata affidata anche la progettazione dell’installazione dell’ascensore e che forniva all’assemblea gli opportuni chiarimenti circa gli aspetti strutturali e progettuali, precisando in particolare come l’installazione del manufatto non pregiudicasse minimamente né stabilità né sicurezza dell’immobile;
– il Condominio F. non era interessato da alcun vincolo o tutela da parte né della Soprintendenza ai Beni Architettonici né della Soprintendenza Archeologica, mentre l’acquedotto romano non sarebbe stato minimamente interessato dall’ascensore;
– la richiamata disciplina degli artt. 873 e 907 c.c. era del tutto estranea al caso di specie, riguardando edifici finitimi e non unità immobiliari interne a un Condominio;
– non sussisteva alcun pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato;
– non sussistevano impedimenti o ostacoli di sorta dall’installazione del manufatto (in ordine alla presunta sottrazione di luce ed aria al vano scale; all’accesso allo studio (omissis); alla visuale completa del portoncino d’ingresso, per fruire della quale l’attrice avrebbe ad ogni modo avuto pur sempre necessità di affacciarsi alla porta; l’asserita perdita di valore dell’immobile non corrispondeva al vero ed era frutto di generica asserzione);
– erano state rispettate le prescritte maggioranze ex art. 1136 comma 5 c.c. (maggioranza dei partecipanti al Condominio che rappresentino i due terzi del valore dell’edificio: su 14 convocati e 10 presenti, 9 condomini, rappresentanti un totale di 704,390 millesimi, avevano votato favorevolmente per l’installazione);
– la collocazione dell’ascensore era coerente con le previsioni della L. n. 13 del 1989, avente ad oggetto l’eliminazione delle barriere architettoniche, normativa applicabile non solo ai portatori di handicap ma altresì alle persone ultra sessantacinquenni pur senza particolari difficoltà motorie (il condomino (omissis), così come la moglie, la cui abitazione era posta al secondo piano, avevano più di 65 anni; il condomino (omissis) e la di lui moglie (omissis), la cui abitazione era posta al terzo piano, si occupavano stabilmente del padre della (omissis), invalido civile al 100% ed affetto da una patologia cronica richiedente cure debilitanti, di cui altri non poteva occuparsi se non la sig.ra (omissis), unica figlia);
– la delibera in definitiva era stata assunta del tutto legittimamente.
Intervenivano volontariamente nel processo le sigg.re (omissis) e (omissis), nonché i sigg.ri (omissis) e (omissis), assumendo posizione adesiva le prime due alle domande della (omissis) e gli altri due alle difese del Condominio.
La (omissis) e la (omissis) (titolari del diritto di usufrutto e della nuda proprietà di un appartamento ricavato all’interno dell’edificio condominiale di Corso (omissis)) deducevano che:
– il vano ascensore sarebbe posto a distanza di 1,05 ml. dall’ingresso e dalle finestre dell’appartamento delle intervenienti, che affacciavano sul cavedio condominiale;
– il manufatto avrebbe avuto attitudine a pregiudicare il valore dell’immobile, le esigenze di privacy e riservatezza dei locali, e sottrarrebbe luce ed aria al cavedio;
– la collocazione dell’opera era impedita dal Piano Particolareggiato del Centro Storico (art. 19) e dalle dimensioni minime ivi prescritte.
I condomini (omissis) e (omissis), di contro, dichiaravano di aderire alle conclusioni del Condominio, ribadendo le ragioni di necessità all’installazione del manufatto già rappresentate da parte convenuta (gli stessi si occupavano del sig. (omissis), riconosciuto invalido al 100%, rispettivamente suocero di (omissis) e genitore di (omissis)), che avevano imposto loro di chiedere l’installazione del manufatto, le cui spese peraltro sarebbero state sostenute esclusivamente dai condomini che ne avevano fatto richiesta (ossia, oltre che da loro, dai sigg.ri (omissis), entrambi ultra sessantacinquenni).
Richiamavano le norme ed i principi della L. n. 13 del 1989, sull’abbattimento delle barriere architettoniche, e l’interpretazione, ispirata a principi costituzionalmente orientati, che ne aveva progressivamente dato la giurisprudenza.
Così essenzialmente impostato il contraddittorio, assegnati alla prima udienza del 26 settembre 2017 termini per memorie ex art. 183 comma VI c.p.c., il giudice designalo alla trattazione, reputando la causa documentale, fissava udienza per la precisazione delle conclusioni.
Con ricorso ex artt. 669 quater c.p.c. e 1171 c.c. in data 25.10.2018 l’attrice chiedeva venisse inibita al Condominio in via cautelare la prosecuzione dei lavori di installazione dell’ascensore, che nelle more avevano avuto inizio.
Instaurato il contraddittorio sul ricorso, la richiesta di cautela veniva respinta con ordinanza 12.02.2019.
Intervenute modifiche tabellari nella titolarità e gestione del ruolo, da ultimo all’udienza del 27 ottobre 2020 i procuratori delle parti (principali ed intervenute) precisavano le rispettive conclusioni, come in epigrafe trascritte, e la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusionali.
Motivi della decisione
L’impugnativa della delibera condominiale di cui si discute deve essere respinta.
L’attrice (e tale interpretazione illustra per es. a pag. 4 della comparsa conclusionale) assume che la delibera di cui, impugnandola e chiedendone la declaratoria di nullità, si duole costituisca un’innovazione, ai sensi dell’art. 1102 c.c., della cosa comune e non già una “modifica” dell’uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1120 c.c..
Ai sensi dell’art. 1102 c.c. l’innovazione oggetto di divieto è quella che venga ad alterare l’uso della cosa comune, impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne parimenti uso.
In breve, in tesi dell’attrice, tale stravolgimento (alterazione della destinazione e fruibilità) della cosa comune – cavedio – sarebbe in primo luogo provocato dal fatto che dall’installazione del manufatto (ascensore) discenderebbe un attentato (pericolo di pregiudizio) alla stabilità e sicurezza del fabbricato; inoltre sarebbe privato il cavedio della capacità di dare luce ed aria al Condominio; sussisterebbe un pregiudizio al decoro architettonico.
Tanto sinteticamente premesso, rileva preliminarmente il giudicante che il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità della delibera per cui è impugnativa, e non le modalità esecutive dei lavori (di tali precisi e circoscritti limiti della causa petendi palesa consapevolezza il Condominio, a pag. 5 della conclusionale di replica, a fronte delle doglianze avversarie, in particolare delle intervenienti (omissis) e (omissis), le quali, nonostante il mancato accoglimento della richiesta di consentire la produzione di copia della CTU in corso in altro giudizio, tentano di valersi delle comparse conclusive per dare ingresso a documentazione tecnica, propria di altro giudizio, oltretutto a contraddittorio parzialmente incompleto).
Mantenendo allora la discussione giuridica sul piano della legittimità formale della delibera (e quindi non della sua effettiva attuazione e delle concrete modalità di svolgimento dei lavori, che si ribadisce non possono essere oggetto del presente contenzioso), pare opportuno muovere dalla relazione dell’arch. (omissis) (progettista e direttore dei lavori) indirizzata al Condominio (doc. 1 convenuto), atto tecnico sul quale (rectius: sulle cui conclusioni oralmente illustrate all’assemblea, cfr. verbale di delibera) si era evidentemente espressa l’assemblea condominiale nel suo deliberato.
In sintesi detta relazione illustra che:
– la delibera adottata prevedeva di inserire un piccolo ascensore unipersonale (dimensioni 80 x 90 cm. per una carrozzella con persona);
– l’unico luogo possibile di alloggiamento del manufatto nell’edificio (sviluppantesi in cinque piani fuori terra) era quello di inserirlo al centro del cavedio, a fianco delle rampe di scale e dei “ballatoi di distribuzione”;
– non erano ravvisabili pericoli alla stabilità e sicurezza del fabbricato (le lesioni ed i cavilli presenti non costituivano crepe ma erano assolutamente normali in edifici datati; per collocare l’ascensore non risultava assolutamente necessario perforare il solaio; le putrelle di sostegno sarebbero state poste in opera sotto il solaio saldate a quelle esistenti);
– non venivano rese inservibili le parti in comune (l’ascensore avrebbe occupato 1,47 mq rispetto ai 20 mq. ed oltre del cavedio; non toglieva luce e aria avendo il cavedio copertura in vetro; l’ascensore neppure arrivava al soffitto in vetro).
Ora sicuramente la progettata installazione del manufatto (ascensore) all’interno del fabbricato condominiale (in particolare del cavedio) veniva a comportare per un certo verso qualche restrizione all’originaria conformazione delle parti comuni dell’edificio.
Ma tale constatazione non potrebbe essere di per sé risolutiva all’affermata illegittimità sic et simpliciter dell’opera (deliberata), già per il fatto che la stessa deve essere apprezzata non in assoluto bensì nel contesto dell’evoluzione normativa, in cui gli interessi in potenziale conflitto vanno valutati in un’ottica comparativa, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata ed in un ambito che, con efficace espressione, è stato definito e qualificato di solidarietà condominiale.
Uno dei principali punti di riferimento dell’evoluzione normativa applicabile alla fattispecie è costituita dalla disciplina (diffusamente invocata dal Condominio convenuto e dagli intervenienti ad esso adesivi, coniugi (omissis)) di cui alla L. 9 gennaio 1989, n. 13 (e successive modifiche ed integrazioni) recante “disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione della barriere architettoniche negli edifici privati“.
Come condivisibilmente rilevano il Condominio e gli intervenienti coniugi (omissis), la questione delle modifiche alle parti comuni di un edificio residenziale privato con pluralità di proprietari (appunto, Condominio) per l’installazione di ascensore è strettamente correlata alla problematica del superamento e dell’abbattimento delle c.d. barriere architettoniche, essendo a pieno titolo (cfr. pag. 7 conclusionale parte convenuta) l’ascensore un elemento accessorio di servizio (ormai) necessario per l’abitabilità effettiva di un appartamento allocato in posizione svantaggiosa per le persone portatrici di handicap (ovvero avanti negli anni).
In tale prospettiva una sfumata, ridotta “fruibilità” di porzioni comuni dell’edificio, laddove indispensabile ed inevitabile per la collocazione del manufatto, è destinata ad assumere valenza recessiva, a meno che l’innovazione non comporti che alcune porzioni comuni dell’immobile diventino inservibili, ovvero che la modifica pregiudichi od esponga a rischio la stabilità e la sicurezza del fabbricato.
Nel caso di specie nondimeno non emerge evidenza alcuna che tali evenienze effettivamente sussistano, di modo che la delibera in sé non ha attitudine a risultare per ciò stesso invalida (salva l’eventuale verifica in concreto in sede attuativa dell’opera che, si ribadisce, involge profili estranei ai limiti della presente causa).
In tale prospettiva, il sacrificio dedotto dalla (omissis) e di cui la stessa si duole (di una parziale modifica e riduzione della propria visuale diretta, asseritamente in precedenza totale, sull’entrata del portone di ingresso all’edificio condominiale) non potrebbe giustificare il divieto dell’installazione del manufatto.
Anche perché in un’ottica di bilanciamento di interessi quello lamentato costituirebbe “disagio” di fatto che non potrebbe certo equipararsi, e sarebbe pertanto destinato a cedere, all’impedimento della piena fruibilità degli appartamenti ai piani superiori (non è seriamente contestato che i coniugi (omissis), entrambi ultra sessantacinquenni, abitino l’unità immobiliare posta al secondo piano dell’edificio condominiale; così come che i coniugi (omissis) occupino un appartamento al terzo piano e che un loro stretto familiare, come da documentazione acquisita in atti, sia affetto da grave ed invalidante patologia).
Al riguardo si rileva come la condivisibile evoluzione giurisprudenziale, ispirata all’assetto normativo costituito dalle norme di legge ordinaria (sul superamento delle barriere architettoniche) ed ai valori costituzionali (diritto alla salute; tutela dei diritti fondamentali della persona), consenta di ritenere equiparabili le condizioni della disabilità (o invalidità) fisica in senso proprio e quelle dell’età avanzata (tutela degli anziani, a cui la giurisprudenza per convenzione riconosce rilevanza laddove l’età sia eccedente il limite dii 65 anni).
Allo stesso modo appare appieno condivisibile l’opzione interpretativa di ritenere non direttamente rilevante e dirimente la circostanza che il familiare invalido conviva abitualmente, oppure no, con il condomino con situazione abitativa “svantaggiosa” (i coniugi (omissis) sono proprietari ed occupano l’abitazione al piano terzo del fabbricato condominiale), dovendo comunque essere tutelato il diritto del congiunto ad accedere liberamente all’abitazione del nucleo familiare dei parenti ancorché non abitualmente conviventi.
Rimane pertanto non decisivo che il genitore della sig.ra (omissis) risieda in altro Comune (Valdagno) a distanza di alcuni chilometri con la città capoluogo di residenza della figlia, ovvero verificare l’effettiva frequenza di accessi, indotti dalla patologia del medesimo, all’Ospedale della città – Vicenza – ove appunto abita la figlia (di cui va invece tutelato il diritto naturale di ospitare l’anziano e malato genitore, senza vincoli ed impedimenti indotti dalle barriere architettoniche, liberamente, ogni qualvolta lo voglia, con possibilità di fargli utilizzare un ascensore ai fini dell’accesso, altrimenti impedito o sommamente disagevole).
In definitiva, come ha più volte affermato la Suprema Corte (tra le altre, Cassazione civile, sez. II, 27.12.20111 n. 28920) l’installazione dell’ascensore, rientrando tra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27, comma 1, L. 30 marzo 1971, n. 118 ed all’art. 1, comma 1. D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, costituisce innovazione che, ai sensi dell’art. 2 L. 9 gennaio 1989, n. 13, deve essere approvata (è sufficiente sia approvata) dalla maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 1 e 2, c.c., purché siano rispettati i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c..
Ora, nel caso di specie:
a) ricorrono le maggioranze di legge (come deduce e documenta il Condominio, la delibera venne ad essere adottata con l’approvazione della maggioranza dei partecipanti che rappresentavano i due terzi del valore dell’edificio, ossia, su 14 convocati e 10 presenti, da 9 condomini, rappresentanti un totale di 704,390 millesimi), ed anzi addirittura a maggioranza ampiamente superiore a quella richiesta dalla legge;
b) non vi è evidenza che siano stati violati i limiti prescritti dagli art. 1120 e 1121 c.c. (salve semmai le verifiche in ordine alle effettive modalità di realizzazione del manufatto).
Quanto, per altro profilo di censura, alla lamentata violazione della disciplina di cui agli artt. 873 e 907 c.c., si tratta effettivamente di questione del tutto estranea alla fattispecie, riguardando, come rileva parte convenuta, edifici finitimi e non unità immobiliari interne a uno stesso Condominio.
Gli altri indici dii legittimità la cui violazione viene ad essere lamentata dall’attrice (pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza del fabbricato; pregiudizio al decoro architettonico per “contaminazione” di elementi di antichità ed elementi di modernità; difficoltà per merci e presidi sanitari, quali barelle, di accedere liberamente in caso di necessità all’unità immobiliare avente a destinazione lo studio professionale) involgono doglianze all’evidenza pretestuose, genericamente allegate e comunque non dimostrate.
La domanda correlata all’impugnativa, di dichiarare in radice la nullità della delibera condominiale, va quindi disattesa.
Le spese processuali, liquidate come da dispositivo (ex D.M. 10 marzo 2014, n. 55, scaglione di valore indeterminabile, importi tariffari medi, con inclusione della fase cautelare incidentale), seguono il criterio di soccombenza e devono quindi essere accollate all’attrice in solido con le intervenute ad essa adesive, (omissis) e (omissis).
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza deduzione eccezione disattesa o comunque assorbita, così provvede:
I) rigetta la domanda dell’attrice sig.ra (omissis), e delle intervenute sigg.re (omissis) e (omissis), di declaratoria di nullità delibera condominiale 17.01.2017 oggetto di impugnativa;
II) condanna l’attrice (omissis) in solido con le intervenute (omissis) e (omissis) a rifondere le spese processuali, liquidate:
– in Euro 8.000,00 (ottomila/00) per compensi professionali (inclusa la fase incidentale cautelare), oltre a spese generali 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge, a favore del convenuto Condominio (omissis);
– in Euro 8.000,00 (ottomila/00) per compensi professionali (inclusa la fase incidentale cautelare), oltre a spese generali 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge, a favore degli intervenuti sigg.ri (omissis) e (omissis).
Così deciso in Vicenza, il 26 giugno 2021.
Depositata in Cancelleria il 1 luglio 2021.
