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Tribunale di Trieste, 24/06/2025, n. 583

Massima

Il furto di un bene lasciato alla pubblica fede, sia per necessità che per consuetudine, trascende la mera sottrazione, configurandosi come furto aggravato. L’ordinamento, infatti, tutela con rigore il diritto di proprietà altrui in maniera incondizionata, senza che l’eventuale mancata adozione di cautele da parte del proprietario possa attenuare la responsabilità del reo. Anzi, proprio l’affidamento del bene alla lealtà collettiva rende più odiosa e meritevole di maggior sanzione la condotta di chi tradisce tale fiducia, violando la proprietà quando essa si mostra più vulnerabile.

Supporto alla lettura

FURTO

Il reato di furto (art. 624 c.p.) si colloca fra i reati contro il patrimonio, ai quali il codice penale dedica l’ultimo titolo del libro II. Il bene giuridico tutelato in questo caso è il patrimonio inteso come bene funzionale alla conservazione, sviluppo e autonomia della persona umana, la cui componenete più pregnante, il diritto di proprietà, è protetta anche dalla Costituzione (art. 42 Cost.).

Nella categoria del reato di furto rientrano il:

  • furto comune (artt. 624 e 625 c.p.)
  • furto in abitazione e con strappo (art. 624 bis c.p.)
  • furti punibili a querela dell’offeso (art. 626 c.p.)

Affinchè tale reato si configuri, sarà necessario che il soggetto agente compia una duplice azione:

  • la sottrazione del bene: cioè la materiale apprensione di un oggetto mobile appartenete ad altro soggetto;
  • l’impossessamento: ricorre quando una volta appreso il bene, il soggetto agente lo sottragga del tutto dalla sfera di controllo del legittimo proprietario con l’intenzione di approppriarsene definitivamente

Il furto si dice aggravato nel caso in cui ricorra una delle circostanze previste dall’art. 625 c.p. (per esempio se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici, o sottoposte a sequestro, pignoramento o esposte alla pubblica fede o destinate al pubblico servizio; se avviene con violenza sulle cose o con mediante l’utilizzo di mezzi fraudolenti; ecc…)

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO
1. L’imputato è stato tratto a giudizio a seguito di decreto di citazione emesso dall’Ufficio del Pubblico Ministero per rispondere dell’imputazione di furto aggravato e, non comparendo all’udienza predibattimentale del giorno 3 dicembre 2024, di necessità celebratasi innanzi ad altro giudicante, veniva dichiarato assente. Poscia il Giudice dell’udienza pre-dibattimentale, sentite le parti, all’esito della discussione, disponeva la prosecuzione del giudizio e così fissando l’udienza dibattimentale del giorno 18 marzo 2025 dove venivano ammesse le richieste di prova formalizzate dalle parti.

Nel prosieguo, all’udienza del giorno 15 aprile 2025, aveva luogo l’esame dei testi del pubblico ministero ed Tribunale, all’esito, differiva all’odierna udienza ove, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale e l’utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento ai fini della decisione, il giudicante inviata le parti a concludere e sulla base delle conclusioni rassegnate e poco sopra ritrascritte, aveva luogo la camera di consiglio e, all’esito, il giudicante pronunziava la decisione come da dispositivo integralmente riprodotto in calce.

La penale responsabilità dell’imputato per quanto in imputazione, è rimasta provata al di là di ogni ragionevole dubbi.

2. Il fatto storico – nei modi e nei termini di cui all’enunciato del capo di imputazione -è rimasto provato in modo incontrovertibile all’esito dell’esame dibattimentale della persona offesa ed altresì confermato – sostanzialmente -dalle ulteriori emergenze istruttorie.

Per quanto è emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale il 7 febbraio 2024 (omissis) subiva il furto di un marsupio di sua proprietà – tra l’altro, contenente un portafogli con all’interno 100 euro, una tessera bancomat della Banca Intesa San Paolo, la tessera sanitaria, delle chiavi – che si trovava custodito all’interno di un autoveicolo, ugualmente di proprietà della persona offesa, parcato lungo la pubblica via e lasciato aperto.

Nello specifico, il veicolo era stato lasciato in quiete proprio innanzi alla sede di un Reparto della Guardia di Finanza.

Nella mattinata della stessa giornata, la persona offesa, sporgeva formale querela (aff. 13 fasc. Dib) presso gli Uffici della Guardia di Finanza ed in detto contesto il Sottufficiale che aveva redatto l’atto di impulso dell’azione penale che sorregge questo procedimento, dopo aver constatato che il sistema di video sorveglianza della Caserma consentiva di attenzionare anche il veicolo del Ca., procedeva a visionare i relativi filmati da quali si poteva notare che dapprima la persona offesa lasciava il proprio marsupio all’interno del veicolo e, successivamente, unicamente un altro uomo, poi identificato nell’odierno imputato, per ben due volte, accedeva all’interno della cabina del veicolo dove era stato lasciato, in precedenza, il marsupio (cfr. esame dibattimentale teste M.llo GdF (omissis), doc Pm dimessi all’udienza del 15 aprile 2025).

Nel corso dell’esame dibattimentale, la persona offesa ha poi aggiunto che dalla visione delle immagini delle riprese del sistema di video sorveglianza l’uomo che era entrato nella cabina del veicolo poteva identificarsi nella persona dell’odierno imputato che, tra l’altro, era un suo dipendente.

Appare inoltre utile puntualizzare che la persona offesa ha avuto modo di affermare, nel corso dell’esame dibattimentale, di aver infine ricevuto una telefonata dall’imputato, nel corso della quale il (omissis) formalizzava le proprie scuse per l’occorso, ripromettendosi – fatto mai avvenuto – di dare corso ad un risarcimento del danno cagionato con la condotta di cui in imputazione. Merita infine utile dare conto del fatto che la persona offesa ha altresì specificato che nulla dei beni che gli vennero sottratti gli venne restituito.

3. Da tale ricostruzione dei fatti, risulta sicuramente concretato, con riguardo alle tipicità oggettiva ed a quella soggettiva, il reato di furto di cui in imputazione, per essersi l’imputato, introdotto all’interno della cabina del veicolo di proprietà del datore di lavoro, parcato sulla pubblica via e lasciato aperto, mentre entrambi erano intenti ad operare in un cantiere ubicato in Trieste in prossimità di via (omissis).

Le dichiarazioni della persona offesa, tra l’altro non costituitasi parte civile, appaiono logiche, chiare, lucide, coerenti e non animate da animosità nei confronti dell’imputato; inoltre, il narrato offerto al processo appare pienamente corroborato dalle ulteriori prove dichiarative e, nel particolare, dalle risultanze dell’esame dibattimentale del teste del pm, il M.llo Gdf (omissis).

Sussiste, inoltre, l’aggravante del bene esposto per necessità o consuetudine alla pubblica fede (Sez. 7, n. 4721 del 18/1/24, non massinnata; Sez. 5, n. 22194 del 06/12/2016, dep. 2017, B., Rv. 270122 – 01; Sez. 5, n. 2555 del 13/12/2016, dep. 2017, Piredda, Rv. 269051 – 01; Sez. 3, n. 35872 del 08/05/2007, Alia, Rv. 237286 – 01; Sez. 2, n. 10192 del 02/03/1977, Santini, Rv. 136633 – 01).

Ed invero, la “necessità” e la “consuetudine” – ad avviso di questo Tribunale – deve attingere anche la mancata adozione di cautele da parte del proprietario per evitare la sottrazione di beni.

Questa conclusione è coerente con l’idea di fondo, che va ribadita in questa sede, secondo cui l’ordinamento esige sempre il rispetto del diritto di proprietà altrui, a prescindere dall’accuratezza del proprietario nel ricorrere a strumenti in grado di evitare la sottrazione. Donde l’eventuale trascuratezza del soggetto che parcheggia il veicolo nel chiuderlo o nell’assicurargli aliunde una protezione dagli assalti altrui non incide sulla “necessità” o sulla “consuetudine” richieste dal codice; ciò che rileva, infatti, è l’esigenza di garantire al proprietario che temporaneamente recide il normale rapporto di controllo sul bene la possibilità di contare su quello che dovrebbe essere il fisiologico rispetto della proprietà altrui, rispetto vieppiù chiamato in causa e sollecitato quando la collocazione del bene ne renderebbe più facile la sottrazione. Di fronte alla sottrazione di un bene che il proprietario ha lasciato incustodito per affidarlo alla pubblica fede, quindi, l’ordinamento reagisce con un aggravamento di pena proprio perché esige il rispetto incondizionato del diritto di proprietà e tale esigenza di tutela esiste a prescindere dalle cautele adottate dal proprietario, la cui mancanza incrementa e non riduce l’affidamento nella pubblica fede.

4.Con riguardo alla invocata operatività, da parte della difesa, dell’art 131 bis c.p., osserva questo Tribunale che i precedenti per furto di cui ai numeri 2) e 3) del certificato del casellario configurano la abitualità del comportamento, ostativa all’applicazione della causa di non punibilità, poiché palesano condotte di furti consumati assolutamente sovrapponibili al fatto che qui occupa, in punto di identità di indole crimonosa.

Per quanto afferisce alla dosimetria della pena, osserva questo Tribunale che l’assenza di pentimento e di effettiva resipiscenza del giudicabile (non potendosi assumere come tale l’ammissione dell’occorso fatta propria dall’imputato nei confronti della persona offesa nel corso di una telefonata) ed i numerosi precedenti in atti, sono del tutto ostativi al riconoscimento dell’operatività dell’art 62 bis c.p. odi qualsivoglia altro beneficio, vieppiù quello della sospensione condizionale della pene che, per quanto si può apprezzare, risulta già consumato.

Per quanto precede, si appalesa di giustizia la pena finale di anni 3 e mesi 4 di reclusione oltre ad euro 1.500 di multa ( pena base: anni due di reclusione ed euro 1.100,00 di multa – aumento ex art 99 c.p. alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione oltre ad euro 1.500,00 di multa).

Ed invero, le modalità di svolgimento della condotta denotano una spiccata propensione alla violazione della legge che dimostra una significativa capacità criminale e assoluto disinteresse per le regole della civile convivenza e, per l’effetto ed alla luce dei copiosi precedenti in atti (che denotano nel loro insieme anche un’incapacità di autocontrollo), appaiono sussistenti fondati motivi per ritenere che l’imputato non darà corso al rispetto delle prescrizioni eventualmente imposte con riguardo alle sanzioni sostitutive di cui all’art. 20bis c.p.. Motivazione riservata nel termine di giorni 90.

P.Q.M.
il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica letto ed applicato l’art 533 c.p.p.

DICHIARA

la penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui in imputazione e, per l’effetto

CONDANNA

(omissis) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione oltre ad euro 1.500,00* di multa

CONDANNA

L’ imputato al pagamento delle spese processuali Letto ed applicato l’art. 58 Legge 689/1981

DICHIARA

ed accerta la sussistenza di fondati motivi per ritenere che l’imputato non darà corso al rispetto delle prescrizioni eventualmente imposte con riguardo alle sanzioni sostitutive di cui all’art. 20bis c.p..

Riserva la motivazione, ex art 544 c.p.p. , in giorni 90.

Così deciso in Trieste il 22 aprile 2025.

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2025.

Allegati

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