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Tribunale di Trani sez. lav., 15/06/2022, n. 1191

Massima

Il tempo impiegato dal dipendente per indossare e dismettere la divisa di lavoro costituisce tempo di lavoro effettivo e dà diritto alla retribuzione qualora tale attività sia eterodiretta dal datore di lavoro.

Supporto alla lettura

RETRIBUZIONE

La retribuzione costituisce il corrispettivo della prestazione fornita dal lavoratore che ha diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente a garantire a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Costituzione). In via generale la retribuzione viene determinata liberamente dalle parti, nel rispetto però di un limite minimo, che la giurisprudenza ha individuato nei valori di paga base fissati dai contratti collettivi. Il tfr viene considerato come retribuzione differita. La prescrizione per rivendicare la retribuzione è di 5 anni.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. – Con ricorso depositato in data 30/10/2017 la parte ricorrente ha convenuto in giudizio dinanzi a Questo Ufficio Giudicante l’A. resistente, rassegnando nei suoi confronti le seguenti conclusioni:

“1) Accertare e dichiarare che la Sig.ra (omissis) ha prestato lavoro, con qualifica di Coll. Prof. San. Ostetrica liv. (omissis), ininterrottamente dal 01/09/1992 a tutt’oggi (data di deposito del ricorso) presso il P.O. di Bisceglie, alle dipendenze della (omissis) sede in (omissis) alla Via (omissis) secondo il contratto CCNL settore Comparto.

2) Condannare la (omissis) sede in (omissis) alla Via (omissis) in persona del suo titolare al pagamento della somma di Euro 5.055,60… per gli effetti del C.C.N.L. settore comparto e/o comunque a norma dell’art.36 della Costituzione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dall’insorgenza del diritto al soddisfo, ordinando alla stessa regolarizzazione della posizione contributiva e assicurativa per il periodo e le ore di lavoro effettivamente prestate dal ricorrente.

3) Condannare in ogni caso l’azienda datrice di lavoro al pagamento delle spese e competenze legali del presente giudizio da distrarsi a favore dei sottoscritti avvocati anticipatario e distrattario ai sensi dell’art.93 c.p.c..”.

I.1. – A fondamento della sua domanda la parte ricorrente ha dedotto che, in qualità di dipendente della A.S.L. dal 01/09/1992, con la qualifica di Coll. Prof. San. Ostetrica liv. (omissis), lavorava presso il P.O. di Bisceglie; che, nello svolgimento delle proprie mansioni, era obbligata dal datore di lavoro ad indossare la divisa di lavoro (composta da una maglia e un pantalone, con caratteristiche ben definite), avente la finalità (non solo quale segno identificativo di tutti i lavoratori all’interno della struttura, ma anche) di garantire il pieno rispetto delle norme igienico sanitarie; che indossava la sua divisa in uno spogliatoio dall'(omissis) messo a disposizione dei lavoratori, secondo le direttive del datore di lavoro nei modi e nei tempi dallo stesso stabiliti; che non aveva mai ricevuto la retribuzione in misura corrispondente al tempo necessario ad indossare e dismettere la divisa di lavoro, sebbene detto tempo, rientrasse nell’ambito della messa a disposizione da parte sua di energia lavorativa all’interno dell’azienda; che, facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, il tempo necessario per tali attività, corrispondeva a dieci minuti per ognuna delle due operazioni giornaliere (vestizione e svestizione); che il compenso giornaliero era pari ad Euro 3,24 (20 minuti) così commisurato alla retribuzione oraria fissata dal contratto collettivo applicabile, tenuto conto dello stipendio base lordo pari ad Euro 1.769,63; che, pertanto, il suo credito ammontava ad Euro 5.055,60 pari ad (Euro 3,24 x 26 giorni al mese) x 60 mesi.

II. – Ritualmente costituitasi in giudizio, la (omissis) resistente ha contestato l’assunto difensivo di parte ricorrente, chiedendo il rigetto della domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto.

II.1. – In particolare, l'(omissis) convenuta ha sostenuto che, pur avendo sicuramente messo a disposizione della dipendente quanto occorrente per l’espletamento della sua mansione a titolo di abbigliamento tecnico ed al fine di prevenire infortuni e/o infezioni legate al ruolo svolto, la stessa dipendente aveva proceduto alla sua vestizione/svestizione durante l’orario di lavoro. In altri termini, l'(omissis) resistente ha affermato che, qualora il tempo-divisa fosse fruito durante l’orario di servizio (secondo lo schema timbratura in ingresso – vestizione – inizio lavoro – fine lavoro – svestizione – timbratura in uscita), non sarebbe sorto il diritto alla retribuzione aggiuntiva, in quanto la remunerazione di tali operazioni per essere ascritta a tempo di lavoro deve essere esclusa dall’orario ordinario di lavoro. L'(omissis) resistente, inoltre, ha contestato l’assunto difensivo, secondo cui l’operazione in questione sarebbe stata disciplinata dal datore di lavoro con la specifica indicazione del tempo e del luogo di esecuzione, e quello secondo cui le operazioni di vestizione e svestizione sarebbero dovute avvenire (non presso l’abitazione della lavoratrice, bensì) necessariamente sul luogo di lavoro in appositi, prefissati locali adibiti a spogliatoi messi a disposizione dei dipendenti. In particolare, l'(omissis) resistente ha contestato di aver messo a disposizione dei lavoratori appartenenti al Comparto della ricorrente “uno spogliatoio destinato esclusivamente ad indossare (e poi dismettere, n.d.e.) il camice/divisa”.

III. – La domanda attorea è fondata e, pertanto, deve essere accolta sulla base delle argomentazioni di seguito esposte.

III.1. – La giurisprudenza di legittimità con orientamento ormai consolidato e che non si ha ragione di disattendere Cass. Sezione Lavoro, Ordinanza n. 17635/2019 ud. 18/04/2019 dep. 01/07/2019 ha statuito in questo ambito, esaminando un’ipotesi sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio.

Il caso è, appunto, quello di lavoratori dipendenti dell'(omissis), in favore dei quali era stato riconosciuto il diritto alla retribuzione del tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa, in quanto si trattava, nel caso specifico, di attività obbligatoria, accessoria e propedeutica alla prestazione di lavoro.

III.2. – Condividendosi le argomentazioni in diritto enunciate dalla giurisprudenza di legittimità, occorre innanzitutto evidenziare che, nel caso in esame, l'(omissis) convenuta non ha contestato le seguenti circostanze di fatto: che la ricorrente, come gli altri dipendenti, doveva espletare la sua attività lavorativa con indosso gli indumenti di lavoro per l’intera durata del turno lavorativo (dal primo all’ultimo minuto); che i predetti indumenti di lavoro erano stati messi a disposizione dei lavoratori dalla parte datoriale.

Invece, le contestazioni sollevate dalla (omissis) resistente investono, da un lato, l’assunto difensivo di parte ricorrente nella parte in cui si è affermato che tali operazioni di vestizione/svestizione dovessero essere eseguite necessariamente presso la sede di lavoro in locali messi a disposizione dei lavoratori per tali operazioni; dall’altro, la considerazione che qualora il tempo-divisa fosse stato fruito dai lavoratori durante l’orario di servizio (secondo lo schema timbratura in ingresso – vestizione – inizio lavoro – fine lavoro – svestizione – timbratura in uscita), non sarebbe sorto il diritto alla retribuzione aggiuntiva in ragione del fatto che la remunerazione anche di tali operazioni per essere ascritta a tempo di lavoro doveva essere necessariamente esclusa dall’orario ordinario di lavoro.

III.3. – Pertanto, ai fini della decisione della presente controversia occorre partire dal fatto non contestato che la ricorrente, come gli altri dipendenti, era tenuta a tenere indosso per l’intera durata del turno di lavoro la divisa lavorativa (dal primo all’ultimo minuto) fornita dall'(omissis) resistente.

Invece, la prova in merito al fatto che le operazioni di vestizione/svestizione fossero state eseguite (secondo le direttive impartite dalla (omissis) resistente) necessariamente presso la sede di lavoro in apposito locale (spogliatoio) messo a disposizione della parte datoriale e fuori dall’orario ordinario di lavoro (riconducibile alle timbrature in ingresso ed in uscita) ha formato oggetto di prova testimoniale.

III.4. – Ciò premesso in punto di fatto, si ritiene che, dall’esame delle dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso della fase istruttoria, emerge la fondatezza della domanda attorea nella parte in cui è stata avanzata la richiesta di condanna dalla parte datoriale alla remunerazione del tempo-divisa.

In particolare, i testimoni escussi nel corso della fase istruttoria hanno riferito in termini univoci che il personale dipendente doveva necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro negli stessi ambienti dell'(omissis) convenuta per intuibili ragioni di igiene; che tali operazioni erano eseguite (in concomitanza con i rispettivi turni di lavoro) prima della timbratura in entrata e dopo la timbratura in uscita senza essere, quindi, incluse nell’orario lavorativo ordinario rilevabile attraverso le timbrature dei cartellini marcatempo.

III.4.1. – Si vedano al riguardo le dichiarazioni testimoniali resa da (omissis) (a conoscenza dei fatti di causa per aver lavorato insieme alla ricorrente presso il P.O. di Bisceglie):

“Preciso che la (omissis) pone a disposizione della ricorrente una divisa che comprende un pantalone, una giacca e una casacca.

Preciso che sia sulla giacca, che sulla casacca è posizionato un distintivo che riporta la scritta ‘Ostetrica’… preciso che l'(omissis) pone a disposizione uno spogliatoio, dove la ricorrente dismette gli abiti personali e indossa la divisa da lavoro. Preciso che lo spogliatoio suddetto è ubicato al piano terra del P.O. di Bisceglie; mentre l’apparecchio marcatempo è posizionato all’ingresso del Presidio. Preciso che in tutto l’Ospedale di Bisceglie vi è un unico apparecchio marcatempo. Confermo che il tempo necessario per la vestizione/svestizione è di circa 10 minuti ad operazione e che questo tempo non è retribuito alla ricorrente. Preciso che la ricorrente, quando si reca al lavoro, va nello spogliatoio, si cambia, indossa la divisa e si reca all’apparecchio marcatempo e passa il badge. All’uscita prima si reca all’apparecchio marcatempo, passa il badge e poi va nello spogliatoio e dismette la divisa. Della circostanza di cui sopra posso riferire in quanto capita di vedere la ricorrente all’ingresso del P.O. ed esattamente all’apparecchio marcatempo.

Preciso che la ricorrente in quanto Ostetrica ha uno spogliatoio diverso dal mio, in quanto il mio è ubicato al terzo piano ed il suo al piano terra. Preciso che incontro la ricorrente all’apparecchio marcatempo per tutta la settimana se il turno che io svolgo è lo stesso della ricorrente. Invece se non abbiamo gli stessi turni ci incontriamo in reparto circa 2/3 volte la settimana”.

Di analogo tenore è la deposizione dell’altra testimone (omissis) (a conoscenza dei fatti di causa per aver lavorato insieme alla ricorrente presso il P.O. di Bisceglie):

“…la divisa da lavoro comprende un pantalone, una casacca, una T-Shirt con finalità identificative e di igiene …lo spogliatoio è ubicato al piano terra; mentre il reparto è ubicato al primo piano… Preciso che il rilevatore delle presenze è ubicato al piano terra all’ingresso del P.O. di Bisceglie. Preciso che l’ostetrica (omissis) arriva presso il P.O. di Bisceglie, si reca nello spogliatoio, che è al piano terra, si cambia, indossa la divisa e ritorna all’ingresso, timbra e poi si reca al primo piano in Reparto. Analogamente avviene all’uscita, scende dal reparto, va all’ingresso a timbrare e va nello spogliatoio al piano terra, dismette la divisa e torna a casa… Le predette modalità di vestizione mi sono state dette, esclusivamente in via verbale, dal Dr. (omissis) e dalla coordinatrice ostetrica (omissis). Preciso che i nostri superiori non ci hanno mai detto in quanti minuti dovevamo indossare o dismettere la divisa”.

Anche la testimone (omissis), nella predetta qualità di coordinatrice ostetrica, ha confermato l’assunto difensivo di parte ricorrente: “Secondo le mie disposizioni la ricorrente è tenuta prima a vestirsi, poi ad andare a timbrare l’ingresso presso l’apparecchio marcatempo e successivamente ad andare nel reparto… il tempo dedicato alla vestizione è antecedente al momento della timbratura, in quanto sono tenuti ad entrare e a timbrare dopo essere passati dallo spogliatoio, che è al piano terra… Preciso che la ricorrente ha a disposizione uno spogliatoio ove indossare e dismettere la divisa da lavoro, ubicato al piano terra, mentre il reparto di Ostetricia è ubicato al primo piano del PO di Bisceglie… non ho mai imposto un predeterminato tempo di vestizione/svestizione”.

III.5. – Alla luce dei principi affermati dalla S.C. – secondo cui ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo per indossare la divisa stessa (e quindi anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa e come tale non deve essere retribuita; mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina tempo e luogo di tale attività, il tempo occorrente per assolverla rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza questo tempo deve essere necessariamente retribuito – è possibile affermare che, nel caso in esame, la ricorrente ha diritto alla retribuzione del tempo impiegato (“tempo divisa”) alle operazioni di vestizione/svestizione, in quanto queste operazioni risultano eterodirette dal datore di lavoro e, di conseguenza, il tempo occorrente per tali operazioni ha costituito lavoro effettivo.

III.5.1. – In particolare, l’eterodirezione delle predette operazioni di vestizione/svestizione da parte del datore di lavoro emerge all’esito dell’esame delle predette dichiarazioni testimoniali, atteso che, da un lato, gli indumenti di lavoro forniti dalla parte datoriale (in ragione alla loro specifica funzione imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene in relazione alle mansioni espletate) erano indossati all’interno dell’ospedale di Bisceglie in locale spogliatoio messo a disposizione della parte datoriale e, dall’altro, le operazioni di vestizione/svestizione dovevano essere eseguite, su disposizione dei superiori gerarchici (benché impartite solo oralmente) soltanto dopo aver eseguito la timbratura in ingresso ed in uscita. È evidente che così facendo, il tempo impiegato dai lavoratori per le operazioni di vestizione/svestizione non veniva ricompreso nell’orario ordinario di lavoro rilevabile attraverso le timbrature in ingresso ed in uscita.

Ne discende che, trattandosi di un atto costituente lavoro effettivo (tempo divisa), la parte ricorrente ha diritto di conseguire la remunerazione del tempo necessario all’espletamento delle predette operazioni di vestizione/svestizione.

III.5.2. – In altri termini, le predette operazioni di vestizione/svestizione, anche se correlate alla fase preparatoria, non erano lasciate alla libertà dei lavoratori dipendenti, in quanto, in difetto della divisa indossata per l’intera durata del turno di lavoro, il datore di lavoro avrebbe potuto rifiutare la prestazione lavorativa. Quindi, il tempo impiegato per l’esecuzione di tali operazioni deve ritenersi strettamente funzionale all’esecuzione della prestazione lavorativa anche della parte ricorrente ed integra un’attività costituente corretto adempimento di un obbligo nascente dal rapporto di lavoro.

III.6. – Né potrebbe obiettarsi il difetto di prova a carico della parte ricorrente in ordine all’effettiva esistenza di puntuali disposizioni dell’Azienda (Regolamento disciplinante l’orario di lavoro, specifiche disposizioni di servizio).

III.7. – Al riguardo, si riportano in termini integrali le argomentazioni esposte dalla predetta decisione della Suprema Corte di Cassazione Cass. Sezione Lavoro, Ordinanza n.17635/2019 ud. 18/04/2019 dep. 01/07/2019 pure richiamata dalla recente Ordinanza n.8623/2020:

“6. in questa sede va data continuità ai precedenti specifici di questa Corte (v. Cass. 11 febbraio 2019, n. 3901Cass. 24 maggio 2018, n. 12935Cass. 22 novembre 2017, n. 27799) nei quali si è affermato che: – le attività di vestizione/svestizione attengono a comportamenti integrativi della obbligazione principale e funzionali al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria; – trattasi di attività che non sono svolte nell’interesse dell’Azienda ma dell’igiene pubblica e, come tali, esse devono ritenersi implicitamente autorizzate da parte dell’Azienda stessa; – per il lavoro all’interno delle strutture sanitarie, anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, il tempo di vestizione e svestizione dà diritto alla retribuzione, essendo tale obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto;

6.1. tali affermazioni non si pongono in contrasto con il principio di cui a Cass. 7 giugno 2012, n. 9215, secondo cui, nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (‘tempo-tuta’) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo (principio ribadito anche da Cass., Sez. Un., 16 maggio 2013, n. 11828);

6.2. ed infatti il più recente orientamento rappresenta uno sviluppo del precedente indirizzo (del tutto in linea con il principio) ed una integrazione della relativa ricostruzione, ponendo l’accento sulla funzione assegnata all’abbigliamento, nel senso che l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti – quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento – o dalla specifica funzione che devono assolvere e così dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (si vedano anche Cass. 28 marzo 2018, n. 7738 e Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352);

6.3. pur con definizioni non sempre coincidenti, essendosi fatto riferimento, in alcuni casi al concetto di ‘eterodirezione implicita’, in altri all’obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, discendente dall’interesse all’igiene pubblica, in altri ancora all’esistenza di ‘autorizzazione implicita’, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è, dunque, saldamente ancorato al riconoscimento dell’attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno;

6.4. tale soluzione, del resto, è stata ritenuta in linea con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva n. 2003/88/CE (Corte di Giustizia UE del 10 settembre 2015 in C-266/14; v. Cass. n. 1352/2016 cit. alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti sul punto);

7. sugli esposti principi non incidono le censure svolte in questa sede sotto il profilo del difetto di prova dell’esistenza di puntuali disposizioni dell’Azienda (Regolamento disciplinante l’orario di lavoro, specifiche disposizioni di servizio);

7.1. ciò che rileva, come evidenziato nei precedenti citati, è unicamente che le attività preparatorie di cui trattasi siano state svolte all’interno dell’orario di lavoro – e come tali retribuite – o piuttosto, come accertato dalla sentenza impugnata, in aggiunta ed al di fuori dell’orario del turno, dovendo in tal caso essere autonomamente retribuite;

9. con riguardo, poi, alle invocate norme, di legge e di contratto collettivo, relative alla disciplina del lavoro straordinario, si è già evidenziato che si tratta di attività che, in quanto svolte nell’interesse del servizio pubblico oltre che a tutela dell’incolumità del personale addetto, devono ritenersi implicitamente autorizzate dall’Azienda (v. Cass. n. 27799/2017 cit., in motivazione) ed anzi da essa imposte, potendo in mancanza l’Azienda rifiutare di ricevere la prestazione; dette attività avrebbero dovuto, pertanto, essere comprese all’interno del debito orario”.

III.8. – Passando alla quantificazione del credito spettante alla parte ricorrente, si ritiene corretto il criterio adottato dalla difesa di parte ricorrente (quantificazione in via equitativa del tempo impiegato per tali operazioni: 10 minuti per la vestizione e 10 minuti per la svestizione).

III.8.1. – Al riguardo, può farsi applicazione, in via equitativa, delle disposizioni contrattuali contenute nell’art. 27, comma 11, del CCNL del 21/05/2018 relativo al personale del comparto Sanità, che prevedono: “Nei casi in cui gli operatori del ruolo sanitario e quelli appartenenti a profili del ruolo tecnico addetti all’assistenza, debbano indossare apposite divise per lo svolgimento della prestazione e le operazioni di vestizione e svestizione, per ragioni di igiene e sicurezza, debbano avvenire all’interno della sede di lavoro, l’orario di lavoro riconosciuto ricomprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tali attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere”.

III.9. – Pertanto, in difetto di specifica contestazione del conteggio allegato Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 4051 del 18/02/2011 (Rv. 616001 – 01)1, la (omissis) convenuta deve essere condannata a pagare in favore della parte ricorrente la somma complessiva di Euro 5.055,60, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria (non cumulabili tra di loro trattandosi di credito di lavoro nell’ambito del pubblico impiego) con decorrenza dalla data di maturazione di ciascun credito e sino al soddisfo.

III.10. – Deve essere, infine, dichiarata inammissibile la domanda attorea nella parte in cui è diretta ad ottenere la regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale della lavoratrice, in quanto l’INPS non è stato evocato in giudizio in qualità di parte interessata; sicché un’eventuale statuizione di condanna non potrebbe fare stato nei rapporti tra i convenuti e l’INPS, che non è parte in questo giudizio arg. ex Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 19398 del 15/09/2014 (Rv. 632322): “L’interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il pagamento integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, che non si identifica con il diritto spettante all’Istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, ma è tutelabile mediante la regolarizzazione della propria posizione. Ne consegue che il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale, purché entrambi siano stati convenuti in giudizio, atteso il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo, che postula una espressa previsione, restando altrimenti preclusa la possibilità della condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali a favore dell’ente previdenziale che non sia stato chiamato in causa”; Cass. Sez. 6 – Lav., Ordinanza n.14853 del 30/05/2019 (Rv. 654024 – 01): “L’interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il pagamento integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, che non si identifica con il diritto spettante all’Istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, ma è tutelabile mediante la regolarizzazione della propria posizione. Ne consegue che il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale, purché entrambi siano stati convenuti in giudizio, atteso il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo, che postula una espressa previsione, restando altrimenti preclusa la possibilità della condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali a favore dell’ente previdenziale che non sia stato chiamato in causa”.

IV. – Le spese seguono la soccombenza e vanno poste, quindi, a carico della A.S. convenuta.

La liquidazione, affidata al dispositivo che segue, è effettuata sulla scorta dei parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, pubblicato in G.U. n. 77 del 02/04/2014, entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione (come previsto dall’art. 29 dello stesso d.m.) e le cui disposizioni si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore (art. 28 d.m. cit.). Per la determinazione del compenso si ha riguardo ai valori medi previsti dalle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 in relazione alla tipologia di causa (procedimento in materia di lavoro), al valore della controversia (fino ad Euro 5.200,00) e alle fasi in cui si è articolata l’attività difensiva espletata nel presente giudizio (e quindi con fase istruttoria). Considerati i parametri generali di cui all’art. 4 D.M. citato, nonché la serialità del contenzioso, concernente moltissimi lavoratori per la gran parte difesi dallo stesso procuratore, con conseguente piena sovrapponibilità delle questioni di fatto e di diritto oggetto del contendere, appare congrua una riduzione del 50% circa rispetto al valore medio (Euro 2.501,00), consentita dal D.M. n. 55 del 2014.

Deve infine essere disposta la distrazione in favore del difensore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione così definitivamente provvede:

-accoglie la domanda attorea per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiarato il diritto della parte ricorrente per il periodo dedotto in ricorso alla retribuzione del tempo occorrente per le operazioni di vestizione/svestizione quantificato, in via equitativa, in 10 minuti in entrata e in uscita, condanna la (omissis) convenuta a pagare in favore della parte ricorrente l’importo di Euro 5.055,60, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria (non cumulabili tra di loro) con decorrenza dalla data di maturazione di ciascun credito e sino al soddisfo;

-rigetta ogni altra domanda;

-condanna altresì la (omissis) convenuta a pagare le spese processuali sostenute dalla parte ricorrente, che liquida in Euro 1.285,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, CAP ed IVA come per legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi anticipatario.

Trani

Così deciso in Trani il 15 giugno 2022.

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2022.

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