RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 14.12.2021, (omissis) adiva il Tribunale del Lavoro di Trani convenendo l’(omissis) al fine di accertare e dichiarare la sussistenza del requisito della propria residenza in Italia da almeno dieci anni al momento della presentazione della domanda di Reddito di Cittadinanza e, per l’effetto, di annullare e/o revocare il provvedimento di restituzione somme impugnato notificato dall’(omissis); in subordine, di accertare e dichiarare la buona fede e l’inesistenza di dolo del ricorrente nonché la mancata e/o erronea valutazione del diritto alla prestazione da parte dell’(omissis) e, comunque, annullare e/o revocare il provvedimento di restituzione somme impugnato notificato dall’(omissis). Il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio da distrarre a favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
L’(omissis) si costituiva in giudizio contestando il ricorso e chiedendone il rigetto poiché ritenuto infondato in fatto e in diritto e, per l’effetto, di condannare il ricorrente alla restituzione dell’asserita indebita somma percepita a titolo di Reddito di Cittadinanza nonché pari ad euro 18.394,06 dal mese di aprile del 2019 al mese di settembre del 2020, oltre interessi di legge; con vittoria di spese. Acquisiti i documenti prodotti dalle parti e udita la loro discussione, veniva espletata l’attività istruttoria mediante l’audizione di un teste di parte ricorrente.
All’udienza odierna la presente causa veniva decisa ex art. 127ter c.p.c. mediante deposito telematico della sentenza, all’esito della trattazione scritta, disciplinata.
Si precisa che non veniva redatto verbale d’udienza e che le parti depositavano note di trattazione scritta.
Il ricorso è fondato nei termini qui di seguito enunciati e, pertanto, va accolto.
Con il Decreto Legge n. 4 del 28 gennaio 2019 è stata introdotta la possibilità, a decorrere dal 6 marzo 2019, di richiedere il Reddito di cittadinanza quale reddito minimo garantito offerto dallo stato ai nuclei familiari in difficoltà.
Precisamente, si tratta di un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari associato ad un percorso di reinserimento lavorativo e sociale, di cui i beneficiari sono protagonisti sottoscrivendo un Patto per il lavoro ed un Patto per l’inclusione sociale. Per averne diritto, però, occorre possedere determinati requisiti di cittadinanza, economici e di altro tipo.
Premesso che, nel caso di specie, l’(omissis) contestava al ricorrente il possesso dei soli requisiti di residenza, si osserva quanto di seguito.
I cittadini stranieri possono richiedere il reddito di cittadinanza se si trovano in una di queste condizioni: sono familiari di un cittadino italiano o dell’(omissis) titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente; sono cittadini di un Paese extraUE in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o apolidi in possesso di analogo permesso; sono cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per protezione
internazionale. In ogni caso, per aver diritto al reddito di cittadinanza è necessario aver risieduto in Italia per un periodo complessivo di almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in via continuativa.
Tuttavia, in seguito a una richiesta della Direzione Generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale circa la possibilità di considerare la residenza effettiva, in luogo di quella anagrafica, quale elemento per la verifica dei requisiti per accedere al beneficio, è stata emanata una circolare di chiarimenti.
In particolare, con circolare del 14 aprile 2020 n. 3803, il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali ha chiarito che il requisito della residenza protratta per 10 anni debba intendersi riferito alla effettiva presenza del richiedente sul territorio italiano e non alla iscrizione anagrafica, consentendo all’interessato di fornire prova della sua presenza anche in assenza di iscrizione. L’attestazione come risultante dai registri anagrafici costituisce quindi una mera presunzione del luogo di residenza del destinatario superabile con altri “oggettivi ed univoci elementi di riscontro” consentiti dall’ordinamento. Si tratta di elementi di riscontro che attestano la regolare presenza sul territorio quali, ad esempio, un contratto di lavoro, l’estratto conto contributivo dell’(omissis), documenti medici, scolastici o contratto di affitto o ancora vecchi permessi di soggiorno.
Allora, il requisito della residenza per 10 anni di cui gli ultimi due in maniera continuativa richiesto per accedere alla misura del reddito di cittadinanza, va inteso in senso sostanziale, consentendo agli interessati di fornire elementi che dimostrino l’effettività di tale residenza anche se non risultante dai registri anagrafici, in linea con i principi comunitari che vietano qualsiasi forma di discriminazione, anche indiretta, fondata sulla nazionalità sicché, qualora tale effettività di residenza venga provata, l’(omissis) deve riammettere la ricorrente al beneficio.
Nella fattispecie, veniva documentalmente provato da parte ricorrente, a mezzo Estratto Conto Previdenziale (omissis), che (omissis) abitava in Italia sin dal 2007 e, per la precisione, in Corato (dal 2007 al 2009 in via (omissis); dal 2009 al 2010 in via (omissis); dal 2010 al 2011 in via (omissis); dal 2011 ad oggi in via (omissis)). Tant’è che, in data 12.11.2007, gli veniva attribuito il codice fiscale, così come risultante da certificato dell’(omissis) offerto in comunicazione in giudizio dallo stesso ricorrente.
Pertanto, vero è che (omissis) ha anagraficamente registrato la propria residenza in Italia in data 05.10.2010, ma è vero anche che, nel presente giudizio, veniva accertato documentalmente che (omissis) risiedeva in Italia già da oltre tre anni prima.
Quanto alle risultanze istruttorie, invece, il teste di parte ricorrente (omissis) confermava la circostanza n. 2, dichiarando “che il sig. (omissis) ha abitato nell’anno 2009/2010 in Corato alla via (omissis); tanto posso dire in quanto io abito di fronte al civico (omissis), ovvero al civico (omissis)”, dunque, comunque, provando la residenza del ricorrente a Corato già prima della registrazione anagrafica.
In definitiva, si ritiene che quanto anzidetto sia riconducibile a quegli “elementi oggettivi di riscontro” sulla base dei quali ritenere il luogo di residenza dello straniero.
Difatti, si rammenta che la nozione di residenza è fissata dall’art. 43, comma 2, c.c., che la identifica con il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Essa si individua attraverso un duplice dato oggettivo e soggettivo: il dato oggettivo è la permanenza in un determinato luogo ed il dato soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni familiari e sociali. Di contro, le risultanze anagrafiche ne offrono una mera presunzione (tra le altre, Cass. Civ., Sent. n. 30952/2017; Cass. Civ., Sent. n. 4274/2019).
Si ribadisce che di qui discende che la residenza effettiva prevale sulla residenza anagrafica, la quale possiede un valore probatorio meramente presuntivo, superabile mediante prova contraria desumibile da qualsiasi fonte di convincimento.
Concludendo, in forza delle ragioni in disamina, il ricorso va accolto nei termini di cui al dispositivo.
Le spese seguono il criterio della soccombenza, nella misura come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trani – Giudice monocratico del lavoro
Definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (omissis), con ricorso depositato il 14/12/2021, nei confronti di (omissis) così provvede:
accoglie il ricorso e, per l’(omissis) effetto, dichiara non dovute le somme di cui alla nota (omissis) del 16.11.21;
condanna l’(omissis) alla rifusione delle spese processuali liquidate in € 2000,00 oltre oneri accessori da attribuirsi al procuratore anticipatario.
Così deciso in Trani, il 09/02/2023
