(omissis)
FATTO E MOTIVI
L’appello non è fondato e va rigettato, per i motivi di seguito precisati.
Con l’odierno gravame, viene appellata la sentenza del Giudice di pace di Torre annunziata n. 8476/2019 del 30.10-15.11/2019 con la quale il giudice di prime cure ha condannato la (omissis) odierna appellante a pagare alla sig.ra (omissis) la complessiva somma di € 1.535,69, di cui euro 290,96 per commissione di attivazione, euro 113,98 per commissioni gestione pratica (al netto di € 162,96 già rimborsate), euro 994,08 per oneri di intermediazione ed euro 136,77 per costi assicurativi non maturati; il tutto, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonché le spese di lite.
La pronunzia gravata trae origine nella domanda proposta in primo grado dalla sig.ra (omissis) la quale ha convenuto in giudizio avanti al Giudice di pace di Torre Annunziata la (omissis) richiedendo la ripetizione della somma complessiva di € 1.535,69 a titolo di oneri non maturati sul contratto recante nr. 316467 del 5/9/2011, estinto in via anticipata il 1.1.2017.
Più in particolare, la sig.ra (omissis) aveva invocato il rimborso della quota parte degli oneri commissionali (comunque denominati) e dei costi assicurativi per la parte non maturata in ragione della abbreviazione di durata del contratto (per esercitato diritto di recesso anticipato della mutuataria), trattandosi oneri non goduti a causa dell’estinzione anticipata del contratto.
Il giudice di prima istanza, come anticipato, accoglieva integralmente la domanda attorea; insorge contro tale decisione l’odierna appellante, per i seguenti motivi: l’insussistenza del diritto della cliente ai rimborsi per commissioni, provvigioni e spese statuiti in sentenza, poiché la (omissis) nel conto estintivo aveva già effettuato i rimborsi dovuti alla sig.ra (omissis) in forza della norma di cui all’art. 125- sexies TUB e delle disposizioni contrattuali, rimborsi che il Giudice di Pace avrebbe dovuto considerare esaustivi di ogni pretesa della cliente, ove avesse correttamente applicato le disposizioni di legge e tenuto nel giusto conto tutte le circostanze di fatto della fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione, nonché le risultanze emergenti dai documenti versati agli atti di causa; l’insussistenza della legittimazione passiva (omissis) della quanto al rimborso dei premi assicurativi e ai costi di intermediazione, trattandosi di obbligo gravante solo sulle imprese assicurative e di intermediazione in forza della specifica normativa di settore; l’insussistenza del diritto della sig.ra (omissis) ai rimborsi per premi assicurativi nella misura quantificata pro rata temporis in sentenza, considerati invece i diversi criteri di calcolo riportati nelle condizioni di assicurazione accettate dalla cliente; l’erroneità della liquidazione delle spese legali effettuata in sentenza, stante l’infondatezza, nel merito, della domanda attorea.
Tutto ciò premesso, deve dirsi, sul punto, che l’art. 125-sexies del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. del 1 settembre 1993, n. 385), inserito dall’art. 1 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 e rubricato “Rimborso anticipato”, stabilisce al comma 1 che “il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”; la norma in esame si ricollega alla direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, il cui art. 16 espressamente prevede che: “il consumatore ha il diritto di adempiere qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.
La giurisprudenza di merito ha sin da subito interpretato quest’ultima norma distinguendo tra due tipologie di costo, ovvero quelli up front, aventi ad oggetto le spese preliminari del finanziamento che prescindono dalla durata del rapporto e quelli recurring, che, invece, ineriscono ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale.
Ebbene, l’impostazione maggioritaria riteneva che solo i secondi rientrassero nei costi rimborsabili ai sensi dell’art. 125-sexies del TUB e non anche i primi, i quali mantenevano la propria giustificazione causale e legittimavano la loro trattenuta da parte dell’intermediario finanziario. Si sosteneva, infatti, che “l’applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (c.d. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro non sono rimborsabili le voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (c.d. up front)” (Tribunale Napoli sent. del 04/12/2018).
Sulla tematica, tuttavia, è intervenuta di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, investita della questione in sede di rinvio pregiudiziale, ha dettato dei principi innovativi; orbene, i giudici europei hanno affermato che “L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore” (Corte Giust., causa C-383/18 dell’11 settembre 2019, cd. “Lexitor”).
Seguendo tale ragionamento, nell’ipotesi di estinzione anticipata del contratto di finanziamento devono essere rimborsati al privato tutti i costi da esso sostenuti, senza distinguere tra quelli up front e quelli recurring.
Le conclusioni cui addiviene la Corte sovranazionale muovono, preliminarmente, dalla ratio della direttiva comunitaria del 2008, che è quella di armonizzare la disciplina interna dei vari Stati Membri al fine di garantire una tutela maggiormente effettiva e protettiva del consumatore, considerato parte debole qualora si rapporti con gli intermediari finanziari; ne consegue che nella nozione di “costo totale” di cui all’art. 16 della direttiva del 2008 sono inclusi, altresì, quelli indipendenti dalla durata del negozio e, quindi, anche gli interessi e i costi dovuti per la restante parte del contratto.
La finalità perseguita dall’interpretazione esposta è, dunque, quella di riequilibrare i rapporti tra professionista e consumatore, caratterizzati da una posizione di inferiorità di quest’ultimo sotto il profilo negoziale ed informativo; l’opportuno bilanciamento delle differenti posizioni è dato, inoltre, dalla circostanza che il soggetto concedente il mutuo può recuperare in anticipo la somma inizialmente prestata e reinvestirla in nuovi contratti di credito, non subendo lo stesso alcun pregiudizio dal rimborso totale dei costi del finanziamento.
In conclusione, per effetto della sentenza “Lexitor”, l’art.16 della Direttiva deve interpretarsi nel senso che tutti i costi del credito, correlati o non alla durata residua del contratto, ad eccezione delle spese del notaio (la cui scelta compete al consumatore), sono riducibili nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, sicché ogni diversa interpretazione della interpretazione della Corte appare interdetta.
La decisione summenzionata della Corte di Giustizia ha inevitabili ripercussioni dirette nell’ordinamento interno.
Le sentenze interpretative della CGUE, infatti, esplicano i propri effetti in via retroattiva, ovvero sin dal momento dell’entrata in vigore della norma interpretata, salvo che la Corte decida di limitare, in casi eccezionali, la portata di questo principio; invero, costituisce principio consolidato quello secondo cui, “nell’ordinamento interno, le pronunzie del giudice di Lussemburgo definiscono la portata della norma Eurounitaria così come avrebbe dovuto essere intesa ed applicata fin dal momento della sua entrata in vigore.
Per tale motivo dette pronunzie estendono i loro effetti ai rapporti sorti in epoca precedente, purchè non esauriti (ex multis Cass. del 3 marzo 2017, n. 583); ancora, la pronuncia spiegherà i suoi effetti anche nei confronti di tutte le altre autorità giurisdizionali o amministrative che in futuro dovranno applicarla, costituendo un precedente vincolante non solo per il giudice del rinvio, ma anche per tutti quelli degli altri Stati Membri.
L’effetto dichiarativo delle sentenze determina che “l’interpretazione del diritto comunitario, adottata dalla Corte di giustizia, ha efficacia “ultra partes”, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità” (Cass. sent. 23 ottobre 2014, n. 22577).
Tanto premesso, è opportuno rilevare che i principi enunciati dalla sentenza della Corte di Giustizia in materia di costi da rimborsare per l’estinzione anticipata del finanziamento trovano applicazione anche nel caso in esame.
L’art. 125-sexies del TUB, così come introdotto dal d.lgs. 141/2010, costituisce norma di recepimento ed attuazione dell’art. 16 della direttiva 2008/48/CE. Ciò comporta due conseguenze: da un lato che lo stesso debba essere interpretato secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che rappresenta l’unico organo deputato a fornire l’interpretazione autentica delle disposizioni e dei principi comunitari (art. 164 Trattato CE) e, dall’altro, che esso possa applicarsi nei rapporti orizzontali tra privati, in quanto rappresenta una norma interna direttamente applicabile.
Non può allora dubitarsi che detta interpretazione sia ineludibile anche nel caso di specie, sottoposto com’è sia all’art.121, comma 1 lettera e) del TUB, che indica la nozione di costo totale del credito in piena aderenza all’art.3 della Direttiva, sia all’art.125 sexies TUB che, dal punto di vista letterale, appare a sua volta fedelmente riproduttivo dell’art.16 par.1 della stessa Direttiva.
Infatti l’art.125 sexies, secondo cui in caso di estinzione anticipata del finanziamento il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, “pari” all’importo degli interessi e “dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, non sembra affatto diverso rispetto alla disposizione ora citata della Direttiva, secondo cui il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, che “comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, giacché non può ragionevolmente attribuirsi alcun significativo rilievo distintivo alla differenza lessicale tra la riduzione del costo del credito che è “pari” a tutte le voci che compongono il costo totale del credito e la riduzione del costo totale del credito che “comprende” esattamente le medesime voci.
Ne discende che l’art.125 sexies TUB, integrando la esatta e completa attuazione dell’art.6 della Direttiva, come questa va letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, come se dicesse cioè (anzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i costi up front, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli altri costi: il che, a ben vedere, costituisce naturale concretizzazione dell’obiettivo perseguito dalla Direttiva di assicurare una elevata protezione del consumatore, giacché non si capirebbe altrimenti, al di là delle esigenze di trasparenza, in cosa consista tale speciale tutela a fronte di regole generali che nei rapporti di durata consentirebbero comunque al recedente di non corrispondere i compensi per prestazioni non scadute (art. 1373,comma 2, c.c.).
Venendo, poi, al motivo di appello riguardante la legittimazione passiva della (omissis) quanto al rimborso dei premi assicurativi e dei costi di intermediazione creditizia, la (omissis) ha impugnato la sentenza, nella parte in cui il Giudice di Pace, disattendendo l’eccezione da essa sollevata, ha ritenuto che obbligato a restituire la quota parte degli oneri assicurativi e di intermediazione sia, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il soggetto mutuante e non invece, rispettivamente, l’assicuratore e l’intermediario creditizio.
Il motivo non è fondato.
La domanda de quo, infatti, va qualificata, ad avviso di chi scrive, come ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c.; come affermato da Cass. 7871/2011: “La ripetizione d’indebito oggettivo, che rappresenta un’azione di natura restitutoria e non risarcitoria, a carattere personale, è circoscritta tra il “solvens” ed il destinatario del pagamento, sia che questi lo abbia incassato personalmente sia che l’incasso sia avvenuto a mezzo di rappresentante.”.
Orbene, emerge dagli atti che la (omissis) incassò direttamente dalla (omissis) sia il premio anticipatamente dovuto relativo alla polizza di assicurazione, sia i costi di intermediazione.
Va anche sottolineato che vieppiù, nel medesimo contratto di finanziamento stipulato tra le parti, la società mutuante, data l’obbligatorietà della polizza assicurativa, imponeva alla mutuataria di contrarre in proprio favore la predetta polizza caricandone l’intero importo direttamente alla parte mutuataria che, pertanto, ne corrispondeva la somma anticipatamente insieme alle altre voci di spesa presenti nel contratto; sicché deve presumersi che il relativo costo fosse collegato alla concessione del credito e remunerativo della complessa operazione di credito assicurato.
La correlazione e la corrispettività di tali spese all’erogazione del credito risulta evidente perché l’assicurazione, della quale risulta beneficiaria la società finanziaria, è richiamata nel contratto di finanziamento, al fine di porre a carico del mutuatario l’onere del pagamento dei premi.
Peraltro, la giurisprudenza dell’arbitro bancario e finanziario ha ritenuto esistente un evidente collegamento negoziale, tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione.
Sulla scorta di tali argomenti, la giurisprudenza arbitrale non ha mai dubitato della sussistenza del diritto del cliente al rimborso, pro quota, dei costi assicurativi in caso di estinzione anticipata del finanziamento (cfr. ex multis, ABF, Collegio di Roma, Decisione N. 912 del 18 febbraio 2013).
Venendo, infine, al motivo di appello inerente i criteri di calcolo del rimborso in ordine ai premi assicurativi, parte appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe erroneamente calcolato il dovuto secondo un criterio pro rata temporis sulla totalità dei premi lordi pagati.
Sul punto, occorre evidenziare che, per quanto concerne il criterio di calcolo dei costi, risulta corretto quello applicato nella sentenza impugnata, ossia il cd. “pro rata temporis”.
Alla stregua di quest’ultimo, è necessario moltiplicare l’importo di ciascuna delle voci di costo rimborsabili per la percentuale del finanziamento estinto anticipatamente, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue.
Sebbene la CGUE nella sentenza “Lexitor” non abbia indicato espressamente il criterio di calcolo da adottare, si ritiene che in base alla ratio della disciplina, finalizzata a tutelare il consumatore (considerato soggetto debole), ed alla natura unitaria del costo totale, sia necessario adottare un unico criterio di calcolo senza distinguere tra le varie voci di costo.
La CGUE, invero è addivenuta alla conclusione che i costi sopportati dal consumatore, di qualunque natura siano (a partire dagli interessi), devono essere ridotti in proporzione alla durata residua del contratto; la Corte, in sostanza, attraverso la propria opzione ermeneutica dell’art.16 della Direttiva 2008/48/CE, ha chiaramente indicato la necessità che il criterio di riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito sia comunque basato su una regola di proporzionalità.
Nulla esclude, peraltro, che le parti, nella loro residua autonomia contrattuale, possano declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi; tuttavia è necessario vagliare che il criterio prescelto sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre a un principio di proporzionalità.
Posto pertanto che il principio di proporzionalità della riduzione dei costi sostenuti è stato affermato come principio cardine della disciplina comunitaria oggi trasposta nell’art. 125 sexies TUB, una clausola ( come quella invocata dall’odierna appellante, e contenuta all’art. 3 del contratto di finanziamento) che, sia pure in modo implicito o indiretto, escluda o limiti la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari, in contrasto con il principio di proporzionalità, in quanto contraria a norma imperativa – e perciò affetta da nullità (di protezione) rilevabile di ufficio ai sensi degli artt. 127 TUB e 1418 c.c. (alla pari di ogni altra clausola incompatibile con l’ampiezza oggettuale del diritto alla riduzione dei costi) – non può regolare il criterio di rimborso dei costi del credito complessivamente intesi.
In caso contrario si avallerebbe una situazione di incertezza, non potendo il consumatore, per definizione soggetto non esperto in materia, comprendere ex ante in modo chiaro la quantificazione dei costi che gli verrebbero rimborsati nell’ipotesi di estinzione anticipata del finanziamento. In altre parole i finanziatori avrebbero la possibilità di “spostare” il costo del finanziamento su voci di costo che prevedano un criterio di rimborso che non rispecchi il canone della proporzione alla vita del contratto; ciò renderebbe il consumatore privo della tutela che l’art.16 della Direttiva, come interpretato alla CGUE, che impone di procedere alla riduzione di tutti i costi connessi al credito in proporzione alla durata residua del contratto.
Al contrario, l’applicazione di un unico criterio faciliterebbe l’intellegibilità delle condizioni contrattuali in aderenza alle finalità della direttiva comunitaria.
In ragione di tutto quanto detto, il gravame va integralmente rigettato.
Quanto alle spese del presente grado di giudizio, esse seguono la soccombenza dell’appellante e si liquidano a suo carico come da dispositivo che segue; deve precisarsi che, quanto ai compensi, essi, in ragione dell’attività difensiva espletata nonché del valore della causa ( di poco superiore al valore di riferimento di euro 1.100,00), vanno calcolati secondo i valori minimi previsti dal DM 147/2022 per lo scaglione di riferimento ( cause di valore da euro 1.100,00 ad euro 5.200,00, secondo il criterio del disputatum- v. Cass. n. 28417/2018), con esclusione della fase istruttoria non espletata.
Nondimeno, in ragione del rigetto dell’appello, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, a carico dell’appellante soccombente, per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115/2002.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sull’appello, e disattesa ogni contraria o diversa istanza ed eccezione, così provvede:
1) Rigetta l’appello;
2) Condanna la (omissis), in pers. del legale rapp.te p.t., in pers. del legale rapp.te p.t., al pagamento, in favore di (omissis), delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 0,00 per spese vive ed euro 852,00 per compensi, oltre accessori se dovuti per legge, con attribuzione;
3) Dà atto della sussistenza, a carico dell’appellante soccombente, dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115/2002.
Torre Annunziata, 31.7.2023