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Tribunale di Torino sez. IX, 04/06/2020

Massima

Il riconoscimento giudiziale dello status di apolide spetta a chi, pur nato in un determinato paese, da genitori cittadini di un altro Stato, dimostri l’impossibilità di ottenere la cittadinanza da alcuno dei due, beneficiando di un onere probatorio attenuato e del supporto istruttorio del giudice, in considerazione dell’assenza di riconoscimento da parte di qualsiasi Stato della sua cittadinanza.

Supporto alla lettura

CITTADINANZA

Il termine “cittadinanza” indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici.  In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario ed è attualmente disciplinata dalla L. 91/1992.

La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani.  Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio (iure matrimonii), la quale è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente.

La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La legge prevede alcuni casi in cui può venir meno lo status di cittadino italiano, si può riacquistare su domanda, e il D.L. 113/2018, convertito con L. 132/2018 ha introdotto all’art. 10 bis della L. 91/1992 l’istituto della revoca della cittadinanza nei casi espressamente previsti dall’art. 10 bis della citata L. 91/1992.

Diverso è parlare di “cittadinanza europea” che non è uno status che si acquisisce, infatti ogni cittadino di un Paese membro della Ue, oltre alla cittadinanza del paese di origine, gode della cittadinanza europea. Secondo la testuale dizione del trattato di Maastricht (TUE), è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

La cittadinanza dell’Unione europea comporta una serie di norme e diritti ben definiti, che si possono raggruppare in quattro categorie:

  • la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell’Unione;
  • il diritto di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;
  • la tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro in un paese terzo nel quale lo Stato di cui la persona in causa ha la cittadinanza non è rappresentato;
  • il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e ricorsi al mediatore europeo.

 

Il D. Lgs. 36/2025, conv. L. 74/2025, ha modificato la legge sulla cittadinanza italiana, soprattutto in merito allo ius sanguinis. Il fine è quello di limitare la trasmissione automatica della cittadinanza per discendenza, introducendo requisiti più stringenti e valutando il “vincolo effettivo e attuale con la comunità nazionale”. Le nuove disposizioni non si applicano a chi ha presentato domanda di riconoscimento della cittadinanza entro il 27 marzo 2025 (data di entrata in vigore del decreto); è prevista invece una finestra temporale, dal 1 luglio 2025 al 31 dicembre 2027, per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini che siano nati in Italia o che abbiano risieduto in Italia per almeno 2 anni, o che abbiano perso la cittadinanza prima del 16 agosto 1992.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO E DI DIRITTO
Con ricorso depositato il 4.4.2018 il Sig. (omissis) ha avanzato domanda volta al riconoscimento dello status di apolide.

A sostegno della domanda il ricorrente afferma:

– di essere nato nel villaggio di Noumou Kama in Costa d’Avorio, da genitori cittadini del Mali;

– di essersi trasferito, all’età di 15 anni ed insieme alla sorella, presso uno zio nel villaggio di Tenkou, regione di Sikasso, in Mali, ove rimanevano per circa 3 anni;

– di essersi poi recato in Algeria, Libia ed infine in Italia, ove giungeva il 10.8.2015;

– di aver presentato domanda di Protezione Internazionale, che veniva respinta dalla Commissione Internazionale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in Torino il 7.12.2016, salvo l’accoglimento della richiesta di Protezione Umanitaria.

Ricorso e decreto di fissazione dell’udienza sono stati ritualmente e tempestivamente notificati al Ministero dell’Interno, che non sì è costituito in giudizio.

Il Pubblico Ministero si è espresso in senso favorevole al riconoscimento dello status dì apolide. Acquisita la documentazione integrativa, il Giudice ha trattenuto la causa a decisione.

La presente controversia, avente ad oggetto l’accertamento dello stato di apolidia e disciplinata, secondo quanto disposto dall’art. 19 bis d.lgs. 150/2011 (“Controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia) e dall’art. 3 comma 2 D.L. 13/2017, convertito con L. n. 46 del 2017, dal rito sommario di cognizione, e rientra nella competenza per materia delle sezioni specializzate, in composizione monocratica, la competenza territoriale è fissata in base al luogo di dimora del richiedente lo status di apolidia. Nella specie, il ricorrente è ospite in Torino, e versa un contributo per l’affitto: doc. 8).

Quanto alla disciplina sostanziale, secondo la Convenzione sullo status degli apolidi, adottata a New York il 28.9.1954 (e ratificata con L. 306/1962),

c.1: “Ai fini della presente Convenzione, il termine “apolide” indica una persona che nessuna Stato considera come suo cittadino nell’applicazione della sua legislazione.

c.2: Questa Convenzione non sarà applicabile:

(i) alle persone che beneficiano attualmente di una protezione o di un’assistenza da parte di un organismo o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, fin tanto che beneficeranno di detta protezione o assistenza;

(ii) alle persone considerate dalle autorità competenti del Paese nel quale le stesse hanno stabilito la loro residenza come aventi i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza di questo Paese;

(iii) alle persone delle quali si avranno fondate ragioni per credere:

a) che hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, ai sensi degli strumenti internazionali elaborati per prevedere disposizioni relative a questi crimini;

b) che hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del Paese di residenza prima di esservi ammesse;

c) che si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi ed ai principi delle Nazioni Unite.

Il riconoscimento dello status di apolide non risulta compiutamente disciplinato nel nostro ordinamento. Il riferimento normativo è costituito dal D.P.R. 572/93 (“Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”), il quale prevede, all’art. 17 (“Certificazione della condizione d’apolidia”):

“1. Il ministero dell’interno può certificare la condizione di apolidia, su istanza dell’interessato corredata della seguente documentazione:

a) atto di nascita;

b) documentazione relativa alla residenza in Italia;

c) ogni documento idoneo a dimostrare lo stato di apolide.

2. È facoltà del Ministero dell’interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti”

Peraltro, è pacifico che la previsione di un apposito procedimento amministrativo di certificazione, di cui all’art. 17 D.P.R. 572/93, non precluda la tutela innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ex art. 19 his d.lgs. 150/2011.

Tale interpretazione (che prevede a scelta dell’interessato, due diversi iter procedurali, uno in via amministrativa e l’altro in via giudiziaria) trova conferma anche nella Circolare esplicativa del decreto del Ministero dell’Interno del 22.11.1994 e la Circolare K 60.1 del 23 dicembre 1994 (“Procedimenti di concessione della cittadinanza italiana. Decreto Ministeriale 22 novembre 1994 recante disposizioni concernenti l’allegazione di ulteriori documenti di cui all’art. 1 comma 4 del D.P.R. 18 aprile 1994 n. 362”).

In ordine alla prova della condizione di apolide, la consolidata giurisprudenza ha chiarito che L’onere della prova gravante sul richiedente lo “status” di apolide deve ritenervi attenuato, poiché quest’ultimo, oltre a godere della titolarità dei diritti della persona la cui attribuzione è svincolata dal possesso della cittadinanza, bene fida, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente, di una trattamento giuridico analogo a quello riconosciuto ai cittadini stranieri titolari di una misura di protezione internazionale; ne consegue che eventuali lacune o necessità di integrazione istruttorie per la suddetta dimostrazione possono essere colmale mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi da parte del giudice, che può richiedere informazioni o documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale possa ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo. (v. Cass. Sent. n. 4262 del 03/03/2015).

E ancora, secondo la sentenza n. 28153 del 24/11/2017. Nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento dello “status” di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili, operando il principio dell’attenuazione dell’onere della prova ed il conseguente obbligo di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito soltanto al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi o procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti.

Tale principio (già enunciato da Cass. n. 4262 del 3.3.2015) non esclude che incomba sul richiedente l’onere di allegamento specifica non solo della condizione di non cittadino della Stato o degli Stati di prossimità, ma anche l’assenza dei presupposti normativi e/o fattuali che consentano al medesimo il riconoscimento dello status civitatis da parte di quei medesimi Stati, dovendo egli indicare tutti i fatti costituiti del diritto invocato. (v. Cass. sent. N. 1183/2018).

Ciò posto, nella fattispecie, il ricorrente ha allegato:

– di essere nato in Costa d’Avorio da genitori cittadini del Mali,

– che la legislazione del Costa d’Avorio consente l’acquisto della cittadinanza a coloro che siano nati da almeno un genitore ivoriano;

– che la legislazione del Mali attribuisce la cittadinanza a coloro che siano nati in Mali da padre e/o madre maliani, peraltro, il ricorrente non era mai stato registrato nei registri dei Mali, ed i genitori erano deceduti prematuramente.

In ordine alla disciplina vigente in Consta d’Avorio, il “Nationolity Code” adottato nel 1961 sancisce come requisito fondamentale ai fini dell’acquisizione della cittadinanza ivoriana la nascita da almeno un genitore avente la cittadinanza ivoriana (principio dello ius sanguinis).

Secondo l’articolo 6 Codice della nazionalità come modificato dalla legge 72-852 del 1973,

“E ivoriano:

1 – Il bambino nato in Costa d’Avorio in matrimonio o legittimato, tranne se entrambi i suoi i genitori sono stranieri.

2 – Il bambino nato in Costa d’Avorio fuori dal matrimonio, a meno che non lo sia la sua, filiazione stabilito per due genitori stranieri, o solo un genitore, che è anche uno straniero”

(fonti: National Legislative Bodies/National Authorities (Author), published by LINHCR – UN High Commissioner for Refugees: Code de la Nationalite Loi n° 61-415 du 14 Decembre 1961 (modifée 1972, Loi n° 2004 – 662 du 17 décembre 2004, n° 2005-03/PR du 15 juillet 2005, n° 2005-09/PR du 29 aoút 2005), August 2005; (omissis)) Nonostante i diversi emendamenti emanati negli anni successivi nessuno di questi ha introdotto la possibilità di acquisizione della cittadinanza secondo il principio dello ius solis.

(Fonti; National Legislative Bodies/National Authorities (Author), published by UNHCR – UN High Commissioner for Refugees: Décision n° 2005-03/PR du 15 juillet 2005 relative au Code de la nationalité, 15 July 2007 (omissis))

National Legislative Bodies/National Authorities (Author), published by UNHCR – UN High Commissioner for Refugees: Code de la Nationalite Loi n° 61-415 du 14 Decembre 1961 (modifée 1972, Loi n° 2004-662 du 17 décenibre 2004, n°2005-03/PR du 15 juillet 2005, n°2005-09/PR du 29 aout 2005), August 2005 (omissis))

In particolare, la Legge n. 2013-653 del 13 settembre 2013 prevede disposizioni specifiche per l’acquisizione della nazionalità per riconoscimento: “Articolo 2 Beneficiano delle disposizioni della presente legge le persone che rientrano in una delle seguenti categorie:

* Persone nate in Costa d’Avorio da genitori stranieri e di età inferiore ai 21 anni alla data del 20 dicembre 1961;

* Persone che hanno avuto la loro residenza abilitale senza interruzione in Costa d’Avorio prima del 7 agosto 1960 e i loro figli irati in Costa d’Avorio;

* Persone nate in Costa d’Avorio da genitori stranieri tra il 20 dicembre 1961 e il 25 gennaio 1973 e i loro figli

(fonti: National Legislative Bodies/National Authorities (Author), published by UNHCR- UN High Commissioner for Refugees Loi n° 2013-653 du 13 septembre 2013 portant dispositions particuiieres en rnatiere d’acquisition de la nationalite par declaration, 13 September 2013

(omissis)

Secondo la legge Maliana, la cittadinanza consegue alla nascita nel caso in cui uno dei genitori sia maliano (Loi No. 6218 An – RM du 3 février 1962 portant Code de la nationalité malienne, Loi No. 95-70 du 25 aoút 1995 portant modifcation du Code de la nationalité malíenne;

fonti: Les Lois sur Ia Nationalitè en Afrique: Une etude comparè; in (omissis)).

Il ricorrente peraltro è rimasto orfano di entrambi i genitori, senza che questi avessero provveduto ad effettuare la dichiarazione di nascita. Secondo quanto dichiarato, il ricorrente si recava in Mali per alcuni anni da adolescente, insieme alla sorella, prima di fuggire in Europa.

Ne consegue che, alla luce della disciplina dei Paesi di collegamento, al ricorrente non è consentito di ottenere la cittadinanza del Paese di nascita, e neppure di quello della cittadinanza dei propri genitori: sulla base dei suesposti elementi, sussistono quindi i presupposti per i riconoscimento dello status di apolide in capo al ricorrente.

Sulle spese, tenuto conto elle parte resistente non si è opposto all’accoglimento della domanda

P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza, in accoglimento del ricorso:DICHIARA che (omissis) ha diritto allo status di apolide,

Manda alla Cancelleria di darne comunicazione al ricorrente, alla parte resistente, nonché al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino.

Torino, 31.5.20.20

Depositata in Cancelleria il 04/06/2020

Allegati

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