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Tribunale di Savona, provvedimento del 20/12/2023

Massima

In tema di azione di reintegrazione nel possesso, la produzione del titolo da cui il deducente trae lo “ius possidendi” può solo integrare la prova del possesso, al fine di meglio determinare e chiarire i connotati del suo esercizio, ma non può sostituire la prova richiesta nel relativo giudizio, avendo il ricorrente l’onere di dimostrare di avere effettivamente esercitato, con carattere di attualità, la signoria di fatto sul bene che si assume sovvertita dall’altrui comportamento violento od occulto.

Supporto alla lettura

AZIONE DI REINTEGRAZIONE

L’azione di reintegrazione, ex art. 1168 c.c. (detta anche “di spoglio”), esercitabile anche dal detentore, protegge il possessore a cui venga sottratto in tutto o in parte il possesso della cosa, prevedendo la reintegrazione, ossia il ripristino della situazione possessoria compromessa. Ha dunque funzione recuperatoria, e perchè possa aversi tale risultato bisogna che chi ha operato lo spoglio abbia ancora effettiva disponibilità della cosa tolta al possessore.

Nel caso ci sia stata la perdita della cosa posseduta, l’autore dello spoglio termina di essere il destinatario dell’azione di reintegrazione, fermo restando la responsabilità per il fatto illecito commesso. Se invece la cosa posseduta è stata trasferita ad un terzo, il quale sia a conoscenza dell’avvenuto spoglio, l’azione di reintegrazione è esperibile anche contro costui.

La privazione del possesso della cosa, deve essere avvenuta in modo violento ed occulto, cioè contro la volontà di chi venga privato del possesso, ossia senza che questi ne venga a conoscenza, se non successivamente. L’azione di reintegrazione è possibile anche in caso di spoglio non violento o non occulto, ma in tal caso solo al ricorrere delle condizioni per l’esperibilità dell’azione di manutenzione, che non sarà esercitabile dal semplice detentore.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Il Collegio rileva l’infondatezza di tutte le doglianze proposte.

Quanto al primo motivo di reclamo, si reputa corretta la valutazione del giudicante di inammissibilità della domanda di rimozione del cordolo in cemento per essere stata proposta oltre l’anno dal lamentato spoglio. Le parti reclamanti, infatti, nel riferire l’orientamento effettivamente prevalente in giurisprudenza ne forniscono una lettura errata. È vero che, secondo l’indirizzo interpretativo sposato dalla Suprema Corte, quando lo spoglio risulti da atti funzionalmente collegati, il termine per l’esperimento dell’azione possessoria va fatto decorrere dal primo di essi, mentre se si tratta di atti funzionalmente autonomi, lo stesso decorre dall’ultimo atto di spoglio. Ciò, tuttavia, serve a valutare se chi propone l’azione possessoria sia in termini o meno, ma non significa che il ricorrente possa essere “rimesso in termini” con riferimento a ogni condotta di spoglio anteriore all’anno. Nel caso in esame è risultato provato – attraverso le dichiarazioni del sig. C.R. (che realizzò l’opera) nonché attraverso la datazione delle fatture relative ai lavori – che il cordolo in cemento fu costruito nel mese di marzo 2022, mentre il ricorso ex art. 1168 c.c. è stato depositato, oltre l’anno, in data 26.07.2023.

In ogni caso, quand’anche la domanda di demolizione del suddetto cordolo potesse ritenersi tempestiva, essa dovrebbe essere rigettata nel merito per le stesse ragioni che sorreggono la reiezione del secondo motivo di reclamo e che si vanno ad esporre.

Il Collegio condivide, innanzitutto, le valutazioni espresse dal giudice unico in merito alla sussistenza di dubbi circa l’attendibilità dei sommari informatori di parte ricorrente (odierna reclamante), incorsi in contraddizioni e smentiti dai testi di controparte.

Le considerazioni svolte nell’ordinanza impugnata sono conformi alle risultanze dei verbali di assunzione delle prove e – lungi dall’apparire espressione della contestata “preferenza” per alcune dichiarazioni rispetto ad altre – sono articolate, anche nella ricerca di elementi di riscontro, e logicamente coerenti, come evincibile dalla loro lettura: “va evidenziato che le dichiarazioni rese dai sommari informatori indicati dai ricorrenti, tendenti a confermare l’esercizio del passaggio sia da parte dei Sigg.ri omissis che da parte dei tecnici e dal personale delle ditte da essi incaricate di svolgere lavori di costruzione di un fabbricato sul mappale 168 (lavori che secondo quanto riferito dai ricorrenti erano iniziati nel 2011 ed erano stati però sospesi nell’aprile del 2012 a causa di un sequestro del cantiere disposto nell’ambito di un procedimento penale per il reato di lottizzazione abusiva, reato dal quale, all’esito del procedimento, essi sono stati assolti con sentenza emessa in data 13.6.2017), sono state sostanzialmente smentite dalle contrarie affermazioni rilasciate dagli informatori indicati dal resistente (cfr omissis). Elementi a conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dagli informatori indicati dal resistente possono poi essere tratti anche dalla documentazione fotografica omissis, dalla quale è dato riscontrare effettivamente la presenza diffusa nel cantiere sito sul mappale omissis, nel corso degli anni, di rovi e sterpaglia, ciò che induce a ritenere verosimile che successivamente all’interruzione dei lavori avvenuta nell’aprile del 2012 a seguito della sottoposizione del cantiere a sequestro penale i lavori di realizzazione del detto fabbricato non siano più ripresi, e che pertanto successivamente a tale data non si sia verificato il passaggio sulla strada dei ricorrenti e/o dei tecnici e delle maestranze per l’esecuzione dei lavori riferito dai ricorrenti medesimi nei propri atti difensivi, con conseguente insussistenza, in capo agli stessi, del possesso di cui essi hanno richiesto la tutela nel presente giudizio” (cfr. ordinanza reclamata, pag. 2).

Circa l’invocata rilevanza, ai fini della configurabilità del possesso di servitù discontinue (come quelle di passaggio) di atti di esercizio anche saltuari e non continuativi, si osserva che nella fattispecie in esame difetta la prova del carattere dell’attualità dell’esercizio, ancorché non continuativo, del passaggio.

Si ricorda l’indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui: “In tema di azione di reintegrazione nel possesso, la produzione del titolo da cui il deducente trae lo “ius possidendi” può solo integrare la prova del possesso, al fine di meglio determinare e chiarire i connotati del suo esercizio, ma non può sostituire la prova richiesta nel relativo giudizio, avendo il ricorrente l’onere di dimostrare di avere effettivamente esercitato, con carattere di attualità, la signoria di fatto sul bene che si assume sovvertita dall’altrui comportamento violento od occulto” (Cass., sez. 2, ordinanza n.2032 del 24/01/2019, conforme Cass., sez. 2, sent. n. 17567 del 31/08/2005).

Nella presente vicenda, tutto ciò che può essere dedotto dalla documentazione in atti (ed in particolare: dalla scrittura privata del 28.02.2007 intercorsa tra i rispettivi danti causa delle odierne parti reclamanti e reclamata; dall’effettiva realizzazione della strada, oggi chiusa con cancello;

dall’esistenza di un edificio in costruzione sul fondo di proprietà omissis e, quindi, di un cantiere) è il possesso del passaggio sul mappale 151 da parte dei proprietari del mappale 168 nel periodo antecedente al sequestro penale di tale ultimo fondo, avvenuto nel 2012.

Se si tiene conto del fatto che i reclamanti hanno riottenuto la disponibilità dei propri terreni solo nell’anno 2018 (a seguito del dissequestro del terreno conseguente alla conclusione del procedimento penale con sentenza assolutoria) e, soprattutto, del fatto che il reclamato sig. FR. ha acquistato il mappale 151 solo in data 08.01.2021, non può che concludersi nel senso della stringente necessità, ai fini dell’accoglimento del ricorso – e del reclamo – di una prova adeguata in ordine all’effettivo compimento di atti, anche sporadici, di esercizio del passaggio negli anni 2021 e 2022. Prova che, come condivisibilmente rilevato dal giudice unico, qui difetta.

Per tutti gli indicati motivi il reclamo deve essere respinto con integrale conferma dell’ordinanza reclamata.

Le spese di lite della presente fase seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sulla base dei criteri indicati dall’art. 4 DM 55/2014, tenuto conto del valore della controversia (indeterminabile – complessità bassa), dell’attività difensiva svolta, dei risultati conseguiti dal cliente e dunque con applicazione dei valori medi di riferimento per tutte le fasi esclusa quella istruttoria, che non si è celebrata.

P.Q.M.

Il Tribunale di Savona, in composizione collegiale così provvede: respinge integralmente il reclamo omissis e, per l’effetto, conferma l’ordinanza reclamata; condanna omissis alla rifusione in favore di omissis delle spese di lite per la presente fase, che liquida in euro 3.228,00 oltre 15% per spese generali IVA e CPA come per legge. Si dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1- bis d.P.R. 115/2002 da parte del reclamante.

Allegati

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