Massima

Sussiste la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al dipendente con mansioni di garzone di cucina, il quale ha subito l’amputazione di alcune dita della mano sinistra a seguito dell’utilizzo di un macchinario destinato al confezionamento di alimenti, identificato come termosaldatrice modello 300. L’evento lesivo si è verificato mentre l’arto del lavoratore è rimasto incastrato e sottoposto a pressione ad altissima temperatura all’interno del macchinario, il quale risultava privo di dispositivi di sicurezza essenziali, quali: sistema di blocco automatico; interruttore di emergenza ed ulteriori meccanismi di protezione idonei a prevenire l’accesso accidentale alle parti pericolose. Il macchinario è stato disattivato solo dopo diversi minuti, grazie all’intervento dei colleghi, che sono riusciti a liberare l’arto e ad allertare i soccorsi. Tale circostanza evidenzia una grave violazione degli obblighi di sicurezza imposti al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. e dal D.Lgs. 81/2008, in particolare in relazione alla valutazione dei rischi, alla formazione del personale e alla predisposizione di misure tecniche e organizzative idonee a tutelare l’integrità fisica e la salute dei lavoratori.

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

La sicurezza sul lavoro è quell’insieme di misure, provvedimenti e soluzioni adottate al fine di rendere più sicuri i luoghi di lavoro, per evitare che i lavoratori possano infortunarsi durante lo svolgimento delle loro mansioni.

Si tratta di una condizione organizzativa necessaria ed imprescindibile di cui ogni azienda deve essere in possesso per eliminare o quantomeno ridurre i rischi e i pericoli per la salute dei lavoratori.

Attualmente la normativa di riferimento in materia è costuita dal D. L.gs. 81/2008, il quale prevede, tra le principali misure generali di tutela:

  • la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo;
  • il rispetto dei prinicipi ergonomici;
  • la riduzione del rischio alla fonte;
  • la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  • l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
  • i controlli sanitari periodici dei lavoratori;
  • l’informazione e formazione in materia di sicurezza per i lavoratori;
  • le istruzioni adeguate ai lavoratori;
  • la programmazione di misure per garantire il miglioramento nel tempo;
  • la gestione delle emergenze;
  • la regolare manutenzione di ambienti, impianti, attrezzature e dispositivi di sicurezza.

L’obbligo di rispettare la normativa inerente alla sicurezza sul lavoro è stabilito nei confronti di ogni lavoratore, ovvero di coloro che rientrano nella definizione contenuta nell’art. 2, lett a) del D. Lgs. 81/2008, i quali svolgono un’attività lavorativa nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche solo al fine di apprendimento, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Inoltre sono equiparati ai lavoratori anche:

  • il socio lavoratore di cooperativa o di società;
  • l’associato di paretcipazione;
  • l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ecc…

Il datore di lavoro è la figura principale garante e responsabile della tutela della salute e sicurezza nella propria azienda, infatti egli deve ottemperare a quanto stabilito dalla normativa vigente per garantire la corretta applicazione delle misure atte alla riduzione o alla cancellazione di qualsiasi rischio cui sono esposti i lavoratori:

  • la valutazione dei rischi e la stesura del relativo documento (DVR);
  • il dovere di offrire un ambiente lavorativo sicuro;
  • informare e formare i lavoratori sui rischi presenti in loco;
  • vigilare e verificare il rispetto delle norme antinfortunistiche da parte dei dipendenti;
  • l’adozione di idonee misure di prevenzione e protezione, tra cui i dispositivi di protezione individuale.

Oltre alla figura del datore di lavoro, ci sono anche altri soggetti che hanno un ruolo nella gestione della sicurezza sul lavoro, in particolare: il dirigente per la sicurezza; il preposto per la sicurezza; il responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP); l’addetto al servizio prevenzione e protezione (ASPP); il medico competente; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS); il lavoratore, quest’ultimo in particolare è anche soggetto attivo che deve essere consapevole delle condizioni del proprio ambiente lavorativo e deve partecipare alla valutazione dei rischi attraverso il rappresentante dei lavoratori (RLS).

I controlli e la supervisione vengono effettuati da diverse entità, sia a livello governativo che aziendale, per esempio l’ispettorato del lavoro e l’azienda sanitaria locale competente per territorio.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

Col ricorso S.B., premesso di essere stata dall’1.4.2009 dipendente della ditta S.D.S. con sede in P. T., con qualifica di garzone di cucina liv. 6 del C.C.N.L. per il settore alimentare, con attività prestata presso il laboratorio dell’azienda, ha allegato di avere subìto un gravissimo infortunio alla mano sinistra in data 12.7.2010 mentre utilizzava un macchinario destinato al confezionamento di alimenti, più precisamente una termosaldatrice a 300.

La mano era rimasta chiusa e pressata ad altissima temperatura all’interno del macchinario, che, privo del sistema di blocco automatico e dell’interruttore di emergenza nonché di altri sistemi di sicurezza, era stato disattivato solo dopo diversi minuti dai colleghi di lavoro, che erano riusciti a liberare l’arto e avevano chiamato i soccorsi.

Dopo diversi interventi anche chirurgici dei sanitari, l’amputazione di alcune dita della mano, ed alcune complicanze, dopo la terapia antibiotica e la fisioterapia che ella ha dovuto affrontare, la ricorrente ha riportato dall’infortuniopostumi permanenti fisici, e uno stato di malessere fisico e psichico, quantificati dal dott. C., Direttore del reparto di ortopedia e microchirurgia ricostruttiva presso l’Ospedale Marino di Cagliari nella misura del 48% quanto al danno biologico e del 10% quanto al danno psichico inteso come disturbo dell’adattabilità alla situazione estetica conseguente all’inestetismo cicatriziale, con una inabilità temporanea totale protrattasi dal giorno dell’infortunio sino al 21.7.2011.

L’Inail ha riconosciuto alla ricorrente, con decorrenza dal 27.7.2011, una rendita annua di 11.499,37 euro, che capitalizzata secondo le tabelle dell’Ente previdenziale porta ad una somma capitale di 283.142,08 euro.

Ciò detto, col ricorso si è sostenuto che l’infortunio occorso alla B. deve essere ascritto a totale responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., avendo parte convenuta omesso di osservare le prescrizioni antinfortunistiche, ed omesso di adottare le misure generiche e specifiche idonee a garantire l’integrità fisica del lavoratore, comunque omettendo di vigilare sull’effettiva osservanza delle misure eventualmente adottate.

La B. era addetta a un macchinario pericoloso in quanto operante ad altissime temperature, privo dei più rudimentali sistemi di sicurezza e non perfettamente funzionante, tanto che la lavoratrice si trovava costretta ad accompagnare i panini al suo interno, senza potersi sottrarre a pena di inadempimento contrattuale all’espletamento di detta attività con tali modalità. L’infortunio deve essere pertanto ascritto all’assoluta negligenza e imperizia del datore di lavoronell’assolvere gli obblighi in materia di sicurezza, con conseguente applicabilità degli artt. 2087 e 2050 c.c.

Spetta dunque alla ricorrente il risarcimento del c.d. “danno differenziale”, ovvero la parte di risarcimento, calcolato secondo i criteri generali, che residua da quanto riconosciuto dall’Inail, portato all’attualità, per il medesimo infortunio, e che nel caso di specie, applicate le tabelle del Tribunale di Milano, ammonta a 382.713,00 euro per danno biologico permanente e 54.230,00 euro per danno da invalidità temporanea totale.

A dette voci andrà aggiunta la personalizzazione del danno morale del 25% sul danno biologico, tenendo conto del fatto che le conseguenze del sinistro hanno radicalmente sconvolto la vita personale e familiare della ricorrente, dell’invasività delle cure subìte, e dello stato psicologico determinato dalle conseguenze del sinistro, per un ammontare di ulteriori 95.678,00 euro, cosicché l’ammontare complessivo del danno biologico è di 532.621,00 euro.

Al danno biologico deve aggiungersi il danno da incapacità specifica, non potendo più la B. svolgere l’attività lavorativa nella quale era impiegata, da riconoscersi nella misura del 48%, per un importo complessivo pari a 129.552,47 euro.

A conclusione del ricorso si è chiesto accertarsi la responsabilità in capo alla ditta convenuta, e condannarsi la stessa al risarcimento di tutti i danni patiti dalla ricorrente, per un importo complessivo di 662.173,47 euro da cui dedursi la somma di 283.142,08 euro già liquidata dall’Inail; con interessi e rivalutazione, e con vittoria di spese, diritti ed onorari.

Si è costituita in giudizio E.S., titolare della ditta individuale “S.D.S.”, chiedendo il rigetto del ricorso per i motivi esposti in comparsa, con vittoria di spese legali.

Motivi della decisione.

All’esito dell’istruttoria non è emersa prova del nesso causale tra la condotta, attiva od omissiva, del datore di lavoro e l’infortunio patìto dalla dipendente S.B., da cui è derivato il danno biologico e patrimoniale allegato col ricorso; neppure è emersa prova di una colpa, sia pure in vigilando, del datore di lavoro.

Infatti, considerato che il macchinario in cui rimase incastrata la mano della lavoratrice non venne sequestrato all’epoca dei fatti, e comunque fino a quando detto sequestro sarebbe stato utile ossia prima della sua riparazione su disposizione dello Spresal, e non è stato sottoposto a particolari accertamenti dopo le prime verifiche effettuate dai funzionari Spresal, le uniche informazioni disponibili in ordine al suo stato di manutenzione e di funzionamento il giorno dell’infortunio sono quelle offerte dalle testimonianze, prime fra tutte quelle dei funzionari Spresal intervenuti nell’occasione, e dai verbali di accertamento dagli stessi redatti.

Ebbene, innanzi tutto, la verificata mancanza del “micro interruttore della protezione posta a valle della macchina”, come da dichiarazioni del teste G.M.Z. ufficiale di PG dello Spresal all’udienza dell’8.5.2017, e da relativi verbali di attività Spresal, non consente di per sé di comprendere se, ove detto micro interruttore vi fosse stato e fosse stato funzionante il giorno dei fatti, l’infortunio si sarebbe potuto evitare o meno.

Né a monte le allegazioni del ricorso, estremamente generiche se non addirittura carenti in punto di nesso di causalità e di rapporto causale fra le omissioni rilevate dallo Spresal e l’infortunio verificatosi, possono in alcun modo essere di supporto.

Non si comprende, in particolare, se fosse stata proprio la protezione a non funzionare, o piuttosto soltanto una spia elettrica o elettronica di essa, e quale funzione avesse il “micro interruttore” in questione; parrebbe inoltre che si fosse trattato della spia in uscita e non in entrata, mentre l’infortunio era avvenuto all’imboccatura in entrata dell’imbustatrice.

Pertanto, tenuto anche conto del fatto che la gran parte dei testimoni oculari dell’infortunio, sulla cui attendibilità e credibilità alcun dubbio è sorto o è stato sollevato in giudizio, hanno sostenuto che il sistema di blocco automatico del macchinario, una volta che la mano della lavoratrice era rimasta intrappolata in esso, aveva funzionato1, deve ritenersi che l’assenza del micro interruttore rilevata dallo Spresal non avesse avuto alcuna efficacia causale rispetto all’infortunio, non avendo essa impedito l’operatività del blocco di sicurezza.

Inoltre, neppure provata in causa è l’assenza di manutenzione del macchinario, giacché a fronte della considerazione dei funzionari Spresal secondo cui detta omissione sarebbe stata dimostrata dalla mancata consegna da parte della titolare della ditta dei documenti attestanti appunto la manutenzione (“il datore di lavoro non è stato in grado di fornirci il registro di controllo su cui vengono annotate tutte le manutenzioni previste per tale macchina”2), in giudizio i testi, primo fra tutti Palmerio Agus3 responsabile manutenzione tecnica proprio della ditta Corren che si era occupata del macchinario in questione, hanno dichiarato che esso era stato sempre sottoposto ai dovuti controlli, e che all’esito di essi aveva mostrato di funzionare regolarmente4.

Ancora, la gran parte dei testi ha dichiarato che la ricorrente non era addetta al macchinario che ne provocò il ferimento, e che ella il giorno dei fatti di propria spontanea iniziativa l’aveva utilizzata, in assenza della collega ad essa normalmente adibita.

Anche la teste S.R. ha confermato che la B. non era addetta all’imbustatrice, e la genericità del suo riferimento “so che la ricorrente ogni tanto si sostituiva a qualcun altro nell’utilizzo del macchinario” impedisce di tenerne conto ai fini della decisione, tanto più in quanto gli altri testi hanno sottolineato invece che era stato un caso eccezionale l’intervento fatto il 13.7.2010 dalla ricorrente sull’imbustatrice.

Non essendo emersi e non essendo neppure stati sollevati dubbi sulla attendibilità e credibilità di detti testi, né potendo ritenersi che una prova presuntiva, fondata su un’omessa consegna di documenti, possa prevalere sulla prova contraria dichiarativa, si deve concludere nel senso che non vi era alcun obbligo di formazione specifica della ricorrente sull’uso di una macchina che ella non avrebbe dovuto utilizzare, e che detta macchina era correttamente manutenuta e non aveva difetti di funzionamento, salvo l’assenza della spia rilevata dai funzionari Spresal, che però non può ritenersi causale rispetto all’infortunio.

Lo stesso fatto, dimostrato documentalmente, che una serie di dipendenti di parte resistente fosse stata formata all’uso della macchina in questione, ad eccezione fra l’altro proprio della B., riscontra ulteriormente quanto dichiarato dai testi circa l’assoluta occasionalità, il giorno dei fatti, dell’uso dell’imbustatrice da parte della ricorrente.

Già l’assenza di nesso causale fra la condotta di omessa sostituzione della spia e l’infortunio, e la prova offerta in giudizio dai testi circa la regolare manutenzione e il buon funzionamento dell’imbustatrice ridimensionano notevolmente l’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso alla B..

Incidentalmente deve osservarsi che è irrilevante ai fini della decisione quanto dichiarato dal funzionario Spresal G.M. Z. all’udienza dell’8.5.2017 circa la difettosità della macchina accertata in data 20.7.2010 “perché molto sporca”, sia per la genericità del riferimento, impossibile da ricollegare in qualche modo causalmente all’infortunio, ed anche perché comunque dopo una settimana dai fatti, durante la quale verosimilmente l’imbustatrice anche se non sottoposta a sequestro era rimasta utilizzata, si può anche essere accumulata su di essa della sporcizia che non è verificabile se fosse o meno già presente il giorno dell’infortunio.

Quanto all’omessa formazione della donna sull’uso dell’imbustatrice, l’estemporaneità dell’intervento della B. su detta macchina impedisce di considerare prevedibili sia la attività della donna che l’infortunio, e dunque, a meno di voler ricondurre indebitamente alla previsione dell’art. 2087 c.c. ipotesi di responsabilità oggettiva, non si può ritenere che il datore di lavoro avesse nei confronti della ricorrente obblighi di formazione specifica, ovvero avesse un obbligo di vigilanza continua sull’attività dei dipendenti, tale da impedire che venisse posta in essere anche una attività non prevedibile e addirittura abnorme.

Infatti i testi hanno riferito che la B. il giorno dei fatti non solo si era occupata di una attività non di sua competenza, provvedendo all’imbustamento dei panini, ma per giunta, una volta resasi conto di un occasionale malfunzionamento della macchina imbustatrice dovuto a un difetto nella taratura effettuata quel giorno da altro dipendente, invece di fermare il lavoro e provvedere o far provvedere a una nuova corretta taratura aveva di sua iniziativa cercato di risolvere il problema accompagnando con la mano i panini verso l’imboccatura della macchina.

Ha in particolare dichiarato al riguardo il teste R.F.: “i panini si erano bloccati, la B. li ha spinti con la mano nonostante siano presenti le protezioni che dovrebbero impedire l’inserimento della mano”.

Questa iniziativa della lavoratrice, la cui pericolosità è evidente a chiunque anche in assenza di informazioni specifiche sul funzionamento dell’imbustatrice giacché ogni macchinario è composto da meccanismi che col loro movimento o con la loro azione possono mettere a rischio l’integrità fisica di chi avvicini le mani e le dita al suo interno, non può ritenersi prevedibile5 e dunque evitabile dalla titolare della ditta, sia perché la B. non aveva l’incarico di usare l’imbustatrice e detto uso le era stato espressamente vietato, sia perché comunque la condotta consistita nell’accompagnare con la mano il movimento dei panini verso l’interno della macchina può ritenersi abnorme perché intrinsecamente rischiosa e chiaramente da evitare, e infine perché nessun altro dei dipendenti, e neppure la B. prima del giorno dei fatti, l’aveva mai posta in essere in precedenza (teste F.: “è capitato altre volte che la confezionatrice si bloccasse agli altri dipendenti addetti (…) ma in quel caso non vi hanno messo la mano, hanno spento la macchina e agito su una rotella che muovendo il nastro sblocca la macchina”).

Inoltre è emerso dall’istruttoria (in tal senso i testi C.C. e M.F. all’udienza dell’11.1.2016) che alcune volte o direttamente la titolare dell’azienda signora S., o altri dipendenti, erano correttamente intervenuti per impedire che la ricorrente utilizzasse l’imbustatrice; e che invece il giorno dei fatti la B. aveva preso l’iniziativa di dirottare verso un altro incombente la collega C. che era addetta alla macchina, per occuparsi lei personalmente dell’imbustamento (teste S.R.: “ricordo che la ricorrente aveva detto a S.C. di iniziare a preparare le casse da destinare ai vari clienti, come da ordine che aveva dato la S., che lei si sarebbe occupata di finire l’impacchettamento delle ultime spianate per sbrigarci nel lavoro. È stata una decisione presa di comune accordo tra noi dipendenti non vi era un comando in tal senso della S. la quale ci aveva solo detto di iniziare a preparare le casse”).

Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato.

Tenuto conto comunque dei gravi danni riportati dalla lavoratrice come conseguenza dell’infortunio, pur sempre avvenuto in azienda e conseguenza materiale dell’uso di un macchinario aziendale nel corso dell’attività lavorativa, appare equo compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio;

– Indica in 60 giorni il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Sassari, il 29 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2019.

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