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Tribunale di Roma sez. XI, 20/05/2024, n. 8590

Massima

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento a mezzo diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c., l’effetto risolutorio si produce di diritto al momento della scadenza del termine fissato nella diffida stessa, a condizione che l’inadempimento, consistente nel mancato pagamento del corrispettivo dovuto, persista a tale data e sia di non scarsa importanza.

Supporto alla lettura

Risoluzione contratto

La risoluzione del contratto è un istituto che trova la propria compiuta disciplina agli articoli 1453 e seguenti del codice civile. Gli effetti della risoluzione di un contratto possono tanto ottenersi con una domanda giudiziale quanto di diritto, cioè automaticamente, quando sussistono determinati presupposti.  La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo contrattuale per il verificarsi di eventi successivi alla stipulazione che incidono sul vincolo sinallagmatico rendendo necessaria o quanto meno opportuna la sua rimozione. Questa forma di risoluzione, cosiddetta rimediale, ha dunque lo scopo di reagire a un malfunzionamento del contratto e si distingue dalle risoluzioni non rimediali che rispondono alla diversa logica di consentire a una delle parti di liberarsi dal vincolo in forza di una pattuizione prevista dallo stesso contratto, come ad esempio nelle ipotesi in cui sia prevista una condizione risolutiva. La risoluzione rimediale ha invece sempre fonte legale e può operare o automaticamente, come nell’ipotesi di scadenza del termina essenziale ex art. 1457 c.c., e di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., o per sentenza come la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., o ancora tramite manifestazione di volontà negoziale, come nell’ipotesi di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.. Sembra invece avere una collocazione ibrida la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c, che da un lato assume una funzione rimediale reagendo a un malfunzionamento del contratto, dall’altro poiché dà risalto alla volontà delle parti di considerare determinante l’inadempimento di una determinata obbligazione, sembra colorarsi anche di una funzione non rimediale. Preventivamente le parti possono inserire nel contratto una clausola penale. Rappresenta l’espressione del patto con il quale in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno che causano l’inadempimento delle obbligazioni o il ritardo nell’adempimento. Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è disciplinata agli articoli 1382 – 1384 e la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta. La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge, il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così espressamente stabilito. La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa. Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione, ritualmente notificato, la (omissis) ha adito questo Tribunale al fine di sentir emettere nei confronti della (omissis) le seguenti statuizioni:

1. dichiarare risolto per inutile decorso del termine ai sensi dell’art. 1454 comma III c.c. il contratto di sub-fornitura in opera stipulato in data 7.4.2017 e condannare la convenuta al risarcimento dei danni in favore della parte attrice quantificati in € 257.089,12 oltre interessi;

2. in via gradata, dichiarare risolto o comunque risolvere il contratto per grave inadempimento della società convenuta e condannarla al risarcimento del danno per l’importo di € 257.089,12, oltre interessi;

3. condannare la convenuta a restituire alla parte attrice la fideiussione bancaria n. 014-11636 dell’importo di € 100.936,52 rilasciata in favore della convenuta e comunque dichiararla inefficace ed estinta.

A tal fine ha esposto: – di aver concluso in data 7.4.2017 contratto di fornitura in opera di porte e vetrate taglia fuoco (omissis) complete di accessori con la (omissis) assuntrice dell’appalto affidatole dalla (omissis) concernente la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria e riqualificazione del complesso edilizio di via IV Fontane n. 121-123 in Roma; – di aver fornito e posato in opera una serie di porte e vetrate tagliafuoco come documentato dalle fatture nn. 61/2018, 174/2018, 283/2018, 383/2018, 460/2018, 617/2018; – che la convenuta aveva provveduto al pagamento delle prima due fatture con ritardo, mentre non aveva corrisposto le somme relative alle altre accumulando un debito di € 274.546,73; – che quindi era stato intimato il relativo pagamento da effettuarsi entro quindici giorni, con diffida ai sensi dell’art. 1454 c.c., in data 12.10.2018; – che il termine era decorso senza che fosse effettuato alcun pagamento; – che comunque la società attrice aveva proseguito la fornitura, maturando un ulteriore credito di € 218.101,83; – che era stato introdotto ricorso monitorio , in data 19.11.2018, ottenendo l’emissione di un decreto ingiuntivo per l’importo di € 455.388,10; – che in data 28.11.2018 la convenuta aveva provveduto ad effettuare il pagamento;- che essendo decorso il termine fissato nella diffida il contratto avrebbe dovuto essere ritenuto risolto di diritto; – che per effetto della risoluzione la convenuta doveva ritenersi obbligata al risarcimento del danno per l’importo di € 257.089,12 a titolo di costi sostenuti per l’approvvigionamento dei materiali necessari all’esecuzione del contratto, che non potranno essere riutilizzati per altri contratti e a titolo di mancato guadagno, – che conseguenzialmente alla declaratoria di risoluzione del contratto si sarebbe dovuta ordinare alla società convenuta la restituzione della fideiussione bancaria a garanzia dell’esecuzione a regola d’arte del contratto.

Si è costituita la (omissis) chiedendo di rigettare le domande di parte attrice, in via subordinata di accertare che i danni oggetto della domanda risarcitoria derivavano dalla violazione del dovere di diligenza ex art. 1227 c.c. ed in via riconvenzionale di accertare il grave inadempimento contrattuale da imputarsi alla parte attrice, con conseguente risoluzione e condanna della controparte al risarcimento del danno commisurato al costo derivante dalla necessità di far eseguire le prestazioni inadempiute, quantificato nella misura di € 311.319,40, e nell’importo da quantificarsi in corso di causa relativo ai danni derivanti dai vizi dei beni forniti, con condanna al risarcimento del danno da lite temeraria.

A tal fine ha dedotto: – che tra le parti erano stati stipulati due contratti, il primo in data 7.4.2017 per l’importo di € 2.108,730,47 ed il secondo in data 27.6.2018 con cui era stato stabilito di incrementare le prestazioni che la (omissis) avrebbe dovuto eseguire sino all’importo di € 2.091.628,65; – che nel corso dell’esecuzione del rapporto alcuni (omissis) erano stati in effetti pagati con leggero ritardo, ma comunque la situazione era stata regolarizzata prima dell’avvio del giudizio; – che, seppure la controparte aveva intimato diffida ad adempiere, aveva poi continuato ad eseguire le prestazioni contrattuali, maturando un ulteriore credito; – che peraltro, in data 28.11.2018, prima dell’emissione del decreto ingiuntivo, ogni morosità era stata estinta; – che successivamente la (omissis) si era rifiutata in maniera del tutto ingiustificata di consegnare le forniture già pronte, come risultava dalla corrispondenza intercorsa tra le parti il 6.12.2018; – che a quel punto la convenuta aveva dovuto concludere contratto con altro fornitore al fine di completare le opere appaltate; – che la stessa (omissis) aveva dimostrato la disponibilità a provvedere al pagamento diretto della fornitura con nota del 21.1.2019; – che quindi la mancata prosecuzione del rapporto avrebbe dovuto essere addebitata alla parte attrice; – che la (omissis) aveva dovuto stipulare altro contratto con la (omissis) per garantire le prestazioni residue che la (omissis) non aveva eseguito; – che la sostituzione del contraente aveva comportato un maggior onere per € 311.319,40; – che quindi la domanda di risoluzione proposta dalla parte attrice doveva ritenersi del tutto infondata; – che peraltro le prestazioni rese da (omissis) non potevano ritenersi conformi a quelle previste nel contratto ed in particolare alcune delle vetrate consegnate erano risultate diverse da quelle indicate nel certificato di omologazione e le certificazioni di conformità tecnica delle vetrate erano risultate incomplete; – che tali profili erano stati tempestivamente contestati alla (omissis) – che comunque ai fini del perfezionamento dell’effetto risolutorio della diffida ad adempiere non adempiuta sarebbe stato necessario valutare che l’inadempimento non fosse di scarsa importanza; – che nella specie avrebbe dovuto essere applicato il criterio dettato dall’art. 133 d.lgs. 163/2006 che individua nel 25% dell’importo netto contrattuale la soglia minima da raggiungere ai fini della valutazione di gravità dell’inadempimento; – che tale soglia non era stata raggiunta e che in ogni caso la società attrice aveva continuato ad eseguire le prestazioni, tenendo così un contegno del tutto incompatibile con la volontà di risolvere il rapporto; – che al momento dell’introduzione del giudizio difettava il presupposto per richiedere la risoluzione del contratto; – che l’asserito danno patito si sarebbe potuto evitare, eseguendo le forniture di materiale che, secondo la stessa prospettazione di controparte, era già stato predisposto ed era presente nello stabilimento; – che al contrario la risoluzione del contratto si sarebbe dovuta imputare all’inadempimento da parte della società attrice, – che da tale comportamento era conseguito un maggior esborso a carico della convenuta di € 311.319,40; – che per le forniture eseguite erano emersi vizi, il cui onere sarebbe stato quantificato in corso di giudizio.

In corso di causa la parte attrice ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. al fine di ottenere un provvedimento che inibisse alla (omissis) l’escussione della polizza fideiussoria bancaria, tuttavia, dal momento che l’istituto di credito aveva nelle more dell’udienza fissata provveduto a dar seguito alla richiesta formulata dalla (omissis) la ricorrente aveva rinunciato a coltivare il procedimento cautelare.

Le istanze di prova orale sono state respinte. È stata disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Il fascicolo è stato assegnato a questo Giudice in data 1.9.2023.

Precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 29.1.2024 con la concessione dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi.

L’oggetto della controversia è costituito dalle reciproche domande volte ad ottenere la risoluzione del contratto intercorso tra le parti, per inadempimento e dalle conseguenti domande risarcitorie. Deve rilevarsi che in sede di precisazione delle conclusioni la (omissis) ha chiesto la liquidazione a titolo di risarcimento dei danni dell’ulteriore importo di € 908.147,43 in ragione della scoperta dei vizi relativi alle vetrate installate che non soddisferebbero i requisiti normativi e contrattuali.

Appare quindi preliminarmente necessario ricostruire il rapporto intercorso tra le parti, per come emerge dalla documentazione versata in atti.

A. IL RAPPORTO CONTRATTUALE INTERCORSO TRA LE PARTI.

Con contratto in data 7.4.2017 la (omissis) nella qualità di mandataria-capogruppo del raggruppamento temporaneo di imprese costituito con (omissis) e (omissis) alla quale era stato affidato dalla (omissis) l’appalto concernente “la realizzazione dei lavori di manutenzione straordinaria e riqualificazione ………. del complesso edilizio di via IV Fontane nn. 121-123 in Roma”, ha affidato all’odierna attrice, per il corrispettivo di € 2.018.730,47, oltre i.v.a., la fornitura in opera di porte e vetrate taglia-fuoco REI, complete di accessori. L’accordo prevedeva che il pagamento del corrispettivo della fornitura sarebbe avvenuto a seguito di emissione di SAL redatti mensilmente dal fornitore e dal committente in contraddittorio entro il 5 del mese successivo rispetto a quello cui si riferiva e che il fornitore, per ogni SAL approvato dal committente avrebbe dovuto presentare fattura al netto dell’importo trattenuto a garanzia, che l’importo indicato nella fattura avrebbe dovuto essere del tutto coincidente con quello indicato nel SAL di riferimento e che il pagamento sarebbe dovuto avvenire a mezzo di bonifico bancario scadente a 90 giorni dalla data fattura fine mese, sempre che la fattura fosse conforme alle indicazioni del SAL.

La (omissis), in esecuzione del contratto affidatole, ha fornito e posto in opera presso la nuova sede di Roma della (omissis) una serie di porte e vetrate taglia-fuoco REI, emettendo le fatture n. 61 del 31.1.2018 e n. 174 del 28.2.2018, il cui importo è stato corrisposto dalla (omissis) e successivamente le fatture n. 283 del 31.3.2018 di € 51.363,38, n. 383 del 30.4.2018 di € 12.763,75, n. 460 del 31.5.2018 di € 119.776,71, n. 617 del 30.6.2018 di € 90.642,89, tutte corredate con i prescritti SAL, scadute rispettivamente il 30.6.2018, il 31.7.2018, il 31.8.2018 ed il 30.9.2018.

Nelle more, in data 27.6.2018, le parti hanno integrato il contratto prevedendo l’ulteriore corrispettivo di € 72.898,18 in relazione alla fornitura indicata nell’allegato A.

Con pec del 12.10.2018 la (omissis), in considerazione del mancato pagamento del corrispettivo maturato per € 274.546,73 ha diffidato ai sensi dell’art. 1454 c.c. la (omissis) a provvedere all’adempimento entro il termine di quindici giorni.

Nelle more era altresì maturato l’ulteriore credito di € 180.841,37 portato dalla fattura n. 13FE del 31.7.2018, scaduta in data 31.10.2018 e di € 37.260,46 a titolo di rimborso delle ritenute a garanzia.

Non avendo la convenuta provveduto al pagamento nel termine intimato, la (omissis) ha depositato in data 14.11.2018 ricorso per decreto ingiuntivo nel quale aveva richiesto il pagamento della somma di € 455.388,10 maturata a titolo di corrispettivo, riservandosi esplicitamente di agire separatamente per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto.

In data 28.11.2018 la (omissis) ha corrisposto integralmente quanto dovuto. In data 6.12.2018 è stato richiesto alla (omissis) di procedere alla consegna e posa in opera delle ulteriori vetrate già predisposte, ma non è stato fornito positivo riscontro da parte del fornitore.

In data 21.1.2019 la (omissis) ha autorizzato il pagamento diretto delle prestazioni rese dai subappaltatori e subfornitori successivamente all’1.10.2018. In data 25.1.2019 la società attrice ha ribadito la propria intenzione di non proseguire nell’esecuzione del contratto di fornitura.

In data 10.6.2019 la (omissis) ha stipulato con nuovo contratto di fornitura avente ad oggetto le prestazioni residue non eseguite dalla (omissis) per il corrispettivo di € 1.473.887,17.

In data 24.7.2019, la (omissis) dopo aver ricevuto la notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, ha diffidato la (omissis) a provvedere alla consegna delle certificazioni delle opere realizzate e poste in opera nel maggio- giugno 2018, ha contestato difformità di alcune delle vetrate oggetto di fornitura e dedotto l’ingiustificato inadempimento del contratto.

B. LE CONTRAPPOSTE DOMANDE DI RISOLUZIONE.

Secondo la prospettazione di parte attrice il rapporto contrattuale intercorso tra le parti si sarebbe risolto per effetto del mancato adempimento della diffida inviata in data 12.10.2018 nella quale era stato intimato nel termine di quindici giorni il pagamento dell’importo di € 274.546,73 maturato a titolo di corrispettivo del contratto di fornitura.

Essendo pacifico il credito all’epoca maturato dalla (omissis) e l’omesso pagamento di tale importo alla data di scadenza del termine fissato per l’adempimento nella diffida, la (omissis) ha sostenuto, per contestare la fondatezza della domanda attorea, che: i) sarebbe comunque stato necessario valutare la gravità dell’inadempimento ed il comportamento successivo tenuto dalla società attrice; ii) la diffida non poteva aver effetto in quanto la (omissis) doveva ritenersi a sua volta inadempiente; iii) il ritardo nell’adempimento era stato superato con l’adempimento del debito e con la prestazione di ampie garanzie riguardo ai pagamenti delle successive tranches, che sarebbero state corrisposte direttamente dalla (omissis).

In relazione al primo dei rilievi formulati, deve ricordarsi che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte “l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 cod. civ., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell’art. 1455 cod.civ., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18696 del 04/09/2014; Sez. 2 – , Ordinanza n. 40325 del 16/12/2021; Sez. 1 – , Ordinanza n. 25703 del 04/09/2023).

La parte convenuta ha sostenuto che l’inadempimento rispetto al pagamento di una quota di corrispettivo pari a meno del 15% dell’intero importo contrattuale non avrebbe potuto essere considerato grave, in applicazione del principio enunciato dall’art. 133 d.lgs 163/2006 che invece prevedeva una quota minima pari al 25%, disposizione che avrebbe dovuto essere applicata al caso di specie per effetto del richiamo contenuto all’art. 3 del contratto di fornitura.

In proposito deve rilevarsi che la disposizione invocata dalla (omissis) non può ritenersi applicabile al rapporto contrattuale instaurato tra le parti, in quanto all’epoca della conclusione del contratto di fornitura non era più in vigore, essendo stata abrogata dal d.lgs. n. 50/2016.

Deve comunque osservarsi che l’obbligazione di pagamento del corrispettivo posta a carico della convenuta certamente deve ritenersi rientrante tra quelle principali previste dall’accordo contrattuale ed il suo inadempimento ha certamente comportato una alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, in quanto a fronte dell’avvenuto adempimento della prestazione del fornitore, non è stata correlativamente adempiuta l’obbligazione a carico del committente nei tempi previsti dall’art. 15 dell’accordo (cfr. Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 7187 del 04/03/2022, in relazione alla valutazione delle circostanze relative all’inadempimento idonee a determinare una alterazione dell’equilibrio contrattuale).

Ulteriore argomento enunciato dalla convenuta per sostenere l’inidoneità della diffida ad adempiere è costituito dalla dedotta circostanza, secondo cui, pure in seguito alla pec del 12.10.2018, la (omissis) avrebbe comunque continuato ad eseguire il contratto, maturando l’ulteriore credito di cui alla fattura n. 13FE del 2018. Sul punto occorre chiarire che il corrispettivo di cui alla richiamata fattura (datata 31.7.2018) era da riconnettere a prestazioni svolte in data anteriore a quella in cui è stata formulata la diffida e che quindi la richiesta di pagamento dell’ulteriore importo maturato non costituisce in alcun modo manifestazione della volontà di proseguire nel rapporto contrattuale.

Peraltro, nel ricorso per decreto ingiuntivo, depositato in data 14.11.2018 l’odierna attrice ha richiesto il pagamento dei corrispettivi maturati, espressamente riservandosi di agire in via ordinaria ai fini della risoluzione del contratto.

In relazione alla seconda delle contestazioni effettuate dalla (omissis) relativa alla inefficacia di una diffida ad adempiere intimata dal contraente a sua volta inadempiente, deve osservarsi anzitutto che in atti è stata prodotta soltanto una contestazione dei vizi (omissioni) delle certificazioni formulata nel luglio 2019 e quindi in epoca di molto successiva rispetto a quella in cui era stato fissato il termine per adempiere ai sensi dell’art. 1454 c.c.

Nel merito della sussistenza dei vizi enunciati dalla convenuta è stata poi disposta indagine tecnica all’esito della quale il CTU ha concluso come segue:

a. in ordine alla contestazione svolta da (omissis) secondo cui “i vetri menzionati nelle forniture di cui ai Verbali “E”, “C” e “D” non risultano presenti nel certificato di prova n.226766/2965FR richiamato nell’omologazione ministeriale (omissis): la proposta di sostituzione del Vetro Pilkington REI 90 per esterno con quello (omissis) – Pyrobel 30 EG2 era stata sottoposta ed accettata dalla Direzione Lavori della (omissis), i vetri oggetto della verifica comparativa sono sostanzialmente equivalenti in tuti i loro aspetti, con una caratteristica migliorativa per quello di produzione (omissis) denominato Pyrobel 30 EG 2 che presentava la protezione UV da entrambi i lati;

b. in ordine alla contestazione secondo cui “alcune specchiature fisse (vetrate fisse scala B) sono di dimensioni maggiori dei limiti di applicazione del rapporto di prova presentato da (omissis) (più grandi del serramento testato)”: tra le vetrate fornite e descritte nei documenti “Verbale E”, “Verbale C” e “Verbale D” nessuna è di dimensioni maggiori del prototipo di cui al Rapporto di classificazione N. 373759/4052FR;

c. in ordine alla contestazione relativa alla incompletezza del certificato di prova n.226766/2965FR: tra gli adempimenti obbligatori per il fornitore non vi era la redazione del certificato di prova.

Da quanto esposto emerge che non sono risultate confermate le deduzioni della parte convenuta in ordine all’inadempimento di parte attrice in relazione ai vizi della fornitura, che comunque si ribadisce sono stati contestati alla (omissis) soltanto in data successiva a quella di introduzione del presente giudizio.

In merito alla circostanza che la morosità era stata sanata in data anteriore a quella di introduzione del presente giudizio, occorre evidenziare in via generale che l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c., è volta ad ottenere una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, e differisce perciò sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., poiché in tali ipotesi l’azione intende conseguire una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo previsto dalle parti come determinante lo scioglimento del rapporto (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 36918 del 26/11/2021). Da tale distinzione consegue che il momento in cui deve ritenersi perfezionato il meccanismo della risoluzione deve individuarsi alla scadenza del termine fissato nella diffida ad adempiere e che quindi l’effetto risolutorio (seppure ancora da accertare mediante pronuncia giudiziale) deve ritenersi già prodotto alla data del 28.10.2018.

La circostanza che successivamente a tale data la convenuta abbia provveduto a corrispondere le somme dovute a titolo di corrispettivo non può incidere ex post sull’effetto risolutorio già determinatosi. Tale conclusione è peraltro in linea con quanto ritenuto, seppure incidenter tantum, nella sentenza del Tribunale di Roma n. 14401/2022 emessa all’esito di opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla (omissis) con riguardo al credito vantato dalla (omissis) a titolo di svincolo delle ritenute a garanzia.

Deve quindi dichiararsi la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1454 c.c. per effetto dell’inadempimento di parte convenuta, con conseguente rigetto della speculare domanda di risoluzione proposta dalla (omissis).

C. IL RISARCIMENTO DEL DANNO.

La (omissis) ha chiesto la liquidazione in suo favore dell’importo di € 257.089,12 a titolo di danno emergente per i costi sostenuti per l’approvvigionamento dei materiali necessari all’esecuzione del contratto, che per le loro caratteristiche non si prestavano ad essere utilizzati per altre prestazioni contrattuali ed in particolare: a)-39 infissi privi del vetri EI 90 per un importo di € 104.145,28; b)-56 porte tagliafuoco REI 90/120 per un importo di € 18.952,46; c)-22 controtelai per vetrate taglia-fuoco per € 722,10; e si è fatta carico dei costi per l’acquisto e per la lavorazione di : c)-Kg. 3.695,44 di profili in alluminio, verniciati e coibentati a cura e spese di essa attrice, per un importo di € 50.091,59; d) -117,89 mq. di vetro taglia fuoco EI90 da posizionare sulle vetrate tagliafuoco, già poste in opera, per un importo di € 83.177,09. In ordine a tale quantificazione la parte convenuta non ha effettuato specifiche contestazioni, essendosi limitata a sostenere che il rifiuto nel procedere nell’esecuzione del contratto da parte della (omissis) fosse del tutto ingiustificato e che quindi si dovesse imputare l’inadempimento in capo alla parte attrice. Deve quindi, in accoglimento della domanda attorea, condannarsi la convenuta al risarcimento del danno nella misura richiesta.

D. LA DOMANDA RELATIVA ALLA FIDEIUSSIONE.

Risulta dalle stesse deduzioni di parte attrice che nel corso del procedimento, la fideiussione bancaria n. 014_11636 dell’importo di € 100.936,52 rilasciata in favore della (omissis) è stata escussa e che la convenuta ha riscosso le relative somme. Tuttavia, in sede di precisazione delle conclusioni, la società attrice ha riproposto, senza alcuna modifica, l’originaria domanda volta alla restituzione della fideiussione. Tenuto conto della pendenza di altro procedimento che vede come parte anche la banca garante e della circostanza che qualsiasi pronuncia in merito non potrebbe che essere emessa nei confronti anche dell’istituto di credito, la relativa domanda deve in questa sede dichiararsi inammissibile.

E. LE SPESE DI LITE.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, tenendo conto del valore della domanda e dell’espletamento di tutte le fasi processuali. Le spese di consulenza tecnica vanno poste definitivamente a carico della parte convenuta soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande in epigrafe così provvede:

dichiara la risoluzione ai sensi dell’art. 1454 c.c. del contratto di fornitura intercorso tra le parti per inadempimento della (omissis);

condanna la (omissis) al risarcimento del danno in favore della (omissis) che liquida in € 257.089,12, oltre interessi ai sensi dell’art. 1284 IV comma c.c. dalla data di introduzione del procedimento;

dichiara inammissibile la domanda di parte attrice relativa alla restituzione della fideiussione;

respinge la domanda riconvenzionale proposta dalla (omissis);

condanna la (omissis) al pagamento delle spese di lite in favore della (omissis) che liquida in € 759,00 per spese ed € 14.000,00 per compensi, oltre spese generali iva e cpa;

pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

Così deciso in Roma, il 20.5.2024

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