Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione del 2 marzo 2012, spedito per la notifica il 05.04.2012, (omissis) S.p.A. (di seguito, anche (omissis)), società del gruppo (omissis), premesso di essere concessionaria per l’esercizio delle emittenti televisive “(omissis)”; “(omissis)” e “(omissis)”, titolare dei marchi, italiani e comunitari, denominativi e figurativi, “(omissis)”, “(omissis)”, “(omissis)”, “(omissis)” e “(omissis)”, nonché titolare esclusiva, in forza di specifici contratti di produzione televisiva o in qualità di produttore diretto, di tutti i diritti di sfruttamento economico sui Programmi (omissis), oltre che di tutti i diritti di sfruttamento dei titoli, loghi e segni relativi ai predetti programmi, ha convenuto in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, la società di diritto americano (omissis) LLC (di seguito, anche (omissis)) affinché venisse accertata la responsabilità della convenuta per aver consentito, tramite il proprio portale Internet di condivisione di contenuti audio-video www.(omissis).com, la diffusione di filmati tratti da un elenco di programmi televisivi di cui (omissis) vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico (definiti “Programmi (omissis)”).
(omissis) ha inoltre chiesto di inibire a (omissis) il proseguimento di ogni ulteriore violazione dei diritti esclusivi di (omissis) riferibili a “tutte le emissioni televisive di (omissis), dovendosi intendere tali non solo i Programmi (omissis), ma anche tutte le emissioni (omissis) presenti sul Portale (omissis) che sarebbero state accertate in corso di causa ed il cui uso/diffusione/trasmissione costituisce violazione dei diritti esclusivi di (omissis)”, oltre alla rimozione di tutti i files presenti sui server di (omissis), la fissazione di una penale pari a Euro 10.000 per ogni violazione o inosservanza constatata e per ogni giorno di ritardo e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, quantificata in atto di citazione, nella misura di Euro 1.849.820.
A fondamento delle proprie domande, (omissis) ha riferito che in data 14 luglio 2011, prima dell’instaurazione del presente giudizio, aveva inviato a (omissis) una diffida con cui, rilevato che erano visibili sul portale www.(omissis).com contenuti audio-video riproducenti programmi TV di titolarità di (omissis), aveva intimato la rimozione di ogni contenuto riferibile ai suddetti programmi. In una nota apposta in calce al testo della diffida (doc. 10 (omissis)), (omissis) aveva menzionato, a titolo di esempio, un contenuto tratto dal programma denominato (omissis), individuandolo specificatamente tramite due URL (Uniform Resource Locator): la sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di un contenuto sulla rete internet.
A questa diffida aveva fatto seguito uno scambio di e-mail attraverso il quale (omissis) chiedeva a (omissis) di identificare/descrivere i materiali in violazione dei suoi diritti presenti sul portale fornendo le informazioni sufficienti per permettere di localizzare nel website di (omissis) tali contenuti (cfr. doc. 10 bis (omissis)). (omissis) rispondeva di aver già fornito tutte le informazioni necessarie con la precedente diffida.
A tale ultimo messaggio (omissis) replicava che il materiale sufficientemente identificato nella prima diffida (due soli contenuti tratti dal programma “(omissis)”) tramite URL era già stato volontariamente rimosso dall’utente e che, pertanto, non si rendeva necessario alcun ulteriore intervento da parte di (omissis) (cfr. doc. 10 quater (omissis)).
Successivamente allo scambio di e-mail con (omissis), (omissis) incaricava il proprio perito, la società (omissis), di accertare l’eventuale presenza di contenuti di titolarità di R. sul portale www.(omissis).com, trasmessi in ‘streaming’ con modalità ‘on demand’.
La ricerca dei contenuti è stata compiuta tra il 21 e il 23 gennaio 2012 e, all’esito della ricerca, il perito di (omissis) ha rilevato la presenza sul portale di (omissis) di “230 canali/trasmissioni contenenti programmi di titolarità di (omissis) ospitati sulla piattaforma (omissis)” (cfr. doc. 5 (omissis), e atto di citazione, p. 10 e ss).
Alla luce dei fatti innanzi esposti, (omissis) ha dedotto che la condotta di (omissis), la quale “in spregio alla diffida inviata da (omissis) in data 14.7.2011 e nella consapevolezza dell’illiceità della diffusione, sul proprio sito, dei filmati tratti dai Programmi (omissis), ne consente l’ulteriore diffusione”, costituisce illecito civile, in violazione dei diritti d’autore, dei diritti connessi e dei diritti di proprietà industriale di (omissis), oltre che atto di concorrenza sleale.
Parte attrice ha pertanto chiesto l’accoglimento delle proprie domande di accertamento dell’illiceità della condotta colposa omissiva di parte convenuta e di condanna della stessa al risarcimento del danno patrimoniale subito attraverso l’illecita diffusione dei video sui quali vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico, nonché quelle di rimozione e di inibitoria.
Con comparsa del 4 dicembre 2012, si è costituita in giudizio (omissis) LLC (di seguito, anche (omissis)) che ha eccepito, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del Giudice italiano con riguardo alle domande attoree di inibitoria e di rimozione dei contenuti contestati, trattandosi di provvedimenti che, anche se concessi, non potrebbero essere eseguiti in Italia, dal momento che i contenuti contestati sono ospitati su server collocati all’estero.
Nel merito, parte convenuta ha contestato la fondatezza delle pretese di (omissis), in quanto basate sul presupposto di un generalizzato dovere di controllo preventivo dei contenuti caricati sul portale di V. dai terzi utenti. Dovere di controllo che, come stabilito dalla Direttiva 2000/31 e dagli artt. 16 e17 del decreto legislativo di attuazione n. 70/2003 e come riconosciuto dalla giurisprudenza delle Corti nazionali e della Corte di Giustizia Europea, non può essere imposto ai prestatori dei servizi dell’informazione, quali (omissis).
A tal proposito, la convenuta ha dedotto che la generica diffida di (omissis) non poteva considerarsi sufficiente affinché (omissis) identificasse i contenuti illeciti di cui (omissis) lamenta la pubblicazione sul suo portale internet. Mentre, già prima della costituzione in giudizio, non appena messa nelle condizioni di identificare i contenuti in contestazione, individuati inequivocabilmente tramite URL da (omissis) con la relazione peritale allegata sub doc. 5, essa aveva rimosso tutti i contenuti segnalati, premurandosi di far accertare e certificare tale adempimento da un notaio, con attestazioni prodotte sub doc. 2.
(omissis) ha poi contestato la fondatezza delle domande attoree di accertamento, a proprio carico, degli illeciti di contraffazione di marchi e di concorrenza sleale, oltre alla fondatezza o, comunque, l’esorbitanza della domanda di risarcimento dei danni.
Alla prima udienza del 27 dicembre 2012, il Giudice, su richiesta delle parti, ha assegnato i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., rinviando la causa alla successiva udienza del 28 marzo 2013.
Con la prima memoria istruttoria ex art. 183, VI co, n. 2), c.p.c., (omissis) ha depositato (sub doc. 33) una seconda relazione peritale, in base alla quale risultava che tra il 10 e il 14 dicembre 2012 erano state rinvenute sul portale di (omissis) “535 canali/trasmissioni contenenti programmi di titolarità di (omissis).
Con la seconda memoria istruttoria, (omissis) ha riferito che tutti i contenuti individuati da (omissis) con la relazione peritale sub doc. 33, compiutamente identificati tramite URL, erano stati immediatamente rimossi. La circostanza è stata altresì documentata con allegata certificazione notarile (doc. 14).
Con la seconda memoria, (omissis) ha chiesto che venisse disposta CTU al fine di verificare il numero complessivo dei brani pubblicati sul portale (omissis) sia quelli “già indicati nei documenti nelle Relazioni Tecniche prodotte sub docc. 5 e 33” che “gli eventuali ulteriori brani estratti dai medesimi Programmi di (omissis)”; la durata dei brani e il tempo di permanenza sul portale (omissis); il valore delle royalties per lo sfruttamento dei video e dei marchi di (omissis); le modalità tecniche di erogazione dei servizi pubblicitari offerti e il modello di business adottato dalla convenuta e posto a fondamento della gestione della piattaforma telematica.
Parte attrice ha altresì prodotto alcune transazioni e contratti di licenza stipulati con (omissis) S.p.a. relativi alla trasmissione dei propri contenuti.
(omissis) ha chiesto l’ammissione di prova per testi per confermare come le modalità di funzionamento di (omissis) non consentano alcuna conoscenza, né controllo preventivi dei video caricati dagli utenti.
Con la terza memoria istruttoria, (omissis) ha depositato una nuova relazione peritale (sub doc. 78) al fine di documentare che tra l’8 e l’11 marzo 2013 sarebbe stata rilevata sul portale (omissis) la presenza di 124 video tratti dai “Programmi (omissis)”, menzionati in atto di citazione, dai “Nuovi Programmi (omissis)”, menzionati nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. e da ulteriori programmi mai precedentemente menzionati.
Parte convenuta, esaminato il documento, ha dichiarato di aver immediatamente rimosso i contenuti ivi segnalati, adeguatamente identificati tramite URL.
In data 5 giugno 2013, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, ha fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 20 maggio 2015, (omissis) ha chiesto l’autorizzazione al deposito di una nuova relazione tecnica (sub doc. 137) relativa ad un’analisi del portale (omissis) condotta tra il 20 e il 25 febbraio 2015, dalla quale a quella data risulterebbero presenti sul portale (omissis) numerosi contenuti (685) tratti dai programmi di (omissis), già identificati nelle precedenti relazioni.
(omissis) si è opposta al deposito della nuova relazione tecnica, in quanto inerente a nuovi e ulteriori video e programmi, estranei all’oggetto del thema decidendum, e ha chiesto l’autorizzazione a depositare (sub doc. 15) le certificazioni notarili comprovanti la intervenuta rimozione dei contenuti segnalati con il doc. 78 di (omissis).
Il Giudice, considerando che la relazione tecnica prodotta da (omissis) sub doc. 137 “afferisce ad ulteriori frammenti video degli stessi programmi televisivi indicati all’atto di citazione”, ha rimesso in termini (omissis) e ha autorizzato il deposito sia di tale documento che del documento n. 15 di (omissis).
Ha inoltre assegnato alle parti termine per il deposito di memorie “aventi ad oggetto esclusivamente i nuovi documenti oggi depositati” ed ha revocato la precedente ordinanza istruttoria, riservandosi “di disporre all’esito la consulenza tecnica per l’accertamento delle questioni tecniche rimaste in contestazione e per l’eventuale quantificazione del danno”.
In data 09.09.2015, parte attrice, in allegato alle note autorizzate, ha depositato una nuova relazione tecnica (doc. 139), con cui ha individuato gli indirizzi URL di ulteriori 283 contenuti audiovisivi tratti dall’elenco dei “Programmi (omissis)” di cui all’atto di citazione e dei “Nuovi Programmi di (omissis)”, di cui al doc. 33 allegato memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.
Alla successiva udienza del 23 settembre 2015, i procuratori di parte convenuta, pur non accettando il contraddittorio sul doc. 139 di parte attrice, hanno riferito che (omissis) aveva prontamente rimosso tutti i contenuti individuati tramite URL.
All’udienza del 25 novembre 2015, ritenuta la necessità di individuare i contenuti sulla piattaforma “(omissis)”, è stata disposta Consulenza tecnica d’ufficio e nominato il CTU, nella persona dell’esperto, ing. (omissis).
All’udienza dell’1 aprile 2016, il Giudice ha sottoposto al CTU i quesiti volti a descrivere i contenuti audio-video identificati da (omissis), la lunghezza degli stessi e il tempo intercorso tra la segnalazione da parte di (omissis) e la rimozione da parte di (omissis).
Alla successiva udienza del 23 febbraio 2017, esaminata la CTU, il procuratore di parte convenuta ha chiesto che il Tribunale si pronunciasse sull’an in punto di responsabilità e sul conseguente obbligo risarcitorio in capo a (omissis), considerata l’avvenuta rimozione di tutti i video a seguito della puntuale identificazione degli stessi da parte di (omissis); ha altresì rappresentato la manifesta esorbitanza dei parametri di liquidazione dei danni proposti da (omissis) sulla base di precedenti accordi commerciali sottoscritti con la (omissis).
All’udienza del 23 maggio 2018, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione, previa assegnazione alle parti dei termini per il deposito della comparsa conclusionale e delle memorie di replica.
La giurisdizione.
Preliminarmente, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione, sollevata da (omissis), di carenza di giurisdizione del Giudice italiano rispetto alle domande di inibitoria e di rimozione dei contenuti contestati.
In materia di competenza giurisdizionale trova applicazione la L. 31 maggio 1995, n. 218, recante “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” (in seguito “L. n. 218 del 1995“), il cui art. 3, comma 2, così dispone: “La giurisdizione italiana sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la L. 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente …”.
In forza di tale rinvio è possibile definire la giurisdizione anche nei rapporti tra italiani e soggetti di altri Paesi (quali, per l’appunto, gli Stati Uniti) che non hanno aderito alla Convenzione di Bruxelles.
Tale interpretazione è peraltro conforme a quanto indicato dalle SS.UU., laddove hanno stabilito che, per determinare l’ambito della giurisdizione italiana rispetto al convenuto non domiciliato, né residente in Italia, occorre applicare i criteri della Convenzione, anche nel caso in cui il convenuto stesso sia domiciliato in uno Stato non aderente alla Convenzione di Bruxelles (Cass. S.U. n. 22239/2009).
Ciò posto, in materia di responsabilità di un prestatore di servizi della società dell’informazione (di seguito anche ISP) con sede negli U.S.A. per l’illecita diffusione di contenuti protetti dal diritto d’autore, trova applicazione l’articolo 5 della Convenzione di Bruxelles secondo il quale: “Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: … 3) in materia di delitti o quasi- delitti, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”.
Negli stessi termini si esprime l’art. 7.2 Reg. CE 1215/2012 che sostanzialmente riproduce quanto previsto nell’art. 5.3 dell’abrogato Reg. CE 44/2000.
Con riferimento all’individuazione del giudice del luogo in cui si assume avvenuta la violazione sulla rete internet di diritti connessi tutelati dagli artt. 78-ter e 79 L.D.A., la prevalente giurisprudenza ha stabilito che “ai fini della giurisdizione occorre far riferimento al giudice del luogo dove l’evento dannoso è avvenuto e si sono verificati gli effetti pregiudizievoli per il titolare dei diritti lesi ex art. 5.3 secondo il principio del locus commissi delicti” … “deve darsi rilievo non al luogo del materiale ‘caricamento’ sul data center server della resistente che, ammesso che avvenga effettivamente negli Stati Uniti, sul che è lecito dubitare, è comunque soltanto potenzialmente generatore di danno perché l’evento lesivo causa del danno lamentato è la diffusione dei filmati nell’area di mercato ove la danneggiata esercita la sua attività di produttrice e/o titolare di sfruttamento dei programmi” (Trib. Roma, sez. Imprese, 8437/2016 confermata in grado di appello, cfr. C. App. Roma, n. 2833/2017).
Sul punto, anche la giurisprudenza di legittimità ha rilevato come il “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” debba essere interpretato quale luogo in cui è avvenuta la lesione del diritto della vittima, senza aver riguardo al luogo ove si siano verificate, o potrebbero verificarsi, le conseguenze future di tale lesione (Cass., Sez. Un., Ord. 28811/2011).
Tali principi sono in sintonia con quanto stabilito in sede comunitaria dalla CGUE, la quale, da ultimo con sentenza del 22 gennaio 2015, ha affermato che “per determinare il luogo in cui il danno si concretizza allo scopo di stabilire la competenza giurisdizionale sul fondamento dell’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, è privo di rilevanza il fatto che il sito Internet di cui trattasi nel procedimento principale non sia destinato allo Stato membro del giudice adito”; deve altresì ritenersi che “la concretizzazione del danno e/o il rischio di tale concretizzazione derivino dall’accessibilità, nello Stato membro del giudice adito, per mezzo del sito Internet … cui si ricollegano i diritti fatti valere”, sicché ” la tutela dei diritti d’autore e dei diritti connessi al diritto d’autore accordata dallo Stato membro del giudice adito vale soltanto per il territorio del citato Stato membro, il giudice adito in base al criterio della concretizzazione del danno asserito è esclusivamente competente a conoscere del solo danno cagionato nel territorio di tale Stato membro” (causa C-441/13, Pez Hejduk).
Ne discende allora che, non può darsi rilievo, né al luogo ove ha sede la società convenuta, né a quello dei server dove gli utenti “stoccano i file”, in quanto l’evento lesivo che arreca il danno lamentato si sostanzia, principalmente, nella diffusione dei filmati nell’area di mercato in cui il soggetto danneggiato esercita la sua attività di produttore e realizza lo sfruttamento economico dei diritti dei quali è titolare.
Deve ritenersi, dunque, che l’evento generatore di danno si verifichi nel momento in cui dati ed informazioni vengono visionati da utenti terzi tramite l’utilizzo del portale in questione.
Viepiù infondata è la specifica eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano rispetto alle domande di inibitoria e di rimozione dei video, trattandosi di società avente sede ed operante negli USA, Paese in cui si trovano i server sui quali sono ospitati i contenuti contestati.
Difatti, nella presente sentenza non è ravvisabile alcuna pronuncia di carattere cautelare, ma soltanto statuizioni definitive e di merito, la cui esecuzione all’estero, ove richiesta dalla parte che risultasse vittoriosa, è tegolata concretamente dalle Convenzioni internazionali in vigore tra gli Stati interessati, al pari di qualunque altra pronuncia di merito.
Sicché, nel caso in esame, neppure opera il limite alla giurisdizione italiana posto dall’art. 669-ter, co. 3, c.p.c. per le pronunzie cautelari, rispetto alle quali esso è giustificato dalla natura meramente provvisoria di tali provvedimenti, funzionale alla protezione del diritto azionato dalla ricorrente nelle more della definizione del giudizio di merito, in maniera tale da assicurarne la futura concreta attuazione. Qualora il giudice italiano non sia investito della giurisdizione nel merito della controversia nemmeno si giustifica la possibilità di adottare provvedimenti cautelari la cui esecuzione va effettuata all’estero, al contrario di ciò che avviene per quelli eseguibili sul territorio nazionale.
Alla luce delle anzidetto considerazioni, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione si deve tener conto del luogo in cui, in ciascun caso concreto, si è verificato l’evento dannoso, vale a dire la diffusione dei dati ed informazioni di titolarità di utenti terzi (Trib. Roma, sez. Imprese, ordinanze 23 febbraio 2018 e 28 giugno 2018).
Ciò posto, nella presente controversia sussiste la competenza giurisdizionale del Giudice italiano e, in particolare, quella del Tribunale adito, essendo Roma la città in cui ha sede legale la società attrice ed in cui potrebbero essersi verificati gli effetti economici pregiudizievoli per l’attività commerciale della società attrice, a causa del presunto comportamento illecito di parte convenuta.
In conclusione, per le ragioni innanzi indicate, va respinta l’eccezione di carenza di giurisdizione del Giudice italiano, sollevata dalla convenuta (omissis).
La legittimazione attiva di (omissis) e le domande proposte.
(omissis) lamenta lo sfruttamento illecito, da parte di (omissis), dei suoi diritti connessi sui programmi televisivi di cui assume di essere produttrice e/o titolare dei diritti di sfruttamento economico.
La domanda è stata proposta ai sensi degli art. 156, 78-ter e 79 LDA, in qualità di produttrice diretta o indiretta, a tutela dei suoi diritti connessi di autorizzazione alla riproduzione diretta o indiretta e alla messa a disposizione del pubblico dei programmi, nonché in qualità di titolare dei marchi e segni (omissis) “(omissis)” “(omissis)”, “(omissis)”, “(omissis)” e “(omissis)”.
La legittimazione attiva di (omissis) non è contestata da (omissis), in ogni caso, dalla documentazione commerciale e contrattuale in atti emerge la titolarità dei menzionati diritti sui programmi indicati nell’atto di citazione e nelle memorie, oltre che nelle relazioni tecniche di parte alle stesse allegate, identificati anche dal C.T.U. ing. (omissis). nella perizia espletata.
Parte attrice ha poi documentato la sua qualità di “operatore” che svolge “l’attività di emissione televisiva” tramite i decreti ministeriali di concessione (doc. 2) per le emittenti televisive “(omissis)” “(omissis)”, (omissis)”, in relazione alle quali, oltre che per “(omissis)” e “(omissis)”, ha provato anche la titolarità del marchio (doc. 4), mentre ha documentato la sua qualità di produttore e di titolare dei diritti di sfruttamento di diversi programmi televisivi oggetto del presente giudizio tramite i relativi contratti di appalto di produzione televisiva (docc. nn. da 17 a 27).
Va quindi riconosciuto in capo a (omissis), in relazione ai programmi oggetto del presente giudizio, il diritto esclusivo di autorizzare sia la riproduzione integrale o in frammenti, secondo le modalità stabilite, che la loro messa a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa aventi accesso dal luogo e nel momento individualmente scelto, sicché la riproduzione effettuata da terzi senza la preventiva autorizzazione dei titolare lede direttamente i suoi diritti esclusivi.
Pertanto, (omissis) ha agito nei confronti dell’ internet service provider; ai sensi dell’art. 156 LDA, a tutela del proprio diritto di utilizzazione economica dei programmi di sua titolarità, al fine di impedire la continuazione o la ripetizione della violazione e per conseguire l’inibitoria, nonché per ottenere, ai sensi dell’art. 158 LDA, il risarcimento del danno e la rimozione dello stato di fatto.
Parte attrice ha azionato altresì le privative industriali sui marchi e sui segni (omissis), ai sensi degli artt. 12 e 20 CPI, trattandosi di marchi e segni registrati sui quali possiede i diritti di uso esclusivo e sfruttamento, chiedendo il risarcimento del danno per l’uso non autorizzato effettuato dalla società convenuta, riportando tali segni i video abusivamente riprodotti sul portale (omissis).
Infine, ha dedotto la sussistenza, nelle violazioni lamentate, dell’illecito concorrenziale, non avendo la società convenuta nascosto, nel consentire la riproduzione dei filmati, la provenienza degli stessi, ovvero non avendo oscurato i marchi (omissis) presenti e ben visibili durante la visione di ciascun filmato. Con ciò ponendo in essere una condotta contraria ai principi di correttezza ed idonea in concreto a produrre danni ad essa attrice.
La responsabilità del prestatore di servizi della società di informazione “ISP”.
Con riferimento al primo profilo di responsabilità – per avere messo a disposizione del pubblico, sulla piattaforma telematica (omissis).com di cui è proprietaria e amministratrice, contenuti audiovisivi riproducenti trasmissioni televisive di titolarità (omissis) – parte convenuta ha invocato l’esclusione di responsabilità prevista dall’art. 15 della Direttiva 2000/31 CE e dagli artt. 16 e 17 del decreto legislativo attuativo n. 70/2003, in considerazione della propria attività di prestatore dei servizi della società dell’informazione “ISP”, svolta con le caratteristiche dell’hosting provider passivo.
(omissis) ha infatti sostenuto di non aver alcun obbligo di generalizzata e preventiva sorveglianza e/o di ricerca attiva dei contenuti caricati dagli utenti sul proprio portale internet, trattandosi di obblighi esclusi dalla normativa vigente, ma di avere soltanto l’obbligo di attivarsi per rimuovere i contenuti lesivi di diritti di proprietà intellettuale di terzi non appena ricevuta un’adeguata segnalazione.
Nella fattispecie in esame, l’adeguata segnalazione non poteva essere integrata dalla lettera di diffida del tutto generica inviata da (omissis) che, fatta eccezione per un programma (Il (omissis)), faceva riferimento alla rimozione di tutti i programmi televisivi del suo palinsesto, essendo necessaria l’univoca identificazione dei contenuti protetti attraverso l’indicazione dell’Uniform Resource Locator o URI, (la sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di un contenuto su internet), altrimenti non rintracciabili.
Al riguardo, si osserva innanzitutto che per internet service provider si intendono quei soggetti che, operando nella società dell’informazione, forniscono liberamente servizi internet – in specie servizi di connessione, trasmissione e memorizzazione dati – anche attraverso la messa a disposizione delle loro apparecchiature per ospitare i dati medesimi. Il provider è essenzialmente un intermediario che stabilisce un collegamento tra chi intende comunicare un’informazione ed i destinatari della stessa, di talché qualsiasi attività venga posta in essere sulla rete internet passa sempre attraverso l’intermediazione di un provider ed i dati transitano attraverso i server che lo stesso prestatore mette a disposizione per erogare i suoi servizi tanto di accesso (access provider) che di fornitura di email e di spazi web (hosting).
Al fine di armonizzare la regolamentazione dell’attività degli intermediari della comunicazione sulla rete internet, l’Unione europea ha approntato una dettagliata normativa (Direttiva 31/2000/CE sui servizi della società dell’informazione, in particolare sul commercio elettronico, recepita in Italia con il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70), riguardante la tutela dell’affidabilità delle transazioni, la disciplina dell’attività dei prestatori di servizi in rete, e prevedendo, in presenza di specifici requisiti, esenzioni di responsabilità a favore di alcuni prestatori per gli illeciti commessi dagli utenti tramite i loro servizi.
In considerazione della diversità dei servizi forniti dagli internet provider, la Direttiva, nella sezione dedicata alla “responsabilità dei prestatori intermediari”, distingue, conformemente a quanto indicato nei “considerando”, tre tipi di attività di intermediazione:
– prestatori di semplice trasporto (mere conduit art. 12): intermediazione che consiste nel servizio di trasmettere, sulla rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione stessa. Tale servizio è caratterizzato dal fatto che la memorizzazione delle informazioni trasmesse in rete è assolutamente transitoria e dura lo stretto tempo necessario a consentire la trasmissione richiesta dall’utente;
– prestatori di servizi di memorizzazione temporanea (caching art. 13): servizio di trasmissione, su una rete di comunicazione, di informazioni fomite da un destinatario del servizio, caratterizzato da una memorizzazione automatica e temporanea delle informazioni al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta;
– prestatori di servizi di memorizzazione di informazione (hosting art. 14): memorizzazione di informazioni fornite dal destinatario, memorizzazione che, nella piattaforma di gestita da (omissis), ha lo scopo di consentire la condivisione del materiale memorizzato con un numero indeterminato di altri utenti.
La regola di base prevede che i internet service provider non siano responsabili delle informazioni trattate e delle operazioni compiute dagli utenti (destinatari) che fruiscono del servizio, salvo intervengano sul contenuto o sullo svolgimento delle stesse operazioni.
Le ipotesi di esonero di responsabilità variano, invece, per i predetti intermediari in base alle diverse caratteristiche del servizio offerto e, in particolare, in virtù della diversa durata della memorizzazione delle informazioni immesse dall’utente.
Il considerando 42 della Direttiva chiarisce che “Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate”.
Secondo l’interpretazione della CGUE “dal considerando 42 della medesima direttiva emerge che le esenzioni da responsabilità in essa stabilite sono state previste tenendo conto del fatto che le attività esercitate dalle varie categorie di prestatori di servizi interessate, in particolare dai fornitori di accesso a una rete di comunicazione e dai prestatori di servizi di hosting di siti Internet, sono tutte di ordine puramente tecnico, automatico e passivo e che, di conseguenza, tali prestatori di servizi non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate”.
Nella medesima sentenza, la Corte ha anche evidenziato che “il servizio fornito dal prestatore di servizi di hosting di siti Internet, consistente nella memorizzazione d’informazioni, si caratterizza perché dura nel tempo. Di conseguenza, detto prestatore di servizi di hosting può venire a conoscenza del carattere illecito di talune informazioni da esso immagazzinate in un momento successivo rispetto a quello in cui si procede a detto immagazzinamento e nel quale esso è ancora in grado di intraprendere un’azione volta a rimuoverle o a disabilitarne l’accesso” mentre normalmente questa possibilità non l’ha chi esercita un mero servizio di trasporto delle informazioni ove, la registrazione dei dati non si prolunga nel tempo (CGUE 15.09.2016, Causa C-484/14 M.F. vs. S.M.).
I prestatori di servizi sono, tuttavia, obbligati ad alcune incombenze informative ed operative che introducono di per sé delle responsabilità per gli stessi intermediari, pur non comportando l’obbligo di esaminare preventivamente le informazioni trasmesse o memorizzate sulle proprie macchine per valutarne la potenzialità lesiva per i terzi.
Infatti, la normativa europea esclude espressamente un obbligo di monitoraggio preventivo e generalizzato, come pure un “obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite” (art. 15, Dir. 2000/31/CE), in quanto si risolverebbero in un’inammissibile compressione del diritto di informazione e della libertà di espressione, oltre a compromettere il necessario equilibrio tra la tutela del diritto d’autore e la libertà d’impresa nel campo della comunicazione.
Tralasciando in questa sede l’attività di caching e la più circoscritta attività di mere conduit, per l’attività di hosting, ai sensi dell’art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 70 del 2003, è esclusa la responsabilità del prestatore, a condizione che il medesimo: “a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.
Le predette cause di esenzione, a differenza degli altri casi, sono tra loro alternative, nel senso che è sufficiente che ricorra anche una sola di esse affinché il provider vada esente da responsabilità.
Tema centrale in relazione al regime di esenzione di responsabilità è, pertanto, quello dell’individuazione dei criteri interpretativi in base ai quali valutare quando il servizio di hosting possa definirsi “passivo” e quando, invece, il provider perde il carattere di neutralità ed opera forme di intervento volte a sfruttare i contenuti dei singoli materiali caricati dagli utenti e memorizzati sui propri server.
In quest’ultimo caso, il provider qualifica la propria posizione come “attiva” ( c.d. content-provider) e a ciò consegue l’inapplicabilità del limite alla responsabilità previsto dall’art. 14 della Direttiva e dall’art. 16 del Decreto attuativo 70/2003, dovendosi valutare la sua condotta secondo le comuni regole di responsabilità civile ex art. 2043 c.c.
Sul punto, la Corte di Giustizia ha specificato che il regime di esonero dalla responsabilità, espressamente previsto nell’ art. 14 della Direttiva, non viene certamente intaccato dalla presenza di indici di attività meccanica e non manipolativa nel trattamento dei dati immessi, mentre la responsabilità del prestatore di servizi hosting sorge ogni qual volta vi sia un’attività di gestione, di qualsiasi natura, anche se limitata alla mera ottimizzazione o promozione delle informazioni di tali contenuti (CGUE 12.07.2011, C-324/09, L’Oreal c. eBay e CGUE 11.09.2014, C-291/13 Papasavvas c. Fileleftheros )
La Corte di Giustizia ha difatti riconosciuto che la mera circostanza che il gestore di un mercato online memorizzi sul proprio server le offerte di vendita, stabilisca le modalità del suo servizio, sia ricompensto per quest’ultimo e fornisca informazione di ordine generale ai propri clienti, non può avere l’effetto di privarlo delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla Direttivaa 31/2000, essendo necessario, ai fini dell’esclusione di tali deroghe, che il gestore abbia prestato un’assistenza consistente segnatamente nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita e nel promuovere le stesse (CGUE 12.07.2011, caso L’Oreal c. eBay, cit.).
In altri termini, la Corte di Giustizia ha precisato che, affinché il prestatore di servizi della società dell’informazione possa godere del regime di esonero di responsabilità, è necessario che egli sia un “prestatore intermediario” che si limiti ad una fornitura neutra del servizio, mediante un trattamento puramente tecnico, automatico e passivo dei dati forniti dai suoi clienti, senza svolgere un ruolo attivo atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei medesimi dati e, quindi, a condizione che non abbia dato un pur minimo contributo all’editing del materiale memorizzato lesivo di diritti tutelati (CGUE 23.03.2010, causa C-236/08 Google cs. Louis Vuitton e CGUE 12.07.2011, caso L’Oreal c. eBay, cit).
A tal fine, la semplice offerta di un servizio di posizionamento a pagamento, ossia di un servizio avente ad oggetto la trasmissione di informazioni del destinatario di detto servizio su una rete di comunicazione accessibile agli utenti di Internet e la memorizzazione sul proprio server di taluni dati, quali le parole chiave selezionate dall’utente, il link pubblicitario e il messaggio commerciale che lo accompagna, nonché l’indirizzo del sito dell’utente, non può avere come effetto quello di privare il prestatore di servizio delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla direttiva 31/2000, essendo decisivo, invece, il ruolo svolto dal prestatore del servizio nella redazione del messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario o nella determinazione o selezione di tali parole chiave (CGUE 23.03.2010, Google cs. Louis Vuitton, cit).
In concreto, peraltro, la distinzione teorica tra hosting provider “passivo” (esente da responsabilità per le informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio) e hosting provider “attivo” (cui non si applica l’esenzione di responsabilità e risponde secondo le comuni regole di responsabilità civile) tende a sfumare alla luce dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza comunitaria.
Difatti, secondo il costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia, nemmeno l’hosting “attivo” può essere assoggettato ad un obbligo generalizzato di sorveglianza e di controllo preventivo del materiale immesso in rete dagli utenti (destinatari del servizio), in quanto ciò si risolverebbe in una inammissibile compressione del diritto di informazione e della libertà di espressione e comprometterebbe il necessario equilibrio che deve esserci tra la tutela del diritto d’autore e la libertà d’impresa nel campo della comunicazione
La Corte, infatti, ha ritenuto inammissibile l’imposizione in capo all’ISP di sistemi di filtraggio dei contenuti digitali a tutela dei diritti di proprietà intellettuale che riguardino tutte le comunicazioni elettroniche che transitano sui suoi servizi, di tutta la sua clientela, a titolo preventivo a sue spese esclusive e senza limiti di tempo, trattandosi di una sorta di obbligo generalizzato di sorveglianza ex ante. Una tale imposizione causerebbe una grave violazione della libertà d’impresa perché obbligherebbe l’ISP a predisporre un sistema informatico complesso, costoso e permanente, dovendosi piuttosto garantire un giusto equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale, di cui godono i titolari di diritti d’autore e quelli della libertà d’impresa appannaggio degli ISP in forza dell’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CGUE 24.11.2011, causa C70/2010, Scarlet Extended e CGUE 16.02.2012, causa C 360/2010. Sabam vs. Netlog).
Il Giudice comunitario ha ulteriormente precisato che la tutela del diritto di proprietà intellettuale di cui godono i titolari di diritti d’autore, sancita dall’art. 17, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non è garantita in modo assoluto, ma va bilanciata con quella di altri diritti fondamentali, quali la libertà d’impresa, appannaggio di operatori come i fornitori di accesso a internet, in forza dell’art. 16 della Carta, e il diritto degli utenti di ricevere o comunicare informazioni, tutelato dall’art. 11 della Carta medesima (CGUE 27.03.2014, causa C314/12, Telekabel, oltre che CGUE 24.11.2011, Scarlet Extended, cit.).
In ogni caso, la stessa Corte ha affermato che, anche in riferimento al semplice prestatore di un servizio dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fomite da un destinatario del servizio medesimo (cd. hosting passivo), va esclusa l’esenzione di responsabilità prevista dall’art. 14 della Direttiva 31/2000 quando lo stesso “dopo aver preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività di detti destinatari abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi”, così sancendo il principio secondo il quale la conoscenza, comunque acquisita (non solo se conosciuta tramite le autorità competenti o a seguito di esplicita diffida del titolare dei diritti) dell’illiceità dei dati memorizzati fa sorgere la responsabilità civile e risarcitoria del prestatore di servizi (CGUE 23.03.2010, Google cs. Louis Vuitton, cit).
A fronte dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia, nella giurisprudenza italiana si registrano due distinti orientamenti.
In base all’orientamento minoritario qui disatteso, al prestatore di servizi che non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti, limitandosi a sfruttarne commercialmente la presenza sul sito, deve applicarsi l’esonero di responsabilità del provider, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 70 del 2003, salvo che sia stato informato dell’illiceità del contenuto dei video memorizzati e non li abbia, ciononostante, rimossi dal portale.
Secondo tale indirizzo, il punto di discrimine fra fornitore neutrale (“passivo”) e fornitore non neutrale (“attivo”) deve essere individuato nella manipolazione o trasformazione delle informazioni o dei contenuti trasmessi o memorizzati. Qualora, invece, vengano attuate delle mere operazioni volte alla migliore fruibilità della piattaforma e dei contenuti in essa versati (attraverso – ad esempio – l’indicizzazione o i suggerimenti di ricerca individualizzati per prodotti simili o sequenziali ovvero l’inserzione pubblicitaria e l’abbinamento di messaggi pubblicitari mirati), le predette clausole di deroga di responsabilità continueranno ad operare poiché in tal caso ci si ritroverebbe nell’ambito di espedienti tecnologici volti al miglior sfruttamento economico della piattaforma e non già innanzi a un’ingerenza sulla creazione e redazione del contenuto intermediato (cfr. App. Milano, 07.01.2015, Yahoo c. R.).
Sia pure in ambito penale, la Corte di Cassazione ha stabilito, con riferimento al servizio video del noto motore di ricerca Google, che a tale piattaforma informatica è applicabile il regime di responsabilità di cui all’art. 16 del Decreto Attuativo, posto che il provider, con riferimento ai video caricati dagli utenti, non “contribuisce in alcun modo alla loro scelta, alla loro ricerca o alla formazione dei file che li contiene, essendo tali dati interamente ascrivibili all’utente destinatario del servizio che li carica sulla piattaforma messa a sua disposizione.” (Cass., Sez. III, 03.02.2014, n. 5107).
Invece, secondo l’orientamento maggioritario seguito anche questo Tribunale, dal quale il Collegio non ritiene che sussistano specifiche ragioni per discostarsi, l’hosting provider perde il suo carattere “passivo” qualora i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico che consente di attivare e fornire “accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizioni da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione”, ma interviene nell’organizzazione e selezione del materiale trasmesso, finendo per acquisire una diversa natura di prestatore di servizi – “quella di hosting attivo” – non completamente passivo e neutro rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti, dalle quali trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione organizzata di tali contenuti (Tri. Milano, ord, 25.05.2013; Trib. Milano, ord. 5.9.2013; Trib. Milano, 07.06.2011; Reib. Milano, ord. 23.06,2017; Trib. Roma, 27.04.2016, confermata da App. Roma, 29.04.2017; Trib. Roma, 15.07.2016; Trib. Roma, 05.05.2016; Trib. Roma, Ord., 28.06.2018; Trib. Roma, Ord., 11.03.2010; Trib. Roma, 24.11.2011).
Non appare infatti condivisibile quella giurisprudenza che limita il ruolo attivo dell’hosting provider al solo caso in cui il gestore operi sul contenuto sostanziale del video caricato sulla piattaforma, valorizzando l’indicazione fornita nel considerando n. 43 della Direttiva 31/2000“.
Premesso, che tale delimitazione non appare desumibile dalle pronunce della Corte di Giustizia (innanzi citate), va considerato che detta limitazione non è estensibile al servizio di hosting essendo le indicazioni contenute nel considerando n. 43 della Direttiva (ove si sottolineano, quali requisiti per poter godere delle deroghe alla responsabilità civile previste nella direttiva medesima, la condotta di non coinvolgimento nell’informazione trasmessa e la non modificazione dell’informazione medesima), espressamente riferite ai soli servizi di mero trasporto delle informazioni e di caching, proprio in considerazione delle diverse caratteristiche di detti servizi da quello di hosting (cfr. Trib. Roma, ord. 28.06.2018).
Alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale appena delineato, occorre esaminare la fattispecie concreta, valutando la posizione di (omissis) in riferimento alla domanda di risarcimento del danno per illecita comunicazione al pubblico di contenuti audiovisivi riproduttivi di programmi televisivi tutelati dai diritti connessi di proprietà intellettuale di titolarità (omissis).
Come innanzi detto, parte convenuta contesta la qualità di hosting provider “attivo” di V. e invoca l’esenzione di responsabilità di cui all’art. 14 della Direttiva 31/2000 e all’art. 16 del Decreto attuativo 70/2003.
All’esito delle indagini peritali compiute sul portale (omissis), il consulente tecnico d’ufficio – le cui analisi, complete ed esaurienti, sono condivise dal Collegio, in quanto correttamente svolte sono il profilo tecnico ed immuni da vizi di carattere logico – ha innanzitutto riscontrato che gli oltre 2.100 video delle trasmissioni menzionati nelle diffide e nelle relazioni tecniche di (omissis) sono stati effettivamente immessi nel portale (omissis).com di cui è titolare la società convenuta e che la stessa (omissis), a seguito della segnalazione degli URL di riferimento, ha provveduto alla rimozione degli stessi contenuti illeciti ad una distanza temporale variabile da alcuni giorni ad alcuni mesi.
Inoltre, la espletata consulenza tecnica d’ufficio ha dimostrato che (omissis) opera come un sito di condivisione video e che la piattaforma telematica consente ai suoi utenti di caricare, condividere e guardare varie categorie di video, dove è presente un forum dedicato al mondo dell’audiovisivo.
Si tratta, quindi, di un sito di rete sociale per la condivisione dei video che si rivolge ad un particolare “target” di utenza, dal momento che il servizio offerto può considerarsi alla stregua di una vetrina internazionale per registi e creativi che possono pubblicare, condividere e commentare i propri video caricati sul portale. Infatti, nelle linee guida per gli utenti pubblicate sul sito, la prima raccomandazione è proprio quella di caricare “solo video che tu stesso hai creato”.
Fatto salvo l’accesso anonimo per la sola visualizzazione dei video pubblicati per l’uso gratuito, al fine di utilizzare l’intera gamma di servizi offerti dalla piattaforma (omissis), l’utente deve effettuare la registrazione, divenendo così membro della community.
Dalle evidenze documentali prodotte in atti da (omissis), è emerso, poi, che il servizio offerto da (omissis) è in tutto assimilabile ad un servizio di video on demand, dove i contenuti audiovisivi sono precisamente catalogati, indicizzati e messi in correlazione tra loro dalla stessa convenuta (cfr. docc. 5 e allegati, 33, 78, 133 e 137).
Parte attrice ha inoltre dimostrato che il portale di (omissis) fornisce agli utenti un motore di ricerca interno alla stessa piattaforma di video-sharing che consente di ricercare facilmente i video di interesse semplicemente attraverso l’inserimento del titolo dell’opera audiovisiva di interesse (doc. 9, p. 2).
Parte convenuta non ha contestato tali allegazioni, né gli elementi di prova fomiti a supporto delle stesse, ma ha piuttosto sostenuto che il sistema di indicizzazione dei contenuti utilizzato dalla piattaforma è realizzato tramite una procedura automatica gestita da un software che non consente a (omissis) una conoscenza effettiva dei contenuti dei video caricati sul portale.
E’ emerso, altresì, che attraverso gli strumenti messi a disposizione dal portale, l’utente può affinare la ricerca utilizzando il dato temporale o il livello di popolarità dei video: “newst”, “oldest”, “most played” etc. (doc. 9, p. 1, di R.).
Infine, e stato accertato che, sebbene ai video per cui e causa non sino stati associati annunci pubblicitari veri e propri (“display advertisement”) sotto forma di banner pubblicitari direttamente visibili sulle pagine, (omissis) ha comunque associato agli stessi contenuti collegamenti pubblicitari (“sponsored links”) a pagine web di terzi, generati automaticamente da algoritmi di Google mediante il servizio chiamato AdSense.
Di norma, tali link risultano “contestualizzati”, in quanto il contenuto della pubblicità è correlato attraverso alcuni elementi (p.es. attraverso certe parole chiave) al contenuto della pagina visualizzata.
Con specifico riferimento al modello di business adottato da (omissis), il CTU ha evidenziato che i canali attraverso i quali (omissis) incamera gli utili sono: (i) gli introiti derivanti dalle iscrizioni e dalle transazioni associate alla commercializzazione dei video, (ii) le inserzioni pubblicitarie.
Rispetto al totale dei ricavi, il CTU ha rilevato che l’ammontare delle entrate economiche generate dai link sponsorizzati associati ai video in questione è trascurabile (il CTU non ha considerato i ricavi della pubblicità relativa display advertisement non essendo stati utilizzati per i medesimi video) e che le entrate principali possono essere distinte in due categorie: il canone annuale di iscrizione degli utenti Plus, Pro e Business e il compenso applicato alle transazioni generate dai clienti Pro e Business con la vendita/affitto dei video pubblicati.
La piattaforma di business nella quale inquadrare le attività di (omissis) è del tipo “multisided”, tale da far incontrare due o più gruppi di clienti distinti ma interdipendenti. Infatti la piattaforma crea valore supportando le interazioni fra i diversi gruppi. Il valore cresce nella misura in cui attira un maggior numero di utenti (c.d. effetto di rete).
Tali piattaforme sovvenzionano un segmento di clientela che usufruisce del servizio a basso costo o gratuitamente per aumentare gli utenti e creare valore per attrarre utenti appartenenti ad un altro segmento di clientela: utenti paganti. Esse costituiscono un valore per un gruppo di utenti solo se è presente anche l’altro gruppo di clienti.
In tale contesto, l’accesso ai video per cui è causa era gratuito, infatti il generico utente non doveva sostenere alcun costo per poter fruire degli stessi, fintantoché sono stati on line.
Sicché, in considerazione dell'”effetto rete”, i video in oggetto, considerata la loro popolarità, potrebbero aver aumentato gli utenti della piattaforma (omissis) attirandone di nuovi, quantomeno nella sezione italiana del sito, e quindi creando valore per la società convenuta e per gli utenti paganti.
In conclusione, tenuto conto delle pluriarticolate attività svolte dal provider nella gestione dei contenuti audiovisivi immessi sulla propria piattaforma digitale, deve affermarsi che (omissis) non si è limitata ad attivare il processo tecnico che consente l’accesso alla piattaforma di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi, al solo fine di rendere più efficiente la trasmissione, ma ha svolto una complessa e sofisticata organizzazione di sfruttamento dei contenuti immessi in rete che vengono selezionati, indirizzati, correlati, associati ad altri, arrivando a fornire all’utente un prodotto audiovisivo di alta qualità e complessità dotato di una sua precisa e specifica autonomia.
Un sistema tecnologico così avanzato e sofisticato è del tutto incompatibile con la figura dell’hosting provider “passivo”, sostenuta da parte convenuta, ed integra invece quella del content-provider.
A tal riguardo, non coglie nel segno l’argomento difensivo di parte convenuta secondo il quale (omissis) non sarebbe a diretta conoscenza dei contenuti dei video caricati dagli utenti dal momento che la loro indicizzazione avverrebbe in maniera del tutto automatica attraverso un software, senza alcun intervento di operatori fisici.
Difatti, affinché l’attività del prestatore di servizi perda il suo carattere di neutralità, e, con esso, l’esenzione di responsabilità, non è necessaria una conoscenza personale e diretta del contenuto illecito, ma è sufficiente che i mezzi tecnologici dallo stesso utilizzati siano comunque idonei a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati.
Pertanto, anche se il prestatore di servizi si avvale di un software per indicizzare, organizzare, catalogare, associare ad altri o alla pubblicità i video caricati dagli utenti, egli viene comunque a svolgere un ruolo attivo di ingerenza nei contenuti memorizzati, tale da permettergli di conoscere o controllare e di fornire un importante contributo all’editing del materiale memorizzato.
In conclusione, per le ragioni innanzi indicate, l’attività svolta dalla convenuta V. non può essere ricondotta nell’ambito del mero hosting provider “passivo”, ma piuttosto nell’ambito di attività che la giurisprudenza definisce di hosting provider “attivo”.
Ne consegue che, in relazione a tale attività (omissis) non può godere del regime di esenzione di responsabilità previsto dall’art. 14 della Direttiva n. 31/2000 e dall’art. 16 del Decreto attuativo n. 70/2003 e risponde dell’eventuale illecito commesso, secondo le comuni regole di responsabilità civile ex art. 2043 c.c.
Ciononostante, come innanzi accennato, tale conclusione non assume rilevanza decisiva al fine della presente decisione, posto che secondo la costante giurisprudenza di merito e, in particolare, di questo Tribunale (cfr. precedenti citati), pur attribuendo al provider (omissis) la qualità di hosting provider “attivo”, ai fini dell’affermazione della responsabilità dello stesso occorre in ogni caso dimostrare che questi fosse a conoscenza o potesse essere a conoscenza dell’illecito commesso dall’utente mediante l’immissione sul portale del materiale audiovisivo in violazione dei diritti di sfruttamento economico detenuti da (omissis).
Ciò in quanto anche all’hosting provider “attivo” si applica il divieto, previsto dall’art. 15 della Direttiva 31/2000 (e dall’art. 17 del decreto attuativo 70/2003), di un obbligo generalizzato di sorveglianza preventiva sul materiale trasmesso o memorizzato e di ricerca attiva di fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite da parte degli utenti del servizio (cfr. decisioni della CGUE del 23.03.2010 e del 12.07.2011, cit).
Correlativamente, neppure può essere esclusa la responsabilità dell’hosting provider “passivo” ogni qual volta sia stato messo a conoscenza, da parte del titolare dei diritti lesi, del contenuto illecito delle trasmissioni e ciononostante non si sia attivato prontamente per rimuovere le stesse e abbia proseguito, invece, nel fornire agli utenti gli strumenti per la prosecuzione della condotta illecita.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia, laddove, anche in riferimento all’hosting provider passivo, ha escluso l’esenzione da responsabilità prevista dall’art. 14 della Direttiva n. 2000/31 quando egli “dopo aver preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività di detto destinatari abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi” ( CGUE del 23.03.2010 e GCUE 12.07.2011, cit.), sancendo così che la responsabilità civile e risarcitoria del prestatore di servizi (ISP) sorge dalla conoscenza della illiceità dei dati acquisita in qualsiasi modo, non soltanto dalla comunicazione delle autorità competenti o da esplicita diffida (Trib. Roma, 27.04.2016 e App. Roma, 29.04.2017).
Stabilito ciò, nel caso in esame, occorre valutare l’idoneità della diffida stragiudiziale e delle ulteriori segnalazioni effettuate da (omissis) tramite le relazioni tecniche di parte (allegate all’atto di citazione, alla prima memoria istruttoria e nell’ulteriore corso del giudizio) ai fini della conoscenza o conoscibilità, da parte di (omissis), dell’illiceità dei contenuti lesivi dei diritti di sfruttamento economico del titolare, con la conseguente insorgenza di un obbligo attivo di intervento da parte dello stesso provider per impedire la prosecuzione dell’illecita comunicazione dei contenuti lesivi dei diritti di titolarità di (omissis).
Parte convenuta ha contestato la idoneità della diffida e delle segnalazioni sotto un duplice profilo, processuale e sostanziale.
Riguardo al primo, (omissis) ha eccepito l’inammissibilità delle relazioni tecniche di parte, depositate da (omissis) con la terza memoria istruttoria (doc. 78) e nell’ulteriore corso del giudizio (docc. Nn. 137 e 139), inerenti a nuovi e ulteriori video, oltre che programmi, estranei all’oggetto del giudizio e costituenti un tentativo di ampliamento tardivo del thema decidendum.
Quanto alla relazione tecnica allegata alla terza memoria istruttoria, i programmi e i video in essa elencati rimangono fuori dall’oggetto del presente giudizio, senza ulteriore indagine sulla loro ammissibilità, dal momento che all’udienza del 23.02.2017, il procuratore di (omissis) ha dichiarato che i contenuti indicati nel doc. 78 erano volti esclusivamente a date contezza della permanenza degli illeciti contestati e che non erano oggetto del presente procedimento, in quanto la società attrice non intendeva far rientrare nel thema decidendum del presente procedimento i video oggetto di detta relazione tecnica (cfr. anche nota n. 30 a p. 52, comparsa conclusionale (omissis)).
Pacifica è l’ammissibilità delle relazioni tecniche depositate con l’atto di citazione e con la prima memoria istruttoria, trattandosi, in quest’ultimo caso, di una mera precisazione di quanto già esposto nell’atto di citazione.
Infatti, nelle conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo, (omissis) fa riferimento “a tutte le emissioni televisive di (omissis), dovendosi intendere tali non solo i Programmi (omissis), ma anche tutte le emissioni (omissis) presenti sul portale (omissis) che saranno accertate in corso di causa ed il cui suo/diffusione/trasmissione costituisce violazione dei diritti esclusivi di (omissis)”.
Quindi, il fatto costitutivo della complessa condotta illecita addebitata da (omissis) a (omissis) consiste nella messa a disposizione del pubblico, sul proprio portale telematico, dei video contenenti sequenze di immagini dei programmi di titolarità di (omissis), mentre le successive indicazioni dei nomi dei programmi televisivi e degli URL costituiscono delle mere precisazioni della domanda, ammissibili quantomeno fino alla prima memoria istruttoria ex art. 183, co 6, n. 1, c.p.c.
Per quanto riguarda, invece, le relazioni tecniche (docc. Nn. 137 e 139) depositate da (omissis) nell’ulteriore corso dell’istruttoria, ovvero dopo la scadenza dei termini di preclusione, va evidenziato che, come confermato dallo stesso CTU, esse non riguardano nuovi e diversi programmi televisivi rispetto ai “Programmi (omissis)” (indicati nella relazione tecnica allegata all’atto di citazione) e ai “Nuovi Programmi (omissis) (indicati nella relazione tecnica allegata alla prima memoria istruttoria), ma contengono esclusivamente l’individuazione di ulteriori URL dei video degli stessi programmi televisivi.
Orbene, poiché l’oggetto del presente giudizio non è costituito dalle contestazioni relative ai singoli video pubblicati sul portale (omissis), ma ai programmi televisivi su cui (omissis) vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico, vanno ritenute ammissibili le relazioni tecniche che hanno accertato, nel corso del presente giudizio, la perdurante permanenza, sul portale (omissis), di contenuti illeciti relativi ai programmi televisivi oggetto del thema decidendum.
Più delicato è il profilo sostanziale della idoneità della diffida stragiudiziale inviata da (omissis) a (omissis) e delle successive relazioni tecniche, quali atti sufficientemente specifici nell’indicare i contenuti illeciti e tali da determinare l’insorgenza dell’obbligo di pronta rimozione da parte di dell’hosting provider.
Il punto centrale della difesa di parte convenuta è rappresentato dall’argomento secondo il quale la diffida stragiudiziale inviata da (omissis) in data 14.07.2011 non presentava i requisiti di sufficiente specificità affinché (omissis) potesse avere “effettiva conoscenza” dei contenuti in contestazione.
La diffida in questione, secondo la convenuta, “contiene un generico rinvio ai materiali relativi ai programmi TV di (omissis) – non meglio identificati se non con riferimento a due unici contenuti estratti dal programma “(omissis)”, immediatamente rimossi da (omissis) perché inequivocabilmente individuabili grazie all’indicazione del relativo URL, per il resto rimandando al palinsesto (omissis) (in sostanza alla guida TV)”.
Sostiene parte convenuta che “il solo rinvio ai “programmi TV di (omissis)” non è certamente di per sé sufficiente ad individuare univocamente i contenuti “manifestamente illeciti” e a determinare in capo a (omissis) l'”effettiva conoscenza” dell’illecito come richiesto dalla legge e, di conseguenza, la responsabilità civile di (omissis) per l’illecito. Infatti, solo con la relazione tecnica depositata da controparte come doc. avv. 5 in allegato all’atto di citazione, l’attrice ha per la prima volta individuato i video contestati, fornendo un elenco dei titoli commerciali dei programmi e con l’indicazione degli URLs dei contenuti in contestazione. Prima di questo momento nessuna responsabilità è sorta, né poteva sorgere a carico di (omissis)”.
La tesi di parte convenuta è fondata soltanto in parte.
Anche sulla questione della idoneità della diffida ai fini dell’insorgenza, in capo all’hosting provider, del dovere di attivazione e di rimozione dei contenuti illeciti e, in difetto, la sua responsabilità, si registrano distinti orientamenti giurisprudenziali.
Secondo quello più restrittivo, a tal fine è necessario che la diffida non sia generica, ma specificamente dettagliata, dovendo “contenere cioè gli indirizzi specifici compendiati in singoli URL” (Trib. Torino, ord., 05.05.2015 e App. Milano 07.01.2015, che ha riformato la sentenza del Tribunale n. 10893/11).
Altro orientamento, seguito anche da questo Tribunale e confermato dalla Corte d’Appello ritiene, invece, che affinché insorga l’obbligo di rimozione dei contenuti illeciti da parte dell’hosting provider, sia sufficiente una diffida che menzioni chiaramente almeno i titoli dei programmi televisivi su cui il titolare vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico.
Non sono comunque ritenute idonee ai fini della conoscenza effettiva dei contenuti illeciti quelle diffide che indicano del tutto genericamente i programmi di una certa emittente televisiva, non potendo imporsi al provider la ricerca di “tutti i programmi” in maniera indiscriminata (Trib. Roma 27.04.2016, confermata da App. Roma, 29.04.2017).
Secondo tale orientamento il dato di fatto dell’effettiva conoscenza da parte dell’hosting provider della presenza sul portale di contenuti illeciti è soddisfatta in relazione alle diffide contenenti i titoli identificabili dei programmi televisivi riprodotti nei video illecitamente caricati da soggetti non autorizzati, peraltro facilmente individuabili anche in virtù della presenza del marchio collegato a tali prodotti audiovisivi, tali da non lasciare margini di incertezza sulla loro individuazione, senza necessità dell’indicazione di altri dati tecnici che non devono essere necessariamente forniti dal titolare del diritto leso.
Al riguardo si è precisato che l’indicazione dell’URL costituisce un dato tecnico che non coincide con i singoli contenuti lesivi presenti sulla piattaforma digitale, ma rappresenta soltanto il “luogo” dove il contenuto è reperibile e – come si vedrà meglio di seguito – esso, allo stato della tecnica, non costituisce presupposto indispensabile affinché l’hosting provider provveda alla individuazione, successiva e mirata, dei contenuti illeciti segnalati attraverso i titoli dei programmi televisivi.
Anche quella giurisprudenza che ritiene necessaria l’iniziale indicazione dell’URL per ciascun contenuto illecito, afferma che tale indicazione non è poi necessaria per individuare gli ulteriori video relativi agli stessi programmi, finendo così per ammettere che la ricerca dei singoli contenuti può avvenire anche senza l’indicazione di ciascun URL.
Va poi sottolineato come nessuna base giuridico-normativa di settore, né la giurisprudenza comunitaria, impongano una tale collaborazione da parte del titolare del diritto esclusivo, posto che l’unico elemento di fatto rilevante ai fini dell’insorgenza della responsabilità del provider a causa della presenza sul portale telematico del contenuto illecito, è soddisfatto attraverso la precisa indicazione dei titoli dei programmi del titolare dei diritti esclusivi.
E’ dunque infondata l’argomento difensivo utilizzato dalla convenuta, secondo ol quale in questo modo le si imporrebbe, contrariamente alle previsioni normative, un obbligo di controllo preventivo e generalizzato dei contenuti immessi sulla piattaforma digitale.
In tal caso infatti, l’obbligo di intervento protettivo e di rimozione dei contenuti illeciti non è preventivo e indiscriminato, ma subentra solo successivamente (ex post) alla puntuale indicazione dei titoli dei programmi tutelati da diritti esclusivi del titolare leso ed è limitato ai singoli contenuti preesistenti sul portale telematico.
In un settore in cui occorre trovare un giusto punto di equilibrio tra i vari diritti protetti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (da una parte, quelli di cui godono i titolari di diritti d’autore, dall’altra, la libertà d’impresa dei fornitori di accesso a internet e il diritto degli utenti di ricevere o comunicare informazioni (cfr.CGUE 27.03.2014, e CGUE 24.11.2011, cit.), affinché l’hosting provider sia considerato al corrente dei fatti o delle circostanze che rendono manifesta l’illegalità del contenuto immesso sul portale telematico, è sufficiente “che egli sia stato al corrente di fatti o di circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità di cui trattasi” (principio affermato da CGUE 12.07.2011, anche se con riferimento al venir meno dell’esonero di responsabilità del provider previsto dall’art. 14 della Direttiva).
Rilevante, sul punto, appare anche il considerando 48 della Direttiva n. 31/2000, il quale prevede la possibilità, per gli Stati membri, di chiedere ai prestatori di servizi che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite.
Sicché anche il cd. hosting provider “attivo” deve rimanere tutt’altro che inerte o passivo non appena ricevuta la notizia dell’illecito commesso dai fruitori del suo servizio, al fine di consentire la pronta rimozione delle informazioni illecite immesse sul sito o per impedire l’accesso ad esse, in quanto egli è tenuto a svolgere la propria attività economica nel rispetto di quella diligenza che è ragionevole attendersi per individuare e prevenire le attività illecite specificamente denunciate.
Dal punto di vista tecnico, lo stato della tecnologia, già all’epoca delle segnalazioni per cui è causa, consentiva all’hosting provider di individuare, nell’ambito del materiale presente sulla sua piattaforma digitale, quello corrispondente ad un determinato contenuto illecito, anche senza la preventiva conoscenza dell’URL di riferimento e senza dover per questo dedicare del personale per visionare singolarmente tutti i video pubblicati e confrontarli con i programmi del titolare del diritto leso.
Le tecnologie messe a punto e utilizzate dai più importanti portali telematici per rintracciare i contenuti illeciti sono stati dettagliatamente individuati dal CTU che ha anche compiuto un esperimento consistente nella progettazione e sviluppo di un modulo software che, dopo aver memorizzato la GuidaTV di (omissis) in un database, ha effettuato delle interrogazioni automatiche per parole chiave del sito (omissis), al fine di identificare i brani audiovisivi segnalati dall’attrice.
Dei modesti risultati ottenuti con tale metodo artigianale non è possibile tenerne conto in questa sede, se non per considerare che anche senza alcun dispendio di denaro e di tempo è comunque possibile effettuare delle ricerche automatiche per individuare i contenuti immessi su una piattaforma digitale.
Ben più rilevanti sono le indagini compiute dal CTU con riferimento alle due principali modalità tecniche, disponibili alla data delle segnalazioni, idonee ad indentificare i video pubblicati in violazione dei diritti d’autore: modalità entrambe basate sulla tecnica del c.d. video fingerprinting.
Una è rilevante in quanto utilizzata dalla stessa (omissis) a partire dall’anno 2014 limitatamente ai contenuti audio, e l’altra in quanto sviluppata e utilizzata dalla principale piattaforma di condivisione di materiale audiovisivo in rete, ovvero da YouTube.
Il CTU ha dichiarato che negli ultimi venti anni vi è stata una continua evoluzione della tecnologia classificata come Digital Rights Management (DRM) Software. Si tratta di software sviluppati per aiutare a tenere sotto controllo, in maniera automatizzata, l’utilizzo di contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale.
Le tecniche più utilizzate sono il ” watermarking”, ovvero l’introduzione nel file video di informazioni aggiuntive che “marchiano” ogni fotogramma come un tatuaggio digitale e quella denominata “video fingerprinting”, di particolare rilievo per gli scopi dell’analisi condotta nel caso in esame.
Essa, analogamente a quanto avviene nel caso delle impronte digitali delle persone, consiste nel rilevare alcuni elementi che caratterizzano univocamente il file (video/audio) e nel memorizzarli in una base dati, in modo che sia possibile confrontare successivamente qualsiasi video con le tracce presenti in tale archivio, al fine di identificare la presenza di sequenze riconducibili al file originario.
Una volta realizzato l’archivio delle “impronte”, esso può essere utilizzato per confrontare le “impronte” memorizzate con le “impronte” dei nuovi contenuti audovisivi.
Il CTU ha altresì accertato che la stessa V. ha adottato, nel corso dell’anno 2014, il sistema “Copyright Match” con la collaborazione di Audible Magic, al fine di identificare i video che contengono musica soggetta a copyright, ma ha precisato che la tecnica adottata per gli audio consentirebbe anche l’analisi dei contenuti video.
Anche Google, un provider analogo a (omissis), ha creato un sofisticato meccanismo per controllare l’uso illegittimo di contenuti audio/video nella piattaforma YouTube che consente ai proprietari di contenuti di sottomettere i propri file per elaborarne il relativo fingerprint e memorizzarlo nell’archivio appositamente predisposto dalla stessa YouTube.
In tal modo, ogni nuovo video aggiunto alla piattaforma è dapprima confrontato con l’archivio centrale dei fingerprint e solo dopo esito negativo viene messo a disposizione degli utenti. Tale sistema, attivo su You-Tube dalla seconda metà del 2007 è noto con il nome di “Content ID”.
Il CTU ha quindi concluso il c.d. video fingerprinting “costituiva all’epoca dei fatti (e continua ad esserlo tuttora), la tecnica più efficace ed efficiente per il controllo sia preventivo (ex-ante, cioè effettuato prima della pubblicazione dei video) sia successivo (ex-post, cioè effettuabile anche dopo la pubblicazione dei video) dei contenuti da pubblicare o pubblicati, ed alle cui risultanze subordinare la stessa pubblicazione e/o la permanenza on-line del contenuto audiovisivo considerato. Questa tecnica era disponibile, e quindi potenzialmente utilizzabile da parte di (omissis), all’epoca dei fatti”.
Alla stregua di quanto accertato dal CTU, deve dunque affermarsi che, nel caso in esame, sarebbe stato ragionevole attendersi da parte di (omissis) un comportamento diligente idoneo a sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo, al fine di individuare ex post gli specifici contenuti audiovisivi illecitamente diffusi sul suo portale, a seguito della adeguata segnalazione dei medesimi contenuti da parte di (omissis), attraverso la diffida stragiudiziale e le relazioni tecniche di parte depositate nel corso del presente giudizio.
Parte convenuta, invece, si è limitata a rimuovere dal proprio portale soltanto i contenuti per i quali (omissis) ha individuato gli URL di riferimento, senza compiere alcuna ulteriore sforzo esigibile, in considerazione dello stato della tecnica, per estrarre da quei contenuti le impronte digitali necessarie per individuare e rimuovere anche ulteriori contenuti audiovisivi relativi alle stesse trasmissioni televisive.
Ne è prova di ciò il fatto che, con le ultime due relazioni tecniche (docc. Nn. 137 e 139), (omissis) ha individuato numerosi altri contenuti audiovisivi illeciti, relativi ai “Programmi (omissis)” e ai “Nuovi Programmi (omissis)”, già segnalati con gli URL di riferimento con le precedenti relazioni depositate con l’atto di citazione e le prime memorie istruttorie.
A tale stregua, benché, al fine di favorire la diffusione dei servizi della società dell’informazione e i vantaggi ad essa collegati, anche l’hosting provider attivo va esonerato da obblighi preventivi e generalizzati di monitoraggio, nondimeno, qualora la tutela dei diritti di proprietà intellettuale può avvenire in modo efficace e adeguato attraverso gli strumenti tecnologici a disposizione hosting provider sulla base delle informazioni fornitegli dallo stesso titolare del diritto violato, non vi è più alcuna ragione per esimere ulteriormente l’hosting provider, affrancandolo dal rispetto dei diritti di proprietà intellettuale che oggettivamente concorre a violare.
Va poi ricordato come la relazione che lega il titolare del diritto di proprietà intellettuale violato e il fornitore di servizi, non vincolati fra loro da alcun rapporto contrattuale, vada collocata sui piano extracontrattuale in termini di relazione da “contatto sociale”, che obbliga i soggetti interessati a comportarsi secondo correttezza e buona fede, in prospettiva solidaristica e, quindi, proteggendo gli interessi altrui, ove ciò sia possibile senza consistente pregiudizio dei propri.
Nella fattispecie in esame, invece, parte convenuta non ha allegato, né tantomeno provato, quale pregiudizio avrebbe subito la propria attività di hosting provider qualora avesse adottato le tecnologie disponibili per effettuare la necessaria attività di verifica e di controllo ex post attraverso la ricerca individualizzata dei contenuti illeciti segnalati dal titolare dei diritti violati, anche a prescindere dalla conoscenza dei singoli URL di riferimento.
Invero, essa si è limitata a ribadire l’infondato assunto difensivo secondo il quale l’obbligo dell’hosting provider (passivo) di rimuovere o di impedire l’accesso ad un contenuto caricato illecitamente sulla propria piattaforma digitale, in violazione dei diritti di proprietà intellettuale di parte attrice, sarebbe scattato soltanto dopo che il soggetto danneggiato gli avesse comunicato l’indirizzo URL di ciascun contenuto audiovisivo illecito.
A nulla valgono, in proposito, i rilievi critici circa l’inattendibilità delle ricerche effettuate attraverso parole chiave o mediante i titoli dei programmi televisivi, mediante il richiamo agli esiti della ricerca effettuata dai CTU attraverso il programma sperimentale dallo stesso messo a punto.
Difatti, lo strumento tecnologico che il CTU ha individuato come disponibile e utilizzabile da (omissis) all’epoca dei fatti era quello, sicuramente più efficace e già utilizzato su analoghe piattaforme digitali, del c.d. video fingerprinting, nelle sue due versioni più note: quella del Copyright Match e quella del “Content ID”.
Ne discende allora che, appare legittimo esigere che un fornitore di servizi della società dell’informazione (ISP) adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di impedire l’utilizzo illecito dei contenuti memorizzati sulla sua piattaforma in violazione dei diritti di proprietà intellettuale.
La diligenza esigibile del fornitore di servizi dipende dallo stato della tecnica e, nella fattispecie in esame, le risultanze peritali (integralmente condivise dal Tribunale) hanno accertato che, all’epoca dei fatti per cui è causa, esistevano almeno due strumenti tecnologici che avrebbero consentito all’hosting provider di effettuare la verifica e il controllo, mirati e successivi, dei contenuti illeciti che gli venivano segnalati mediante il titolo del programma televisivo e non necessariamente attraverso gli specifici URL di riferimento.
A fronte delle evidenti risultanze peritali, la società convenuta non ha fornito, in via alternativa, valida dimostrazione del fatto di essersi trovata nella situazione giuridica oggettiva di non conoscibilità ex post dei contenuti audiovisivi illeciti segnalati mediante l’indicazione dei programmi televisivi dai quali erano estratti.
In conclusione, dunque, essendo stato accertato che parte convenuta non ha adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili nel caso di specie per impedire la diffusione illecita dei contenuti audiovisivi segnalati da (omissis) mediante l’indicazione dei titoli dei programmi da cui erano estratti e che, quindi, non ha agito secondo la diligenza che può essere ragionevolmente richiesta all’hosting provider, deve concludersi per l’accertamento della responsabilità di (omissis) a titolo di cooperazione colposa mediante omissione, per la violazione dei diritti di cui agli artt. 78-ter e 79 LDA spettanti a (omissis) in relazione ai contenuti audiovisivi estratti dai programmi menzionati nella diffida e nelle relazioni allegate all’atto di citazione e alla prima memoria istruttoria.
Parte convenuta va pertanto condannata al risarcimento del danno subito da parte attrice, secondo le norme ordinarie in materia di responsabilità aquiliana.
Risarcimento del danno
Passando ad esaminare la domanda di risarcimento del danno, va premesso che (omissis) ha limitato le proprie pretese ai danni patrimoniali e che, una volta abbandonato il criterio degli “‘utili realizzati” dal contraffattore in violazione del diritto, ha sostenuto che il criterio da utilizzare per poter effettuare una quantificazione dei danni patrimoniali, che sia equa e realmente riparatrice del rilevante pregiudizio economico subito, è quello del c.d. “prezzo del consenso”, individuato sulla base dell’importo dei diritti che parte convenuta avrebbero dovuto riconoscere a parte attrice qualora l’autrice delle violazioni avesse preventivamente richiesto l’autorizzazione per l’uso dei diritti esclusivi in questione.
Con riferimento alla domanda risarcitoria, parte convenuta ha eccepito che parte attrice non avrebbe fornito alcuna prova, neppure in via presuntiva, di aver subito un danno dalla pretesa violazione dei propri diritti come conseguenza della pubblicazione, da parte degli utenti, dei contenuti audiovisivi contestati sul portale (omissis).
Quanto al criterio degli utili realizzati in violazione dei diritti di (omissis), parte convenuta evidenzia come (omissis) non abbia ricavato alcun utile dalla sporadica presenza sul proprio portale di video estratti dai programmi di (omissis) caricati dagli utenti, la quale, semmai, avrebbe rappresentato un costo.
Ha infatti evidenziato che, la quasi totalità dei profitti di V. (circa il 90%) si basa sull’offerta agli utenti di servizi a pagamento di scambio di video denominati “(omissis) Plus” e “(omissis) Pro” e “(omissis) Business”. Servizi che (come accertato anche dal CTU) concedono priorità per la conversione di video e una serie di personalizzazioni utili a caratterizzare un video non ancora costruito e a permettere la vendita/licenza dei video pubblicati a fronte di corrispettivo. Servizi dedicati ad utenti specializzati che intendono utilizzare il portale come intermediario per la produzione e sfruttamento dei propri contenuti che nulla hanno a che fare con utenti generalisti, quali gli spettatori dei contenuti audio-video di (omissis).
Solo una percentuale minima di ricavi di (omissis) perverrebbe dalla pubblicità che è stata abbinata ai contenuti (omissis) in contestazione.
Gli unici annunci pubblicitari di (omissis) associati ai video contestati avrebbero, infatti, la forma di “sponsored links” e cioè di collegamenti a siti terzi generati automaticamente da Google, mentre nessun display advertisement sarebbe mai stato associato da (omissis) ai video (omissis), dal momento che i display advertisements pubblicati da (omissis) per conto di imprese terze hanno come unico target utenti di lingua inglese; essi, pertanto, vengono associati solo ed esclusivamente ad accessi provenienti da paesi di lingua inglese e dunque non sono visibili in Italia.
Parte convenuta ha concluso, pertanto, che l’eventuale danno imputabile a (omissis) per la condivisione di video tratti da programmi (omissis) caricati dagli utenti tramite il suo portale, potrebbe corrispondere solo all’importo ricavato attraverso gli sponsored links.
La società convenuta ha altresì contestato l’utilizzabilità, nel caso di specie, del criterio di liquidazione del danno basato sul c.d. “prezzo del consenso”, considerata la manifesta esorbitanza dello stesso, anche in considerazione del guadagno potenzialmente ricavato da (omissis) attraverso la pubblicità associata ai video in contestazione.
Ha poi sottolineato che la determinazione della royalty ragionevole deve tener conto di situazioni simili e comparabili a quella in contestazione, avendo riguardo anche alle caratteristiche dell’ipotetico licenziatario. Ciò perché la negoziazione delle condizioni della licenza sarebbe diretta espressione (anche) delle caratteristiche imprenditoriali del licenziatario, del suo mercato di riferimento e, in definitiva, delle sue prospettive di utilizzo del materiale oggetto della licenza e di utile conseguibile dal suo sfruttamento.
Nel caso di specie, invece, sarebbe chiaramente intuibile la differente aspettativa di utile derivante dalla comunicazione dei programmi (omissis) che intercorre tra (omissis), da un lato, e la (omissis), dall’altro, in ragione della diversa tipologia di business e dal diverso pubblico di riferimento. Mentre la (omissis) è la principale concorrente di (omissis) e si rivolge al suo stesso pubblico italiano, (omissis), quale portale statunitense, non ha neppure una versione italiana del suo server, non rientrando il pubblico italiano tra i destinatari dei servizi offerti. Pertanto, a detta di parte convenuta, un ipotetico contatto di licenza per la concessione d’uso a (omissis) di alcuni contenuti audiovisivi tratti dai programmi di (omissis), sarebbe stato stipulato ad un canone di licenza di gran lunga inferiore a quello accettato dalla (omissis).
Infine, parte convenuta ha contestato l’utilizzabilità delle royalties concordate negli accordi transattivi prodotti da (omissis), trattandosi di accordi diretti a regolare ex post un pregresso e non autorizzato uso di programmi (omissis), mentre per dottrina e giurisprudenza consolidate, la royalty ragionevole deve coincidere con quella che sarebbe stata pagata in caso di accordo negoziale ex ante.
Ciò posto, il criterio per la quantificazione del danno indicato da parte attrice trova esplicito supporto normativo nella previsione di cui all’art. 158, comma 2, LDA, in forza del quale “il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056 secondo comma del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria, sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto”.
Attraverso le indagini peritali, il CTU ha accertato – e al riguardo le parti non hanno sollevato specifiche contestazioni, sicché i dati fattuali possono essere utilizzati dal Collegio, salvo gli aggiustamenti di cui infra – il numero complessivo (2.109) dei contenuti audiovisivi tratti dai programmi (omissis) abusivamente diffusi sulla piattaforma (omissis), i tempi di permanenza di ciascuno di essi – tanto dal caricamento, quanto dalla diffida -, nonché la durata minutaria dei singoli contenuti audiovisivi illecitamente utilizzati, raggruppati in base ai diversi documenti prodotti in giudizio e, infine, gli utili realizzati dalla convenuta in relazione alla pubblicità associata ai medesimi contenuti.
Non è stato, invece, formulato uno specifico quesito in ordine al valore delle royalties che avrebbero dovute essere riconosciute a parte attrice nel caso in cui (omissis) avesse chiesto al titolare dei diritti l’autorizzazione per l’utilizzazione sul suo portale dei contenuti protetti dal diritto di proprietà intellettuale.
Un tale quesito è risultato superfluo in considerazione del fatto che parte attrice ha prodotto in giudizio una serie di precedenti assolutamente in termini di questa stessa Sezione Specializzata, relativi ad altrettanti giudizi promossi da (omissis), in cui, al fine di individuare i parametri per la determinazione del “prezzo del consenso”, sono già stati analizzati e valutati, sulla base di apposite CTU, gli stessi contratti depositati in questa sede dalla stessa (omissis), fatta eccezione per l’accordo transattivo raggiunto con Kit Digital France nell’anno 2017.
Fatta questa premessa, nel caso in esame, in base agli elementi di valutazione acquisiti sia attraverso la documentazione versata in atti, che all’esito dell’espletata CTU – le cui conclusioni, fondate su adeguate indagini tecniche e supportate da un iter logico e argomentativo convincente ed esente da censure, sono condivise dal Collegio – , emerge l’assoluta inadeguatezza del criterio degli utili realizzati dal contraffattore in violazione del diritto.
Al riguardo, di fatti, il CTU ha effettuato un calcolo di massima sui possibili introiti che potrebbero aver generato gli “sponsored links” abbinati ai contenuti audiovisivi contestati da (omissis) (pagg. 54 e ss della relazione tecnica), e tenuto conto dell’intero periodo di permanenza di tali contenuti sul portale (dunque anche per il periodo anteriore a qualsivoglia contestazione da parte di (omissis)) e dei download effettuati dagli utenti, ha stimato i ricavi conseguiti di (omissis) in circa 2.442 USD, al massimo triplicabile nell’ipotesi, assai remota, che l’utente dopo aver visualizzato il video, avesse selezionato tutti i link sponsorizzati associati.
Mentre, di difficile quantificazione, e comunque inattendibile rispetto alle dimensioni dell’illecito accertato nella fattispecie concreta, sarebbe stata anche la quantificazione degli utili conseguiti da (omissis) attraverso il calcolo dell’aumento di valore della piattaforma digitale sulla base del c.d. “effetto rete” prodotto dal caricamento dei video in contestazione. Ovvero, attraverso il calcolo dell’aumento di valore della piattaforma nella misura in cui la stessa sia in grado di attirare un maggior numero di utenti che usufruiscono del servizio a basso costo o gratuitamente per aumentare gli utenti appartenenti al segmento di clientela a pagamento.
Sicché, ai fini della quantificazione del danno patrimoniale da lucro cessante, il criterio più corretto e attendibile – utilizzato da questa Sezione Specializzata anche nei precedenti in termini già esaminati – resta quello del c.d. “prezzo del consenso”, e cioè la somma di denaro che l’utilizzatore avrebbe dovuto pagare al titolare dei diritti per il tempo e secondo le modalità di utilizzazione dei programmi in contestazione.
Detto ciò, per determinare la royalty ragionevole occorre utilizzare come parametro il corrispettivo a minuto di durata dei video in contestazione per un tempo di permanenza di un anno.
A tal fine, possono essere utilizzati, quali utili parametri di valutazione, i contratti prodotti da (omissis), dovendosi poi individuare quello o quelli che presentano il maggior grado di compatibilità e di affinità rispetto alle caratteristiche e al modello di business adottato dalle parti in causa.
In particolare, (omissis) ha prodotto, sub docc. 16, 34, 35, 36-36 bis, i seguenti contratti:
1) Accordo (omissis)-(omissis) del 2011 (cfr. doc. 16) con il quale la (omissis) ha riconosciuto di aver utilizzato senza preventiva autorizzazione nel corso del 2009 contenuti (omissis) per un totale di 337 minuti, o frazioni di minuto e per tale sfruttamento illecito di contenuti (omissis), la (omissis) ha concordato il pagamento di un prezzo complessivo di Euro 492.000 (quattrocentonovantaduemila/00), corrispondente ad una valorizzazione di 1.460 Euro al minuto, o sua frazione su base annuale.
2) Accordo (omissis)-(omissis) (cfr. doc. 34): con il quale è stata transatta la controversia oggetto del procedimento giudiziario promosso da (omissis) dinanzi al Tribunale delle Imprese di Milano (R.G. n. 28887/2012) e (omissis) si è impegnata a corrispondere ad (omissis) 626,00 Euro (più IVA) per ogni minuto, o frazione di minuto di contenuti audiovisivi utilizzati senza la preventiva autorizzazione dell’esponente, sui portali telematici di (omissis).
La causa promossa da (omissis) nei confronti di (omissis) aveva anch’essa ad oggetto lo sfruttamento non preventivamente autorizzato di brani estratti da programmi televisivi di (omissis) sui portali online di (omissis).
3) Accordo (omissis)-(omissis) 2012 (cfr. doc. 35) in base al quale la (omissis) ha acquistato da (omissis) il diritto di utilizzare “in ambito multimediale on-line”, con precise restrizioni temporali, contenuti audiovisivi tratti anche dai programmi oggetto della presente causa, impegnandosi a corrispondere ad (omissis), attraverso il perfezionamento di appositi accordi attuativi, l’importo di Euro 1.070,00 + IVA per ogni minuto (o frazione) utilizzato (art. 3 doc. cit.).
4) Accordi (omissis)-(omissis) di attuazione di un precedente contratto -identico nel contenuto a quello descritto sub precedente punto 3)- siglato da (omissis) con (omissis) il 23 novembre 2011 (cfr. docc. 36-36 bis) (cfr. docc. 36-36 bis)
Da tali documenti emerge che la (omissis) ha corrisposto ad (omissis):
– Euro 90.950,00 (novantamila/950) per l’uso di 85 minuti di brani audiovisivi di (omissis);
– Euro 50.290,00 (cinquantamila/290) per l’uso di 47 minuti di brani audiovisivi di (omissis);
– Euro 11.770,00 (undicimila/770) per l’uso di 11 minuti di brani audiovisivi di (omissis).
Successivamente allo spirare dei termini processuali ex art. 183, co. 6, c.p.c. (omissis) ha concluso ulteriori accordi commerciali per lo sfruttamento economico dei contenuti audiovisivi tratti dai propri programmi televisivi.
Segnatamente, nell’anno 2017 ha siglato un nuovo accordo con (omissis), con il quale è stato confermato il prezzo di Euro 626,00 a minuto per l’uso di materiale di (omissis) da parte di (omissis) su base annuale.
Sempre nel corso dell’anno 2017, (omissis) ha sottoscritto un accordo con Kit Digital France con il quale è stata concordata la corresponsione della somma complessiva di Euro 254.000,00 in relazione a 198 brani per la durata complessiva di ca. di 1.000 minuti, valorizzati in Euro 245 al minuto, ma per soli tre mesi di utilizzo abusivo dei video tratti dai programmi (omissis) sulla piattaforma internet francese “(omissis)”.
Inoltre, le sentenze emesse da questa Sezione specializzata, in cause del tutto analoghe promosse dalla stessa (omissis) nei confronti di altri hosting provider o testate editoriali che hanno sfruttato illecitamente in ambito multimediale online brani audiovisivi tratti dai programmi (omissis), hanno quantificato il danno patrimoniale subito da (omissis) utilizzando i seguenti valori unitari al minuto per la determinazione del “prezzo del consenso”.
Nella sentenza del 27.04.2016, causa (omissis) – (omissis) LLC (gestore della piattaforma Break Media), il Tribunale ha individuato, ai fini della quantificazione del danno sofferto da (omissis) per l’illecita pubblicazione di brani audiovisivi estratti dai programmi televisivi di cui è titolare, un valore unitario a minuto o frazione di minuto di Euro 1.300,00 per ognuno dei 77 minuti di contenuti illecitamente utilizzati.
Tale sentenza, tuttavia, fa riferimento ad un tempo di permanenza tra la diffida e la rimozione dei filmati di 604 giorni, relativa a quasi due anni, per cui il prezzo annuo da considerare è di Euro 650 a minuto.
Nella sentenza del 05.10.2016, causa (omissis) – (omissis) S.p.A. (gestore del portale repubblica.it), il Tribunale ha utilizzato ai fini della quantificazione del danno un valore unitario di Euro 638 al minuto per ciascuno dei 328 minuti di contenuti illecitamente utilizzati. Tuttavia, tenuto conto del fatto che la quasi totalità dei contenuti non era ancora stata rimossa e della lunga permanenza dei filmati abusivamente caricati sul portale della convenuta, ha ritenuto di aumentare in via equitativa il valore dei diritti determinato dal CTU, pervenendo così ad un valore unitario finale di Euro 762,00 al minuto.
Infine, nella sentenza del 15.07.2016, causa (omissis)- (omissis) Ltd., il Tribunale ha utilizzato, ai fini della quantificazione del danno, il valore unitario di Euro 670 per ogni minuto dei 16.116 minuti di contenuti illecitamente utilizzati.
Alla stregua degli elementi di valutazione innanzi indicati, il Collegio – al pari di quanto stabilito anche nella sentenza (omissis) – (omissis) S.p.A. – ritiene che sia corretto escludere dal calcolo del valore unitario medio gli importi ricavati sulla base degli accordi sottoscritti tra (omissis) e (omissis).
Di fatti, gli accordi maggiormente assimilabili al caso in esame risultano quelli raggiunti con i titolari di altre piattaforme digitati online, piuttosto che quelli sottoscritti con un’emittente televisiva nazionale che opera in regime di oligopolio in diretta concorrenza con (omissis).
In effetti, la (omissis), sia pure con diverse restrizioni, acquisice i diritti di utilizzazione e sfruttamento dei programmi (omissis) sia in ambito televisivo, che in ambito multimediale online e in tal modo l’oggetto dell’accordo viene a porsi su un piano diverso da quello in esame, dove (omissis) non ha il ruolo di broadcaster televisivo.
Inoltre, risutla ininfluente al riguardo la circostanza che, in alcuni casi, si tratti di prezzi unitari formatisi in sede transattiva piuttosto che nell’ambito di una libera trattativa commerciale.
In effetti, come già acclarato nelle precedenti pronunce innanzi indicate, deve escludersi che i prezzi stabiliti a seguito di un accordo transattivo siano meno congrui rispetto a quelli che si formano in una libera contrattazione commerciale.
Invero, anche l’accordo transattivo viene raggiunto dalle parti liberamente, in quanto il rischio di soccombenza nel giudizio riguarda entrambe le parti e non è, di per sé, un elemento costrittivo della libertà negoziale, mentre anche la dinamica delle negoziazioni commerciali implica che, nell’incontro tra la domanda e l’offerta, sia l’acquirente che il venditore rinuncino ciascuno ad una porzione delle proprie aspettative.
Nel caso in esame, tutto ciò trova ulteriore conferma nella circostanza che in entrambi i contratti stipulati da (omissis) con (omissis) – uno in via transattiva nell’anno 2012 e l’altro nell’ambito di una libera contrattazione commerciale, nell’anno 2017 – il prezzo unitario è stato fissato in Euro 626,00 a minuto.
Alla stregua di quanto esposto, il Collegio ritiene che tale valore unitario a minuti rientri tra quelli più adattabili alla fattispecie in esame, dal momento che risulta confermato nel tempo ed è stato pattuito in entrambe le condizioni innanzi descritte, per utilizzi dei diritti (omissis) su portali multimediali online.
L’altro accordo recentemente concluso (nell’anno 2017) che, per analoghe ragioni, presenta apprezzabili elementi di adattabilità al caso di specie, è quella intercorso tra (omissis) e Kit Digital France, con il quale è stato pattuito un prezzo unitario di 245 Euro al minuto, ma per soli tre mesi di utilizzo abusivo sulla piattaforma internet “(omissis)”.
Dovendosi però rapportare il prezzo unitario al minuto pattuito in tale accordo ad uno sfruttamento annuale dei diritti, esso deve essere prudenzialmente elevato al valore di 500,00 Euro al minuto.
Pertanto, la royalty ragionevole più aderente al caso di specie non va determinata attraverso la media degli importi indicati in tutti gli accordi e nelle pronunce innanzi indicati (peraltro il valore medio traibile dalle sole sentenze non si discosta in maniera rilevante dall’importo degli accordi (omissis)-(omissis)), quanto piuttosto attraverso la media dei corrispettivi su base annua evincibili soltanto dai due contratti da ultimo indicati, così ottenendo un valore medio unitario al minuto per lo sfruttamento annuale dei diritti (omissis) di Euro 563,00.
Orbene, per poter stimare il valore complessivo dei diritti di sfruttamento economico di (omissis) in relazione ai contenuti audiovisivi in contestazione, occorre moltiplicare il valore unitario di Euro 563,00 così ottenuto per la durata minutaria dei 2.109 video estratti da programmi (omissis) abusivamente pubblicati sulla piattaforma (omissis).
Con riferimento alla durata minutaria complessiva dei contenuti audiovisivi illeciti, il CTU ha accertato che:
– la durata del solo video del “(omissis)” segnalato con la diffida ante causam (doc. 10) è risultata pari a 4,93 minuti;
– la durata minutaria complessiva dei 230 video indicati con la relazione tecnica di (omissis) sub doc. 5, è risultata pari a 1.290 minuti;
– la durata minutaria complessiva dei 535 video indicati con la relazione tecnica di (omissis) sub doc. 33, è risultata pari a 5.983 minuti;
– la durata minutaria complessiva dei 1.059 video (685 + 374) indicati con la relazione tecnica di (omissis) sub doc. 137, è risultata pari a 9.094 minuti (5.879 minuti per il primo gruppo e 3.214 per il secondo gruppo relativo solo al “(omissis)”);
– la durata minutaria complessiva dei 283 video di cui al doc. 139 di (omissis), è risultata pari a 1.552 minuti;
Pertanto, la durata minutaria complessiva di tutti i 2.109 video estratti da programmi (omissis) e abusivamente diffusi tramite la piattaforma (omissis), è risultata pari a 17.926 minuti.
Una volta moltiplicato il valore unitario di Euro 563,00 per la durata minutaria complessiva di 17.926 minuti dei 2.109 video abusivamente pubblicati sulla piattaforma (omissis), si perviene ad una stima del valore complessivo dei diritti di sfruttamento economico dei programmi (omissis) riferibili a detti brani corrispondente ad Euro 10.092.525,70.
Tuttavia, il valore dei diritti così determinato va prudenzialmente adeguato in via equitativa per rendere l’ammontare del danno aderente a tutte le circostanze rilevanti nel caso di specie.
In primo luogo, ai fini della valutazione del grado di colpevolezza, va tenuto conto del fatto che (omissis) ha tempestivamente rimosso tutti i contenuti audiovisivi per i quali (omissis) ha segnalato nella diffida e nelle relazioni tecniche depositate nel corso del giudizio gli URL di riferimento, mentre ha colpevolmente omesso di rimuovere sollecitamente dal portale i video segnalati da (omissis) attraverso i titoli dei programmi.
Orbene, per le ragioni innanzi indicate, la data in cui collocare l’inizio del comportamento omissivo colposo di parte convenuta, va individuata nel momento in cui (omissis) ha avuto piena conoscenza dei titoli dei programmi televisivi da cui erano estratti i contenuti audiovisivi illecitamente caricati sulla propria piattaforma telematica, indipendentemente dall’indicazione degli specifici URL in cui si trovavano i singoli contenuti illeciti.
Segnatamente, per valutare i tempi di permanenza illecita sul portale (omissis) dei video in contestazione, va considerata la data in cui l’hosting provider ha avuto o avrebbe potuto avere conoscenza della presenza sul portale di contenuti audiovisivi estratti dai programmi di proprietà di (omissis) e, ciononostante, non si è diligentemente adoperato per rimuoverli o per impedirne l’accesso.
Nel caso in esame, la diffida stragiudiziale conteneva soltanto l’indicazione del programma “(omissis)” e a titolo esemplificativo due URL del medesimo programma, mentre per tutti gli altri programmi di titolarità di (omissis) rimandava alla GuidaTV dei programmi di (omissis) rintracciabili sul sito internet.
Essa, pertanto, per quanto innanzi detto, risulta idonea ad integrare l’effettiva conoscenza dei contenuti illeciti segnalati soltanto per il programma “(omissis)” non potendosi imporre a (omissis), alla luce di un generale obbligo di sorveglianza, il controllo generalizzato e preventivo di tutti i programmi di (omissis) caricati dagli utenti sul proprio portale.
Al contrario, le relazioni tecniche allegate all’atto di citazione e alla prima memoria istruttoria, contenevano, rispettivamente, la specifica indicazione dei titoli di una serie di “Programmi (omissis)” e di una ulteriore serie di “Nuovi Programmi (omissis)”, oltre alla indicazione di svariati URL per ciascun programma.
Infine le relazioni tecniche di cui ai documenti nn. 137 e 139 contenevano solo l’indicazione degli URL di ulteriori video non rimossi da (omissis) tratti dal (omissis) e dagli altri programmi televisivi precedentemente individuati come “Programmi (omissis)” e “Nuovi Programmi (omissis)”.
Ne consegue che, per i video estratti dal programma “(omissis)”, il dies a quo corrisponde alla data della diffida ante causam del 14.7.2011 (doc. 10);
per i 230 video estratti da tutti i “Programmi (omissis)”, il dies a quo decorre dalla data dell’atto di citazione i.eil 2.3.2012 (cfr. relazione tecnica depositata da (omissis) sub doc. 5);
per i 535 video estratti dai “Nuovi Programmi (omissis)”, il dies a quo decorre dalla data della memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. di (omissis), i.e. il 28.1.2013 (cfr. relazione tecnica depositata da R. sub doc. 33);
per i 685 video + 374 video del solo “(omissis)” di cui al doc. 137 e per i 283 video di cui al doc. 139 di (omissis), a differenza di quanto indicato dal CTU, bisogna verificare i giorni di loro permanenza sul portale V., rispettivamente: (i) dal 14.7.2011 per i 374 video estratti dal “(omissis)”; (ii) dal 2.3.2012 per i video estratti dai “Programmi (omissis)”; (iii) dal 28.1.2013 per i video estratti dai “Nuovi Programmi (omissis)”.
Per quanto riguarda il tempo di permanenza dei contenuti audiovisivi illeciti dalla data della idonea segnalazione dei titoli dei programmi televisivi di (omissis), fino alla loro rimozione dalla piattaforma V., il CTU ha accertato quanto segue:
per i 230 video di cui al doc. 5 di (omissis), il tempo di permanenza a far data dal deposito della relativa relazione tecnica varia da un minimo di 11 giorni (55/205) ad un massimo di 222 giorni (con una media di 222 giorni);
per i 535 video estratti dai “Nuovi Programmi (omissis)” di cui al doc. 33 di (omissis), il tempo di permanenza a far data dal deposito della relativa relazione tecnica varia da un minimo di 16 giorni (33/2) ad un massimo di 408 giorni (con una media di ca. 20 giorni).
Per quanto riguarda, invece, i video indicati da (omissis) sub docc. 137 e 139, il dies a quo non può essere individuato (come effettuato nella CTU) nel giorno del deposito delle relazioni tecniche di parte (omissis) sub docc. 137 e 139, in quanto i video ivi indicati mediante i rispettivi URL sono estratti dai medesimi “Programmi RT3” e “Nuovi Programmi (omissis)”, già segnalati da (omissis) con i titoli e un ampio campione di URL nelle relazioni tecniche di parte depositate con l’atto di citazione, per quanto riguarda i video estratti dai “Programmi (omissis)” (cfr. doc. 5, data 2.3.2012) e con la memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c., per i video estratti dai “Nuovi Programmi (omissis)” (cfr. doc. 33, data 28.1.2013).
Pertanto, dovendosi fare riferimento alle precedenti date innanzi indicate, per i video segnalati da (omissis) nelle relazioni depositate sub docc. 137 e 139, l’arco temporale di abusiva utilizzazione /diffusione risulta di oltre tre anni.
La durata minutaria complessiva dei video la cui permanenza illecita sul portale (omissis) è stata superiore ad un anno risulta pari a 10.647 minuti, mentre (per differenza dal totale di 17.926 minuti) la durata complessiva dei video rimossi tempestivamente o comunque in un periodo significativamente più breve dell’anno è pari a 7.279.
Risulta pertanto confermata la circostanza secondo la quale i video la cui permanenza illecita può essere stimata in un tempo superiore all’anno sono solamente quelli per i quali (omissis) ha indicato unicamente i titoli (e non anche gli URL di riferimento) dei programmi televisivi da cui erano tratti. Proprio sulla questione dell’effettiva conoscenza, da parte dell’hosting provider, della presenza di tali video sulla piattaforma e dell’omessa tempestiva rimozione degli stessi, si è incentrata la presente controversia.
Ulteriori elementi rilevanti ai fini del prudenziale adeguamento in via equitativa del danno risarcibile, emersi all’esito dell’espletata CTU, consistono nell’importo estremamente ridotto dei ricavi conseguiti da (omissis) attraverso la pubblicità (gli sponsored link) associata ai video tratti dai programmi (omissis) – circa 2.442 USD, al massimo triplicabile – e nel numero abbastanza contenuto delle visualizzazioni e dei download dei medesimi contenuti audiovisivi.
Con riferimento a quest’ultimo profilo, il CTU ha verificato, per l’intero periodo di permanenza: 66.806 visualizzazioni e 1.081 download, per i 535 video identificati nella relazione tecnica sub doc 33; 16.458 visualizzazioni e 272 download, per i 230 video di cui alla relazione sub doc. n. 5; 654.402 visualizzazioni e 3.434 download, per 273 video di cui alla relazione sub doc. n. 137; 233.168 visualizzazioni e 959 download, per i 283 video di cui alla relazione sub doc. n. 139.
Pertanto, tenuto conto dell’incidenza di tutte le circostanze innanzi indicate, ritiene il Collegio che l’ammontare complessivo del danno cagionato da (omissis) a (omissis) vada prudenzialmente quantificato in via equitativa nell’importo di Euro 8.500.000,00 ai valori attuali, comprensivo di interessi e rivalutazione, trattandosi di debito di valore.
Nulla ha invece chiesto parte attrice a titolo di risarcimento del danno emergente per le spese sostenute per l’accertamento delle violazioni tramite tecnici esperti.
In conclusione, per le ragioni fin qui esposte, (omissis) va condannata al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, mediante il pagamento in favore di (omissis) del complessivo importo di Euro 8.500.000,00 comprensivo di rivalutazione ed interessi, oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Non ritiene, invece, il Collegio che la condotta omissiva posta in essere da (omissis) integri anche l’illecito da concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 3, c.c., nella fattispecie specifica della concorrenza parassitaria, trattandosi di un’impresa che gestisce un portale digitale online per la condivisione dei video di proprietà, distinta e non in concorrenza rispetto a quella di emittente televisiva di (omissis).
Va altresì esclusa la violazione, da parte di (omissis), dei marchi registrati, dovendosi evidenziare che la convenuta non si è mai appropriata dei segni distintivi di (omissis) per commercializzare o pubblicizzare propri servizi o prodotti, non assumendo rilievo, quale uso del marchio, la circostanza che i contenuti audiovisivi in contestazione riportassero i loghi dei canali di cui è titolare (omissis).
Infine, in considerazione della protrazione dell’illecito di parte convenuta, quantomeno fino alla segnalazione degli specifici URL di riferimento dei brani audiovisivi estratti dai programmi (omissis), vanno disposte anche le misure accessorie richieste da parte attrice.
Va dunque ordinato alla società convenuta di rimuovere immediatamente dal proprio portale telematico “(omissis)” tutti i nuovi contenuti audiovisivi tratti dai programmi di (omissis) oggetto di specifica segnalazione mediante l’indicazione dei titoli dei medesimi programmi nella diffida stragiudiziale e nelle relazioni peritali allegate all’atto di citazione e alla prima memoria istruttoria, nonché l’inibizione all’ulteriore pubblicazione dei video così individuati.
Ai fini di una maggiore efficacia delle disposte misure accessorie, l’ordine di rimozione e l’inibitoria devono essere accompagnati dalla previsione della penale prevista dall’art. 156 LDA, che appare congruo fissare in Euro 1.000,00 per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata ed Euro 500,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza a decorrere dalla sua notificazione in forma esecutiva.
Infine, date le modalità dell’illecito e la tipologia del danno arrecato alla società attrice, va accolta anche la richiesta di pubblicazione del dispositivo della sentenza, a cura di (omissis) e a spese della convenuta, nelle edizioni cartacee e online de “(omissis)”, “(omissis)” e tramite link nella home page del portale “(omissis).com”.
Le spese di lite seguono la soccombenza di parte convenuta, nella misura liquidata in dispositivo, secondo i parametri e le tariffe stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014, in riferimento allo scaglione relativo al valore iniziale della causa.
Nei rapporti interni, le spese di CTU, separatamente liquidate, devono essere poste definitivamente a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, XVII Sezione Civile – Sezione Specializzata in materia di Impresa, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
1) accerta la responsabilità della società convenuta, (omissis) LLC, per la violazione dei diritti connessi di cui agli art. 78-ter e 79 LDA di titolarità di (omissis) S.p.A., relativamente alla mancata tempestiva rimozione dei video tratti dai programmi televisivi di (omissis) menzionati nella diffida stragiudiziale e nelle relazioni tecniche allegate all’atto di citazione e alla prima memoria istruttoria di parte attrice;
2) ordina alla convenuta (omissis) LLC di rimuovere immediatamente dal proprio portale telematico “(omissis).com” i nuovi contenuti audiovisivi relativi ai programmi di cui al n. 1) e inibisce alla stessa l’ulteriore pubblicazione dei video così individuati;
3) condanna (omissis) LLC al risarcimento dei danni patrimoniali mediante il pagamento, in favore di (omissis) S.p.A., della complessiva somma di Euro 8.500.000,00, comprensiva di rivalutazione e interessi, oltre agli interessi legali di mora dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo;
4) fissa la somma di Euro 1.000,00 per ogni violazione o inosservanza successivamente constatate ed Euro 500,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza a decorrere dalla sua notificazione in forma esecutiva.
5) dispone che il dispositivo della presente sentenza sia pubblicato, a cura di parte attrice e a spese di parte convenuta, nelle edizioni cartacee e online de “(omissis)”, “(omissis)” e tramite link nella home page del portale “(omissis).com”;
6) condanna parte convenuta alla rifusione delle spese legali in favore di parte attrice, liquidate in Euro 1.466,00 per esborsi ed Euro 23.000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 dicembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2019.
