Gli attori hanno esposto di essere discendenti diretti di (omissis), cittadino italiano, nato il (omissis), a Sapri (SA), come attestato dall’estratto dell’atto di nascita. L’ascendente italiano emigrava in Colombia senza mai naturalizzarsi cittadino colombiano (come da certificato sub 3). Dall’avo italiano nasceva, l'(omissis), (omissis), che nel (omissis) sposava (omissis) e dalla loro unione nasceva il (omissis) (omissis), la quale sposava (omissis) (passando a chiamarsi (omissis)) e generava il (omissis) (omissis), il (omissis) (omissis) e il (omissis) (omissis).
Dal matrimonio tra (omissis) e (omissis) nascevano il (omissis) (omissis), il (omissis) (omissis), il (omissis) (omissis) e l'(omissis) (omissis).
Dal matrimonio tra (omissis) ed (omissis) nascevano: il (omissis) (omissis) e il (omissis) (omissis).
Tanto premesso gli attori hanno quindi chiesto l’accoglimento della domanda.
Il Ministero convenuto, costituendosi, non ha contestato nel merito la domanda, chiedendo la compensazione delle spese.
Acquisita la prova documentale, costituita dai certificati debitamente apostillati, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione. stante la rinuncia ai termini di cui all’art. 190 cpc.
La circostanza che l’avo, nel caso di specie, sia nato prima della costituzione del Regno d’Italia non ha impedito che lo stesso abbia acquistato la cittadinanza italiana anche se emigrato all’estero. Il riconoscimento della cittadinanza italiana era disciplinato prima della costituzione del Regno di Italia, dal codice civile del Regno di Sardegna del 1837 (cosiddetto Codice Albertino), e successivamente è stato disciplinato dal Codice Civile del Regno d’Italia del 25/06/1865, fino alla approvazione della legge n. 555 del 13 giugno 1912. Inoltre, per disciplinare il fenomeno delle migrazioni erano state emanate le leggi del 31 gennaio 1901 n.23 e del 17 maggio 1906 n.217.
L’art. 19 del Codice Albertino prevedeva: “Il figlio nato in paese straniero da padre godente tuttora ne’ Regni Stati de’ diritti civili inerenti alla qualità di suddito è pure suddito, e ne gode tutti i diritti”. In applicazione di tale norma i figli dei cittadini del Regno (cosiddetti regnicoli) nati all’estero mantenevano la cittadinanza regnicola. Il codice civile del 1865 prevedeva all’art. 4: “E’ cittadino il figlio di padre cittadino”. Il Regno d’Italia è subentrato in qualità di Stato successore al Regno di Sardegna, pertanto tutti i cittadini appartenenti ai regni preunitari che alla data del 17 marzo 1861 (Unità d’Italia), avevano la cittadinanza di uno dei Regni confluiti nel Regno d’Italia acquisivano automaticamente la cittadinanza italiana anche se emigrati, se, al momento in cui lo Stato preunitario di provenienza era entrato a far parte del Regno d’Italia, non avevano acquisito la cittadinanza straniera.
La riportata interpretazione delle norme si desume anche da atti adottati dal Ministero dell’Interno ( “La Cittadinanza Italiana – La Normativa, Le Procedure, Le Circolari”) nei quali si legge che nel caso in cui “.. l’ascendente dante causa, sia emigrato dall’Italia antecedentemente alla costituzione dell’unità d’Italia, con passaporto di uno Stato preunitario. Tale circostanza può ritenersi non ostativa al riconoscimento della cittadinanza italiana. Infatti, il Codice Civile del 1865, che regolava la materia della cittadinanza antecedentemente alla legge 13.6.1912, n. 555, non escludeva dal possesso della cittadinanza italiana i soggetti emigrati prima della costituzione del Regno D’Italia. ..”.
Nel caso di specie, l’avo era cittadino italiano (nato prima della nascita del Regno d’Italia ed emigrato all’estero ma che, allorquando il territorio di provenienza era entrato a far parte del Regno d’Italia, non aveva acquisito la cittadinanza estera né rinunciato a quella italiana), pertanto i discendenti e in particolare la di lui figlia erano cittadini italiani.
Gli attori sono quindi discendenti di (omissis), cittadina italiana per nascita, la quale, ascendente diretta degli stessi, deve essere considerata cittadina italiana alla stregua dell’art.4 del codice civile del 1865 e della successiva legge n. 555 del 1912 sulla “Cittadinanza italiana” che sancivano la prevalenza del principio dello ius sanguinis. L’acquisto della cittadinanza italiana, infatti, avveniva esclusivamente per derivazione paterna al figlio del cittadino, a prescindere dal luogo di nascita, così come espressamente previsto dall’art. 1 della citata legge, secondo cui “è cittadino per nascita: 1/a il figlio di padre cittadino”. L’ascendente degli attori, ha conservato la cittadinanza italiana anche a seguito del matrimonio con cittadino straniero, in considerazione della dichiarazione dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10, terzo comma della L. n. 555/1912, pronunciata con sentenza della Consulta n. 87/1975, che ha statuito: “L’art. 10, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 – nella parte in cui prevede esclusivamente nei riguardi della donna che si mariti con uno straniero la cui cittadinanza le si comunichi a seguito del matrimonio, la perdita della cittadinanza italiana – crea un’ingiustificata e non razionale disparità di trattamento tra i due stessi coniugi; crea, inoltre, un’ingiustificata disparità di trattamento fra le stesse donne italiane sposate a stranieri, facendo dipendere la perdita automatica o la conservazione della cittadinanza italiana dall’esistenza o meno di una norma straniera che preveda l’acquisto della cittadinanza del marito da parte della moglie; pone, infine, la donna in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto di matrimonio, dei diritti di cittadina italiana, e nuoce all’unità familiare in quanto potrebbe indurre la donna a non compiere l’atto giuridico del matrimonio o a scioglierlo una volta compiuto. Detta disposizione è pertanto costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 3 e 29 Cost., nella parte in cui prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.”
Nella fattispecie in esame, alla luce delle previsioni vigenti, (omissis), da un lato, si vedeva riconoscere la titolarità dello status di “cittadina italiana” in quanto figlia di padre cittadino italiano, ma dall’altro, in base alla stessa norma che prevedeva esclusivamente l’acquisto della cittadinanza italiana di derivazione paterna, si vedeva negare il diritto di trasmettere iure sanguinis ai propri figli, e conseguentemente ai propri discendenti, quello status civitatis a lei attribuito.
Il Collegio ritiene che la domanda possa essere accolta, poiché la documentazione allegata dà la prova della sussistenza del diritto vantato dagli attori.
La sentenza n. 30/1983 della Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione dell’art. 1, comma 1, n. 1 della legge 13.6.1912, n. 555 nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina italiana. La Corte di Cassazione (da ultimo Cass. sez. U. n. 4466 e 4467 del 2009) ha affermato che, in virtù dell’intervento additivo dovuto alla citata sentenza della Corte Costituzionale, lo stato di cittadinanza deve essere riconosciuto in via giudiziaria (a prescindere da una esplicita dichiarazione di volontà resa dall’interessata), anche al figlio di madre cittadina nato prima dell’entrata in vigore della Costituzione, attesi i caratteri di assolutezza, originarietà, indisponibilità e imprescrittibilità dello status civitatis, in quanto qualità della persona, rispetto alla quale non può applicarsi la categoria delle “situazioni esaurite”, come tali insensibili all’efficacia naturalmente retroattiva delle pronunce di incostituzionalità, se non quando essa sia stata oggetto di un accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato.
Sulla scorta delle suddette pronunce della Corte Costituzionale, (omissis) era cittadina italiana dalla nascita e ha tramesso la cittadinanza iure sanguinis a (omissis), la quale l’ha trasmessa a (omissis), a (omissis) e a (omissis), (omissis) l’ha trasmessa a sua volta a (omissis), ad (omissis), a (omissis) ed a (omissis), (omissis) ha trasmesso a sua volta la cittadinanza a (omissis) e a (omissis).
Deve concludersi, pertanto, che gli attori sono cittadini italiani iure sanguinis, con conseguente ordine all’Ufficiale dello Stato civile di provvedere agli incombenti conseguenti all’attribuzione di tale status civitatis.
Le ragioni della decisione e, in particolare, la nascita della capostipite in data antecedente all’entrata in vigore della Costituzione, con conseguente necessità di una pronuncia giudiziale per estendere a tale periodo gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità delle norme richiamate, giustificano la compensazione delle spese di giudizio.
ordina al Ministero dell’Interno e, per esso, al competente Ufficiale dello Stato civile, di procedere alle conseguenziali iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge, nei registri dello Stato civile, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle Autorità Consolari competenti;
dichiara interamente compensate le spese di lite.
Roma, 21.4.2020
