– parte ricorrente propone opposizione avverso l’ordinanza pronunciata da questo Tribunale in data 14/04/2023, RG n. 109/2023, giudice dottor (omissis), con cui veniva rigettata la domanda di impugnazione del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato a (omissis) con lettera del 15 giugno 2022;
– in sede di opposizione parte ricorrente domanda: “A. In via preliminare: sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 6, del D.L 127/2021 (e conseguentemente l’art. 9 septies del d.l. 52/2021) in quanto in contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 4, 10, 11, 13, 32, 35, 36 e 117 Cost. (e del diritto eurounitario), nella parte in cui condiziona l’accesso al luogo di lavoro all’esibizione di un certificato, che corrisponde ad un trattamento diagnostico – a pagamento e a carico del lavoratore – discriminatorio, inidoneo e comunque lesivo della salute e della libertà personale; – disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sottoponendo alla Corte i seguenti quesiti: 1) Se le disposizioni di cui agli art. 3, 15 e 16 della CDFUE ostino a disposizioni legislative nazionali, come le norme di cui al decreto-legge 52/2021, con successive modificazioni, che avevano fatto obbligo a tutti o taluni cittadini di sottoporsi a determinati trattamenti diagnostico sanitari sotto pena, in difetto, della perdita del diritto a svolgere la propria attività lavorativa; 2) Se, in particolare, le indicate norme della CDFUE trovino diretta applicazione nel diritto degli stati membri allorché questi legiferino in materia di sanità pubblica; 3) Se le disposizioni del regolamento UE 953/2021 ostino a disposizioni legislative nazionali, come le norme di cui al decreto-legge 52/2021, che facciano obbligo ai lavoratori di sottoporsi a determinati trattamenti diagnostico-sanitari sotto pena, in difetto, della perdita del diritto a svolgere la propria attività lavorativa. B. In via preliminare di rito: sospendere in via d’urgenza la provvisoria esecutività o esecuzione dell’ordinanza 14.04.2023 del Tribunale di Padova, Sez. Lav., Giudice dott. (omissis), RG 109/2023, notificata via PEC in data 17.04.2023, per i gravi motivi su esposti. C. In via principale: disapplicare l’art. 3 del d.l 127/2021, commi 1 e 6, e conseguentemente l’art. 9 septies del d.l. 52/2021, nella parte in cui prevede che “1. al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolga attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta, la certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2. – 6. I lavoratori di cui al comma 1, nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risultino privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo non sono dovuti la retribuzione né altro”, in quanto in contrasto con le citate norme della Costituzione, del diritto eurounitario (in particolare, l’art. 6 e il Considerando n. 36 del Regolamento (UE) 2021/953), in quanto strumento inidoneo a garantire l’interesse collettivo della salute pubblica, e, conseguentemente: – dichiarare, “nullo, illegittimo e/o comunque annullabile e/o inefficace il provvedimento di licenziamento emesso dal datore di lavoro per le ragioni tutte di cui al ricorso, e, per l’effetto: – condannare il suddetto, anche previa disapplicazione degli atti illegittimamente emessi in via prodromica, al reintegro della dipendente sul luogo di lavoro presso il quale era stata assegnata ed al risarcimento dei danni patiti consistenti nelle retribuzioni di legge dovute dalla data del licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegra sul lavoro, oltre agli ulteriori emolumenti di legge spettanti, oltre ad ogni ulteriore voce dovuta in forza del CCNL vigente; D. In via principale, subordinata: per la denegata ipotesi di rigetto della domanda in via principale che precede, dichiararsi l’invalidità/illegittimità del licenziamento comminato per la mancata esibizione del Green Pass in violazione dell’art. 3, comma 6, D.L, 127/2021 e ss, convertito in legge n. 165/2021, o per mancanza della comunicazione del secondo addebito, ai fini della recidiva, e per l’effetto condannarsi (omissis) S.p.A, alla reintegra nel posto di lavoro della sig.ra (omissis) nonché al pagamento in suo favore dell’indennità risarcitoria prevista dalla legge, nella misura massima. E. In via subordinata: previo accertamento della non ricorrenza degli estremi di un licenziamento per giusta causa, condannarsi (omissis) S.p.A. al risarcimento previsto dal primo comma dell’art. 3 D. Lgs. 23/15, nella misura massima. E. In via subordinata rispetto alle domande sub D e E, per la denegata ipotesi di rigetto delle stesse: Previo accertamento dei vizi formali dei relativi procedimenti disciplinari, per le ragioni indicate in ricorso, condannarsi (omissis) S.p.A. al pagamento dell’indennità di cui all’art. 4 D.Lgs. 23/15, nella misura massima”;
– parte resistente domanda il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto;
atteso che:
– preliminarmente, deve essere rigettata l’istanza di ammissione delle prove testimoniali e documentali di cui alla memoria non autorizzata depositata da parte resistente in data 31.8.2023 in quanto tardiva, e oltretutto in quanto diretta a provare fatti nuovi non tempestivamente allegati in memoria difensiva (v. in particolare la circostanza che a partire dal 15 marzo 2022 la ricorrente sarebbe risultata positiva al Covid-19);
– quanto al merito, l’ordinanza che ha concluso la fase urgente del procedimento c.d. Fornero deve essere integralmente confermata nelle sue motivazioni, atteso che essa ha analiticamente e compiutamente preso posizione in merito a tutte le questioni rilevanti ai fini della decisione;
– la ricorrente veniva assunta dalla società resistente il 20 gennaio 2003, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, per lo svolgimento, presso l’unità locale di (omissis) – via (omissis), di attività di commessa inquadrata nel 4° livello del Ccnl Commercio (doc. 1 ricorrente).
– con lettera 4 dicembre 2007, la società datrice di lavoro riconosceva alla sig.ra (omissis) il 3° livello di inquadramento a far data dal 1° gennaio 2008 (doc. 2 ricorrente).
– in data 3 agosto 2020 la sig.ra (omissis) veniva applicata presso il punto vendita (omissis) di (omissis) – via (omissis) (doc. 1° ricorrente), quale referente operativo del punto vendita (cd. ROP);
– con contestazione disciplinare del 13 maggio 2022, la società resistente addebitava alla ricorrente che il giorno 28 aprile 2022, a fronte della richiesta del capo area sig. (omissis) di verificare il green pass all’ingresso del punto vendita (omissis) di (omissis), al quale la ricorrente era stata assegnata in sostituzione della ROP (omissis), la sig.ra (omissis) si recava in bagno, uscendone con il telefono cellulare in mano, attivando la telecamera e filmando il capo area, che le rappresentava che non intendeva essere ripreso. La ricorrente continuava a filmare, affermando “questo video non verrà divulgato, ma sarà utilizzato in un’aula di tribunale”, aggiungendo rivolta a (omissis) “dimmi quello che mi hai detto prima” e “Perché? Hai la coda di paglia”. Ciò avveniva nell’area vendite alla presenza di clienti. La ricorrente, quindi, rifiutava di esibire il proprio green pass al capo area rifiutava e di allontanarsi dal negozio, pretendendo di svolgere la propria attività lavorativa. Gli stessi comportamenti erano posti in essere i giorni 27, 29 e 30 aprile 2022;
– nella contestazione disciplinare erano richiamate, a titolo di recidiva, le condotte contestate con lettera del 27 aprile 2022, cui ha fatto seguito il provvedimento disciplinare della sospensione di 10 giorni dal lavoro e dalla retribuzione datato 6 maggio 2022, e con lettera del 3 gennaio 2022, cui ha fatto seguito il provvedimento disciplinare del biasimo scritto datato 19 gennaio 2022;
– nella contestazione del 27 aprile 2022 era addebitato alla ricorrente che il giorno 26 aprile si era presentata al posto di lavoro rifiutando di scansionare il green pass mediante tablet aziendale, e ciononostante ha rifiutato di allontanarsi dal negozio, a fronte della richiesta rivoltale dal funzionario (omissis). La ricorrente nega di aver mai ricevuto la contestazione del 27 aprile 2022, e a questo proposito, in ragione dell’omessa produzione in giudizio della cartolina di ricevimento da parte della società resistente, contesta la valenza probatoria del documento 18 b), ove Poste Italiane attesta quale esito della spedizione l’avvenuta consegna in data 28 aprile 2022 alle ore 11:42. In punto di fatto, la ricorrente comunque allega che il 26 aprile 2022, rientrata al lavoro presso il punto vendita (omissis) di (omissis) dopo un periodo di malattia, le veniva impedito di timbrare il cartellino dalle colleghe (omissis) e (omissis) che avevano ricevuto istruzioni in tal senso. Sopraggiungeva allora l’addetto alla sicurezza sig. (omissis), chiedendole il green pass. La ricorrente invitava (omissis) ad esibire il titolo per il trattamento dei suoi dati personali, senza che le venisse esibito alcunché. La ricorrente, pertanto, rifiutava di scansionare il green pass e pretendeva di accedere comunque al luogo di lavoro. Non è poi contestato che il sig. (omissis) a quel punto abbia chiamato le forze dell’ordine le quali, intervenute sul posto, chiedevano alla sig.ra (omissis) di esibire il titolo abilitativo allo svolgimento dell’attività lavorativa. La ricorrente rifiutava di ottemperare alla richiesta degli agenti ritenendo anch’essi non autorizzati a pretendere l’esibizione della Certificazione Verde (doc. 16 resistente);
– nella contestazione del 3 gennaio 2022 le era addebitato di avere comunicato soltanto il 16 dicembre 2021 (data prevista per il rientro dalla malattia decorrente dal 25 ottobre 2021) il protrarsi della malattia, senza precisare la durata di tale protrazione, e limitandosi ad inserire nel portale aziendale il numero di protocollo del certificato medico solo in un momento successivo;
ritenuto che:
– quanto alla contestazione disciplinare del 13 maggio 2022, la ricorrente non nega i fatti a lei addebitati, salvo che per la contestazione relativa al giorno 30 aprile 2022, data in cui, secondo le allegazioni della ricorrente, ella prestava regolarmente servizio senza che le venisse chiesto il green pass. La ricorrente giustifica le condotte addebitate col fatto che gli addetti al controllo del green pass, che le hanno richiesto l’esibizione, non hanno provato l’attribuzione di tale potere di verifica, omettendo di esibirle la relativa delega;
– non è contestato in causa che il controllo del green pass, come allegato dalla società convenuta, dovesse avvenire mediante scansione di un documento cartaceo o di un file telematico;
– è documentalmente provato, e comunque ammesso dalla stessa ricorrente, che la circolare informativa interna del 12 ottobre 2021 informava che gli incaricati al controllo interno del green pass erano il capo area (omissis) e il capo distretto (omissis) (doc. 55 ricorrente; pag. 13 del ricorso in opposizione);
– orbene, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la ricorrente ha illegittimamente ritenuto di attuare nelle forme dell’autotutela il preteso diritto all’esibizione del titolo giustificativo al controllo del green pass da parte del personale ivi preposto, violando sia la prescrizione datoriale, sia la normativa di ordine pubblico in materia, così ponendo il datore di lavoro a rischio di sanzioni e incrementando il rischio di contagio per colleghi di lavoro e clienti, per poi pretendere di accedere comunque all’interno del luogo di lavoro. Il giudice di prime cure correttamente ha rilevato che tale condotta, illecita sia sul piano contrattuale che su quello pubblicistico, è stata per di più posta in essere con prepotenti modalità di sfida, in particolare mediante la realizzazione di una ripresa video all’interno di un luogo di vita privata, nonostante l’opposizione della persona che veniva ripresa. Ciò ha oltretutto svilito l’immagine e il decoro sia della società datrice di lavoro, sia delle persone direttamente investite dalle condotte moleste tenute dalla ricorrente in presenza di clienti e di altri lavoratori presenti in loco;
– alla ricorrente non spettava alcun diritto di pretendere l’esibizione della delega da parte del capo area (omissis), non solo perché, come già detto, costui risultava regolarmente indicato quale soggetto incaricato al controllo interno dalla circolare 12 ottobre 2021, ma anche perché ai sensi di legge il controllo relativo alla corretta esecuzione delle verifiche sul possesso del green pass sul posto di lavoro poteva essere svolto solo dai soggetti specificamente indicati dalla legge ai sensi dell’art. 4, comma 9, del d.l. n. 19/2020, convertito dalla legge n. 35/20202, come previsto dall’art. 13, punto 6, del D.P.C.M. 17 giugno 2021;
– tali fatti, così come accertati, recano una valenza disciplinare sufficientemente grave da giustificare di per sé soli l’intimazione del licenziamento per giusta causa;
– oltretutto, è pacifico in causa che già in data 15 ottobre 2021 era intervenuta sul posto di lavoro del punto vendita di (omissis), su richiesta della stessa ricorrente, una pattuglia di agenti di pubblica sicurezza, che verbalizzava che anche in quell’occasione la ricorrente, a fronte della richiesta di (omissis), aveva “categoricamente” rifiutato di esibire il green pass e preteso l’esibizione della delega alla verifica del green pass, ed esigendo al contempo di accedere al lavoro. Gli agenti verbalizzavano il possesso di apposita delega per procedere alla verifica del green pass da parte del sig. (omissis) e il fatto che la sig.ra (omissis), ciononostante, continuasse a motivare il rifiuto di esibire il Certificato Verde sull’assunto che tale richiesta sarebbe stata anticostituzionale e lesiva dei propri diritti (doc. 10 resistente);
– quanto alla rilevanza di tali ulteriori circostanze ai fini della decisione del presente giudizio, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione possono essere tenuti in considerazione ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento anche “fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti alla base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro” (Cass. n. 17086/2012; Cass. n. 1145/2011; Cass. n. 13580/2016);
– alla luce di ciò, i fatti verificatesi il 15 ottobre 2021 contribuiscono a valorizzare ulteriormente il disvalore delle condotte poste in essere i giorni 27, 28 e 29 aprile 2022, le quali, come già sopra detto, già recano di per sé sole una valenza disciplinare sufficiente a giustificare il licenziamento per giusta causa;
– altrettanto vale con riferimento ai fatti verificatisi in data 26 aprile 2022;
– per tali ragioni, resta assorbita ogni questione afferente la contestata recidiva, compresa quella del perfezionamento della notificazione della raccomandata recante la contestazione disciplinare del 27 aprile 2022;
– quanto alle questioni di legittimità costituzionale, di interpretazione conforme rispetto al diritto dell’unione europea e di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche sotto il profilo della discriminatorietà del licenziamento, sollevate nel ricorso in opposizione, si tratta di questioni irrilevanti in causa in quanto esse hanno tutte ad oggetto il diritto di accesso al luogo di lavoro in assenza di vaccinazione COVID-19, mentre la ricorrente è stata licenziata per il diverso fatto di aver illegittimamente rifiutato di sottoporsi alle procedure di controllo stabilite dalla società ai sensi di legge. Invero, nemmeno è dato sapere se all’epoca dei fatti la ricorrente fosse o meno vaccinata, atteso che in merito a tale specifica circostanza la ricorrente è rimasta silente. È quindi irrilevante anche la questione sollevata dalla difesa ricorrente all’udienza del 12/09/2023, secondo cui ella avrebbe potuto essere sottoposta a tampone Covid-19 al momento dell’ingresso presso il punto vendita San Barnaba, atteso che spetta semmai all’interessato, qualora privo di vaccinazione, procurarsi per tempo l’esito negativo del tampone e presentarlo in tempo utile al datore di lavoro;
– è invece dichiarata inammissibile la domanda di accertamento della ritorsività del licenziamento in quanto azionata tardivamente per la prima volta nella memoria depositata il 31 agosto 2023;
– ne consegue il rigetto di ogni domanda;
– le spese di lite relative alla fase urgente e alla fase di opposizione seguono la soccombenza e sono complessivamente liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il giudice, ogni altra istanza rigettata:
– rigetta ogni domanda;
– condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese di lite, che liquida in € 6.000,00, oltre 15% per spese generali, I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. come per legge.
Padova, 21.9.2023
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 21 SET. 2023.