[…]
Motivi in fatto e in diritto della decisione
Preliminarmente, va dato atto che, non prevedendone l’art. 132 c.p.c. nell’attuale formulazione la necessità, si ometterà l’integrale esposizione dello svolgimento del processo, le cui vicende saranno ripercorse nei limiti necessari ai fini dell’esposizione dei motivi della decisione.
Superata, altresì, l’eccezione di improcedibilità della domanda per tardiva costituzione dell’attore – eccezione su cui il Tribunale si è pronunciato, con motivazioni condivisibili e da intendersi qui integralmente richiamate, con ordinanza 24.6.2015 e 16.10.2015 e che non è stata riproposta dalla parte convenuta in sede di conclusioni – è possibile, dunque, entrare immediatamente nel merito delle domande proposte dagli attori.
I coniugi (omissis) e (omissis) hanno convenuto in giudizio il (omissis) esponendo:
– di essere comproprietari di un alloggio sito al terzo piano dello stabile denominato (omissis), non dotato di ascensore e munito di scala troppo stretta per la realizzazione di un servoscala;
– di essere ultrasessantacinquenni, vantando essi, pertanto, il diritto all’abbattimento delle barriere architettoniche previsti dalla normativa in materia e, in particolare, dall’art. 2, l. n. 13/1989;
– di aver manifestato all’Amministratore del condominio, conseguentemente, l’intenzione di procedere all’installazione di un ascensore esterno al condominio a proprie spese, che avrebbe servito direttamente ed esclusivamente le loro abitazioni;
– che l’assemblea condominiale tenutasi in data 3/11/2014 si era espressa in senso contrario alla realizzazione di tale impianto, ritenendo che il rag. (omissis) non presentasse i requisiti di disabilità previsti dall’art. 2, l. n. 13/1989.
Gli attori, dunque, invocando il disposto di tale norma e, in ogni caso, la previsione dell’art. 1102 c.c., hanno chiesto l’accertamento del loro diritto ad installare un ascensore ad uso esclusivo, sostenendone interamente i costi, utilizzando il sedime condominiale nella porzione necessaria ad installare il citato manufatto ed aprendo una porta nel muro maestro del (omissis) per accedervi, oltre che la declaratoria di nullità o annullabilità della delibera condominiale assunta sul punto in data 3/11/2014, in relazione al punto 5 dell’o.d.g.
Le domande sono fondate e devono essere accolte, nei termini che seguono.
Posto che non è in discussione, nella stessa prospettiva della parte convenuta, che il comma secondo dell’art. 2 della l. 13/1989, conformemente alla sua lettera, consenta al singolo condomino – in caso di inerzia o di parere contrario da parte dell’assemblea condominiale – di “installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili” (servoscala alla costruzione del quale la parte convenuta non si è espressa in modo contrario ma che, tuttavia, come meglio si dirà più avanti, nel caso di specie non rappresenta una soluzione fattibile nel caso di specie), questione controversa fra le parti è, invece, se la costruzione di un ascensore, nel caso di specie esterno, rientri fra le innovazioni consentite al singolo condomino che abbia diritto ad avvalersi della speciale normativa prevista per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si è espressa, ormai in plurime occasioni, ritenendo che, là dove l’ascensore sia volto alla eliminazione delle barriere architettoniche ai sensi della l. n. 13 del 1989, tale impianto vada annoverato fra quelli indispensabili per l’effettiva abitabilità dell’appartamento e, conseguentemente, che nel caso in cui il condominio non deliberi la realizzazione dell’intervento innovativo necessario, assumendone le spese, esso possa essere realizzato dal singolo condomino interessato a norma e con i limiti dell’art. 1102 c.c., norma da ritenersi applicabile anche in materia condominiale.
La Corte di Cassazione, in particolare, muovendo dalla considerazione che “nella valutazione del legislatore, quale si desume dalla citata L. n. 13 del 1989, art. 1 (operante a prescindere dalla effettiva utilizzazione degli edifici considerati da parte di persone portatrici di handicap: Corte Cost. n. 167 del 1999), l’installazione dell’ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici, costituisce elemento che deve essere necessariamente previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, presentati dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge”, desume ulteriormente che, nella valutazione del legislatore, “l’ascensore o i congegni similari (ma negli edifici con più di tre livelli fuori terra, solo l’ascensore) costituiscono dotazione imprescindibile per l’approvazione dei relativi progetti edilizi; in altri termini, l’esistenza dell’ascensore può senz’altro definirsi funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento, sia cioè assimilabile, quanto ai principi volti a garantirne la installazione, agli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari” e, inoltre, che, sebbene tale qualificazione sia dal legislatore imposta per i nuovi edifici o per la ristrutturazione di interi edifici, mentre per gli edifici privati esistenti valgono le disposizioni di cui all’art. 2 della legge in esame, “tuttavia, la assolutezza della previsione di cui all’art. 1 non può non costituire un criterio di interpretazione anche per la soluzione dei potenziali conflitti che dovessero verificarsi con riferimento alla necessità di adattamento degli edifici esistenti alla prescrizioni dell’art. 2” (in tal senso si è espressa Cass., n. 14096/2012, citata dalla stessa parte convenuta).
Nella pronuncia appena richiamata tali assunti rappresentano la premessa per affermare l’inapplicabilità – in aggiunta ai limiti previsti dall’art. 1102 c.c. – della disciplina codicistica in tema di distanze, nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi “indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass. n. 7752 del 1995; Cass. n. 6885 del 1991; Cass. n. 11695 del 1990)” (così, ancora, Cass., 14096/2012).
Nella successiva Cass., n. 7938/2017 tali concetti, integralmente ribaditi, valgono a statuire che la normale derogabilità dell’art. 1102 c.c. – per la quale i limiti, già previsti in via generale da tale norma, possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, che dunque può vietare l’installazione di ascensore ad uso esclusivo – deve cedere, invece, là dove si tratti di ascensore indispensabile alla fruizione del proprio appartamento da parte di uno dei condomini. In tale sentenza si è altresì rimarcato che, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 167/1999, la legislazione relativa ai portatori di handicap, in particolare la l. n. 13/1989, “non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma, come questa Corte ha già affermato (Cass. 18334/2012 in motivazione), ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, tali da dover essere assunti dall’intera collettività”, tramite l’introduzione di disposizioni generali per la costruzione di edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili (Corte Cost. n. 167/1999). Ha inoltre richiamato il “principio di solidarietà condominiale” (su cui, oltre alla sentenza già menzionata, v. anche Cass., n. 18334/2012), già applicato dalla giurisprudenza in considerazione del fatto “che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento di vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, e ciò a maggior ragione laddove vengano in rilievo diritti fondamentali di persone disabili e comunque anziane”.
Condivisibilmente, poi, Cass., n. 6129/2017, inserendosi integralmente nel solco di tale orientamento, ne ha fatto applicazione in una fattispecie concreta pressoché integralmente sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio, cassando la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto l’illegittimità della costruzione dell’ascensore da parte del condomino disabile insistente su parte di aree comuni (in quel caso, un’area destinata a giardino) proprio sul presupposto, oggi sostenuto dalla parte convenuta, che l’impianto di ascensore sarebbe manufatto diverso dal servoscala o, comunque, da struttura mobile e facilmente amovibile e perciò non rientrerebbe nel disposto dell’art. 2, co. 2 l. n. 13/1989.
Non paiono condivisibili le critiche di contraddittorietà che la parte convenuta ha mosso alla pronuncia appena citata, per avere essa espressamente richiamato – fra le altre – Cass., n. 14096/2012, nella quale risulta ribadita la lettura che attribuisce al primo comma dell’art. 2 una maggiore ampiezza di quella che deve attribuirsi al comma secondo della medesima norma, per cui solo i servoscala e strutture mobili e facilmente amovibili potrebbero essere installati, conto o senza il parere favorevole dell’assemblea, dal singolo condomino a spese proprie.
Da un canto, infatti, come si è già notato, in realtà Cass., n. 14096/2012 si pone in continuità con la giurisprudenza che sancisce il diritto ex art. 1102 c.c. alla costruzione di un impianto di ascensore da parte del singolo condomino, là dove esso risulti necessario alla fruizione dell’appartamento, con i limiti previsti dalla norma (cfr. Cass., n. 24006/2004; n. 3508/1999; n. 1781/1993, secondo le quali un condomino ha facoltà di installare nella tromba della scale dell’edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli atri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo, ciò sul presupposto che “l’art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l’approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 cod. civ., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa medesima”).
D’altro canto, semmai, proprio alla sentenza n. 6129/2017 si deve la risoluzione di una certa contraddittorietà, insita piuttosto nella precedente n. 14096/2012: coerentemente con le premesse, già affermate da detta sentenza, infatti, i giudici di legittimità sono infine giunti a riconoscere che tale diritto, sancito dall’art. 1102 c.c., non è estraneo al disposto dell’art. 2, l. 13/1989, nel senso che la costruzione dell’ascensore – a patto che sia indispensabile per poter godere del proprio appartamento – rientra fra le opere che il singolo condomino portatore di disabilità può realizzare a spese proprie, in conformità al disposto del comma secondo di tale articolo. Diversamente, dovrebbe ritenersi che tale norma, a dispetto del suo scopo, prevederebbe una disciplina più ristretta di quella prevista in via generale dall’ordinamento nell’art. 1102 c.c.
Da quanto sopra, dunque, discende che:
– già in via generale la costruzione di un ascensore potrebbe rientrare nel disposto dell’art. 1102 c.c. ed essere dunque realizzabile da parte del singolo condomino, posto che la giurisprudenza ha stabilito che, in linea di principio, qualora si immetta un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini, utilizzando una porzione di bene comune, il venir meno della utilizzazione di dette parti comuni dell’edificio nel modo originario non contrasta, di per sé e in modo automatico, con la norma dell’art. 1120, co. 2, perché, se pure resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore;
– in via generale, se, in concreto, a seguito della necessaria comparazione tra i danni propri ed i vantaggi arrecati dall’innovazione i primi risultassero prevalenti anche solo per uno dei condomini, l’innovazione non sarebbe consentita perché in contrasto con il disposto dell’art. 1120 (Cass., n. 1529/2000; n. 4152/1994);
– quando, però, l’ascensore sia installato per consentire l’accesso all’abitazione di un soggetto disabile o, comunque, di un soggetto che goda di pari tutela rispetto al diritto all’eliminazione delle barriere architettoniche, tale comparazione va fatta alla luce di quanto sancito dagli artt. 1 e 2 della l. 13/1989 e del principio di solidarietà condominiale; pertanto, sebbene anche in tal caso debba essere garantita l’osservanza dei limiti di cui all’art. 1120 c.c., deve tenersi conto, nel bilanciamento di esigenze contrapposte, che il diritto dei soggetti disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche assume rango di diritto di rango primario e fondamentale.
Alla luce dei principi sopra esposti, deve ritenersi che spetti agli attori il diritto alla costruzione, a proprie spese, dell’impianto di ascensore richiesto.
Sotto il profilo soggettivo, infatti, il Tribunale condivide l’orientamento, sostenuto dalla dottrina e già affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la normativa speciale di tutela relativa all’eliminazione delle barriere architettoniche deve ritenersi intesa ad agevolare non solo i portatori di handicap ma, in generale, tutti i soggetti che si trovano in condizioni fisiche disagiate, a causa delle quali subiscano limitazione nei movimenti normalmente consentiti alla generalità delle persone, risultando perciò applicabile anche agli anziani ultrasessantacinquenni, che pur non avendo problemi di difficoltà motorie, sono comunque in condizioni fisiche minori e hanno difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (Trib. Termini Imerese, 22 dicembre 2008, in Arch. loc., 2009, 3, 278; Pret. Roma, 15 maggio 1996, in Arch. loc., 1996, 564; Trib. Napoli, 14 marzo 1994, in Nuova giur. comm., 1995, I, 649). A maggior ragione, essa trova applicazione quando “si tratti di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie” (Cass. 28 marzo 2017, n. 7938, sul presupposto che il concetto di disabilità vada interpretato “in senso ampio, anche alla luce della nuova dimensione che ha assunto il diritto alla salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico”).
Gli attori sono entrambi ben più che sessantacinquenni, sicché risulta intuitivo che essi subiscano a causa dell’età limitazioni di movimento dovute all’assenza di dispositivi di sopraelevazione verso l’appartamento sito al terzo piano in cui vivono; situazione, questa, certo non destinata a migliorare con il passare del tempo. Quantomeno con riferimento alla sig.ra (omissis) inoltre, risulta documentata da certificazione medica, il cui contenuto non è stato posto in discussione dalla controparte, la sussistenza, già nel 2015, di condizioni di salute tali da sconsigliare sforzi fisici di ogni genere, compreso il salire le scale.
Deve concludersi, pertanto, che nella situazione di specie l’installazione di un impianto di sopraelevazione assuma il carattere non solo di una facilitazione, ma della vera e propria eliminazione di una barriera architettonica. In difetto, infatti, sarebbe fortemente limitata la possibilità stessa di fruire della propria abitazione, dovendosi ritenere, alla luce della giurisprudenza su citata, che non sia necessaria, ai fini del riconoscimento del diritto alla eliminazione delle barriere architettoniche, la totale e assoluta compromissione da parte dell’avente diritto nell’utilizzo del proprio bene, ma sia sufficiente che il pieno godimento dello stesso risulti possibile solo a costo di rilevanti sacrifici personali, organizzativi ed economici che alla generalità delle persone, versanti in normali condizioni di validità, non sono richiesti.
Sotto il profilo oggettivo, va precisato che la CTU disposta in corso di causa, espletata dall’Ing. (omissis) ha escluso la fattibilità della proposta, proveniente dal (omissis), di realizzazione di un servoscala, evidenziando come tale strumento non sarebbe adeguato all’elevato dislivello da superare (9 metri, lungo ben sei rampe di scale) e, soprattutto, come la limitata larghezza delle rampe (pari a circa 100 cm) comprometterebbe l’utilizzo delle stesse da parte degli altri condomini, impedendo l’utilizzo della scala da parte di altri utenti quando il servoscala è in funzione e rendendo comunque difficoltoso il transito anche a servoscala inattivo, a causa della presenza della rotaia e della conseguente sezione utilizzabile, inferiore ai parametri di buona prassi richiesti in materia.
In sede di risposta alle osservazioni proposte dal consulente della parte convenuta, il CTU, evidenziando, peraltro, come l’ipotesi della costruzione di un servoscala fosse già stata analizzata e concordemente accantonata nel corso di uno degli incontri peritali, ha aggiunto che detta ipotesi – sebbene non irrealizzabile in assoluto – ridurrebbe la larghezza delle scale sino a limiti inferiori rispetto a quelli richiesti dalla normativa antincendio e risulterebbe pericolosa nell’ipotesi in cui si trattasse di garantire l’accesso ai soccorsi con barelle o di far evacuare l’edificio. Quanto ai regolamenti edilizi, la (omissis) non ha ancora normato questo aspetto; la (omissis) prevede una larghezza minima di 90 cm, che non sarebbe garantita dalla costruzione del servoscala; altre città prevedono la possibilità di scendere a larghezze inferiori, ma solo ove non vi sia altra soluzione possibile, soluzione nel caso di specie rappresentata dalla costruzione dell’ascensore esterno.
Quanto alla costruzione – dunque, sostanzialmente necessitata – dell’impianto di ascensore esterno, nel corso della CTU gli attori hanno sostituito il progetto iniziale, del quale il CTU aveva evidenziato plurime criticità, con un secondo progetto, che il CTU, con argomenti logici ed esaustivi, ha ritenuto migliorativo e idoneo a non ledere confliggenti interessi dei condomini all’utilizzo della cosa comune.
Secondo tale nuova proposta, in particolare, l’ascensore risulta spostato sul retro dell’edificio, in corrispondenza del vano scala; l’imbarco avviene sempre a livello del cortile e lo sbarco avviene sul pianerottolo di interpiano del vano scala, poco sotto l’ingresso dell’appartamento della parte attrice; l’ultima rampa di gradini (circa 1,5 mt. di dislivello) risulta coperta dall’installazione di un breve tratto di servoscala.
Secondo le condivisibili osservazioni contenute nella CTU:
– il progetto presentato per quanto riguarda il manufatto in sé (dimensioni in pianta della cabina 120×123 cm) rappresenta il minimo necessario a consentire la manovrabilità di una carrozzina (min. 120X120 cm) che debba compiere una rotazione di 90°;
– la realizzazione dell’ascensore nei pressi del vano scala elimina il restringimento sul passaggio lungo il lato sud dell’edificio, risultando meno impattante sulla viabilità interna condominiale in quanto i box adiacenti al vano scala sono facilmente raggiungibili sia dall’ingresso di via (omissis) che dall’ingresso di via (omissis). Nella nuova soluzione, inoltre, anche a motivo della configurazione dell’edificio, il passaggio libero risulta superiore di quello presente sul lato sud, interessato dal primo progetto. In particolare, il passaggio asfaltato sul retro ha una larghezza di circa 6,25 mt (superiore al passaggio presente sul lato sud), per cui la realizzazione dell’ascensore lascerebbe comunque un passaggio libero di oltre 4,5 mt. In tal modo l’impatto sulla viabilità interna, non eliminabile in assoluto, risulterebbe, tuttavia, ridotto al minimo;
– nei pressi della nuova posizione non sono presenti condotti fognari, così risolvendosi uno degli inconvenienti del primo progetto, rappresentato dalla necessità di deviare un condotto fognario a gravità; è rimasto il dubbio, che il CTU non ha potuto sciogliere, sulla presenza di una tubazione per la distribuzione del gas metano; tuttavia, a parere del CTU, una sua eventuale deviazione, essendo un tubo in pressione, comporterebbe comunque minori problemi;
– nella nuova localizzazione, essendo il vano corsa posto sul retro dell’edificio, in posizione non visibile delle strade pubbliche, risulta nullo l’impatto negativo sulla facciata fronte strada;
– per raggiungere l’ascensore dall’ingresso pedonale non occorre più costeggiare l’edificio ma si può attraversare direttamente l’androne utilizzando per uscire nel cortile posteriore una porte secondaria posta proprio in corrispondenza del vano corsa;
– la nuova posizione sul lato est dell’edificio riduce notevolmente l’irraggiamento solare limitando l’effetto serra all’interno della cabina e del vano corsa.
– la nuova posizione con la fermata prevista sui pianerottoli di interpiano del vano scala permette potenzialmente l’utilizzo dell’ascensore a tutti e sei gli appartamenti che si affacciano alla scala stessa;
– poiché lo sbarco al piano verrebbe ricavato demolendo parzialmente la parte esterna del vano scala in corrispondenza delle esistenti finestre, la nuova versione riduce le porzioni di muro da demolire, sfruttando la presenza delle finestre sulle scale (si dovrà demolire solo la porzione di sottofinestra in corrispondenza dell’ingresso all’ascensore); ciò, peraltro, renderà in futuro più agevole l’eventuale realizzazione di uscite verso altri piani;
– il secondo progetto, secondo quanto rilevato dal CT di parte, presenterebbe l’inconveniente di coprire le finestre attualmente presenti nel vano scala. Sul punto, il CTU ha ricordato che i vani scala per legge non devono rispettare rapporti aeroilluminanti, potendo addirittura essere ciechi, e che comunque il manufatto esterno non coprirebbe completamente le finestre, lasciando libera una porzione di oltre 30 cm. La realizzazione della struttura esterna in vetro ed acciaio garantirà in ogni caso tutta l’illuminazione necessaria al vano scala. Quanto all’aerazione delle scale medesime, gli attori hanno replicato che le finestre si aprono verso l’interno, sicché gli inconvenienti lamentati non sussistono. Quand’anche così non fosse, pare di potersi ritenere che agevolmente potrebbe essere invertito il verso di apertura delle finestre, con ciò garantendo la necessaria aerazione, ove ritenuta fattore irrinunciabile da parte dei condomini;
– quanto all’utilizzo pretesamente limitato ai soli coniugi oggi attori, il secondo progetto consentirebbe di avvantaggiarsi della presenza dell’ascensore a quattro diversi appartamenti: il sig. (omissis) ed il dirimpettaio (rampa di scala in salita), gli appartamenti sottostanti (rampa di scala in discesa); inoltre, chi volesse in futuro avvalersi dell’ascensore potrebbe farlo attraverso modifiche non particolarmente onerose (la mera riprogrammazione della corsa dell’ascensore e la modifica della finestra esterna attualmente presente, per aprire il varco necessario nella relativa sottofinestra);
– infine, non pare contraddittorio che il CTU abbia ritenuto accettabile l’installazione di un servoscala lungo una sola rampa di scale, come previsto nel secondo progetto, trattandosi di situazione ben diversa rispetto a quella, ipotizzata dal (omissis), di realizzazione lungo tutto il dislivello sino al terzo piano; né il dirimpettaio degli attori, che risulta indubbiamente svantaggiato rispetto agli altri nel secondo progetto, risulterebbe tuttavia totalmente sacrificato nel godimento del proprio bene privato, essendo inapplicabili al caso di specie, pertanto, i principi statuiti da Cass., n. 24235/2016, richiamata da parte convenuta.
Sulla base della CTU, in conclusione, risulta che l’immobile – senza subire danni sotto il profilo estetico e con inconvenienti ridotti al minimo, sotto il profilo della riduzione di spazi e delle mura da abbattere – potrebbe dotarsi di impianto che non può non essere considerato, oggettivamente, anche sotto il profilo dell’aumento di valore dell’immobile, vantaggioso, senza che alcuno dei condomini risulti perciò sacrificato nel proprio godimento dello spazio comune e senza che di tale spazio risulti alterata la destinazione se non in misura minima, che, in una prospettiva di bilanciamento di interessi orientata alla solidarietà condominiale, è imposta dalla circostanza che non risultano fattibili altre soluzioni per garantire agli attori libertà di movimento da e per il loro appartamento.
In tale prospettiva, coerentemente con il percorso giurisprudenziale su richiamato il carattere di mobilità e di facile rimovibilità dell’intervento da attuarsi per l’eliminazione delle barriere architettoniche risulta superato. Una volta, infatti, che l’ascensore – per l’assenza di altre soluzioni – debba essere qualificato come impianto per rendere agibile l’abitazione della persona disabile nell’immobile condominiale, esso potrà essere realizzato a norma dell’art. 2, co. 2 l. 13/1989, a spese dell’interessato, anche a prescindere dalla sussistenza di tale carattere (che, ovviamente, non potrà non presentarsi in grado minore rispetto a un mero servoscala).
Peraltro, alla luce delle considerazioni del CTU in merito, l’impianto di ascensore parrebbe dover essere qualificato come bene mobile, non essendo stabilmente ancorato al suolo (l’ascensore necessiterebbe della realizzazione solo di una fossa di 13 cm, essendo la stabilità garantita da una piastra di 25 cm di spessore come fondamento e da tasselli di ancoraggio all’edificio lungo l’altezza); quanto alla rimovibilità, deve ritenersi che non incida su tale aspetto – contrariamente a quanto ritenuto dal CTU – la necessità di ottenere autorizzazioni amministrative, quanto la materiale facilità dell’operazione, non esclusa dal CTU, trattandosi di struttura in vetro e profilati metallici assemblabile e disassemblabile in loco dagli operai specializzati.
Deve escludersi, inoltre, alla luce di tutto quanto su osservato, che si diano nel caso di specie, nell’ipotesi di realizzazione dell’impianto come da secondo progetto, pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o alterazioni al decoro architettonico o che talune parti comuni dell’edificio siano rese inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, come prescritto dall’art. 1120, ult. comma c.c. in tema di innovazioni.
Va dichiarato, pertanto, il diritto degli attori alla realizzazione nel (omissis) convenuto di un impianto di ascensore, secondo il progetto denominato nella relazione di consulenza tecnica dell’Ing. (omissis) “Nuovo progetto rivisto da CTU”, allegato alla relazione sub doc. 5.
Va altresì accolta, alla luce di quanto su esposto, la domanda di declaratoria della nullità della delibera condominiale del 3.11.2014, in relazione al punto 5 dell’ordine del giorno, in quanto assunta su un oggetto non rientrante non rientrante nei poteri dell’assemblea (sul punto, cfr. SS.UU., n. 4806/2005). Legittimamente, infatti, l’assemblea può essere chiamata a esprimersi circa la realizzazione a spese del condominio degli interventi necessari al superamento delle barriere architettoniche, mentre esula totalmente dalle attribuzioni assembleari l’inibizione al singolo condomino dell’esercizio dei diritti che lo stesso ritenga spettargli a norma dell’art. 2, l. n. 13/1989 e 1102 c.c.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza a norma dell’art. 91 c.p.c., per cui la parte convenuta va condannata a rifondere agli attori le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano – tenuto conto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, ritenuta la causa di valore indeterminabile e facendo riferimento ex art. 5, co. 6 D.M. n. 55/2014 allo scaglione da € 26.001 a € 52.000, in relazione alle caratteristiche della medesima – in € 1620 per la fase di studio, € 1147 per la fase introduttiva, € 1720 per la fase istruttoria, € 2000 per la fase decisionale (così ridotto il valore medio in considerazione del fatto che, in relazione all’andamento della causa, non vi è stata necessità di integrare gli argomenti già svolti negli atti precedenti) e così complessivamente € 6487 per compensi oltre 15 % rimborso forfettario spese generali, CPA e IVA se dovuta per legge, e oltre agli esborsi documentati (€ 518 per CU, € 27 per bolli, € 7,42 per spese di notifica dell’atto di citazione, pari a complessivi € 552,42).
Non risultano esposti né documentati i costi sostenuti per la relazione di consulenza tecnica di parte, di cui è stato chiesto dagli attori il rimborso in sede di conclusioni.
La domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. degli attori, totalmente vittoriosi, non può che essere respinta.
Si ritiene, peraltro, non accoglibile anche l’analoga domanda proposta dalla parte attrice nei confronti del convenuto. Benché, infatti, il (omissis) abbia tenuto comportamenti processuali aggravatori dell’attività processuale – quali il rifiuto della proposta conciliativa proveniente del CTU insistendo, ancora in sede conclusiva, nella fattibilità del servoscala, ciò nonostante la bontà di tale opzione fosse stata dai tecnici precedentemente esclusa in modo concorde, in sede di operazioni peritali, come segnalato dal consulente dell’ufficio – analogo atteggiamento processuale va imputato alla parte attrice, che ha presentato ricorso cautelare in corso di causa dichiarato de plano inammissibile dal giudice (decreto 30.11.2015), in quanto volto esclusivamente, al di fuori di ragioni di urgenza, a ottenere una indebita accelerazione del normale andamento del processo. Pare allora che in tale situazione, caratterizzata da esacerbazione della naturale conflittualità processuale da parte di entrambe le parti, non possa darsi applicazione all’art. 96, co. 3 c.p.c., per la quale deve ritenersi necessario – secondo il condivisibile orientamento ormai reiteratamente affermato dalla Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite – l’accertamento della mala fede o della colpa grave della parte soccombente (Cass., 11 febbraio 2014, n. 3003).
Le spese della CTU vanno definitivamente poste a carico di entrambe le parti, nella misura del 50 % ciascuna. Anche gli attori, infatti, si sono avvantaggiati dell’opera del consulente, essendo scaturito il secondo progetto di ascensore proprio dalle considerazioni svolte in quella sede.
Nulla va statuito quanto alle spese del procedimento cautelare RG n. 390-1/2015, proposto in corso di causa, cui si è appena sopra accennato, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso prima della costituzione della parte resistente.
P.Q.M.
il Tribunale di Novara, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 390/2015 R.G., nel contraddittorio delle parti:
– accerta il diritto degli attori (omissis) e (omissis) proprietari dell’immobile censito al NCEU di Novara, Foglio 51, particella 298 sub 7, 26 e 37, all’installazione, a proprie spese, di ascensore ad uso esclusivo in corrispondenza del civico 26E di Via Valsesia secondo il progetto indicato nella CTU in atti come allegato alla relazione peritale medesima sub doc. n. 5, con conseguente diritto all’utilizzo degli spazi comuni condominiali nel limiti di quanto reso necessario da tale progetto;
– dichiara la nullità della delibera assemblare del (omissis) assunta lì 3 novembre 2014, con riferimento al punto 5 dell’o.d.g.;
– condanna la parte convenuta alla rifusione alle parti attrici delle spese del presente giudizio, liquidate in € 6487,00 per compensi oltre 15 % rimborso forfettario spese generali, CPA e IVA se dovuta per legge ed € 552,42 per esborsi documentati;
– pone le spese di CTU, già liquidate dal con separato decreto, definitivamente a carico di parte attrice e di parte convenuta nella misura del 50 % ciascuna.
Novara, 10 gennaio 2019