• Home
  • >
  • Tribunale di Nocera Inferiore, 20/03/2025, n. 775

Tribunale di Nocera Inferiore, 20/03/2025, n. 775

Massima

Il delitto di maltrattamenti in famiglia è un’ipotesi di reato necessariamente abituale a condotta plurima, che si realizza attraverso la reiterazione di atti vessatori (anche se isolatamente non punibili o non perseguibili) che acquistano rilevanza penale per effetto della loro ripetizione nel tempo, purché non siano sporadici e manifestino una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima. La condotta si configura anche se intervallata da periodi di normalità e accordo con il soggetto passivo. Nel caso di specie, è stata ritenuta raggiunta la prova della ripetitività degli episodi di violenza, vessazione e umiliazione che hanno reso la convivenza intollerabile, dolorosa e mortificante, sintomatica di una latente e persistente aggressività volta a creare un clima di costrizione e sudditanza.

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso all’esito dell’udienza preliminare del 9.4.2018, (omissis) veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere dei reati meglio specificati in fatto nella sopra trascritta imputazione.

All’udienza del 19.8.2018, a causa di un difetto di notifica il processo veniva differito all’udienza del 15.5.2019.

All’udienza del 15.5.2019, dopo aver dichiarato nel contraddittorio delle parti l’assenza dell’imputato (regolarmente raggiunto dalla notifica del decreto introduttivo del giudizio e non comparso), si dava atto del deposito di verbale di remissione ed accettazione di querela; il processo veniva quindi differito all’udienza dell’8.1.2020. All’udienza dell’8.1.2020, a causa dell’assenza del Giudice titolare del procedimento si disponeva rinvio all’udienza dell’11.11.2020.

All’udienza dell’11.11.2020 (la prima celebrata innanzi allo scrivente), in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l’apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all’imputazione; si procedeva all’esame del teste (omissis); all’esito, il processo veniva rinviato per il prosieguo dell’attività istruttoria all’udienza del 21.7.2021.

All’udienza del 21.7.2021, in ottemperanza alle disposizioni contenute all’interno del decreto n. 63 emesso dal Presidente del Tribunale in data 29.6.2021, si disponeva rinvio all’udienza del 18.5.2022.

All’udienza del 18.5.2022, le parti concordavano ai sensi dell’art. 493 comma 3 c.p.p. l’acquisizione dei verbali di denuncia del 22.2.2017 e del 24.2.2017 a firma della persona offesa Ma.Pa., con riserva di domande integrative; veniva escusso il teste (omissis); all’esito, il processo veniva differito all’udienza dell’8.2.2023.

All’udienza dell’8.2.2023, a causa dell’assenza dei residui testi di lista del Pubblico Ministero si disponeva rinvio fino all’udienza del 16.10.2024.

All’udienza del 16.10.2024, si procedeva all’esame del teste (omissis); le parti concordavano ai sensi dell’art. 493 comma 3 c.p.p. l’acquisizione dell’annotazione di P.G. datata 22.5.2016 in luogo dell’esame del teste (omissis); all’esito, il processo veniva rinviato ai fini della discussione all’udienza del 19.3.2025.

All’udienza del 19.3.2025, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti concludevano come in epigrafe.

Al termine della conseguente camera di consiglio si dava lettura del dispositivo della presente sentenza, riservando il deposito dei motivi della decisione entro il termine ordinario.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Sono contestati all’imputato i reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p., per aver sottoposto a continui maltrattamenti la propria convivente (omissis), cagionandole lesioni personali in tre diverse occasioni.Ritiene questo Giudice che gli esiti dell’istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di (omissis) in ordine al reato di cui al capo a) dell’imputazione; non può invece procedersi in relazione al reato di lesioni in contestazione al capo b) della rubrica perché lo stesso, esclusa la contestata recidiva, risulta ormai estinto per intervenuta prescrizione.

In considerazione dell’oggetto specifico dell’imputazione, occorre in primo luogo sunteggiare quanto dichiarato in dibattimento dalla persona offesa (omissis), la quale si pone come principale – nonché unica – accusatrice dell’imputato, avente conoscenza diretta di tutte le condotte contestate al (omissis); pertanto, l’impianto argomentativo in cui si articola la presente decisione è basato principalmente sul riscontro della attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, nonché sulla credibilità soggettiva della stessa, e quindi essenzialmente nei termini di una tipica valutazione di logicità e congruenza della prova anche alla stregua delle normali regole di esperienza, alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui – pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole di valutazione probatoria di cui all’art. 192 comma 3 c.p.p., perché le stesse possono essere legittimamente poste anche da sole a fondamento della penale responsabilità dell’imputato – si impone comunque, in ordine ad esse, la verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. ex multis, Cass. Perì. Ss. Un., sentenza n. 41461 del 19.7.2012, Rv. 253214).

Ebbene, nel caso in esame, le emergenze dibattimentali inducono a ritenere pienamente verosimile la versione dei fatti veicolata in dibattimento dalla persona offesa.

Costei, all’interno del verbale di denuncia del 22.2.2017 e successiva integrazione del 24.2.2017 (acquisiti ai sensi dell’art. 493 comma 3 c.p.p., e dunque pienamente utilizzabili), nonché nel corso dell’udienza del 18.5.2022, ha dichiarato di aver intrapreso nell’anno 2011 una relazione sentimentale con (omissis), dalla quale nasceva il figlio (omissis).

Tale relazione iniziava tuttavia ad incrinarsi già dopo i primi mesi di convivenza a causa di incompatibilità caratteriali, che determinavano frequenti litigi all’esito dei quali la donna veniva maltrattata e percossa: la persona offesa (già madre di due figli, nati da una precedente relazione) ha invero dato conto dei numerosi comportamenti intemperanti posti in essere dall’imputato, il quale sovente non esitava – incurante della presenza dei figli – ad ingiuriarla e minacciarla a più riprese (“lui stesso mi ha riferito che è stato arrestato e detenuto a Roma, e spesso mi dice di avere delle armi che però non ho mai visto né in casa né altrove, con le quali mi vorrebbe uccidere, e precisamente dice “ti sparo un colpo in testa e ti uccido””), altresì aggredendola fisicamente.

In una occasione, allorquando il piccolo (omissis) aveva appena 6 mesi, la (omissis) – dopo essere stata picchiata dall’imputato – si rifugiava all’interno della camera da letto, chiudendo la porta a chiave: il (omissis). avrebbe quindi sfondato la porta con un calcio, inducendo la donna a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, rifiutandosi tuttavia di denunciare l’accaduto (“in quella circostanza, per evitare di peggiorare la situazione, evitai di denunciarlo anche perché non sapevo dove andare”).

Dopo circa due anni dall’inizio della convivenza, al fine di avvicinarsi ai propri familiari, la (omissis) proponeva al (omissis) di trasferirsi presso un appartamento sito in L.; nonostante la coppia vivesse ormai da “separata in casa”, la situazione continuava tuttavia a peggiorare, tant’è che la (omissis) – che pure, in passato, non si era mai fatta refertare (“voglio precisare che tantissime altre volte ho subito maltrattamenti e percosse, ma non mi sono sottoposta a visite anche perché lui mi picchia colpendomi in testa, in modo da non lasciarmi segni e questo lo fa consapevolmente, in quanto lo dice pure”) – si vedeva costretta in due occasioni a ricorrere alle cure mediche (cfr. certificati sanitari in atti): in data 11.6.2014, il (omissis) la percuoteva con un appendiabiti in plastica; in data 22.5.2016, l’imputato percuoteva sia la compagna che la di lei madre (omissis), tanto da costringerla a contattare la locale Stazione CC.

La preoccupante escalation comportamentale del (omissis), lungi dall’arrestarsi, si acuiva ulteriormente nei giorni immediatamente precedenti alla denuncia del 22.2.2017 (“/” maltrattamenti negli ultimi tempi sono peggiorati, e quelli psicologici sono quasi quotidiani, mi minaccia di farmi togliere i figli dicendo che sono pazza, mentre denuncio che fisicamente mi ha percossa venerdì sera e stamattina anche davanti ai bambini quando stavamo uscendo”), con conseguenti ripercussioni sull’equilibrio psico-fisico della donna (“non ce la faccio più a sopportare queste umiliazioni, maltrattamenti e violenze, (…) tutti questi suoi comportamenti, maltrattamenti, vessazioni, mi hanno procurato un grave stato di ansia e di paura”). In sede di integrazione di denuncia, poi, la donna esibiva referto medico del 22.2.2017, rappresentando di aver deciso di abbandonare la casa familiare, riparando presso l’abitazione della madre; all’udienza del 18.5.2022, infine, la (omissis) (che, in data 13.5.2019, aveva già inteso rimettere la querela) ha riferito che i rapporti con il (omissis) si siano ormai tranquillizzati, con la condivisa decisione di interrompere definitivamente la loro relazione.

Quanto alle dichiarazioni rese dagli ulteriori testi escussi nel corso del dibattimento, mentre il narrato degli operanti (omissis) e (omissis) si palesa tutto sommato neutro (avendo costoro semplicemente ricevuto le denunce formulate dalla persona offesa), quanto rappresentato dai testi (omissis) e (omissis) assume rilevanza quanto alle conseguenze psicofisiche subite dalla Ma., avendo costoro constatato personalmente – in occasione di un intervento effettuato in data 22.5.2016 – lo stato di agitazione in cui versava la donna. Così brevemente ripercorse le risultanze fattuali della vicenda, può ritenersi acclarata la penale responsabilità di (omissis) in ordine al reato di cui all’art. 572 c.p., commesso in danno di (omissis).

La persona offesa – della cui credibilità non è dato in alcun modo dubitare – ha infatti esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa, riferendo dettagliatamente le circostanze di cui al capo di imputazione. A tale riguardo, come è noto, secondo l’insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere) la testimonianza della persona offesa – anche se costituita parte civile – ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, sussistenti nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità.

Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, invero, da sottoporre ad un’indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi, ben possono assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell’imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Peri. Sez. 4, sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901). Va inoltre rammentato che, ancora secondo l’insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Pen. sez. 4, sentenza del 10.10.2006, n. 35984).

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve anzitutto rilevarsi come le dichiarazioni accusatorie di (omissis) si manifestino pienamente attendibili per diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, esse palesano una adeguata credibilità intrinseca, fornendo una versione dei fatti lineare e connotata da un ordinato sviluppo logico, caratterizzato da una successione non irrazionale degli accadimenti e da un soddisfacente tasso di uniformità, non registrandosi, invece, alcuna illogicità patente o contraddizione. Invero le dichiarazioni della donna, pur dando atto delle percezioni soggettive della medesima, riferiscono in modo oggettivo gli eventi narrati e dimensionano senza deformazioni tali accadimenti, ben potendosi escludere qualsiasi intento calunniatorio in capo alla (omissis), avendo costei proceduto a rimettere la querela, manifestando così l’assenza di qualsivoglia accanimento punitivo nei confronti dell’imputato. Non può peraltro sottacersi come la donna, sebbene vittima di un reato particolarmente grave, non si sia neppure costituita parte civile, in tal modo dimostrando l’assenza di ragioni di interesse economico relative all’esito del presente giudizio, e sia per tale ragione da ritenersi vieppiù attendibile. Non può, del resto, sottacersi la circostanza per cui l’imputato, nell’esercizio di una sua pur legittima facoltà, abbia deciso di non sottoporsi ad esame, di fatto privandosi consapevolmente della possibilità di fornire una versione alternativa della vicenda. L’istruttoria dibattimentale, così sunteggiata, consente allora di ritenere raggiunta la prova della ripetitività degli episodi di violenza, di vessazione o di umiliazione che avrebbero reso la convivenza tra il (omissis) e la (omissis) intollerabile, dolorosa e mortificante.

Come è noto, il reato di maltrattamenti in famiglia integra un’ipotesi di reato necessariamente abituale a condotta plurima, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti (per lo più commissivi, ma anche omissivi), i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (come atti di infedeltà, di umiliazione generica) ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; il reato si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità, e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81 cpv. c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra.

Giova evidenziare come, tradizionalmente, lo scenario di riferimento della condotta penalmente rilevante fosse la famiglia tradizionalmente intesa: pertanto, la fattispecie si riteneva riferibile esclusivamente a condotte realizzate in danni di coniugi, consanguinei, affini, adottati e adottanti.

La più evoluta e recente interpretazione, seguita dagli interventi del Legislatore, ha invece ampliato il novero dei possibili soggetti passivi del reato e, in un’ottica omnicomprensiva, vi ha fatto rientrare quelli legati al soggetto agente da qualsiasi rapporto di parentela, nonché i domestici, e comunque in tutte le ipotesi di convivenza, con conseguente estensione del campo applicativo della fattispecie in esame anche al convivente more uxorio.

Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (cfr. Cass. Peri. Sez. 3, sentenza n. 6724 del 22.11.2017 ud. (dep. 12.2.2018), Rv. 272452).

Nel contempo, tuttavia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima (fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa in relazione a tre distinti episodi di minaccia, ingiuria e percosse, posti in essere dall’imputato a distanza di tempo l’uno dall’altro ed in un arco temporale di circa undici mesi, cfr. Cass. Pen. Sez. 6, sentenza n. 6126 del 9.10.2018 ud. (dep. 7.2.2019), Rv. 275033). In altri termini, il reato in parola deve ritenersi sussistente anche laddove siano riscontrabili, nella condotta dell’agente, periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo, purché gli atti vessatori non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima.

Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, appare evidente che – per quanto traspare dal racconto della stessa persona offesa – la convivenza tra il Gi. e la Ma. sia stata caratterizzata (sin dall’epoca immediatamente successiva all’inizio della convivenza) da una persistente condotta mortificante, umiliante e vessatoria da parte dell’imputato, connotata da una serie di momenti di forte litigiosità, culminati in aggressioni fisiche. I diversi episodi raccontati – con dovizia di particolari – dalla persona offesa appaiono invero connotati da esplicita violenza, sia fisica che verbale, dovendo imputarsi la mancata tempestiva denuncia dell’accaduto da parte di costei (la Ma., invero, si determinava a sporgere querela dopo diversi anni) al rapporto affettivo che la legava al Gi. (in nome del quale era disposta a “sopportare” tali condotte, e a non recidere ogni possibilità di contatto con lo stesso), al timore di ulteriori e ancor più gravi conseguenze, e alle difficoltà economiche in cui ella – già madre di due figli, nati da una precedente relazione – versava.

Non può che ritenersi, quindi, che quel rapporto di convivenza sia stato un’incubatrice di atteggiamenti prevaricatori del prevenuto ai danni della persona offesa, sintomatici di latente e persistente aggressività nei suoi confronti, e volti a creare un clima di costrizione e sudditanza, tale da impedire alla (omissis) di denunciare per tempo le condotte violente del (omissis). Tali atteggiamenti – per la ripetitività e la gravità da cui erano caratterizzati – hanno invero provocato nella persona offesa una profonda sensazione di paura, di sofferenza, di prevaricazione e di umiliazione, fonti queste di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza. Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, poi, sussiste pienamente il dolo (che è generico, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la persona offesa alla propria condotta abitualmente offensiva), non essendovi dubbio alcuno che l’imputato fosse pienamente consapevole delle sofferenze inferte alla propria compagna tramite i suoi comportamenti (si pensi alla perdurante condotta di discreditamento morale della donna, sintomatica della coscienza e volontà di prevaricare il soggetto passivo, manifestandogli assoluta mancanza di comprensione ed empatia). In definitiva, (omissis) va ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, del reato a lui ascritto al capo a) della rubrica. Non può invece ulteriormente procedersi in relazione al reato di cui agli artt. 582-585 c.p., contestato al capo b) della rubrica: esso costituisce invero fattispecie di natura delittuosa, punita con pena detentiva non superiore nel massimo ad anni sei, caratterizzata pertanto da un termine prescrizionale di durata maggiore rispetto ai reati contravvenzionali (6 anni per la prescrizione breve, 7 anni e 6 mesi ove ricorrano idonei atti interruttivi).

Nel caso di specie (trovando applicazione, ratione temporis, il regime delineato dalla legge 251/2005), il decreto introduttivo del giudizio (emesso in data 9.4.2018) ha sicuramente, da ultimo, funto – alla luce dell’elencazione tassativa di cui all’art. 160 c.p. – da idoneo atto interruttivo, elevando il termine di prescrizione ad anni 7 e 6 mesi.

L’epoca di consumazione del reato contestato all’imputato va collocata fino al 22.2.2017 (cfr. decreto ex art. 429 c.p.p.): pertanto, non sussistendo ipotesi di sospensione nel corso del giudizio, il termine di prescrizione risulta alla data odierna ormai integralmente decorso.

Quanto alla contestata recidiva, giova precisare che – ad avviso della Suprema Corte – il Giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (cfr. Cass. Per). Sez. F, sentenza n. 35526 del 19.8.2013 Ce., Rv. 256713).

Ebbene, nel caso che ci occupa, si ritiene che la recidiva vada esclusa, in quanto la condotta in contestazione non appare espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell’imputato (cfr. Cass. Pen. Ss. Un. n. 35738 del 5.10.2010), dal momento che i precedenti penali dai quali risulta gravato il Gi. si riferiscono a condotte risalenti nel tempo, del tutto scisse dall’attuale addebito. Va dunque senz’altro dichiarata l’estinzione del reato contestato al capo b) della rubrica, non sussistendo i presupposti per l’assoluzione dell’imputato, in quanto dall’istruttoria dibattimentale espletata non è emerso che i fatti non sussistano o che l’imputato non li abbia commessi, ovvero che i fatti non costituiscano reato o non siano previsti dalla legge come reato, dovendosi rammentare che la pronuncia di prescrizione prevale anche sulla statuizione di assoluzione ex art. 530 cpv. c.p.p. in caso di decisione all’esito del giudizio.

Trascorrendo quindi al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all’imputato -in considerazione dell’avvenuta cessazione delle condotte delittuose poste in essere nei confronti della persona offesa, sintomo evidente di una rimeditazione in chiave critica del proprio precedente contegno – le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.

Sussiste la contestata aggravante del fatto commesso alla presenza di minori, dovendosi evidenziare – da un lato – come ai fini della sua configurabilità non è necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell’abitualità, essendo sufficiente che egli assista ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato (cfr. Cass. Pen. Sez. 6, sentenza n. 2003 del 25.10.2018 ud. (dep. 16.1.2019), Rv. 274924), e – dall’altro – come non occorra che il minore, esposto alla percezione della condotta illecita, abbia la maturità psicofisica necessaria per comprendere la portata offensiva o lesiva degli atti commessi in sua presenza (cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 3, sentenza n. 18097 del 15.11.2019 ud. (dep. 12.6.2020), Rv. 280037): nel giudizio di comparazione imposto dall’art. 69 c.p., tale aggravante va giudicata equivalente con le riconosciute circostanze attenuanti generiche.

Pertanto, alla stregua degli indici di commisurazione della pena codificati dall’art. 133 c.p., appare equo irrogare a (omissis) la pena finale di anni due di reclusione, calcolata secondo la più favorevole cornice edittale vigente all’epoca di commissione del reato, potendosi ritenere che le condotte contestate all’imputato siano cessate quantomeno alla data del 13.5.2019, allorquando la persona offesa manifestava la volontà di rimettere la querela.

Alla dichiarazione di responsabilità dell’imputato segue poi, per legge, la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

Non sussistono i presupposti di legge per la concessione a (omissis) del beneficio della sospensione condizionale della pena (cfr. certificato penale in atti), né risultano essere state avanzate richieste di pena sostitutiva.

P.Q.M.
Letti gliartt. 533, 535 c.p.p.,dichiara (omissis) colpevole del reato a lui ascritto al capo a) della rubrica e per l’effetto, riconosciute al medesimo le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 quinquies c.p., esclusa la contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni 2 (due) di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.

Letto l’art. 531 c.p.p.,

dichiara non doversi procedere nei confronti di (omissis) in ordine al reato a lui ascritto al capo b) della rubrica, esclusa la contestata recidiva, perché estinto per intervenuta prescrizione.

Così deciso in Nocera Inferiore il 19 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2025.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi