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Tribunale di Napoli sez. XIII, 16/06/2025, n. 5997

Massima

Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis è accordato ai discendenti diretti, in linea paterna, di avo italiano, a condizione che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di alcuno degli ascendenti prima della nascita del figlio.

Supporto alla lettura

CITTADINANZA

Il termine “cittadinanza” indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici.  In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario ed è attualmente disciplinata dalla L. 91/1992.

La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani.  Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio (iure matrimonii), la quale è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente.

La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La legge prevede alcuni casi in cui può venir meno lo status di cittadino italiano, si può riacquistare su domanda, e il D.L. 113/2018, convertito con L. 132/2018 ha introdotto all’art. 10 bis della L. 91/1992 l’istituto della revoca della cittadinanza nei casi espressamente previsti dall’art. 10 bis della citata L. 91/1992.

Diverso è parlare di “cittadinanza europea” che non è uno status che si acquisisce, infatti ogni cittadino di un Paese membro della Ue, oltre alla cittadinanza del paese di origine, gode della cittadinanza europea. Secondo la testuale dizione del trattato di Maastricht (TUE), è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

La cittadinanza dell’Unione europea comporta una serie di norme e diritti ben definiti, che si possono raggruppare in quattro categorie:

  • la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell’Unione;
  • il diritto di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;
  • la tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro in un paese terzo nel quale lo Stato di cui la persona in causa ha la cittadinanza non è rappresentato;
  • il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e ricorsi al mediatore europeo.

 

Il D. Lgs. 36/2025, conv. L. 74/2025, ha modificato la legge sulla cittadinanza italiana, soprattutto in merito allo ius sanguinis. Il fine è quello di limitare la trasmissione automatica della cittadinanza per discendenza, introducendo requisiti più stringenti e valutando il “vincolo effettivo e attuale con la comunità nazionale”. Le nuove disposizioni non si applicano a chi ha presentato domanda di riconoscimento della cittadinanza entro il 27 marzo 2025 (data di entrata in vigore del decreto); è prevista invece una finestra temporale, dal 1 luglio 2025 al 31 dicembre 2027, per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini che siano nati in Italia o che abbiano risieduto in Italia per almeno 2 anni, o che abbiano perso la cittadinanza prima del 16 agosto 1992.

Ambito oggettivo di applicazione

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 04 dicembre 2023 parte ricorrente in epigrafe ha convenuto in giudizio il Ministero dell’Interno, per ottenere idoneo provvedimento per il riconoscimento della cittadinanza italiana e, per l’effetto, ordinare all’ufficiale di stato Civile del Comune di appartenenza, l’annotazione e la trascrizione nei registri dello Stato civile dell’avo; per sentir accertare che sono cittadini italiani iure sanguinis sin dalla nascita.

In particolare parte ricorrente narra:

“discendenti diretti di (omissis) ovvero (omissis) ovvero (omissis) … Dall’unione tra (omissis) ovvero (omissis) ovvero (omissis) e (omissis) nasceva, in data (omissis), (omissis) (doc.7) titolare della cittadinanza italiana in quanto nato da padre italiano che, in data (omissis) si sposava con (omissis) (doc.8) dalla cui unione nasceva, in data (omissis), (omissis) (doc.9) titolare della cittadinanza italiana in quanto nata da padre italiano”.

Alla luce di quanto detto, il presente atto non risulta privo del necessario interesse ad agire innanzi all’On.le Giudicante adito e dunque non risulta privo di una delle stesse condizioni dell’azione: laddove, infatti, correttamente si intenda per interesse ad agire “l’interesse al conseguimento di un’utilità o di un vantaggio che può ottenersi solo con l’intervento del giudice”, è di palmare evidenza che, nel caso di specie, solo il giudice può porre rimedio ad una situazione di impraticabilità di fatto del diritto soggettivo azionato, quello alla cittadinanza italiana, affermando direttamente lo stato di cittadino italiano dell’interessato ricorrente.

Ciò posto e rilevato che dall’albero genealogico viene confermata la discendenza come narrata in ricorso, e confermata dai certificati apostillati, ne consegue in punto di diritto quanto di seguito.

Parte ricorrente ha esercitato il diritto al cd. riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis ex art. 1 legge n.91/1992: ha provato il suddetto diritto ad ottenere, per via amministrativa, il riconoscimento dello status civitatis italiano per avere i medesimi provato il possesso ininterrotto dello status civitatis italiano quali discendenti IN LINEA MASCHILE di cittadino italiano per nascita (status sussistente ex art.1 legge 555/1912 per l’avo originario ed ex art. 1 co. 1 lett. A, legge n.91/92). Il ricorso ha riportato tutta la sequenza genealogica dal capostipite fino all’attuale ricorrente, documentata puntualmente attraverso certificazioni anagrafiche – ove straniere – tradotte e munite di apostille; ha precisato che l’antenato non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana, manifestando la volontà di non naturalizzarsi come cittadino brasiliano, restando legato alle sue radici, come da certificato negativo di naturalizzazione allegato al ricorso. Le parti resistenti non si sono costituite in giudizio e si è proceduto in contumacia. Il PM ha espresso parere favorevole.

Il Ministero si è costituito ed ha genericamente impugnato il ricorso chiedendone il rigetto.

In rito, deve precisarsi che la controversia rientra nella competenza delle Sezioni Specializzate Immigrazione istituite con D.L. 13/2017 convertito in L. 46/2017 in vigore dal 18.8.2017; a norma dell’art. 3 comma 2 “il Tribunale giudica in composizione monocratica”. L’art. 19 bis D.Lgs. 150/2011 – norma aggiunta dal decreto cd. Minniti – ” le controversie sono regolate dal rito sommario di cognizione”. Non è di ostacolo a tale percorso il fatto che l’atto introduttivo sia eventualmente denominato “citazione”, diversamente da quanto previsto per il rito sommario de quo, dal momento che esso è, in sostanza un ricorso, regolarmente depositato, all’esito del quale il giudice ha fissato con decreto l’udienza di comparizione ed assegnato il termine per la notifica ai contraddittori, adempimento che è stato osservato.

Il Comune è carente di legittimazione passiva, stante il fatto che tale legittimazione in tali fattispecie, appartiene unicamente al Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, quale articolazione centrale del soggetto, il Sindaco del Comune in cui il richiedente risiede, che esercita su delega ministeriale la funzione di Ufficiale di Governo competente per la tenuta dei registri di stato civile e popolazione ai sensi dell’art. 54 comma 3 D.Lgs. 267/2000. La delega in parola comporta l’immediata riferibilità allo Stato, e per esso al Ministero dell’Interno, degli atti concernenti la cittadinanza italiana, senza che influisca su tale principio il fatto che all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza la Legge assegni i compiti, di natura strumentale, di cui all’art. 23 commi 1 e 2 Legge n. 91/94.

Nel merito la domanda proposta è fondata. A norma dell’art. 4 del Codice Civile del 1865: “è cittadino il figlio di padre italiano”. Parimenti, ai sensi dell’art. 1 della L. 555/1912: “è cittadino per nascita, il figlio di padre cittadino”. La legge n. 555/1912, pertanto, sebbene confermasse il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio di cittadino a prescindere dal luogo di nascita, all’art. 7 intese garantire ai figli di cittadini italiani emigrati all’estero il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.

L’art. 7 della L. 555/1912 consentiva, infatti, al figlio di cittadino italiano – nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello ius soli (come nella fattispecie in esame) – di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, riconoscendo, quindi, all’interessato, la rilevante facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero. Secondo la normativa italiana la cittadinanza si trasmette per discendenza (“iure sanguinis”), per cui alla nascita si acquista la cittadinanza del proprio genitore (articolo 1 della Legge n. 91/92: “è cittadino il figlio di padre o di madre cittadini”), confermando il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna e materna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita.

Pertanto, nell’ipotesi di discendenza paterna, chi è nato in uno Stato straniero ha diritto di essere riconosciuto “cittadino italiano” se dimostra di avere un avo italiano (maschio), senza limiti generazionali (con l’unico limite che l’antenato italiano sia deceduto dopo il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno D’Italia). L’unica condizione richiesta è che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si vorrebbe trasmettere la cittadinanza. Dai documenti prodotti, risulta che l’avo italiano non era mai stato naturalizzato cittadino brasiliano e pertanto non avesse perso la cittadinanza italiana, trasmettendola “iure sanguinis” ai propri discendenti. La linea di discendenza riportata trova esatta corrispondenza nella documentazione versata in atti, in particolare, né il ricorrente né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, come provato mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane e apostillati.

Di conseguenza, anche i discendenti hanno acquisito sin dalla nascita la cittadinanza italiana, in quanto discendenti di cittadini italiani.

Giova a tal punto ricordare come anche il Tribunale di Roma ha autorevolmente evidenziato che “il mutamento di cittadinanza del genitore durante la minore età della prole non ha avuto rilievo ai fini del mantenimento della titolarità dello status civitatis italiano, ove i figli siano investititi “iure soli” del possesso di una cittadinanza straniera” in quanto “il regime di perdita della cittadinanza italiana di cui all’art. 12 Legge n. 555/1912 non si estende a coloro i quali siano destinatari della disciplina dell’art. 7 della medesima legge ossia a coloro che, nati all’estero da genitore italiano o divenuto tale durante la minore età, siano considerati dallo stato di nascita propri cittadini “ab origine” per nascita nel territorio dello Stato secondo il principio dello ius soli …di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, anche se il genitore durante la minore età del figlio l’avesse perduta” precisando, inoltre, che “…non appare, pertanto, applicabile al figlio minore nato all’estero da cittadino italiano il sopracitato art. 12, disciplinante il diverso caso in cui il figlio di chi avesse perduto la cittadinanza, per effetto della scelta del genitore, avesse anche egli acquisito la cittadinanza di uno stato straniero in quanto ipotesi diversa da quella in cui la cittadinanza straniera già appartenesse al figlio iure soli”.

È dunque provata la discendenza diretta per linea paterna da cittadino italiano.

In linea di principio, dovrebbe affermarsi la carenza di interesse ad agire giudizialmente per l’accertamento della cittadinanza italiana, poiché non si registrano passaggi generazionali per linea femminile in epoca precostituzionale e, pertanto, nessun dubbio viene a porsi in merito alla operatività della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 87 del 1975, sentenza n. 30 del 1983) che ha determinato il venir meno del criterio di trasmissione unicamente maschile e della disposizione che prevedeva la perdita della cittadinanza per la donna che contraeva matrimonio con un cittadino straniero.

Pertanto, dal momento che il riconoscimento dello status civitatis incombe sul Ministero dell’Interno, parte ricorrente avrebbe dovuto limitarsi a chiedere il rilascio del relativo certificato o comunque a richiedere il riconoscimento dello status all’autorità consolare presso il paese di residenza sulla scorta della documentazione attestante la sua discendenza da un cittadino italiano, senza necessità di instaurare un giudizio dinanzi al giudice ordinario.

Benvero i ricorrenti hanno puntualmente adempiuto all’onere che incombe loro dalla legge. Parte ricorrente:”…ha provato a prenotarsi sul sito del Consolato di Italia in Rio de Janeiro al fine di ottenere un appuntamento al Consolato e, come emerge dagli atti … a tutt’oggi dalla pubblica amministrazione adita alcuna risposta”.

Ma vi è di più atteso che: “Da una ispezione del link riportato è possibile evincere che i richiedenti del 2018 sono 18.125, per il 2019 sono 20.574; per il 2020 sono 13.859; per i primi 10 mesi del 2021 sono 28.740. Per gli altri richiedenti il Consolato informa:”

L’abnorme numero di domande presentate ha causato un blocco della piattaforma (omissis) inviando la richiesta di inserimento nella lista d’attesa. Secondo la nuova modalità stabilita dallo stesso Consolato, hanno inviato al Consolato Generale di Italia in San Paolo i moduli di richiesta di appuntamento il quale, ricevute le richieste, non ha fornito alcuna risposta, tramite e-mail, così come previsto dalle mutate esigenze del Consolato, ha notificato al Consolato generale d’Italia a San Paolo, il “modulo di richiesta di appuntamento per il riconoscimento della cittadinanza italiana”, ma, stante i tempi abnormi di attesa, , ad oggi il Consolato di San Paolo ha invitato coloro che sono inseriti nella lista di attesa facente riferimento alle richieste pervenute nell’anno 2012. Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 7.08.1990 i procedimenti di competenza delle Amministrazioni statali devono essere conclusi entro i termini determinati e certi, anche in conformità al principio di ragionevole durata del processo. Sul punto è opportuno segnalare l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma in data 19 settembre 2021, in persona del Giudice, dott.ssa (omissis), e la conforme ordinanza resa dal Tribunale di Roma in persona del Giudice, dott.ssa (omissis), in data 17 gennaio 2021 (ancora conforme ex multibus Trib. Roma ordinanza del 23 aprile 2020).

L’incertezza in ordine alla definizione della richiesta di riconoscimento dello status di civitatis italiano iure sanguinis ed il decorso di un lasso di tempo irragionevole rispetto all’interesse vantato, comportante peraltro una lesione dell’interesse stesso, equivalgono ad un diniego di riconoscimento del diritto, giustificando così l’interesse dei soggetti a ricorrere alla tutela giurisdizionale.

Pertanto, deve essere accolta la domanda dichiarando parte attrice cittadina italiana e disponendo l’adozione da parte del Ministero dell’Interno dei provvedimenti conseguenti.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, considerato che l’elevato numero di richieste amministrative non ne consente la tempestiva evasione.

Per l’effetto di quanto esposto in fatto e diritto si ordina all’ufficiale dello stato civile di provvedere agli adempimenti conseguenti all’attribuzione di tale status civitatis.

P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, in persona del GOT così dispone e dichiara cittadini italiani i ricorrenti come sopra generalizzati in quanto discendenti da cittadino italiano che ha validamente loro trasmesso iure sanguinis la cittadinanza italiana;per l’effetto dichiara cittadino italiano il figlio sul quale esercitano la potestà genitoriale – minore (omissis) – nato a (omissis) e residente in (omissis);

– per l’effetto ordina all’Ufficiale di Stato Civile competente di procedere alle dovute iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge nei registri dello stato civile, della cittadinanza dei ricorrenti, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti;

– dichiara lo stesso cittadino italiano fin dalla nascita in quanto discendenti di (omissis) cittadino italiano per essere nato in Italia a (omissis) come comprovato dall’Estratto per Riassunto dai Registro degli atti di Nascita rilasciato dal Comune in atti esibito;

– ordina, per l’effetto, il Ministero dell’Interno e l’Ufficiale di Stato Civile competente di procedere alle dovute annotazioni e trascrizioni nei Registri dello Stato Civile.

– Spese compensate.

Così deciso in Napoli il 16 giugno 2025.

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2025.

Allegati

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