Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, depositato il 7/2/2024 ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c. e quindi con le forme proprie del rito speciale locatizio, (omissis) ha dedotto di essere proprietaria del bene immobile ubicato in (omissis) alla via (omissis) e meglio identificato nel N.C.E.U. del Comune di (omissis), cha/10, particella (…), sub. (…) (cat.(…))-(…) (cat.(…)) -(…) (cat.(…)), in virtù di sentenza n. 1578/2012 resa dal Tribunale di Nola in data 31/5/2012 all’esito del processo contrassegnato dal numero di ruolo 3207/2009 R.G. , instaurato vittoriosamente dalla (omissis) contro (omissis) e la di lui moglie (omissis) ai sensi dell’art. 2932 cc. a seguito dell’inadempimento da parte dei predetti coniugi dell’obbligo di trasferire la proprietà dell’immobile sopra menzionato.
L’attrice ha specificato fra l’altro di aver provveduto alla trascrizione della sentenza n. 1578/2012 solo in data 30/11/2023, tramite presentazione della nota n. 16, reg. generale 34428, reg. particolare 26611, rendendo in tal modo opponibile erga omnes il trasferimento immobiliare disposto ex art. 2932 c.c. con la sentenza costitutiva. Quindi ha lamentato che (omissis) e la di lui figlia (omissis) occupavano abusivamente l’immobile, senza alcun titolo, e di aver ricevuto il 10/11/2023 dalla Agenzia delle Entrate riscossione una cartella esattoriale dell’importo di Euro 19.548,60 afferente il tributo IMU anni 2015- 2023 relativo al bene nonché di aver rinvenuto nel proprio cassetto fiscale a suo carico il mancato versamento di tributi pari ad oltre Euro 100.000, derivante a suo dire dal mancato versamento della cd. Imposta di registro, con l’aggiunta di sanzioni ed interessi.
In definitiva, la (omissis) ha chiesto la condanna dei due (omissis) alla restituzione dell’immobile da loro occupato abusivamente nonché al rimborso in proprio favore di tutte le somme versate in favore dell’Erario e degli Uffici competenti, a titolo di imposte, spese, oneri, tributi connessi e consequenziali alla indebita occupazione dell’immobile, quantificati in Euro 19.000, ed al risarcimento del danno per l’abusiva occupazione dal 31/5/2012 fino alla data del deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio per un importo di Euro 140.000, avendo calcolato in Euro 1.000 mensili il valore locativo del bene.
Trattasi nel primo caso di domanda di rivendica ex art. 948 c.c., avanzata sul presupposto della titolarità del diritto di proprietà dell’immobile, e nel secondo caso di azione di risarcimento del danno ex art. 2043 da fatto illecito, costituito dalla occupazione sine titulo da parte dei due convenuti.
Una volta instaurato il contraddittorio nei loro confronti, si sono costituiti con il deposito di una comparsa di risposta i due resistenti ed hanno eccepito in via preliminare l’improcedibilità della domanda attorea per non essere state depositate le raccomandate relative alla notifica dell’istanza di mediazione e per avere l’attrice messo i convenuti in condizioni di verificare la regolarità della loro convocazione dinanzi all’organismo di conciliazione, nonché la necessità di applicare il rito ordinario e non quello locatizio in ordine alla domanda attorea di rivendica.
Nel merito, (omissis) ha controdedotto di avere avuto in passato una relazione sentimentale con la (omissis), iniziata nel 2005 e interrottasi definitivamente solo nel 2023, ed ha evidenziato che per tale motivo l’attrice non aveva mai voluto, fino al 2024, avvalersi della sentenza del Tribunale di Nola. Entrambi i convenuti hanno comunque ammesso di abitare nell’immobile per cui è causa.
Nel corso del processo il Giudice ha disposto ex art. 427 c.p.c., accogliendo sul punto la seconda eccezione processuale dei (omissis), il mutamento del rito da speciale locatizio in ordinario a cognizione semplificata, ha rigettato le richieste di prova costituenda articolate dalle parti ed ha rinviato il processo per la lettura del dispositivo, sia pure facendo erroneamente riferimento alla norma di cui all’art. 429 c.p.c., propria del processo locatizio, e non agli artt. 281 terdecies comma 1 c.p.c. e 281 sexies comma 1 c.p.c. , senza che peraltro tale statuizione abbia rilevanza, posto che le ordinanze, comunque motivate, ai sensi dell’art. 177 c.p.c. non possono pregiudicare la decisione della causa.
L’eccezione pregiudiziale di rito proposta dai resistenti con riguardo alla improcedibilità della domanda attorea per mancata convocazione dinanzi al mediatore è invece palesemente infondata. Invero non “…sono accoglibili le doglianze di parte conduttrice in ordine alla eventuale non corretta convocazione del conduttore, la quale può essere rilevata esclusivamente dal mediatore, essendo preclusa al giudice di merito la valutazione in ordine a circostanze estranee al giudizio (v. Trib. Roma, sez. civ. VI, 23/2/2021, n. 3306). In altri termini, eventuali invalidità connesse all’esperimento della mediazione, soprattutto se si tratti di mediazione ante causam come nel caso di specie, non si riverberano sul processo. Questo in linea generale.
In aggiunta, l’esperimento obbligatorio della mediazione impone alla parte onerata del relativo incombente, nel caso di specie l’attrice, di depositare la relativa istanza presso l’organismo di conciliazione, e nient’altro. Solo tale istanza, ai sensi dell’art. 4 comma 2 D.Lgs. n. 28 del 2010, deve menzionare l’oggetto e le ragioni della pretesa. Spetta poi all’organismo predetto, che ha il carattere della terzietà, almeno in prima battuta, convocare le parti per l’incontro di fronte a sé. In tal senso, all’atto della presentazione della domanda di mediazione, “il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante” (art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010). È indubbio quindi che sia l’organismo ad essere obbligato ad attivarsi tempestivamente per la convocazione dell’incontro tra le parti, restando soltanto in facoltà dell’istante di attivarsi personalmente per la trasmissione della medesima comunicazione (che non esclude e non sostituisce in alcun modo l’obbligo gravante ex lege sull’organismo) anche per gli effetti previsti dall’art. 5 comma 6 D.Lgs. n. 28 del 2010 (interruzione dei termini di prescrizione e impedimento dei termini di decadenza).
Da ciò deriva innanzitutto che tale convocazione non può essere considerata una domanda giudiziale che debba rispettare i requisiti di cui all’art. 164 c.p.c. a pena di nullità. In secondo luogo l’art. 8 comma 1 D.Lgs. n. 28 del 2010 , circa le modalità secondo le quali l’altra parte, ossia la parte “chiamata” od “invitata”, deve essere convocata in mediazione, prevede che “La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’ altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante”, che ne ha facoltà, mentre su di essa non grava alcun obbligo o onere in tal senso, come già evidenziato.
Nel merito, la domanda di rivendica è sicuramente fondata, perché i convenuti hanno ammesso di occupare l’immobile ed esiste prova scritta del passaggio in giudicato della sentenza emessa ex art. 2932 c.c. in favore dell’attrice dal Tribunale di Nola, essendo stata prodotta la certificazione della Cancelleria di tale ufficio giudiziario rilasciata ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c., da cui risulta che contro tale decisione giudiziale non è stata proposta alcuna impugnazione. Tanto dimostra il titolo di proprietà giudiziale dell’immobile in capo alla (omissis). Al contrario, i convenuti non hanno allegato alcun titolo giustificativo della loro occupazione, nel momento in cui la mera tolleranza ex art. 1144 c.c. della (omissis) in ordine a tale situazione di fatto, basata dagli stessi resistenti sulla esistenza di una relazione sentimentale e non giuridica, non equivale ad una concessione in comodato né può fondare un possesso ad usucapionem . Di qui l’accoglimento della richiesta di restituzione dell’immobile, che va eseguita con effetto immediato, non essendo la conseguenza della cessazione di un rapporto obbligatorio di locazione, tale da giustificare l’applicazione dell’art. 56 comma 1 L. n. 392 del 1978, ma di una azione reale di rivendica.
La domanda risarcitoria attorea va invece respinta. Ciò in quanto il pagamento delle imposte grava sul proprietario in quanto tale, e quindi sulla (omissis), e non può essere accollato agli occupanti, sebbene abusivi. In aggiunta, in materia di occupazione senza titolo di bene immobile, anche a non voler ritenere che si sia in presenza di un danno in re ipsa , tale locuzione va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato (v. Cass. civ. sez. un., 15/11/2022, n. 33645). Ricorre, in altri termini, una presunzione iuris tantum circa l’esistenza di un danno connesso alla perdita di disponibilità del bene ed all’impossibilità di conseguirne la relativa utilità (cfr., tra le altre, Cass. civ. sez. I, 20/11/2018, n. 29990). La liquidazione del danno da occupazione illegittima ben può essere operata dal Giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene, o meglio ancora, con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato (cfr. Cass. civ. 33645/2002 cit.).
Nel caso di specie tuttavia non sussiste un danno economico derivante dalla occupazione senza titolo, perché l’attrice non ha allegato alcun atto da cui desumere la volontà di godere direttamente dell’immobile o di concederlo in godimento a terzi dietro corrispettivo, e quindi non ha offerto la prova dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile, che non è stata affatto fornita da parte attrice. In altri termini, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento postula che il creditore dimostri l’esistenza di un concreto danno consistito in una effettiva diminuzione patrimoniale derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dal comportamento altrui (cfr. Cass. civ. sez. II, 27/05/2009, n. 12354).
Al contrario, la (omissis) ha dimostrato per fatti concludenti di non aver avuto alcuna intenzione in tal senso, laddove ha scelto di rimanere completamente inerte dopo aver ottenuto la sentenza, a lei favorevole, del Tribunale di Nola, non essendosi curata non solo di agire in giudizio per il rilascio del bene, ma neppure di assumere l’iniziativa extragiudiziale di curare per tempo la trascrizione della sentenza medesima, eseguita solo nel 2023. Tale condotta è univoca e supera la presunzione relativa circa l’esistenza del danno derivato dall’occupazione abusiva altrui.
Di qui il rigetto della domanda secondaria risarcitoria.
Le spese, ivi compresa quella relativa al contributo unificato, seguono la soccombenza ex art. 91 comma 1 c.p.c. dei convenuti sulla domanda di rivendica e vengono liquidate come da dispositivo, in considerazione del valore della controversia individuato ai sensi degli artt. 5 ss. del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 , come modificato dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147 , da applicare ex art. 6 di tale ultimo regolamento alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, e quindi dello scaglione di valore corrispondente, che va ritenuta di valore indeterminabile e di media complessità, trattandosi di domanda di natura reale e non personale, soggetta al criterio stabilito per le cause relative a beni immobili dall’art. 15 comma 3 c.p.c. allorquando, come nel caso di specie, non siano stati allegati elementi utili per la stima, costituiti dalla rendita catastale (v. Cass. civ. sez. II, 13/1/2014, n. 463).
Anche le spese della procedura di mediazione ante causam di cui si è onerata parte attrice seguono il criterio della soccombenza. In proposito vanno rimborsati non solo i costi vivi, ma pure i compensi, liquidati secondo i parametri di cui alla tabella 25 bis allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e in vigore dal 23/10/2022, sempre con l’applicazione dei parametri medi, in ragione del valore della controversia quale già precisato, ma per la sola fase che si è svolta (fase di attivazione), non essendo riuscito il tentativo di conciliazione.
La liquidazione va effettuata per tutte le fasi contemplate dall’art. 12 comma 3 del medesimo regolamento ministeriale e con l’applicazione per i compensi dei livelli medi previsti dalla Tabella n. 2 allegata al decreto, che si riferisce ai giudizi di cognizione ordinaria, in ottemperanza alla regola stabilita dall’art. 4 comma 1, che fa sì che tali livelli siano adeguati per definizione (nel senso che il Giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi, con apposita e specifica motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo, v. Cass. civ. sez. VI, 13/5/2022, n. 15392; Cass. civ. sez. VI, 25/5/2020, n. 9542 e Cass. civ. sez. III, 7/1/2021, n. 89).
Sul punto va pure evidenziato che, in tema di spese processuali, solo la compensazione, totale o parziale, deve essere sorretta da motivazione, non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il Giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (v. sul punto Cass. civ. sez. VI, 28/4/2014, n. 9368).
A tale importo vanno comunque aggiunte l’IVA e la CPA se documentate con fattura quali accessori delle spese legali (cfr. Cass. civ. sez. III, 8/11/2012, n. 19307) nonchè il 15% sui compensi a titolo di rimborso forfettario ex art. 2 comma 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, che è dovuto “in ogni caso” e quindi segue automaticamente la condanna pronunciata ex art. 91 comma 1 c.p.c. (v. Cass. civ. sez. III, 8/7/2010, n. 16153).
Deve essere poi disposta l’attribuzione delle spese ai due difensori della parte attrice ex art. 93 c.p.c. per anticipo fattone e giusta apposita richiesta di distrazione in loro favore formulata in tal senso nel ricorso introduttivo.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, così provvede :
a ) accoglie la domanda attorea di rivendica e per l’effetto condanna (omissis) e (omissis) al rilascio immediato in favore di (omissis) dell’immobile ubicato in (omissis) alla via (omissis) e meglio identificato nel N.C.E.U. del Comune di (omissis), cha/10, particella (…), sub. (…) (cat.(…))-3 (cat.(…)) – 4 (cat.(…)) ;
b ) rigetta la domanda risarcitoria attorea ;
c ) visto l’art. 91 comma 1 c.p.c. condanna (omissis) e (omissis), in solido tra loro, al rimborso in favore di (omissis) delle spese di giudizio nonché di quelle di mediazione , che si liquidano in complessivi Euro 11.800 , di cui Euro 11.000 per compensi ed Euro 800 per esborsi, oltre IVA e CPA se documentate con fattura e il rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi, con attribuzione in favore dell’avv. (omissis) con codice fiscale (…) e dell’avv. (omissis) con codice fiscale (…) quali distrattari.
Così deciso in Napoli, il 5 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2025.