MOTIVI IN FATTO E DIRITTO
Ubi Banca S.p.A. ha impugnato la sentenza n. 8017/2019 emessa dal Giudice di Pace di Napoli, depositata il 15/02/2019 e notificata il 21/02/2019, con la quale il Giudice di Pace di Napoli, accogliendo parzialmente la domanda proposta da (omissis), avente ad oggetto la restituzione dei ratei di commissioni non maturati, relativi al contratto di finanziamento n.(omissis) del 29/07/2010 stipulato con la Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A. da restituire mediante cessione pro solvendo di quota dello stipendio in 120 rate mensili da euro 336,00 ognuna per l’importo complessivo di euro 40.320,00, rispetto al quale il mutuatario aveva esercitato la facoltà di estinzione anticipata allo scadere della rata n. 48 ma il cui rimborso non veniva incluso nel conteggio estintivo, condannava Ubi Banca S.p.A. a pagare in favore della controparte l’importo di euro 1.434,03, quali oneri residui calcolati pro-rata temporis delle commissioni accessorie e assicurative, oltre spese di lite a fronte della somma complessiva richiesta dall’attore di euro 2.135,23.
L’appellante Intesa Sanpaolo S.p.A., già Ubi Banca S.p.A. a seguito di fusione per incorporazione, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, già dedotto in primo grado, poiché il contratto di finanziamento era stato estinto in data 01/09/2014, anteriormente alla risoluzione della Cassa di Risparmio di Chieti ed alla costituzione dell’ente-ponte Nuova Ca. poi incorporata in Ubi Banca S.p.A., nonché la propria carenza di legittimazione passiva in relazione alle commissioni assicurative, chiedendo il rigetto delle domande attoree con vittoria delle spese di lite.
(omissis), regolarmente citato, non si costituiva in giudizio con conseguente declaratoria di contumacia.
Si costituiva l’Inps, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ex Inpdap rimasta contumace nel giudizio di primo grado, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e quindi il rigetto della domanda nei propri confronti.
All’udienza del 14/01/2022 si costituiva Intesa Sanpaolo S.p.A. quale incorporante di Ubi Banca S.p.A. in virtù di atto di fusione per notaio Marchetti del 26/03/2021 – rep. 16.080/8.638 (all. 4 produzione appellante).
L’appello è infondato.
In via preliminare, l’appello risulta essere proposto tempestivamente, poiché la sentenza impugnata veniva notificata in data 21/02/2019 e l’atto di appello notificato in data 22/03/2019.
Sempre preliminarmente, deve osservarsi che l’atto di appello risulta sufficientemente specifico con riferimento all’individuazione dei motivi di impugnazione.
In primo luogo, quanto alla questione relativa alla legittimazione passiva di Intesa Sanpaolo S.p.A., già Ubi Banca S.p.A., va rilevato che, come correttamente dedotto dal giudice di prime cure, proprio il provvedimento della Banca d’Italia del 22/11/2015, richiamato dall’appellante, prevede il subentro in tutti i rapporti facenti capo alla Cassa di Risparmio di Chieti della Nuova Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., poi Banca Teatina, successivamente incorporata in Ubi Banca S.p.A. ed oggi in Intesa Sanpaolo S.p.A. La questione riguarda il tema della legittimazione passiva o meno dalle quattro Ba. costituite in funzione di “Enti-Po.”, nel contesto delle procedure di risoluzione delle banche Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A. e Banca dell’Et. e del Lazio con riguardo alle pretese vantate nei confronti di queste ultime per attività svolte anteriormente al 23.11.2015 e, quindi, per le passività latenti aventi titolo in atti o in fatti posti in essere in epoca anche remota.
Con D.L. 22.11.2015 n. 183 venivano infatti costituite quattro società per azioni, denominate Nuova Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Nuova Banca delle Marche S.p.A., Nuova Banca dell’Et. e del Lazio S.p.A., Nuova Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., a loro volta di seguito cedute a due banche (la Cassa di risparmio di Ferrara alla Banca Popolare dell’Em. Romagna; le altre tre a UBI Banca) che le hanno recentemente incorporate, aventi per oggetto lo svolgimento dell’attività di ‘Ente-Po.’ ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. 16.11.2015 n. 180 – introdotto nel vigente ordinamento in attuazione della direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recoveri Directive) -, con l’obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche sottoposte a risoluzione e, quando le condizioni di mercato fossero adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del medesimo decreto legislativo.
In deroga a quanto disposto dai commi 5 e 6, il comma 7 ha disposto che l’Ente-Po., ove necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione, previa presentazione da parte della Banca d’Italia di una richiesta all’Autorità responsabile per i relativi provvedimenti, è autorizzato provvisoriamente a esercitare l’attività bancaria o a prestare servizi e attività di investimento anche se non soddisfa inizialmente i requisiti stabiliti dalla normativa applicabile e che allo stesso sono trasferiti azioni, partecipazioni, diritti, nonchè attività e passività delle banche in risoluzione, ai sensi dell’articolo 43 del citato Decreto Legislativo.
Da tanto deriva che l’incorporazione degli “Enti-Po.” ha comportato il trasferimento alle banche incorporanti di ogni rapporto o situazione giuridica già facenti capo agli stessi e, quindi, di tutte le posizioni attive e passive della vecchia banca, anche se definite prima del 23.11.2015.
Secondo la appellante la pretesa attorea sarebbe estranea alla società per azioni costituita quale Ente-Po. in quanto inerente alla posizione di contrattista ormai definita della vecchia Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A., posta in risoluzione, che sarebbe esclusa dalla cessione del nuovo soggetto nel cui patrimonio non potrebbero confluire passività riferite a rapporti ormai esauriti. Sennonchè le pretese azionate non concernono diritti incorporati nelle azioni – dichiaratamente esclusi –, ma posizioni che non possono essere considerate azzerate unitamente alle azioni della vecchia Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A..
In particolare lo specifico testo del provvedimento 22.11.2015 della Banca d’Italia, disponendo la cessione di tutte le attività e passività relative all’azienda bancaria con la sola esclusione (oltre che degli obblighi restitutori relativi al capitale composto da azioni azzerate) delle passività subordinate, non ha ricompreso in tale esclusione le pretese azionate dall’attore.
Inoltre, secondo il sistema del D.Lgs. n. 180/2015, il perimetro delle attività/passività dell’ente in risoluzione trasferite all’Ente-Po. è delineato dal provvedimento di cessione dell’Autorità di risoluzione che, nel caso di specie, non contempla alcuna espressa esclusione delle passività – sia pure potenziali in quanto non ancora accertate – già sorte in capo a Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A. In particolare secondo il provvedimento 22.11.2015 sono stati trasferiti “tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria della banca in risoluzione” e, dunque, anche le passività corrispondenti ad obblighi derivanti da condotte antecedenti la cessione.
Le considerazioni che precedono impongono quindi, ad avviso del Tribunale, di concludere che le passività corrispondenti alle pretese dell’attore sono da ritenere incluse nella cessione dell’azienda bancaria disposta in favore dell’Ente-Po., non essendo le relative obbligazioni espressamente escluse dalla cessione.
Va, quindi, affermata la legittimazione passiva di Intesa Sanpaolo S.p.A. in ordine alla restituzione dei costi sostenuti dal (omissis) in occasione della sottoscrizione del finanziamento.
La odierna appellante Intesa Sanpaolo S.p.A., quale mandante alla stipula ed accipiens delle somme in ordine alle quali il (omissis) ha avanzato richiesta restitutoria, è sicuramente il soggetto legittimato passivo ed è nei confronti di questa che il mutuatario ha inteso indirizzare le proprie pretese laddove, in forza della spendita del nome da parte della mandataria, è nella sfera giuridica della prima che si proiettano gli effetti del contratto concluso con il mutuatario. L’effettivo accipiens di tali somme è senza dubbio il soggetto mutuante, il quale, nel caso di specie, dalla somma oggetto di finanziamento, trattiene anche la somma dovuta al mandatario.
È poi provato, per affermazione di parte appellante, che, effettivamente, sia stata stipulata con ERGO Previdenza e C.F. Assicurazioni una polizza con la quale veniva assicurato (omissis).
Tale circostanza, cui non è riconducibile la documentazione prodotta dall’appellante in quanto non contenente elementi univoci in merito alla riferibilità al giudizio de quo (all. 5 produzione di primo grado parte appellante), è stata confermata della stessa appellante la quale, tuttavia, nel giudizio di primo grado ha chiamato in causa l’Inpdap, oggi Inps, al fine di ottenere condanna di quest’ultimo al pagamento dei costi assicurativi.
Di conseguenza, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Inps, non risultando provata la stipula di alcun contratto con tale istituto.
Tanto premesso, deve evidenziarsi che, valorizzando il dato per cui il contratto di assicurazione venga negoziato in fase precontrattuale dall’intermediario, il quale opera, altresì, quale mandatario per l’incasso del premio, che viene detratto in unica soluzione dal totale della somma mutuata all’atto dell’erogazione del finanziamento, la giurisprudenza dell’arbitro bancario e finanziario ha ritenuto esistente un evidente collegamento negoziale, tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione.
Sempre in riferimento al rimborso dei premi assicurativi, occorre poi evidenziare che l’accordo AB.-An. del 22 ottobre 2008 (in cui si dispongono le ‘Li. guida per le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di finanziamento’), prevede che “Nel caso in cui il contratto di mutuo o di finanziamento venga estinto anticipatamente rispetto all’iniziale durata contrattuale, ed esso sia assistito da una copertura assicurativa collocata dal soggetto mutuante ed il cui premio sia stato pagato anticipatamente in soluzione unica …, il soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicuratore – la parte di premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato”.
In senso conforme, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010, stabilisce che “Nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri finanziamenti per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria. Essa è calcolata per il premio puro in funzione degli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo; per i caricamenti in proporzione agli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura. Le condizioni di assicurazione indicano i criteri e le modalità per la definizione del rimborso. Le imprese possono trattenere dall’importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del premio, a condizione che le stesse siano indicate nella proposta, nella polizza ovvero nel modulo di adesione alla copertura assicurativa. Tali spese non devono essere tali da costituire un limite alla portabilità dei mutui/finanziamenti ovvero un onere ingiustificato in caso di rimborso”.
Sulla scorta di tali argomenti, la giurisprudenza arbitrale non ha mai dubitato della sussistenza del diritto del cliente al rimborso, pro quota, dei costi assicurativi in caso di estinzione anticipata del finanziamento (cfr. ex multis, ABF, Collegio di Roma, Decisione N. 912 del 18 febbraio 2013).
Ciò prescinde, ovviamente, da eventuali azioni di regresso che la odierna appellante potrà esercitare nei confronti della propria mandataria.
Passando al merito, in diritto, giova premettere che la presente controversia non può essere decisa sulla scorta dell’art. 125 sexies TUB, inserito dall’art. 1 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, (evidentemente inapplicabile ratione temporis perché entrato in vigore successivamente alla conclusione del contratto stipulato in data 29/07/2010), quanto piuttosto sulla corretta ed ormai unanime interpretazione dell’art. 125 TUB che, nella formulazione vigente all’epoca della stipulazione, stabiliva che “Le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR”.
L’art. 3 del DM 8.7.1992 dispone poi che “Il consumatore ha sempre la facoltà dell’adempimento anticipato: tale facoltà si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi ed altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso comunque non superiore all’uno per cento del capitale residuo”.
In linea generale, si segnalano i ripetuti richiami della Banca d’Italia ad un maggior rispetto della normativa sulla trasparenza: “onde evitare la mancata conoscenza da parte del cliente del diritto alla restituzione delle somme dovute in caso di estinzione anticipata e la concreta applicazione di tale principio, si richiama l’attenzione a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza. In tale ambito, è necessario che nei fogli informativi e nei contratti di finanziamento sia riportata una chiara indicazione delle diverse componenti di costo per la clientela, enucleando in particolare quelle soggette a maturazione nel corso del tempo (a titolo di esempio, gli interessi dovuti all’ente finanziatore, le spese di gestione e incasso, le commissioni che rappresentano il ricavo per la prestazione della garanzia “non riscosso per riscosso” in favore dei soggetti “plafonanti”, ecc.).
L’obbligo di indicare le diverse componenti di costo trova applicazione anche ai compensi spettanti alle diverse componenti della rete distributiva (soggetti di cui agli articoli 106 e 107 TUB, mediatori, agenti). Conseguentemente, le banche e gli intermediari finanziari devono: – assicurare che la documentazione di trasparenza sia conforme alla normativa, tenuto anche conto di quanto sopra indicato; – ricostruire le quote di commissioni soggette a maturazione nel corso del tempo, anche al fine di ristorare, quanto meno con riferimento ai contratti in essere, la clientela che abbia proceduto ad estinzione” (Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009; analogamente, più di recente, la Comunicazione della Banca d’Italia del 7 aprile 2011).
Ciò posto, dalla giurisprudenza dell’ABF, che ha avuto ripetute occasioni di occuparsi della questione concernente il rimborso degli oneri e dei costi anticipati per la quota parte non maturata, emerge in linea di principio che: (a) siano rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote, oltre al premio assicurativo; (b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare viene equitativamente stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci rimborsabili, incluso il premio assicurativo (cfr., ex multis, ABF, Collegio di Milano, Decisione N. 2084 del 19 aprile 2013, in Il Caso.it).
Nel caso di specie, nelle condizioni generali del contratto di finanziamento, è prevista, in caso di anticipata estinzione del prestito, la non rimborsabilità anche delle commissioni finanziarie della banca e delle commissioni accessorie dell’intermediario.
Orbene, per quanto concerne le commissioni deve, anzitutto, evidenziarsi che la descrizione delle attività riconducibili alle “commissioni bancarie/finanziarie” pecca di eccessiva genericità ed, in definitiva, non consente di stabilire, con adeguata certezza, se esse siano effettivamente rivolte a coprire costi up-front, cioè concernenti servizi temporalmente collocabili nella fase preliminare e/o formativa del regolamento negoziale.
Analogamente, gli oneri di intermediazione risultano finalizzati a remunerare prestazioni – quali in particolare i costi dell’intermediazione – che, per costante giurisprudenza arbitrale, sono rimborsabili al cliente all’atto dell’estinzione anticipata, senza che, tuttavia, in base al contratto, sia possibile distinguere agevolmente tale costo dalle ulteriori componenti che concorrono a formarlo.
In ogni caso non può sottacersi che la clausola negoziale di cui alle condizioni generali del contratto di finanziamento, debba qualificarsi vessatoria, ai sensi dell’art. 33 d. lgs. 206/05, poiché determina un significativo squilibrio tra le parti.
Ba. considerare che l’ammontare complessivo di detti costi incide in maniera rilevante sull’economia del rapporto.
Di conseguenza, la pattuizione in esame, nel privare il consumatore del diritto ad esigere la restituzione della porzione di tali costi, non ancora maturata al momento dell’estinzione anticipata, determina, in maniera evidente, l’alterazione del sinallagma negoziale.
Infatti, non appare revocabile in dubbio che la remunerazione dei servizi accessori, descritti nel contratto, venga trattenuta dalla finanziaria preliminarmente, anzi indipendentemente dalla correlativa erogazione.
In definitiva la clausola è vessatoria perché consente al mutuante di trattenere il corrispettivo di prestazioni che, al momento dell’estinzione anticipata, non sono state ancora per intero eseguite.
Ne segue che, a mente dell’art. 36 d. lgs. 206/05, la clausola in esame è nulla e, come tale, non produce effetti.
Deve, poi, rilevarsi che la clausola negoziale contenuta nelle condizioni generali del contratto – la quale sancisce il diritto della mutuante a trattenere, in ipotesi di estinzione anticipata, le commissioni finanziarie ed il costo dell’assicurazione – ponendosi in contrasto con l’art. 125 TUB – norma da ritenere imperativa, siccome derogabile solo in senso più favorevole al cliente, come stabilito dal successivo art. 127 – sia affetta da nullità (decisione del Collegio di coordinamento ABF n. 6167/2014).
Non è dubbio, invero, che tale clausola, per tutte le ragioni dinanzi esposte, produca un effetto opposto a quello, di consentire “un’equa riduzione del costo complessivo del credito”, avuto di mira dal menzionato art. 125 TUB.
La giurisprudenza di merito ha sin da subito interpretato quest’ultima norma, e, in particolare, l’art. 125 sexies TUB, distinguendo tra due tipologie di costo, ovvero quelli up front, aventi ad oggetto le spese preliminari del finanziamento che prescindono dalla durata del rapporto e quelli recurring, che, invece, ineriscono ad attività soggette a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale. Ebbene, l’impostazione maggioritaria riteneva che solo i secondi rientrassero nei costi rimborsabili ai sensi dell’art. 125 sexies del TUB e non anche i primi, i quali mantenevano la propria giustificazione causale e legittimavano la loro trattenuta da parte dell’intermediario finanziario. Si sosteneva, infatti, che “l’applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (c.d. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro non sono rimborsabili le voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (c.d. up front)” (Tribunale Napoli sent. del 04/12/2018).
L’orientamento descritto, fondato sulla dicotomia tra le due tipologie di costi, era sostenuto anche dalle pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario (cfr. ex multis Collegio di coordinamento decisione n. 6167/2014).
Sulla tematica, tuttavia, è intervenuta di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, investita della questione in sede di rinvio pregiudiziale, ha dettato dei principi innovativi.
I giudici europei hanno affermato, infatti, che “L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore” (Corte Gi.., causa C- 383/18 dell’11 settembre 2019, cd. “Lexitor”). Seguendo tale ragionamento, nell’ipotesi di estinzione anticipata del contratto di finanziamento devono essere rimborsati al privato tutti i costi da esso sostenuti, senza distinguere tra quelli up front e quelli recurring. Le conclusioni cui addiviene la Corte sovranazionale muovono, preliminarmente, dalla ratio della direttiva comunitaria del 2008, che è quella di armonizzare la disciplina interna dei vari Stati Me. al fine di garantire una tutela maggiormente effettiva e protettiva del consumatore, considerato parte debole qualora si rapporti con gli intermediari finanziari. Ne consegue che nella nozione di “costo totale” di cui all’art. 16 della direttiva del 2008 sono inclusi, altresì, quelli indipendenti dalla durata del negozio e, quindi, anche gli interessi e i costi dovuti per la restante parte del contratto.
La finalità perseguita dall’interpretazione esposta è, dunque, quella di riequilibrare i rapporti tra professionista e consumatore, caratterizzati da una posizione di inferiorità di quest’ultimo sotto il profilo negoziale ed informativo. L’opportuno bilanciamento delle differenti posizioni è dato, inoltre, dalla circostanza che il soggetto concedente il mutuo può recuperare in anticipo la somma inizialmente prestata e reinvestirla in nuovi contratti di credito, non subendo lo stesso alcun pregiudizio dal rimborso totale dei costi del finanziamento.
La decisione summenzionata della Corte di Giustizia ha inevitabili ripercussioni dirette nell’ordinamento interno. Le sentenze interpretative della CGUE vincolano il giudice nazionale, che dovrà disapplicare la norma interna confliggente con quella dell’Unione.
Tale tipologia di sentenza esplica i propri effetti in via retroattiva, ovvero sin dal momento dell’entrata in vigore della norma interpretata, salvo che la Corte decida di limitare, in casi eccezionali, la portata di questo principio (ex multis Corte Gi.. causa 61/79, Amministrazione delle Finanze dello Stato italiano contro Denkavit italiana srl; causa 43/1975, Defrenne contro Sa.). Costituisce principio consolidato, infatti, quello secondo cui “nell’ordinamento interno le pronunzie del giudice di Lussemburgo definiscono la portata della norma Eurounitaria così come avrebbe dovuto essere intesa ed applicata fin dal momento della sua entrata in vigore. Per tale motivo dette pronunzie estendono i loro effetti ai rapporti sorti in epoca precedente, purchè non esauriti (ex multis Cass. del 3 marzo 2017, n. 583; Corte Gi.. causa C-347/2000, Ba. Pe. ).
La pronuncia spiegherà i suoi effetti anche nei confronti di tutte le altre autorità giurisdizionali o amministrative che in futuro dovranno applicarla, costituendo un precedente vincolante non solo per il giudice del rinvio, ma anche per tutti quelli degli altri Stati Me.. L’effetto dichiarativo delle sentenze determina che “l’interpretazione del diritto comunitario, adottata dalla Corte di giustizia, ha efficacia “ultra partes”, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità” (Cass. sent. 23 ottobre 2014, n. 22577).
Tanto premesso, è opportuno rilevare che i principi enunciati dalla sentenza della Corte di Giustizia in materia di costi da rimborsare per l’estinzione anticipata del finanziamento trovano applicazione anche nel caso in esame.
Di recente, con una convincente decisione il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Finanziario (11.12.19) ha affermato l’ulteriore condivisibile assunto dell’applicabilità immediata dello stesso anche alle controversie pendenti, stante la natura di sentenze interpretative e vincolanti della Corte anche al di fuori del caso per le quale sono state pronunciate.
Né, peraltro, può ritenersi che la novità legislativa del 25 luglio 2021, sulla non rimborsabilità dei costi up front per i contratti sottoscritti prima di quella data sia in grado di superare le considerazioni fin qui espresse.
L’art. 11-octies del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali, convertito con modificazioni in legge 23 luglio 2021, n. 106, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 176 del 24 luglio 2021, suppl. ord. n. 25 ed in vigore dal giorno successivo ossia dal 25 luglio 2021, ha stabilito che “l’articolo 125sexies del TUB, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come sostituito dal comma 1, lettera c), del presente articolo, si applica ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 125sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
La disposizione, nella parte in cui ritiene applicabile “le disposizioni dell’art. 125sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993” è norma ultronea, posto che, come già visto nella presente motivazione, la disposizione di cui all’art. 125 sexies va interpretata alla luce della direttiva europea 2008/48, e della citata sentenza della Corte di Giustizia Europea.
Più problematica, invero, era l’analisi della disposizione in cui sanciva l’applicabilità delle “norme secondarie”.
Già in precedenza era fortemente dubitabile che la portata precettiva della disposizione in esame potesse arrivare a considerare come legittima la non rimborsabilità dei costi up front tant’è che, costante giurisprudenza riteneva che, al pari di regolamenti e direttive, anche le pronunce della Corte di Giustizia della Comunità europea avessero efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, vincolando sia le amministrazioni che i giudici nazionali alla disapplicazione delle norme interne con esse configgenti (Cfr. C. Cost., 19 aprile 1985, n. 113 che ha affermato l’immediata applicabilità delle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia; Cass. 2 marzo 2005, n. 4466; Cass. 15 marzo 2002, n. 3841; Cass. 21 dicembre 2009, n. 26897; Cassazione 1 settembre 2011, n. 17966; 11 dicembre 2012 n. 22577 Cons. giust. amm. Si., sez. giurisd., 16 maggio 2016, n. 139).
Analogamente, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella già citata sentenza del 2019, precedentemente all’entrata in vigore del “nuovo” art. 125sexies TUB, si riteneva che la disposizione secondo cui alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di “modifica” del citato articolo si applicassero “le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”, qualora interpretata nel senso di escludere tout court la rimborsabilità dei costi up front, dovesse essere disapplicata stante l’impossibilità – per contrasto con il diritto comunitario – per i contratti sottoscritti in epoca antecedente al 25/07/2021, di derogare al principio per cui ogni voce di costo funzionalmente legata al finanziamento, che il consumatore decide di rimborsare anticipatamente, deve intendersi per ciò solo ripartita sull’intera durata del contratto ed è quindi dovuta per il tratto residuo, indipendentemente dal profilo che attiene alla causa del costo.
Soccorre, adesso, in tal senso anche la recentissima pronuncia della Corte Costituzionale n. 263 del 22 dicembre 2022.
Sottoposto al vaglio di costituzionalità l’art. 11 octies, comma 2, del D.L. n.73/21 per asserita violazione degli artt. 11 e 117, I comma, della Costituzione, la Consulta, in un esaustivo excursus dell’evoluzione della disciplina caratterizzante la materia in oggetto, ha sancito l’illegittimità costituzionale della norma esaminata nella parte in cui, con il richiamo alle “norme secondarie”, limita ai soli costi cd. recurring il diritto del consumatore alla ripetizione dei costi sostenuti in caso di estinzione anticipata del finanziamento.
Invero, ribadito il principio, affermato dalla stessa Corte di Giustizia e, come detto, dalla costante giurisprudenza espressasi fino ad oggi, secondo il quale compete unicamente alla CGUE individuare i limiti temporali dell’efficacia delle proprie pronunce non potendo nemmeno intervenire a posteriori per limitarne l’efficacia temporale, la Corte Costituzionale rileva l’assenza di tali limiti nella sentenza cd. “Lexitor”.
Da tale assunto ne deriva che, a maggior ragione, non è consentita alcuna modulazione temporale degli effetti della stessa sentenza “Lexitor” da parte dei singoli Stati membri.
Pertanto, essendo tale compito sottratto al legislatore nazionale, la Corte Costituzionale ha evidenziato che l’art. 11 octies, richiamando le norme secondarie, ovvero le disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia operanti tra l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 141 del 2010 che ha introdotto il pregresso art. 125 sexies t.u. bancario e l’entrata in vigore della L. n. 106 del 2021, limitava l’efficacia nel tempo della “Lexitor” ai soli contratti conclusi successivamente all’entrata in vigore della norma in esame, il 25 luglio 2021, mantenendo la ripetibilità dei soli costi recurring per i contratti conclusi anticipatamente alla predetta data, con manifesto inadempimento da parte del legislatore italiano “agli obblighi «derivanti dall’ordinamento comunitario»”.
Di conseguenza, rilevato che il “comma 2 dell’art. 11 octies, con il suo peculiare riferimento alle norme secondarie, circoscrive il contenuto del precedente art. 125 – sexies, comma 1, t.u. bancario a un significato incompatibile con la sentenza Lexitor” ed in particolare viola l’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE oggetto di interpretazione da parte di tale pronuncia, e che “prima dell’intervento legislativo del 2021 l’interpretazione conforme alla sentenza Lexitor, sostenuta dall’ABF e dalla giurisprudenza di merito, non fosse contra legem e fosse, oltre che possibile, doverosa rispetto a quanto deciso dalla Corte di Giustizia” i giudici costituzionali concludono per l’illegittimità della norma, nei termini suddetti, “limitatamente alle parole “e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia” sicché l’art. 125- sexies, comma 1, t.u. bancario, che resta vigente per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021, in virtù dell’art. 11-sexies, comma 2, può nuovamente accogliere il solo contenuto normativo conforme alla sentenza Lexitor”, e l’obbligo del giudice nazionale di interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea.
Alla luce di quanto detto, vanno rimborsati sia i costi up front che quelli recurring senza distinzione alcuna relativamente al periodo di sottoscrizione del finanziamento.
Venendo, poi, al metodo di calcolo delle commissioni e spese assicurative da restituire si ritiene corretta l’impostazione, confermata dalla surriferita decisione della Corte Costituzionale, che prevede l’applicazione del metodo “proporzionale” in quanto rispondente al principio per cui l’incidenza dei costi sostenuti non può coprire un periodo per cui il contratto non è più in vita, mentre inapplicabile è il metodo analogo a quello stabilito per l’incidenza degli interessi, visto che non è per le stesse ritenuto corrispondente alla struttura del contratto un’incidenza variabile a seconda del decorso del tempo (cioè corrispondente al piano di ammortamento).
Tanto premesso, pur spettando a (omissis) la restituzione di tutti i costi, sia up front che recurring, sostenuti in occasione della stipula del finanziamento per cui è causa, in mancanza di domanda relativa alle somme non riconosciute nella sentenza impugnata, considerata la contumacia dell’appellato (omissis) nel presente giudizio, vanno riconosciute unicamente le somme liquidate dal giudice di prime cure pari a complessivi euro 1.434,03, di cui euro 919,30 per commissioni accessorie ed euro 514,73 per costi assicurativi.
Alla luce di quanto detto, l’appello deve essere rigettato con conferma della sentenza impugnata.
Le spese di lite liquidate come in dispositivo sulla scorta del valore della controversia e della complessità dell’istruttoria compiuta seguono tra le parti principali del giudizio la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, II sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. 8017/2019 del Giudice di Pace di Napoli, così provvede:
1) Dichiara la contumacia di (omissis);
2) Rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
3) Dichiara il difetto di legittimazione passiva di I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, e condanna parte appellante alla refusione in favore di I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., delle spese del presente giudizio che si liquidano in euro 1.278,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario al 15%.
Napoli, 22/06/2023