FATTO E MOTIVI DI DIRITTO
Con distinti ricorsi – poi successivamente riuniti – i ricorrenti in epigrafe, premettendo di aver lavorato alle dipendenze della resistente con le mansioni e il livello di inquadramento indicati nei rispettivi ricorsi e con gli orari lavorativi ivi indicati, hanno adito il Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice del lavoro, al fine di sentir dichiarare l’illegittimità, inefficacia, nullità e/o invalidità del licenziamento orale intimato loro rispettivamente in data 13.6.2024 (per (omissis) e in data 20.09.2024 (per (omissis)) e, per l’effetto, ordinare alla resistente di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro precedentemente occupato e condannare la stessa al pagamento delle retribuzioni spettanti dal licenziamento sino alla data della reintegrazione nonché al pagamento dell’indennità sostitutiva ex art. 2, co. 3, D.Lgs. 23/2015, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e al pagamento di pretese spettanze retributive.
Parte resistente, regolarmente citata in giudizio, si è costituita in entrambi i giudizi, chiedendo il rigetto delle domande attoree, il tutto con vittoria di spese di lite.
Tentata senza buon esito la conciliazione tra le parti, ritenute già mature per la decisione le domande di impugnativa del licenziamento e dovendo invece valutarsi l’ammissibilità dei mezzi istruttori con riguardo alle ulteriori domande, è stata disposta la separazione dei procedimenti ai sensi dell’art. 441 bis co. 4 c.p.c. e sono state contestualmente rinviate all’udienza del 15.4.2025 per la decisione le sole cause aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti.
Disposta la sostituzione dell’udienza del 15.04.2025 con la trattazione scritta ex art.127 ter c.p.c.; disposta altresì, all’esito dello scambio delle note di trattazione delle parti, la riunione dei giudizi aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, la causa è stata decisa con la presente sentenza, emessa nel termine previsto dalla norma citata, sulle note di trattazione scritta di entrambe le parti.
Ebbene, sono pacifiche in quanto non contestate le seguenti circostanze:
– la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti in causa (v. buste paga, in atti);
– il licenziamento dei ricorrenti intervenuto rispettivamente in data 13.06.2024 per (omissis) e in data 20.09.2024 per (omissis);
– che tale licenziamento è stato comunicato al Centro per l’Impiego come un licenziamento
per giustificato motivo oggettivo;
– che ai ricorrenti è stato inviato via WhatsApp il Modello UniLav da cui risultava il licenziamento degli stessi per giustificato motivo oggettivo, alla data del 13.06.2024 (per (omissis) e 20.09.2024 (per (omissis)).
Ciò posto, le domande attoree aventi ad oggetto l’impugnativa di licenziamento orale sono infondate e devono essere respinte, per le ragioni di seguito indicate.
Il thema decidendum è l’impugnativa del licenziamento irrogato per giustificato motivo oggettivo in quanto intimato, secondo la prospettazione attorea, oralmente.
E, invero, entrambi i ricorrenti hanno dedotto l’inefficacia del licenziamento impugnato poiché intimato in assenza di forma scritta, in violazione dell’art. 2 commi 1 e 3 L. 604/1966.
Nulla è, al contrario, allegato in ricorso sulla illegittimità del licenziamento per difetto di motivazione e/o insussistenza del giustificato motivo oggettivo (v. ricorsi, in atti).
Pertanto, l’oggetto del contendere è esclusivamente l’impugnativa di un licenziamento intimato – secondo quanto prospettato dai ricorrenti– in violazione dell’art. 2, commi 1 e 3, L. 604/66 così come modificato dalla L. 108/90 e dalla L. 92/12 che prescrive per il licenziamento la forma scritta ad substantiam (v. ricorsi, sul punto).
In punto di diritto, si evidenzia che, ai sensi dell’art. 2, comma 1 della L. n. 604/1966, il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. L’art. 2, comma 3 della L. n. 604/1966 sancisce l’inefficacia del licenziamento intimato senza l’osservanza della forma scritta.
Secondo la giurisprudenza di legittimità “Il licenziamento che non rivesta la forma scritta secondo la prescrizione contenuta nell’art. 2 della legge n. 604 del 1966 è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, il quale pertanto deve essere considerato ancora giuridicamente in atto con la conseguenza che persiste l’obbligo retributivo del datore di lavoro fino a quando non sopravvenga un’efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto” (Cassazione Civile, sezione lavoro, 3.1.1986 n. 23, cfr. anche Cassazione Civile, sezione lavoro, 1.8.2007 n.16955, Cassazione Civile, sezione lavoro, 19.9.2012 n.15106, Cassazione Civile, sezione lavoro, 4.10.2019 n. 24874, Cassazione Civile, sezione lavoro, 10.6.2021 n. 16377).
Ebbene, nella fattispecie in esame, dalla documentazione allegata in atti è provata la cessazione del rapporto di lavoro di entrambi i ricorrenti, con la decorrenza sopra indicata e, dunque, l’estromissione dei lavoratori dalla compagine aziendale, per giustificato motivo oggettivo (Cfr. comunicazione Unilav allegata, con cui venne espressamente indicata la ragione giustificatrice del recesso datoriale, ossia un licenziamento “per giustificato motivo oggettivo”).
La parte datoriale ha, altresì, allegato di aver comunicato il licenziamento ai ricorrenti a mezzo WhatsApp per il tramite della trasmissione del modello Unilav.
Detta circostanza di fatto, riportata nella memoria di costituzione della società convenuta, non è stata contestata dagli istanti (e, quindi, può ritenersi pacifica, ai sensi dell’art. 115 c.p.c.), i quali contestano piuttosto l’idoneità del mezzo adoperato per l’integrazione della forma scritta richiesta dalla norma cit.
Detto in altri termini, risulta provata la comunicazione del licenziamento a mezzo WhatsApp (circostanza pacifica in quanto non contestata) ai ricorrenti, i quali hanno però disconosciuto la validità della stessa ai fini dell’integrazione della forma scritta ad substantiam.
In particolare, secondo la difesa attorea, non avendo gli istanti ricevuto alcuna lettera di licenziamento, detto recesso doveva considerarsi avvenuto oralmente e, quindi, in violazione dell’art. 2, commi 1 e 3, L. 604/66 così come modificato dalla L. 108/90 e dalla L. 92/12 che prescrive per il licenziamento la forma scritta ad substantiam.
Tanto premesso, nella vicenda che occupa emerge – contrariamente a quanto affermato dalla difesa attorea – la prova della sussistenza di un licenziamento scritto.
A tale conclusione è agevole pervenire sulla scorta della lettura del modello UNILAV – pacificamente inviato dalla parte datoriale ai lavoratori a mezzo messaggio WhatsApp – col quale venne espressamente indicato un “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” nonché la data di decorrenza dello stesso (cfr. doc. fascicolo di parte convenuta).
E, invero, l’onere di intimare il licenziamento in forma scritta ex art. 2, comma 1, l. 15 luglio 1966, n. 604 a pena di nullità dello stesso può essere assolto tramite qualsiasi mezzo, anche informatico, che permetta al lavoratore di imputare con certezza la comunicazione al datore di lavoro (cfr. Tribunale, Catania, sez. lav., 27/06/2017).
Sul punto, giova anche osservare che, secondo granitica giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Cass. 14090/2006), “Il licenziamento individuale, ai fini della sua validità ed efficacia, deve essere comunicato in forma scritta; tale comunicazione può avvenire anche in modo indiretto, purché chiaro e idoneo a portare a conoscenza del lavoratore l’avvenuto licenziamento. Pertanto è idoneo allo scopo l’invio al lavoratore di copia della comunicazione datoriale del licenziamento inoltrata alla Sezione circoscrizionale del lavoro e della massima occupazione, mentre non è sufficiente tale comunicazione qualora non venga inoltrata al lavoratore neppure per conoscenza.”.
Specificamente, sulla certificazione (omissis), è stato osservato che “la comunicazione spedita all’Ufficio del Lavoro, non inoltrata al lavoratore neppure per conoscenza, non risulta idonea ad integrare i requisiti della forma scritta previste per l’efficacia del licenziamento. Ai fini della validità formale del licenziamento, non occorre che la comunicazione scritta, intesa alla risoluzione del rapporto di lavoro, sia diretta al lavoratore, ma è necessario che sia portata a sua conoscenza. Così anche la comunicazione del detto licenziamento all’Ufficio del Lavoro, se trasmessa anche al lavoratore, può costituire atto scritto” (cfr. motivazione della medesima sentenza).
In altri termini, la comunicazione datoriale al Centro per l’Impiego del licenziamento assurge ad inequivocabile manifestazione della volontà datoriale di recedere dal rapporto di lavoro ed è efficace purché sia portata a conoscenza anche del lavoratore.
Nel medesimo solco, gli stessi Giudici di legittimità hanno statuito che “È integrato il requisito della forma scritta, che condiziona la validità del licenziamento (ex art. 2 l. n. 604 del 1966) nel caso in cui il datore di lavoro invii al lavoratore copia della comunicazione del licenziamento inoltrata all’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione” (Cass
n.11310/97) e che “il licenziamento individuale può essere comunicato anche in forma indiretta, purché chiara, atteso che, ai fini della sua validità formale, sono in realtà indispensabili tre elementi; la manifestazione della volontà del datore di lavoro di porre fine al rapporto, la comunicazione di tale volontà al lavoratore e la forma scritta. Pertanto, è idoneo allo scopo l’invio al lavoratore di copia della comunicazione datoriale del licenziamento inoltrata alla sezione circoscrizionale del lavoro e della massima occupazione; invio che assume forma scritta e costituisce inequivocabile manifestazione della volontà del datore di lavoro” (Cass. n.12529/2002).
Per come è evidente, dunque, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che la comunicazione di risoluzione del rapporto inviata all’Ufficio del Lavoro (equipollente alla comunicazione obbligatoria versata in atti) può soddisfare il requisito della forma scritta, purché, ed è questo il punto decisivo, tale comunicazione venga (anche) portata a conoscenza del lavoratore interessato (v. sul punto, Corte d’Appello di Palermo, sentenza n. 1055 del 21.5.2024, in Banca Dati).
Pertanto, alla luce dei richiamati principi di diritto, rileva il Giudicante che la comunicazione del licenziamento, via WhatsApp, per ritenersi valida, deve contenere le generalità delle parti, gli estremi del rapporto di lavoro, la data del recesso ed indicare la motivazione dello stesso.
Ancora, come precisato nella pronuncia della Suprema Corte sopra richiamata, affinché possa essere considerato valido il licenziamento comunicato tramite WhatsApp o altro strumento informatico è necessario accertare non solo la sussistenza della conferma della ricezione del messaggio e del licenziamento (fatti, nel caso di specie, pacifici in quanto non contestati) ma anche che vi sia stata una risposta da parte del lavoratore o la persistenza di altri elementi (quali ad esempio l’impugnazione del licenziamento, con offerta della propria prestazione) che confermino la effettiva ricezione e conoscenza di tale atto di recesso.
Ebbene, nel caso di specie, deve ritenersi che la pacifica trasmissione ai lavoratori, sia pure in maniera indiretta (ovvero tramite WhatsApp), da parte del datore, del file contenente il certificato di cessazione del rapporto per licenziamento per giustificato motivo oggettivo equivalga a comunicazione scritta del recesso datoriale, pienamente efficace dacché entrato nella sfera di conoscenza del destinatario, tant’è che entrambi i ricorrenti hanno poi provveduto tempestivamente ad impugnarlo e ad offrire la propria prestazione lavorativa.
Ritiene, in definitiva, questo giudicante che la trasmissione al lavoratore del modello “Unilav” a mezzo WhatsApp costituisca una modalità di comunicazione in forma scritta al lavoratore del licenziamento.
La suddetta modalità di comunicazione del licenziamento è certamente conforme alla ratio dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966: portare a conoscenza del lavoratore, in forma scritta, il licenziamento e la ragione del recesso datoriale. Invero, nel modello “Unilav” (in atti) sono indicati i motivi del recesso (“licenziamento per giustificato motivo oggettivo”) e la data del licenziamento.
Dunque, stante la non contestazione dell’avvenuta trasmissione via WhatsApp della certificazione Unilav, da cui risultava il licenziamento dei ricorrenti per giustificato motivo oggettivo, i fatti dedotti integrano pienamente i requisiti di diritto richiamati dalla giurisprudenza di legittimità, tenuto conto della sussistenza, nel modello Unilav, delle generalità delle parti in rapporto, della ragione e della data del recesso datoriale e degli estremi del rapporto lavorativo.
Per tali ragioni, il licenziamento intimato da parte datoriale non integra la violazione dell’obbligo della forma scritta.
Nulla risulta, poi, contestato nei ricorsi in termini di insussistenza del giustificato motivo oggettivo, mancanza di motivazione, omessa ricezione della certificazione UniLav etc, non potendo questo giudice pronunciarsi se non nei limiti della domanda attorea – essendo del tutto tardive e, quindi, inammissibili le allegazioni su ulteriori ragioni di nullità del licenziamento (difetto di motivazione, etc..) contenute nelle note scritte depositate in corso di causa e non oggetto dei rispettivi ricorsi.
E, invero: “la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità la invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa (…), non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati; ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte» (in ordine di tempo, Cass. 24 marzo 2017, n. 7687; Cass. 2 ottobre 2018, n. 23869; Cass. 5 aprile 2019, n. 9675; Cass. 11 luglio 2019, n. 18705” (v. Cass. 2 gennaio 2020, n. 8).
In definitiva, non avendo i ricorrenti impugnato il licenziamento per insussistenza della motivazione e del giustificato motivo oggettivo e non potendosi perciò valutare motivi di censura non allegati in ricorso, le domande attoree non possono che essere rigettate.
Le spese seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come in dispositivo nella misura minima, tenendo conto del valore della causa e dell’assenza di attività istruttoria
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:
1. Rigetta le domande attoree;
2. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite in favore di parte resistente (omissis) che si liquidano in complessivi € 3.000,00, oltre rimborso forfettario per spese generali al 15%, Iva e CPA come per legge.
Si comunichi
Aversa, 16.04.2025