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Tribunale di Modena sez. III, 15/11/2022, n. 1388

Massima

In ambito di concordato preventivo, la responsabilità contrattuale degli organi della procedura, ovvero del liquidatore e del commissario giudiziale, è solidale e si configura per l’omessa acquisizione e destinazione ai creditori di finanza terza (es: finanziamenti soci per aumento di capitale) espressamente prevista come componente dell’attivo concordatario da distribuire. Tale condotta integra grave negligenza e inadempimento agli obblighi assunti.

Supporto alla lettura

CRISI D’IMPRESA

Lo stato di crisi di un’impresa viene definito in relazione allo stato di insolvenza come una situazione connotata da minore gravità e riguarda tutte quelle situazioni degenerative economico-finanziarie dell’impresa potenzialmente idonee a sfociare nell’insolvenza medesima. In ottica aziendalistica, la crisi si identifica come il venir meno delle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’impresa capaci di compromettere la prospettiva di continuità aziendale.

La nozione di crisi d’impresa sotto il profilo giuridico costituisce il presupposto per l’attivazione degli strumenti di composizione negoziale volti a scongiurare il fallimento.

L’evoluzione normativa intervenuta negli ultimi anni ha cambiato gradualmente l’approccio verso il concetto di crisi d’impresa. Con le ultime riforme, infatti, sono stati introdotti nel nostro ordinamento strumenti prevalentemente negoziali per consentire all’imprenditore di disporre di un buon numero di alternative per affrontare una situazione economica sfavorevole e tutelare maggiormente i creditori sociali.

Ambito oggettivo di applicazione

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E
DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Il (omissis) già (omissis), in persona del curatore avv. (omissis) ha agito in giudizio promuovendo un azione ex artt.165-182-38 lf al fine di accertare la responsabilità contrattuale sia del liquidatore giudiziale dott. (omissis) che del commissario giudiziale dott. (omissis) per condotte omissive e negligenti tenute in fase di esecuzione del concordato preventivo in continuità del Gruppo Cbs a tutela dei creditori concorsuali, insinuati al passivo del fallimento per la differenza tra la percentuale loro offerta in sede di proposta di concordato e quanto ricevuto in sede di riparto, nonché in via concorrente e subordinata per responsabilità extracontrattuale in favore dei creditori entrati in contatto con la società dopo l’omologa, i quali avevano riposto affidamento sulla corretta esecuzione del concordato, contestando i seguenti inadempimenti:

non aver provveduto all’esito del concordato all’impiego ed alla distribuzione in favore dei creditori concordati dell’importo di € 1.000.000,00 che il socio (omissis) aveva versato a titolo di finanziamento socio per aumento capitale sociale e che risultava ricompreso nell’attivo concordatario;

non aver esercitato le funzioni proprie attribuite nello specifico al liquidatore e di controllo del commissario giudiziale alla presa in carico, gestione e vendita del magazzino prodotti finiti destinato ai creditori concorsuali in misura del 50% che era stato realizzato direttamente dalla società e non dal liquidatore versando i relativi importi alla procedura, con tempistiche inadeguate e con un realizzo finale del tutto inferiore rispetto ai valori di perizia.

Le omissioni sopra indicate, secondo la prospettazione del fallimento, avevano determinato un danno nei confronti dei creditori concordatari i quali avevano ricevuto in sede di esecuzione del concordato somme inferiori rispetto a quelle inizialmente prospettate, a nulla rilevando che si trattasse di percentuale non garantita e ciò in quanto la corretta e puntuale esecuzione del concordato, senza incorrere negli adempimenti contestati, avrebbe consentito un migliore soddisfacimento dei creditori , concludendo per la condanna dei convenuti a versare al fallimento la differenza tra l’importo di 7,4 milioni e quello effettivamente conseguito di € 4.026.684 pari a € 3.421.316; in subordine la differenza tra l’importo destinato ai creditori e quanto indicato in sede di rendiconto della gestione pari a € 457.274,80, oltre all’importo di € 1.000.000,00 di liquidità aggiuntiva non destinato ai creditori concorsuali, con il favore delle spese di lite.

Si è costituito in giudizio il commissario giudiziale dott. (omissis) eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione attiva del curatore per inammissibilità ed improponibilità delle domande proposte e nel contempo il difetto di legittimazione passiva dei convenuti sul presupposto che il concordato preventivo omologato nel luglio 2013 era stato eseguito e chiuso senza alcun rilievo o istanze da parte dei creditori in sede di approvazione del rendiconto finale con decreto del 9-7-2018, la dichiarazione di fallimento era intervenuta dopo circa un anno dalla chiusura del concordato (sentenza n 12/2019 del 29-1-2019) ed era attribuibile ad una situazione di insolvenza del tutto diversa e successiva rispetto alla pregressa crisi della società, risolta in sede di concordato;

nel merito chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti, tenuto conto del ruolo e dei compiti specifici attribuiti al commissario giudiziale ex lege puntualmente assolti, sia per l’assoluta infondatezza dei relativi addebiti, con richiesta di autorizzazione in ogni caso alla chiamata in causa delle proprie compagnie assicuratrici (omissis) e (omissis) al fine di essere tenuto indenne e manlevato dalle pretese risarcitorie avanzate nei suoi confronti.

Si sono costituite in giudizio le compagnie di assicurazione chiamate in causa dal commissario giudiziale e nello specifico (omissis) che ha concluso chiedendo l’applicazione della copertura assicurativa nei limiti del massimale assicurato e la graduazione delle specifiche responsabilità dei convenuti ove sussistenti mentre (omissis) ha chiesto in via principale il rigetto delle domande svolte dal fallimento verso l’assicurato;

in subordine la non operatività della polizza assicurativa ed in ogni caso la sua applicabilità come polizza di secondo grado rispetto a (omissis) e la graduazione della responsabilità dei convenuti , se accertata in corso di causa.

Si è costituito in giudizio il liquidatore giudiziale dott. (omissis) formulando, in via preliminare, l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del curatore e passiva dei convenuti rispetto alle domande formulate, stante la piena esecutività del concordato e la sua chiusura senza rilievi da parte dei creditori concorsuali, la discontinuità tra il concordato e la successiva dichiarazione di fallimento, intervenuta dopo circa un anno e per insolvenza diversa e sopravenuta; nel merito ha concluso per il rigetto delle domande stante l’assoluta infondatezza degli addebiti mossi avendo il liquidatore eseguito il proprio mandato secondo quanto previsto dal piano concordatario , il quale non prevedeva la destinazione della liquidità aggiuntiva ai creditori concorsuali ma la sua destinazione alla società a titolo di aumento del capitale sociale, rilevando inoltre che la proposta non garantiva nessuna specifico grado di soddisfacimento dei creditori e tenuto conto che la liquidazione dei beni doveva necessariamente tener conto delle esigenze della continuità aziendale e dei tempi e possibilità di realizzo concreto sul mercato , per cui la gestione del magazzino nel piano omologato era rimessa alla società , come pure la vendita del materiale, con versamento ai creditori della percentuale di realizzo indicata nella proposta e concretamente attuata nel mercato, ribadendo che tutti gli importi versati dalla società erano stati destinati ai creditori concorsuali.

Chiedeva in ogni caso l’autorizzazione alla chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice (omissis) per essere tenuto indenne e manlevato da ogni pretesa risarcitoria ed inoltre la chiamata in causa in proprio del curatore fallimentare avv. (omissis) a titolo di risarcimento dei danni per lite temeraria ex art 96 cpc.

La compagnia di assicurazione (omissis), chiamata in causa dal dott. (omissis) si è costituita in giudizio chiedendo in via principale la dichiarazione di inammissibilità, improponibilità ed in ogni caso il rigetto nel merito delle domande proposte dal fallimento in quanto infondate; in caso di accoglimento della domanda dirsi tenuta la compagnia di assicurazione a manlevare l’assicurato in caso di ritenuta operatività della polizza assicurativa nei limiti del massimale assicurato e previa graduazione delle singole responsabilità.

Si è infine costituita in giudizio il curatore del fallimento avv. (omissis) chiamata in causa in proprio dal dott. (omissis) eccependo l’inammissibilità della domanda dallo stesso proposta nei suoi confronti ex art. 96 cpc per insussistenza dei relativi presupposti di legge, non potendosi in ogni caso ravvisare nel comportamento tenuto dal curatore, il quale aveva agito in giudizio nell’interesse della massa dei creditori, un comportamento in mala fede o con abuso del diritto posto che l’azione promossa era fondata sulle risultanze documentali emerse nel corso della procedura fallimentare, contestando altresì la fondatezza dell’asserito danno subito dal liquidatore, la cui allegazione era del tutto generica e priva di qualsiasi riscontro oggettivo.

La causa è stata istruita in via documentale ed all’esito posta in decisione sulle conclusioni rese dalle parti.

La prima questione da esaminare è relativa alla legittimazione attiva del curatore ad agire nei confronti del commissario giudiziale e del liquidatore del concordato per inadempimento agli obblighi assunti in sede di proposta concordataria a far valere la responsabilità degli organi della procedura dopo la sua chiusura e la esecuzione del concordato, senza che i creditori ne avessero richiesto la risoluzione.

La relativa eccezione è stata proposta dalla difesa sia del commissario giudiziale che del liquidatore giudiziale con riferimento alla responsabilità contrattuale prospettata dalla difesa del fallimento come azione di massa nei confronti dei creditori concorsuali insinuati al passivo del fallimento per la differenza tra la percentuale offerta in sede di concordato e le somme poi effettivamente percepite in sede di riparto, come pure con riferimento alla responsabilità extracontrattuale in favore dei creditori della massa fallimentare entrati in contatto con la (omissis) dopo l’omologa del concordato, i quali a causa della negligente condotta dei convenuti, avrebbero riposto un erroneo affidamento nella corretta esecuzione del concordato e nella affidabilità della società.

Secondo la prospettazione difensiva dei convenuti va esclusa la legittimazione attiva del curatore ad agire nei confronti degli organi della procedura di concordato dopo la chiusura per effetto della sua completa esecuzione (ed emissione del relativo decreto di chiusura), tenuto conto per altro che la percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari, inserita nella proposta, era ipotizzabile in base ai dati contabili ed ai valori di realizzo dei beni ma senza garanzia di risultato e di percentuale effettiva spettante ai creditori chirografari; in ogni caso nessun creditore aveva mosso rilievi agli organi della procedura, né era stata avanzata richiesta di risoluzione del concordato dopo la sua esecuzione; la dichiarazione di fallimento della società era intervenuta dopo circa sei anni dalla omologa del concordato e dopo un anno circa dalla chiusura della procedura per una situazione di insolvenza del tutto diversa, non riconducibile alla situazione di insolvenza a cui la società aveva fatto fronte con la proposta concordataria, la cui chiusura aveva determinato l’estinzione delle obbligazioni oggetto della proposta concordataria in virtù dell’effetto esdebitatorio proprio del concordato.

L’assunto è infondato e non merita accoglimento.

Per espresso dettato normativo l’azione di responsabilità esperibile nei confronti del commissario giudiziale e del liquidatore giudiziale nell’ambito di una procedura di concordato preventivo ove sono previste operazioni di liquidazione dei beni sono le stesse previste per il curatore fallimentare in base al richiamo contenuto nell’art.182 cpc alle norme dettate per il curatore fallimentare nello specifico all’art 38 LF, in tal modo modulando il perimetro della responsabilità degli organi della procedura alla diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico sia da parte del liquidatore che del commissario giudiziale in base agli obblighi loro attribuiti ex lege , da cui discende la responsabilità verso i creditori in caso di inadempimento dell’obbligo quanto al liquidatore di assolvere con diligenza all’incarico di realizzare i beni ceduti ai fini del riparto e quanto al commissario giudiziale per omessa vigilanza, impulso ed informazione finalizzate al controllo e vigilanza sul comportamento tenuto dal liquidatore in favore del ceto creditorio (Cass. Civ. 2015/14052)

E’ principio pacifico che la presentazione di una proposta di concordato preventivo preclude la possibilità per i creditori di agire in via esecutiva e cautelare verso il debitore fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato sia divenuto definitivo a seguito della omologa, preclusione che non opera nella fase successiva di esecuzione dell’accordo nella quale il creditore può agire verso il debitore per ottenere l’esecuzione dell’accordo e la soddisfazione delle proprie ragioni di credito in caso di inadempimento, posto che l’omologazione non determina la novazione dell’obbligazione anteriore ma produce solo la parziale inesigibilità del credito (cass. civ. 12085/2020).

A seguito dell’omologa del concordato i creditori anteriori sono obbligati all’accordo intervenuto con il debitore nel vedere soddisfatte le relative pretese creditorie mediante la ristrutturazione debitoria, nei termini indicati in sede di omologa, ma ciò non esclude la legittimazione del creditore dopo l’omologa ad agire nei confronti del debitore che risulti in tutto o in parte inadempiente al fine di ottenere l’esecuzione del patto, sia attraverso la risoluzione o l’annullamento del concordato, sia mediante una azione individuale volta a far accertare lo stato di insolvenza.

Come da ultimo ribadito dalla giurisprudenza di legittimità mediante l’omologazione del concordato l’insolvenza viene ristrutturata nei termini e modalità indicati nel piano omologato ma ciò non preclude la dichiarazione di fallimento tutte le volte in cui si verifichi un inadempimento dell’accordo, idoneo di per sé ad integrare quei “fatti sopravvenuti” in presenza dei quali è possibile la presentazione da parte dei creditori di istanza di fallimento, ciò indipendentemente dalla risoluzione del concordato che rappresenta un rimedio di natura contrattuale volto ad eliminare gli effetti dilatori e remissori del concordato stesso (cass. civ. sez.unite 4696/2022).

La correlazione tra risoluzione del concordato e fallimento, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, produce effetti sull’entità dei crediti, nel senso che qualora il fallimento sia dichiarato quando sia ancora possibile la risoluzione del concordato i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitativi e definitivi del concordato omologato divenuto irrealizzabile, mentre nell’ipotesi in cui il termine per la risoluzione sia scaduto ed il piano risulti consolidato, senza che alcuno dei creditori ne abbia chiesto la risoluzione, il debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento ed i creditori possono agire al fine di far accertare l’insolvenza nella misura falcidiata (Cass. Civ. sez.unite 4696/2022).

Da quanto detto discende che nessun rilievo assume l’intervenuta esecuzione del concordato senza risoluzione e l’avvenuta chiusura della procedura all’esito della quale i creditori sono stati soddisfatti solo parzialmente rispetto alla proposta concordataria, stante la possibilità per i creditori di far valere l’inadempimento del debitore ed agire ai fini della sua dichiarazione di fallimento, con possibilità per i creditori concorsuali di chiedere l’ammissione del proprio credito in sede di passivo del fallimento nei limiti dei crediti falcidiati in sede di concordato, come in effetti verificatosi nel caso in esame, stante l’intervenuta ammissione al passivo del fallimento di crediti rimasti insoddisfatti in sede di concordato per € 5.078.252,00.

Da quanto detto discende la legittimazione attiva del curatore del fallimento di agire nei confronti degli organi della procedura concordataria precedentemente instaurata in danno della società poi fallita, come azione di massa di natura contrattuale per gli inadempimenti riscontrati con riferimento agli obblighi posti a loro carico e dagli stessi assunti in sede di concordato tutte le volte in cui verifichi nel corso della procedura fallimentare, come nel caso di specie, comportamenti tenuti dagli organi della procedura concordataria tali da integrare l’ inesatta ed incompleta esecuzione degli obblighi insiti nella funzioni assolte.

Va invece esclusa la legittimazione del curatore in merito alla domanda proposta in via subordinata, in quanto del tutto generica anche sotto il profilo della allegazione, ad agire a titolo di responsabilità extracontrattuale a tutela dei creditori entrati in contatto con la società successivamente all’omologa per aver confidato sulla corretta esecuzione del concordato, domanda proposta senza individuazione di fatti specifici ed in assenza di supportato probatorio.

Sempre con riferimento alla legittimazione ad agire del curatore nei confronti degli organi della procedura concordataria per inadempimento è del tutto pacifico che il concordato è stato eseguito con una percentuale di soddisfacimento dei creditori non conforme al piano omologato, con conseguente diritto dei creditori concorsuali ad insinuare il relativo credito in sede di fallimento, per cui l’effetto esdebitatorio del concordato non si è realizzato se non nella misura delle somme effettivamente ripartite ai creditori.

In particolare nella proposta di concordato omologata la società fallita aveva previsto che l’attivo concordatario all’esito della continuità aziendale e della intervenuta liquidazione dei beni non strategici sarebbe stato pari a € 46.250.000,00, il ceto creditorio sarebbe stato soddisfatto in misura pari all’82,50%, percentuale ridotta in sede di adunanza dei creditori al 76,97% , in sede di riparto finale in misura pari al 12,42%.

Quanto alla dichiarazione di fallimento la stessa è intervenuta a fronte di una istanza di un creditore a cui si è aggiunta l’istanza in proprio della stessa società per una situazione di indebitamento e di impossibilità di far fronte alle obbligazioni maturate già nel corso dell’anno 2018 ovvero nella fase di esecuzione del concordato (chiuso con decreto del 9-7-2018) e ciò a dimostrazione di una situazione di insolvenza della società non venuta meno nella fase di esecuzione del concordato , a cui si sono aggiunte le ulteriori obbligazioni assunte nella continuità dell’impresa.

Va respinta in quanto infondata l’eccezione proposta dalla difesa del liquidatore (omissis) relativa alla carenza della autorizzazione a proporre l’azione ex art. 146 LF da parte del curatore per mancata acquisizione del parere del comitato dei creditori e ciò in quanto si tratta di eccezione tardiva, formulata solo in sede di difese conclusive ed in ogni caso infondata posto che l’azione proposta nel caso in esame non è quella di cui all’art. 146 LF, il parere del comitato dei creditori è meramente consultivo, ciò che rileva è l’autorizzazione del GD che risulta essere stata ritualmente acquisita dal curatore prima di agire in giudizio.

Nel merito l’inadempimento contestato dal curatore al commissario ed al liquidatore giudiziale è relativo a due addebiti specifici:

omessa riscossione della somma di € 1.000.000,00 e messa a disposizione dei creditori dal socio (omissis) in conto aumento del capitale sociale che all’esito della procedura concordataria avrebbe dovuto essere distribuito ai creditori;

omessa presa in carico del magazzino ceduto ai creditori e mancato realizzo tempestivo delle vendite a valori conformi a quelli di perizia e messa a disposizione dei creditori delle relative somme in tempi contenuti, condotte tali da determinare un danno ai creditori concordatari per la perdita di valore dei beni, con incassi del tutto inferiori rispetto al valore dei beni periziati, mancata vendita di parte del magazzino (mq. 777.602,44) omessa riscossione di un importo pari a 551.510,00 pari alla differenza tra gli importi indicati in sede di rendiconto finale dal liquidatore e le somme relative agli incassi dalla vendita del magazzino risultanti dalla documentazione prodotta o quantomeno del minor importo di € 457.274,80, in base a quanto indicato in sede di rendiconto finale dal liquidatore giudiziale.

Il primo addebito è relativo alla mancata destinazione della finanza terza versata da un socio della società all’atto della omologa del concordato pari all’importo di € 1.000.000,00 destinata all’aumento di capitale sociale, che in base alla tesi del fallimento, avrebbe dovuto essere acquisita dagli organi della procura e destinata al soddisfacimento delle ragioni dei creditori in forza della previsione concordataria, all’ esito del concordato.

A conferma del proprio assunto la difesa del fallimento rileva che in sede di proposta del concordato la liquidità aggiuntiva per aumento del capitale sociale pari a € 1.000.000 fosse ricompresa tra le voci dell’attivo patrimoniale realizzabile, destinato in favore del ceto creditorio e calcolato ai fini della determinazione della percentuale destinata ai creditori all’esito della procedura.

Analogamente, il commissario giudiziale in sede di relazione ex art. 172 LF aveva dato atto tra le voci dell’attivo della liquidità aggiuntiva che sarebbe stata versata dal socio (omissis) a titolo di futuro aumento del capitale sociale all’atto della definitività del decreto di omologa, rilevando altresì che il relativo finanziamento sarebbe rimasto a disposizione della società anche qualora non si fosse proceduto all’aumento di capitale sociale in quanto il socio non avrebbe potuto richiedere il rimborso: l’importo risultava inserito tra le voci dell’attivo e calcolato ai fini della percentuale destinata al soddisfacimento dei creditori chirografari. Analogamente nella relazione ex art. 161 lf l’attestatore dott. (omissis) dava atto che la finanza terza avrebbe rappresentato liquidità aggiuntiva definitivamente acquisita all’attivo stante la rinuncia del socio a richiederne la restituzione anche nell’ipotesi in cui non si fosse proceduto all’aumento di capitale sociale e tale da incrementare la voce dell’attivo destinata ad essere distribuito ai creditori, come pure nelle relazioni redatte dal liquidatore giudiziale la somma di € 1.000.000,00 versata dal socio risultava inserita tra le voci dell’attivo concordatario e calcolata nella percentuale destinata al ceto creditorio.

I convenuti contestano in questa sede l’assunto del fallimento sostenendo che in sede di proposta concordataria, recepita in sede di omologa, era previsto l’apporto di finanza terza del socio in conto futuro aumento di capitale sociale ed in effetti l’importo di € 1.000.000,00 era stato versato dal socio e destinato all’aumento di capitale sociale.

Al contrario la proposta di concordato non prevedeva all’esito della procedura la destinazione della somma alla soddisfazione dei creditori in quanto la stessa era finalizzata a fornire alla società maggiori risorse per la continuità aziendale e proprio la destinazione della finanza terza all’aumento di capitale sociale importava un vincolo di destinazione e di indisponibilità del relativo importo per altri scopi.

In merito alla qualificazione giuridica dell’apporto del socio nel fornire alla società mezzi finanziari e della relativa regolamentazione, come di recente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, i versamenti in conto futuro aumento di capitale sociale operati dai soci non presentano una funzione oggettiva di credito ,in quanto essi ove intervenga l’aumento vanno a confluire in tale operazione mentre in caso non si verifichi vanno restituiti al socio perché la fattispecie non si è realizzata (cass. civ. 3-12-2018)

In ogni caso ciò che assume particolare rilievo al di là della definizione data all’erogazione della somma è la volontà delle parti circa la destinazione della somma versata: nello specifico i versamenti in conto futuro aumento capitale sociale rappresentano per la società un apporto provvisorio di un importo destinato alla futura operazione di capitale sociale ed in assenza di tale operazione le relative somme dovranno essere restituite per effetto della condizione risolutiva del mancato aumento :“ i versamenti in conto futuro aumento di capitale effettuate dai soci in favore di una società di capitali, condizionate alla adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinano a carico della società l’obbligo della restituzione.

Secondo la giurisprudenza consolidata la corretta qualificazione della erogazione di somme da parte del socio deve essere effettuata attraverso un’indagine circa la reale volontà delle parti nel caso concreto, non limitata al solo uso dei termini utilizzati per le annotazioni nelle scritture contabili” (cass. civ. 2021/ 34503).

Nel caso in esame l’erogazione da parte del socio di finanza terza in conto futuro aumento capitale sociale di € 1.000.000,00, come indicato nella proposta concordataria e ribadito in sede di attestazione della proposta, era destinata a fornire risorse alla società utili per la prosecuzione dell’attività ed a sostegno della continuità aziendale ma nel contempo, come espressamente indicato nella proposta e nel piano, la finanza terza erogata dal socio era destinata ad incrementare l’attivo concordatario, dunque doveva essere acquisita dagli organi della procedura e finalizzata al soddisfacimento del ceto creditorio ed in tal senso era stata pacificamente espressa la volontà delle parti nella proposta e piano concordatario, in base alla previsione di includere detto importo nell’attivo e calcolare lo stesso nella percentuale destinata ai creditori all’esito della procedura.

Né si può sostenere che vi sia contraddizione tra la destinazione indicata dalla società ricorrente e la continuità aziendale interessata dall’aumento di capitale nella misura indicata in quanto la continuità aziendale intesa come prosieguo dell’attività imprenditoriale, risulta pur sempre gravata del debito pregresso, sia pure nella misura falcidiata, per cui la destinazione dell’importo indicato come aumento di capitale destinato al pagamento esclusivo di tali creditori è coerente con la stessa prosecuzione dell’esercizio imprenditoriale e con il peso complessivo delle passività gravant.

Sotto tale profilo appare del tutto evidente e pacifico che sia il commissario giudiziale dott. (omissis) che il liquidatore giudiziale dott. (omissis) sono incorsi in una grave omissione e negligenza per non avere richiesto alla società all’intervenuta omologazione del concordato e all’esito dell’operazione di aumento di capitale operato, di porre a disposizione della procedura stessa la finanza terza versata dal socio (omissis) di € 1.000.000,00 destinata secondo la proposta concordataria ad incrementare l’attivo e dunque ad essere distribuita al ceto creditorio, circostanza di cui gli stessi avevano ripetutamente dato assicurazione nelle proprie relazioni, salvo poi non pretendere il versamento del relativo importo in sede di riparto finale, in tal modo causando al ceto creditorio un danno pari all’importo di € 1.000.000,00 non versato, inadempimento per il quale la responsabilità di entrambi gli organi della procedura appare di analoga gravità e dunque nella misura del 50 % ciascuno nei rapporti interni tra le parti mentre gli stessi sono chiamati a rispondere in via solidale verso la procedura ed i creditori concorsuali e ciò in quanto entrambi sono incorsi nell’adempimento dell’obbligo loro imposto, assunto all’atto della accettazione dell’incarico, di dare esecuzione alla proposta omologata il commissario mediante la vigilanza dell’operato del liquidatore e la tempestiva segnalazione al giudice ed ai creditori di eventuali omissioni o comportamenti del liquidatore non conformi agli obblighi assunti ed il liquidatore a sua volta per essere incorso in una grave negligenza per avere omesso di richiedere alla società di porre a disposizione l’importo sopra indicato, in adempimento di quanto previsto in sede di proposta omologata, per cui il fatto dannoso è imputabile ad entrambi e le condotte lesive benchè autonome hanno concorso in eguale misura alla determinazione dell’unico fatto dannoso e determinato l’evento (cass. civ. sez.unite 13143/2022).

Il secondo addebito mosso dal fallimento attore agli organi della procedura di concordato è relativo alla gestione del magazzino ed al suo realizzo, risultato notevolmente inferiore al valore oggetto di stima, nello specifico per non avere il liquidatore preso in carico e provveduto a gestire direttamente le vendite della parte di magazzino destinata ai creditori, aver proceduto con ritardo alle vendite con un realizzo del tutto modesto rispetto a quello originariamente prospettato e non aver destinato tempestivamente le somme ai creditori, non avere liquidato parte dei beni oltre alla contestazione sulla entità delle somme versate di seguito specificato; quanto al commissario giudiziale per non aver vigilato sull’operato del liquidatore ed aver omesso di riferire al giudice ed ai creditori sul comportamento tenuto dal liquidatore, non conforme agli obblighi assunti, in tal modo rendendosi a sua volta inadempiente agli obblighi posti a suo carico.

Quanto al secondo addebito relativo alla gestione del magazzino occorre rilevare che in sede di domanda di concordato e relativo piano si dava atto che i beni erano stati oggetto di perizia di stima giurata da parte dell’ing. (omissis) del 31-8-2022, allegata alla domanda di concordato nella quale il perito, dopo aver indicato la composizione specifica (materie prime, merce varia, prodotti fini) aveva determinato il valore di realizzo con riferimento al prodotto finito in misura pari a complessivi € 31.000.000,00 nell’ottica della continuità aziendale, mentre il valore in sede liquidatoria sarebbe stato pari a € 10.900,000,00; sempre in sede di proposta concordataria , confermata in sede di omologa, si precisava che per poter garantire la continuità aziendale il magazzino avrebbe dovuto essere gestito dalla società, la quale avrebbe destinato alla attività produttiva almeno il 50% mentre il restante 50% poteva ritenersi “asset non strategico “che avrebbe potuto essere liquidato in favore dei creditori, a cui sarebbe stato destinato il ricavato delle vendite del 50 % per un valore presumibile di realizzo di € 15.500.000,00, dati confermati anche nella relazione di attestazione del piano e della proposta redatto dalla dott.ssa (omissis) prodotto agli atti.

Nella proposta di concordato in continuità aziendale stante la previsione della vendita di beni immobili, magazzino ed altri beni non strategici era stata già prevista in quella sede la nomina da parte della società del liquidatore dott. (omissis) poi confermato in sede di omologa, indicando tra le modalità della liquidazione a cui il liquidatore avrebbe dovuto attenersi, la presa in consegna dei beni ceduti ai creditori e la liquidazione degli stessi nei termini di cui all’art 182 comma 4 LF.

Non vi è dubbio che la necessità per la società della gestione del magazzino a fini produttivi e per garantire la continuità aziendale, nei termini in cui era stata prevista nel piano omologato, rendeva di fatto impossibile una gestione diretta ed una apprensione dei beni destinata al ceto creditorio da parte del liquidatore giudiziale, anche perché la vendita prevista del c.d prodotto finito poteva essere eseguita solo dalla società in continuità per essere utilmente collocata sul mercato con valori di realizzo, mentre in caso di vendita diretta il liquidatore avrebbe provveduto alla cessione in ottica di liquidazione dei beni e con un diverso margine di realizzo.

Ciò non escludeva l’obbligo costante del liquidatore di verificare l’attività della società nella gestione del magazzino, sollecitare le vendite ed il versamento degli importi dovuti, senza poter procedere di fatto ad una gestione diretta posto che in sede di concordato era prevista la gestione da parte della società e la destinazione al ceto creditorio del 50% del ricavato delle vendite, realizzate direttamente dalla stessa.

Nelle relazioni semestrali periodiche depositate in atti sia dal Commissario giudiziale che dal Liquidatore si dava conto delle sollecitazioni rivolte alla società con riferimento alla cessione del magazzino e sulla attività posta in essere per la vendita dei relativi beni, la necessità di procedere con maggiore tempestività alle vendite ,senza tuttavia ricevere adeguati riscontri e ciò a fronte di una situazione oggettiva determinata dalla crisi di mercato, sia con riferimento ai tempi che all’effettivo realizzo in sede di vendita.

L’attività di vendita del magazzino da parte del (omissis), ricostruita attraverso la documentazione prodotta ed in particolare i bilanci della società, oltre alle relazioni in atti sia del commissario giudiziale che del liquidatore, consente di rilevare quanto segue:

nel bilancio al 31-12- 2015 (oltre che dal verbale del collegio sindacale del febbraio 2015) si da atto che sino alla fine del 2014 l’attività di vendita del magazzino era stata particolarmente difficile per ragioni contingenti di mercato e nell’anno 2014 aveva riguardato materiale obsoleto ed a prezzi del tutto inferiore a quelli di mercato, stante la difficoltà a vendere i prodotti nuovi finiti , tanto da importare una svalutazione del magazzino ad € 25.812.947,00 (II perizia (omissis) in atti) e prevedere in bilancio la svalutazione del magazzino per € 666.555,88.

Nel bilancio della società (omissis) all. 31-12-2016 si dava conto della vendita del ramo di azienda di Sassuolo, come previsto in sede di concordato mediante vendita competitiva secondo le indicazioni del (omissis) ed in merito alla vendita del magazzino si rappresentava la difficolta di portare ad esecuzione i contratti di fornitura di materiale di nuova produzione in favore dei clienti, pure in presenza di accordi negoziale già sottoscritti ed in corso, situazione verificatasi anche nei confronti dell’acquirente del ramo d’azienda (omissis).

Infine nel bilancio al 31-12- 2017 del (omissis) si dava atto della intervenuta vendita del magazzino con riferimento ai beni che era risultato possibile collocare sul mercato, con la precisazione che parte del materiale era risultato invendibile in quanto obsoleto ed era stato svalutato in quanto non cedibile a terzi.

Si tratta di circostanze oggettive, risultanti dai bilanci sociali e relative note integrative, che evidenziano le difficoltà riscontrate dalla società nella vendita dei beni costituenti il magazzino e la ricerca sul mercato della collocazione dei prodotti a condizioni competitive, scontando da una parte le difficoltà di portare a termine i contratti di fornitura e dall’altra la progressiva obsolescenza e difficoltà di vendita del prodotto, tali da importare una svalutazione del magazzino stesso ed in ogni caso l’impossibilità di collocazione sul mercato di parte del materiale.

In un tale contesto non può certamente attribuirsi al commissario giudiziale ed al liquidatore la non tempestiva vendita dei prodotti ed il mancato realizzo dei beni ai valori originariamente ipotizzati, per altro ridimensionati nel corso del tempo, posto che risultano dalla relazioni depositate in atti le sollecitazione e le richieste da parte degli organi della procedura alla società di fornire i dati dell’attività svolta resi dalla stessa in modo del tutto frammentario e parziale per la situazione di oggettiva difficoltà in cui la società in concordato si era trovata ad operare, situazione di cui in ogni caso si era dato conto nelle relazioni periodiche depositate dagli organi della procedura, comunicate ai creditori ed al GD.

Ne deriva l’infondatezza dell’addebito mosso dal fallimento attore nei confronti dei convenuti in ordine alla vendita dei beni a prezzi inferiori rispetto a quelli originariamente ipotizzati nella proposta di concordato, per negligenza e ritardi imputabili al liquidatore non segnalati dal commissario giudiziale, in quanto le risultanze probatorie portano a ritenere che la situazione sia stata determinata da ragioni oggettive di mercato ed in ogni caso dalla attività di gestione e vendita del magazzino eseguita direttamente dalla società, in conformità a quanto previsto nella proposta concordataria.

Analogamente, dalle scritture contabili della società e dalla documentazione prodotta, risulta provato che parte del materiale di cui era composto il magazzino è risultato obsoleto o comunque non gradito al mercato ed è stato necessario procedere alla sua svalutazione in quanto di fatto non collocabile sul mercato, per cui anche la contestazione sulla omessa vendita di parte del materiale non risulta fondata.

Resta da verificare, sempre con riferimento alla vendita del magazzino, la contestazione mossa al liquidatore e al commissario giudiziale per mancata vigilanza e segnalazione agli organi della procedura delle vendite effettive e non avere destinato ai creditori parte degli incassi derivanti dal magazzino , nello specifico per avere il liquidatore indicato in sede di rendiconto finale di gestione alla voce “incassi da demagazzinamento” l’importo di € 4.026.684 mentre sulla base della documentazione in atti, in parte prodotta dallo stesso liquidatore, i ricavi delle vendite destinati dalla società in concordato ai creditori erano pari a € 4.483.958,80 , con una differenziale pari a € 457.274,80 non versato ai creditori.

Secondo la tesi del fallimento il differenziale riscontrato è riferibile ai pagamenti eseguiti da (omissis) in base ai documenti prodotti dallo stesso liquidatore da cui risulta che i pagamenti affluiti sul conto della procedura relativa a (omissis) ( doc.7) erano complessivamente pari a € 1.657.274,80 e che a tale importo andavano aggiunti i ricavi delle vendite pari a € 2.826.684 (di cui al prospetto 20 prodotto dallo stesso convenuto) per cui l’importo complessivo era pari a € 4.483.958,80 e non ad € 4.026.684 indicato in sede di rendiconto finale.

A fronte di tale contestazione la difesa del dott. (omissis) ha prodotto documentazione (doc. 6) da cui risulta che tutte le somme pagate da (omissis) sono state incassate e versate sul conto della procedura per un incasso complessivo di € 1.657.274,80 come certificato dai relativi 16 bonifici (doc. 7) tutti accreditati sul conto della procedura.

Inoltre dalla comunicazione prodotta via mail (doc. 10) intercorsa tra il legale rappresentante del gruppo (omissis) e (omissis) era dato rilevare l’esito finale dei rapporti negoziali tra le parti e la definizione di pendenze tra vendite ed incassi e che gli importi dovuti erano stati pagati, con conseguente versamento in favore della procedura delle somme di sua spettanza e riscossione di tutti gli importi dovuti.

Sul punto va dato atto che dall’esame della documentazione prodotta emerge che il prospetto vendite al 31/1/2016 (doc. 20) redatto dalla società (omissis) con riferimento ai rapporti in corso con (omissis) trasmesso al liquidatore era costituito in parte da vendite eseguite in parte da ordini da evadere, dunque tale da rappresentare una situazione in corso e non definitiva; dalla tabella relativa agli ordini in corso ed alle vendite intercorse tra le due società (doc. 6 (omissis) al 25-10-2016 risulta che a fronte di forniture di merce ed ordini per complessivi €2.064.211,00 ,parte degli stessi per un importo di € 964.211,00 erano ancora da evadere, con pagamento salvo buon fine.

Dalla comunicazione tra il legale rappresentante della società in concordato e quello di (omissis) del 10-6-2021 (doc. 9 (omissis) emerge la parziale contestazione e difformità della merce fornita con quanto richiesto da (omissis), a cui hanno fatto seguito incontri transattivi tra le parti, anche a definizione di insoluti nel frattempi intervenuti, nell’ottica di una definizione dei rapporti ( doc. 10 prodotto dalla difesa del liquidatore) e di tutte le pendenze .

La valutazione complessiva del materiale probatorio e lo sviluppo del rapporto negoziale tra le parti non consente di ritenere raggiunta la prova che una parte delle somme versate da (omissis) non siano confluite sul conto della procedura come sostenuto dal fallimento in base ad una mera somma aritmetica, senza tener conto dello sviluppo del rapporto negoziale e dell’ulteriore documentazione prodotta, tra importi iniziali del tutto provvisori ed importi effettivamente versati all’esito del rapporto negoziale, sorretti da idoneo supporto documentale .

La tesi del liquidatore giudiziale risulta per tanto del tutto attendibile sulla base dell’iter negoziale e delle trattive intercorse tra le parti definite in via transattiva, tali da ritenere che gli importi definitivamente versati siano quelli riportati in sede di rendiconto finale , da cui discende l’infondatezza del relativo addebito.

Per quanto detto va affermata la responsabilità per inadempimento contrattuale del commissario giudiziale e del liquidatore nei confronti del fallimento con riferimento alla sola mancata acquisizione e versamento in favore del ceto creditorio dell’importo di € 1.000.000,00, liquidità derivante da finanza terza destinata secondo quanto previsto nella proposta di concordato omologato al ceto creditorio all’esito della procedura quale componente dell’attivo, per aver il liquidatore all’esito della procedura omesso la relativa acquisizione ed il commissario giudiziale per non aver vigilato sul comportamento dallo stesso tenuto e richiesto al liquidatore la riscossione, ne segnalato ai creditori ed al GD la mancata acquisizione, responsabilità solidale di entrambi nei confronti del ceto creditorio mentre ai fini dei rapporti interni tra le parti ed in relazione alla manleva richiesta nei confronti della compagnie di assicurazione va determinata la responsabilità dei convenuti in pari misura al 50 % ciascuno, assumendo la condotta tenuta in violazione degli obblighi assunti con il relativo incarico nel medesimo rapporto causale con la causazione del danno verso il ceto creditorio che non ha ricevuto all’esito della procedura parte delle somme dovute, importo a cui vanno aggiunti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo, oltre alle spese di lite in favore del fallimento attore, liquidate come in dispositivo con esclusione degli ulteriore addebiti .

Risulta fondata e va accolta la domanda di garanzia proposta dal liquidatore giudiziale dott. (omissis) nei confronti della propria compagnia di assicurazione (omissis) essendo stata idoneamente documentata la vigenza e relativa copertura assicurativa per responsabilità civile professionale nel periodo in contestazione, da cui discende il diritto dell’assicurato ad essere tenuto indenne e manlevato da tutto quanto dovuto nei confronti del fallimento a titolo di risarcimento del danno, interessi e spese di lite, secondo i termini e le condizioni previste dalla relativa polizza assicurativa e nei limiti del massimale assicurato, dandosi atto che nessuna contestazione è stata promossa con riferimento alla relativa copertura assicurativa.

Analogamente va accolta la domanda di garanzia proposta dal commissario giudiziale dott. (omissis) nei confronti della rispettive compagnie di assicurazione (omissis) ed (omissis) dovendosi rilevare che dalla documentazione prodotta risulta che in effetti l’assicurato ebbe a sottoscrivere la prima polizza assicurativa a copertura del rischio per l’attività professionale con (omissis) ( polizza a partire dal 2013), in assenza di altre coperture assicurative come polizza di I rischio, il cui limite di polizza e massimale assicurato risulta pari a € 2.000.000,00 con scopertura del 10 %, mentre la polizza assicurativa sottoscritta con (omissis) veniva sottoscritta successivamente, a partire dal 2016 e prorogata sino al 2019.

La compagnia (omissis) ha ribadito nelle proprie difese che la copertura assicurativa (omissis) in base alla Polizza I era a copertura del rischio assicurativo come polizza di secondo grado rispetto alla copertura assicurativa e per il rischio residuo non ricompreso in detta polizza e la relativa operativa ricompresa nell’arco temporale 2014 al 2019, le condizioni iniziali di polizza erano rimaste sempre le stesse e con la Polizza 2 del 2018 si era di fatto prorogata l’ operativa della polizza iniziale

Dalla Polizza I prodotta in atti risultano in effetti indicate le condizioni di polizza mentre successivamente nelle polizze 2018-2019 di cui ai doc. 2 e 3 risulta di fatto prorogato solo il termine di copertura assicurativa con richiamo espresso del numero di polizza originaria e di conseguenza alle condizioni di polizza ivi indicate e risulta effettivamente specificato che si tratti di polizza di II rischio rispetto a quella già in essere sottoscritta con (omissis) di cui si fa espressa menzione, come pure dell’obbligo per (omissis) di tenere indenne l’(omissis) con riferimento alle somme dovute a terzi a titolo risarcitorio in eccedenza rispetto a quelle oggetto di copertura della prima polizza.

Ciò implica la non applicabilità nel caso di specie dell’art 1910 cc come sostenuto dalla difesa (omissis) in base alle condizioni di polizza intervenute tra le parti e che ciascuna delle compagnie di assicurazione sarà tenuta a tenere indenne l’assicurato nei termini e condizioni delle rispettive polizze sopra specificati, per gli importi dovuti al fallimento a titolo di risarcimento danni, interessi e spese di lite.

La fondatezza della domanda proposta dal (omissis) nei confronti del liquidatore dott. (omissis) importa l’esclusione di qualsiasi responsabilità del curatore del fallimento avv. (omissis) la quale da quanto emerso nel corso del procedimento risulta ave agito in giudizio nell’esclusivo interesse ed a tutela delle ragioni dei creditori e non risulta in alcun modo giustificata la sua chiamata in causa personalmente, con richiesta di condanna in proprio per risarcimento del danno in favore del liquidatore giudiziale ,con allegazione del tutto generica sul presunto danno subito .

Le ragioni poste a fondamento della domanda proposta dal fallimento portano ad escludere che la condotta del curatore sia connotata dai requisiti delle mala fede, slealtà o di abuso del diritto avendo la stessa proceduto, previa verifica ed acquisizioni di prove documentali nel corso della procedura fallimentare, a porre all’attenzione del GD i fatti accertati con richiesta di promuovere la relativa azione risarcitoria verso gli organi della procedura in quanto erano emersi comportamenti non conformi agli obblighi assunti, connotati da omissioni e da comportamenti negligenti, tali da determinare un danno per il ceto creditorio.

Il curatore si è limitato a rappresentare al GD in sede di autorizzazione ad agire in giudizio i fatti emersi e le relative acquisizioni documentali ritenendo sussistenti i presupposti per promuovere un’azione giudiziaria finalizzata all’accertamento della responsabilità contrattuale per inadempimento degli obblighi assunti da parte degli organi della procedura concordataria , per cui la condotta tenuta dal curatore non può in alcun modo qualificarsi come abusiva ma al contrario del tutto conforme al ruolo dalla stessa svolta a tutela degli interessi della procedura, dovendosi per altro rilevare che il mancato accertamento e l’esclusione di parte degli addebiti mossi all’esito del giudizio non serve a qualificare la condotta del curatore censurabile ex art 96 cpc posto che le circostanze evidenziate era tali da giustificare un accertamento giudiziale dei fatti.

Ne deriva il rigetto della domanda proposta dal liquidatore giudiziale dott. (omissis) ex art.96 cpc nei confronti del curatore del fallimento con chiamata in causa della stessa in proprio nel presente giudizio.

Al contrario va accolta la domanda proposta dal curatore nei confronti del liquidatore giudiziale ex art 96 cpc posto che era del tutto pacifico ed evidente che l’azione era stata promossa dal curatore non in proprio ma quale legale rappresentante del fallimento e con riferimento agli interessi del ceto creditorio, senza rendersi portatore di interessi propri di parte.

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità la condanna per responsabilità processuale del rappresentante può essere ravvisata solo nell’ipotesi in cui si renda portatore di interessi propri o comunque sia possibile ravvisare la sussistenza di gravi motivi da identificare in modo specifico nella violazione del dovere di lealtà e probità di cui all’art 88 cpc o nell’ assenza della normale prudenza nel promuovere la relativa azione giudiziale (cass. civ. 2010/ 20878; cass. civ. 2020/9203), comportamenti non ravvisabili nel caso di specie non essendo il curatore portatore di alcun interesse proprio e l’azione promossa è risultata fondata.

Ne discende la condanna del liquidatore giudiziale dott. (omissis) alla rifusione delle spese di lite oltre che del risarcimento del danno ex art 96 cpc in favore dell’avv. (omissis) che va determinato con criterio equitativo e che appare congruo il criterio del multiplo delle spese di lite (cass. civ. 2019/17902; cass. civ. 2020/26435) , così come specificato in dispositivo.

Le spese di lite tra le parti sono liquidate in base al principio della soccombenza come da dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale di Modena, definitivamente pronunciando, nella causa promossa da (omissis) così dispone:

in accoglimento della domanda proposta dal fallimento accertata la responsabilità per inadempimento contrattuale di (omissis) e (omissis) nei confronti del (omissis) condanna i  convenuti in solido tra loro al risarcimento del danno in favore del fallimento attore per l’importo di € 1.000.000.,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo.

Condanna i convenuti in solido al pagamento delle spese di lite in favore del fallimento che liquida in complessivi € 37.858,20 per compensi, oltre € 1.713,00 per spese anticipate, rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA come per legge.

Condanna altresì (omissis) alla rifusione delle spese di lite in favore del curatore avv. (omissis) in misura pari a € 27.804,00 per compensi, oltre rimborso spese generali iva e cpa come per legge oltre alla condanna per responsabilità aggravata ex art 96 cpc sempre in favore dell’avv. (omissis) che liquida in via equitativa in € 30.000,00.

Dichiara tenuta e condanna la Compagnia di assicurazione (omissis) a tenere indenne e manlevato il liquidatore (omissis) proprio assicurato nei termini e condizioni di polizza da quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, interessi e spese di lite al fallimento attore e al curatore avv. (omissis).

Dichiara tenuta e condanna la compagnia di (omissis) e (omissis) a tenere indenne e manlevato il commissario giudiziale (omissis) nei termini e condizioni previste nelle relative polizza da quanto dovuto in favore del fallimento a titolo di risarcimento danni, interessi e spese di lite.

Le spese di lite sostenute dalle Compagnie di assicurazioni restano a loro carico.

Modena, 15/11/2022

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