– accertare e dichiarare che l’uso delle denominazioni (omissis) ed (omissis) rappresenta contraffazione dei propri marchi ed illecito anticoncorrenziale ex art. 2598 c.c.:
– inibire l’uso di tali marchi da parte della convenuta;
– fissare una penale pari ad Euro 5.000 per ciascuna violazione successiva alla emissione della sentenza;
– disporre il sequestro ed il ritiro definitivo dal commercio ed ordinare la distruzione dei capi recanti i marchi (omissis) ed (omissis);
– condannare la (omissis) al risarcimento dei danni patiti, da liquidarsi ex artt. 1226 c.c. e 125 CPI;
– ordinare la pubblicazione della sentenza a cura dell’attrice ed a spese della convenuta.
Deduceva in particolare parte attrice che la convenuta aveva venduto abiti non originali recanti i suddetti segni distintivi.
Costituitasi in giudizio la (omissis) pur non contestando l’asserita contraffazione e l’uso illegittimo delle etichette (omissis), negava la propria responsabilità al riguardo, assumendo di essere stata vittima di un raggiro, per avere acquistato a stock da grossisti specializzati, quali (omissis) di (omissis) & C. S.n.c., (omissis) di (omissis), (omissis) S.r.l. e (omissis) S.r.l., capi non originali contrassegnati dai marchi in questione, pur avendoli creduti originali.
Chiedeva, quindi, in via preliminare di essere autorizzata alla chiamata in causa di tali rivenditori al fine di esserne manlevata in caso di accoglimento delle attoree domande e di sentirli condannare al risarcimento dei danni da essa patiti.
Malgrado la rituale chiamata in causa, i terzi (omissis) di (omissis) & C. S.n.c. e (omissis) di (omissis) rimanevano contumaci.
Per contro, costituitasi in giudizio, la (omissis) S.r.l. (di seguito (omissis)) contestava gli assunti della convenuta, assumendo di non averle venduto alcun capo contrassegnato dai segni distintivi (omissis) ed (omissis) e concludendo per la reiezione delle domande proposte nei propri confronti.
CONTRAFFAZIONE DEI MARCHI
I marchi (omissis) ed (omissis) sono marchi validi e forti in quanto non hanno alcun nesso significativo con i prodotti o servizi contraddistinti e sono dotati del requisito della rinomanza, in quanto oggetto, in base al notorio, nel corso di svariati decenni, di numerose e diffuse campagne pubblicitarie e promozionali.
Non è contestato che parte attrice goda di diritti anteriori su tali segni distintivi, né che vi siano state la dedotte violazioni, sotto il profilo oggettivo.
Ciò che la convenuta contesta è la propria responsabilità al riguardo, invocando la buona fede.
Si osserva in diritto che l’attività di contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dal suo titolare può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.
Lo stesso art. 2598 c.c. mantiene “ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto“.
Nondimeno “il diritto di esclusiva all’uso del marchio ha natura reale, sicché la sua violazione va ravvisata in ogni abusiva riproduzione del marchio, indipendentemente da qualsiasi connotazione soggettiva di buona o mala fede e, quindi, dalla presenza della colpa o del dolo nella parte che abbia dato luogo all’abuso. La sua tutela va distinta, pertanto, da quella concorrenziale di cui all’art. 2598 cod. civ., che ha, invece, natura personale ed, essendo integrativa della prima, tende ad assicurare la libera concorrenza anche nell’interesse del pubblico” (Cass. civ. sez. 1 n. 7660/97).
La tutela del marchio va dunque accordata sulla base del mero riscontro della identità o almeno della confondibilità dei due segni e della identità e confondibilità tra i prodotti, sulla base quanto meno della loro affinità, indipendentemente da dolo o colpa del contraffattore.
Peraltro, l’art. 20 del C.P.I. subordina la tutela del marchio che gode di rinomanza nello Stato alla sussistenza di una delle seguenti condizioni, previste in via alternativa:
a) che il terzo non autorizzato all’uso del marchio possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza di esso, ovvero, in alternativa
b) che da tale illegittimo uso possa derivare pregiudizio al carattere distintivo o alla rinomanza del marchio contraffatto.
Orbene, dall’indebito utilizzo dei marchi in esame sicuramente può essere derivato un vantaggio alla MF che ha posto in vendita capi contrassegnati dai marchi stessi, senza aver pagato alcuna royalty, con correlativo pregiudizio in capo a parte attrice.
Anche nell’ipotesi in cui si ritenesse che i marchi dell’attrice, seppur forti, non siano dotati del requisito della rinomanza, e quindi anche se si ritenesse applicabile l’art. 20 lett. b) del C.P.I. si perverrebbe alla medesima conclusione della illiceità dei comportamenti della convenuta, che si sono concretizzati in una contraffazione delle privative di cui l’attrice è titolare, non essendo contestato che la (omissis) abbia posto in vendita capi in tessuto non originale, recanti i segni distintivi (omissis) ed (omissis) e che tali segni siano oggetto di marchi registrati di cui è titolare il gruppo (omissis) e di cui ha licenza d’uso la (omissis) S.p.a.
Se si considera che “il rischio di confusione per il pubblico” può consistere anche “in un rischio di associazione tra i due segni” (cfr. art. 20 lett. b C.P.I.) e se si considera la preminente funzione di indicazione di provenienza del marchio, non può dubitarsi che l’utente/consumatore nell’acquistare capi realizzati con tessuti non originale, ma etichettati con i marchi de quibus, crederà certamente che gli stessi appartengano al gruppo (omissis), attribuendo ai capi contraffatti le stesse caratteristiche di qualità, che riconosce ai prodotti contraddistinti dai marchi attorei.
Difatti, anche se, da un lato, i tessuti utilizzati per la realizzazione dei capi contraffatti sono di minore qualità per trama ed ordito e dall’altro, i colori non corrispondono a quelli solitamente utilizzati dalla titolare dei marchi in esame, la confondibilità tra i segni risulta evidente stante l’identità tra i medesimi e vi è rischio di associazione tra i prodotti dal medesimo gruppo aziendale, a fronte della affinità tra i medesimi.
La convenuta deve, quindi, ritenersi responsabile della dedotta contraffazione dei marchi attorei essendo incontestato che ne si sia stata trovata in possesso e che presso la sua sede sia stato eseguito un sequestro dalla Guardia di Finanza di Firenze.
All’accoglimento della domanda in esame conseguono le correlative statuizioni.
ILLECITI CONCORRENZIALI
Quanto agli illeciti concorrenziali, resta da accertarne la sussistenza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
L’Art. 2598 c.c. stabilisce che compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Sussiste senz’altro dal punto di vista oggettivo l’illecito sub art. 2598 n. 1) c.c. attesa la confondibilità tra i prodotti per imitazione servile, in base ad una comparazione tra i medesimi, mediante una valutazione sintetica nel loro complesso, dal punto di vista del consumatore mediamente avveduto.
Sussiste del pari l’illecito di cui all’art. 2598 n. 2) c.c. avendo sicuramente la (omissis) beneficiato dei marchi in questione ai fini dell’allargamento della propria clientela.
Quanto all’elemento soggettivo, nell’azione per concorrenza sleale l’intenzionalità dell’agente è presunta ai sensi dell’art. 2600 u.c. c.c.
Resta da accertare se la convenuta abbia fornito prova adeguata volta a superare tale presunzione.
La risposta non può che essere negativa posto che non vi è prova della esatta corrispondenza tra i capi sequestrati e quelli oggetto delle fatture di vendita prodotte dalla (omissis).
Le stesse dichiarazioni rese da (omissis), legale rappresentante della (omissis), prima alla (omissis) di (omissis) di Empoli e poi a quella della Sezione di PG della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze sono discordanti, avendo la medesima, nel primo caso, posto in visione agli operanti documentazione attestante l’acquisto dei prodotti contrassegnati dai marchi de quibus da tre fornitori, mentre, nel secondo caso, dichiarato di aver acquistato la merce relativa al marchio “(omissis)” “a stock presso la (omissis) … con fattura n. 395 del 6.10.2004 e DDT n. 1246 del 6.10.2004″.
Inoltre l’acquisto di capi d’abbigliamento dalla (omissis) è avvenuto successivamente al sequestro in sede penale ed è contestato che i capi stessi fossero contrassegnati dai marchi de quibus: negli stessi documenti sopra indicati non figura alcun riferimento a capi contrassegnati da tale marchio e la stessa (omissis) ha negato di aver mai venduto tali capi alla (omissis).
Il fatto che solo grazie ad una perizia di parte è emerso che i tessuti utilizzati per la realizzazione dei capi contraffatti fossero di minore qualità per trama ed ordito e che i colori non corrispondessero a quelli solitamente utilizzati dalla titolare dei marchi., non consente di escludere la colpa in capo alla legale rappresentante della (omissis), essendo verosimile che la stessa quale operatore commerciale dotato di specifica esperienza nel settore, ben conoscesse le caratteristiche dei capi venduti, in quanto griffati anche se acquistati a stock.
La presunzione di colpa non è stata quindi superata.
Nondimeno, non è dato ravvisare una condotta dolosa, ben potendo la discordanza delle dichiarazioni rese dalla (omissis) essere riconducibile a mera confusione, visto che non è contestato che la stessa fosse solita acquistare la merce a stock da diversi fornitori, come ha ribadito in comparsa di costituzione e risposta.
A ciò aggiungasi che tutti gli acquisti effettuati dalla (omissis) nel 2004 sono stati regolarmente fatturati dai venditori, mentre secondo l’id quod plerumque accidit, la merce contraffatta non è solita circolare secondo i normali canali commerciali.
Non vi è, dunque, prova sufficiente del fatto che la contraffazione dei capi fosse dolosamente avvenuta da parte della convenuta, non costituendo le suddette circostanze, di per sé sole, indizi gravi, precisi e concordanti da assurgere al rango di prova presuntiva dell’esistenza del dolo.
La convenuta deve, pertanto, ritenersi responsabile solo a titolo di colpa.
Anche la domanda in esame merita accoglimento e ne seguiranno correlative statuizioni.
RISARCIMENTO DANNI
Accertato che il comportamento della convenuta costituisce violazione dei diritti della (omissis) ai sensi del C.P.I. e dell’art. 2598 c.c., deve essere riconosciuta l’esistenza di un danno risarcibile subito dalla parte attrice da liquidarsi ai sensi dell’art. 1226 C.C. nella misura onnicomprensiva di Euro 7.000.
Si ritiene di non dover ordinare la pubblicazione della sentenza essendosi trattato di fatto episodico e valendo la suddetta liquidazione del danno a ristorare in toto il danno patito da parte attrice.
Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo come da D.M. 140/12.
illegittima l’utilizzazione da parte della convenuta dei marchi nazionali e comunitari (omissis) ed (omissis) di cui sono titolari le prime due attrici e legittima utilizzatrice la terza;
INIBISCE
alla (omissis) S.r.l. snc l’utilizzo dei suddetti segni distintivi;
DICHIARA
che l’uso commerciale, promozionale o pubblicitario dei suddetti segni denominativi da parte della convenuta costituisce atto di concorrenza sleale in danno di parte attrice ai sensi dell’art. 2598 C.C., e per l’effetto
INIBISCE
alla (omissis) S.r.l. di continuarne e ripeterne l’uso;
FISSA
a titolo di penale la somma di Euro 1.500 per ogni capo che dovesse essere venduto successivamente alla pubblicazione della presente sentenza in violazione dei diritti di parte attrice;
DISPONE
il sequestro, il ritiro definitivo dal commercio e la distruzione dei capi contraffatti recanti i marchi (omissis) ed (omissis);
CONDANNA
la (omissis) S.r.l. al risarcimento del danno subito dalle attrici mediante il pagamento in favore delle medesime in solido tra loro della somma di Euro 7.000, liquidata ai sensi dell’art. 1226 C.C.
CONDANNA
la (omissis) S.r.l. al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.100 a titolo di compenso al difensore ed in Euro 360 per spese, oltre IVA e CAP come per legge.
Firenze, 24 settembre 2012
