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Tribunale di Firenze sez. I, 17/09/2014, n. 2675

Massima

In tema di riconoscimento dello status di apolide, specialmente in contesti di disgregazione statale come la ex Jugoslavia, la valutazione del giudice deve accertare non solo le condizioni formali, ma anche quelle sostanziali di possesso della cittadinanza nel paese di provenienza; l’assenza delle generalità del richiedente nelle evidenze anagrafiche dello Stato successore, che renda di fatto impossibile sia la produzione della documentazione richiesta per l’acquisizione della cittadinanza sia la dimostrazione dei presupposti per ottenerla, rende irrilevante la mancata formale richiesta di cittadinanza, giustificando la dichiarazione di apolidia per chi sostanzialmente non ha titolo ad alcuna cittadinanza, senza che sia esigibile una “prova diabolica” negativa rispetto a tutti gli Stati derivanti dalla frammentazione dell’originaria entità statale.

Supporto alla lettura

CITTADINANZA

Il termine “cittadinanza” indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici.  In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario ed è attualmente disciplinata dalla L. 91/1992.

La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani.  Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio (iure matrimonii), la quale è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente.

La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La legge prevede alcuni casi in cui può venir meno lo status di cittadino italiano, si può riacquistare su domanda, e il D.L. 113/2018, convertito con L. 132/2018 ha introdotto all’art. 10 bis della L. 91/1992 l’istituto della revoca della cittadinanza nei casi espressamente previsti dall’art. 10 bis della citata L. 91/1992.

Diverso è parlare di “cittadinanza europea” che non è uno status che si acquisisce, infatti ogni cittadino di un Paese membro della Ue, oltre alla cittadinanza del paese di origine, gode della cittadinanza europea. Secondo la testuale dizione del trattato di Maastricht (TUE), è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

La cittadinanza dell’Unione europea comporta una serie di norme e diritti ben definiti, che si possono raggruppare in quattro categorie:

  • la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell’Unione;
  • il diritto di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;
  • la tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro in un paese terzo nel quale lo Stato di cui la persona in causa ha la cittadinanza non è rappresentato;
  • il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e ricorsi al mediatore europeo.

 

Il D. Lgs. 36/2025, conv. L. 74/2025, ha modificato la legge sulla cittadinanza italiana, soprattutto in merito allo ius sanguinis. Il fine è quello di limitare la trasmissione automatica della cittadinanza per discendenza, introducendo requisiti più stringenti e valutando il “vincolo effettivo e attuale con la comunità nazionale”. Le nuove disposizioni non si applicano a chi ha presentato domanda di riconoscimento della cittadinanza entro il 27 marzo 2025 (data di entrata in vigore del decreto); è prevista invece una finestra temporale, dal 1 luglio 2025 al 31 dicembre 2027, per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini che siano nati in Italia o che abbiano risieduto in Italia per almeno 2 anni, o che abbiano perso la cittadinanza prima del 16 agosto 1992.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione regolarmente notificato l’attore chiede all’intestato Tribunale il riconoscimento dello status di apolide.

A fondamento della domanda rileva: di essere nato il (omissis) a (omissis), all’epoca nella Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, ma domiciliato ininterrottamente dal primi anni’70 in Italia, prima a Firenze e poi a Camaiore (ove ha instaurato una convivenza more uxorio da cui nascevano 3 figli); di essere stato censito e iscritto all’anagrafe di Camaiore e regolarmente soggiornante; di avere attivato 2 volte (nel 2003) la procedura amministrativa ex art. 17 D.P.R. n. 572 del 1993 per il riconoscimento dello status di apolide dal Ministero Interni cui il Ministero aveva opposto diniego per’insufficienza documentale’.

Resiste alla domanda il Ministero dell’Interno che, costituitosi solo successivamente allo svolgimento dell’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. (ove ne era stata dichiarata la sua contumacia poi revocata) ha eccepito preliminarmente, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Firenze, in favore del Tribunale di Roma e, nel merito, sostiene l’infondatezza della domanda perché l’attore non avrebbe dimostrato di aver fatto alcunché per ottenere la cittadinanza serba, non essendo sufficiente la mancata iscrizione nei registri anagrafici serbi ma essendo necessaria invece una specifica richiesta di ottenimento della cittadinanza.

All’udienza di precisazione delle conclusioni il ministero convenuto non è comparso e l’attore ha concluso per l’accoglimento della domanda, con rigetto delle eccezioni avversarie.

L’eccezione d’incompetenza del sopra intestato Tribunale a favore del Tribunale di Roma, per quanto si tratti di competenza inderogabile rientrante nel novero delle previsioni di cui all’art. 28 c.p.c., non è stata tempestivamente sollevata né dal Ministero degli Interni con la comparsa di costituzione in giudizio, nè d’ufficio dal giudice istruttore procedente, entro la prima udienza di trattazione della causa, ai sensi dell’art. 38 c.p.c. talché detta competenza si è ormai radicata avanti al Tribunale di Firenze, senza che la questione possa essere ulteriormente esaminata dal Collegio.

L’art. 38 c.p.c., del resto, nel testo introdotto dall’art. 4 della L. n. 353 del 1990 che, nell’ottica di economia processuale, succede temporalmente all’art. 9 del R.D. n. 1611 del 1933 citato che consentiva di sollevare l’eccezione in ogni stato e grado del processo anche d’ufficio e ne realizza, pertanto l’abrogazione implicita.

Quanto ai presupposti per il riconoscimento dello stato di apolide detti si ricavano dalla Convenzione di New York del 28.9.54. ratificata in Italia con L. n. 306 del 1962, in forza del rinvio delineato dall’art. 10 della Costituzione ai trattati internazionali per la disciplina della condizione giuridica dello straniero, la quale all’art. 1 qualifica la condizione dell’apolide come colui che non è considerato come cittadino da nessuno Stato, ai sensi della legge nazionale

Le S.U della Cassazione hanno poi individuato, sulla base della definizione convenzionale la nozione per cui’è apolide colui che si trova in paese di cui non è cittadino provenendo da altro paese dal quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza’con ciò sottolineando come il giudice debba verificare, quando viene chiesto di accertare tale status, anche se vi fossero le condizioni formali di possesso della cittadinanza nel paese di provenienza (o quello con cui ha avuto un legame giuridicamente rilevante) se sussistono quelle sostanziali, da accertare alla stregua delle norme applicabili in quegli stato di cui è accertato esservi stato un collegamento effettivo.

Vale a dire, per ciò che qui interessa, che potrebbe essere irrilevante che il richiedente status abbia o meno messo in atto tutte le pratiche amministrative necessarie per ottenere la cittadinanza dello stato di nascita o di cui sono cittadini i suoi genitori o con cui ha avuto un collegamento rilevante che, secondo le leggi di quello stato, lo renderebbe cittadino, laddove è verosimile ritenere che tale acquisizione gli verrebbe comunque impedita sotto il profilo sostanziale.

Va inoltre rilevato, sotto il profilo dell’onere della prova, che neppure si può pretendere dall’interessato la prova’diabolica’che nessuno Stato (in questo caso i tutti quelli derivanti dalla federazione socialista jugoslava) lo considera suo cittadino o pretendere che egli attenda all’infinito (considerata la prassi sostanziale di vari stati di lasciare le pratiche inevase in una sorta di sostanziale silenzio-Tribunale rigetto) la risposta di ciascuno di tali Stati e che, pertanto, ciò che da lui si pretende è di dare una prova quantomeno indiziaria della sua mancanza di cittadinanza dallo Stato di provenienza suo o dei suoi genitori.

Tanto premesso, nel merito della domanda si rileva che l’attore, per circostanza non contestata, è nato a (omissis) che all’epoca faceva parte della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, e oggi, dal 2006, appartiene alla Repubblica di Serbia, non riferisce invece la nazionalità e la nascita dei suoi genitori.

L’art. 249 della Costituzione della Repubblica socialista prevedeva la doppia cittadinanza con prevalenza del principio dello ius sanguinis quella della Federazione e quella di una delle sei repubbliche federate (che non aveva rilievo internazionale). Nella Successiva Repubblica Federale di Jugoslavia, sorta nel 1992 – che limitava la sua sovranità a alla Serbia incluso il Kossovo e Montenegro- veniva normalmente riconosciuta la cittadinanza alle persone già cittadini della federazione socialista che dei residenti fuori confine. Nel 1996 è nata la (omissis) di Serbia e Montenegro e, dal 2006, si è completata la disgregazione della federazione socialista in concomitanza con la nascita degli stati indipendenti di Bosnia, Croazia, Slovenia, Macedonia, Serbia e Montenegro (ancora Belgrado e neppure vari stati UE riconoscono l’autonomia del Kossovo).

SI tratta oggi di capire se l’attore ha o meno titolo per rivendicare la cittadinanza in alcuno degli stati della ex repubblica federale socialista, in particolare la Repubblica di Serbia che oggi comprende il territorio in cui è nato.

Le costituzioni e le leggi sulla cittadinanza di tali Stati distinguono, di regola, tra in nati prima e dopo la loro entrata in vigore consentendo di norma per i primi l’acquisto per nascita subordinatamente alla condizione di avere avuto almeno un genitore cittadino.

In particolare la legge La legge serba sulla nazionalità, approvata dal parlamento serbo nel 2004 si ispira alla legge del ritorno israeliana: l’articolo 23, comma 1 afferma che qualunque straniero di discendenza serba ha i requisiti per la cittadinanza serba.

Ne consegue che persone come l’attore avrebbero diritto ad ottenere la cittadinanza serba (o montenegrina essendo peraltro consentita in questo caso la doppia cittadinanza) laddove dimostrino la nazionalità serba degli ascendenti ovvero di non avere mai perso la propria.

Nel caso di specie tuttavia l’attore rileva di non aver potuto ottenere dalle autorità consolari la documentazione relativa al suo atto di nascita o alla mancanza di cittadinanza serba e/o montenegrina ma solo l’attestazione (con nota 28.8.2008) dell’Ambasciata della Repubblica di Serbia di non essere inserito nelle evidenze anagrafiche della Repubblica suddetta, il che di per sé renderebbe di fatto impossibile l’acquisto della cittadinanza serba.

In particolare ha prodotto il testo di 4 raccomandate inviate nel 2003 e nel 2006 all’Ambasciata di Jugoslavia (per 2 sole all. 7 e 9 c’è però la prova di spedizione) per ottenere la documentazione anagrafica sulla propria identità e nascita. Unica risposta pervenuta quella della Ambasciata di Serbia (stessa sede via (omissis…) Roma di quella della ex Jugoslavia) la cui sezione consolare attesta che egli non è inserito nelle evidenze anagrafiche della Repubblica di Serbia.

Non vi è chi non veda come l’assenza delle sue generalità nelle evidenze anagrafiche serbe, verosimilmente ricollegabile agli eventi bellici, non consentirebbero allo (omissis) né di produrre l’atto di nascita’tradotto e legalizzato’preteso dal Ministero dell’Interno per il riconoscimento dell’apolidia in via amministrativa (vedi doc. 12) né di dimostrare allo Stato serbo dove è nato né se i suoi ascendenti erano cittadini della ex Jugoslavia si da ottenere sicuramente la cittadinanza serba, ciò a prescindere dal fatto che l’abbia o meno formalmente chiesta ottenendone un formale rigetto dalle autorità statali serbe.

Appare perciò evidente che l’attore, sostanzialmente, non ha titolo per ottenere tale cittadinanza, e che di fatto tale status non gli viene riconosciuto dalla Serbia. Inoltre non potendosi pretendere che egli fornisca una prova negativa con riferimento ad ogni stato proveniente dalla disgregazione della ex Jugoslavia, si deve ritenere, quindi, privo di qualunque cittadinanza e come tale suscettibile di essere dichiarato apolide.

Le spese, tenuto conto dell’oggetto del giudizio, possono rimanere integralmente compensate inter partes.

P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, definitivamente pronunciando, così provvede:dichiara l’apolidia di J.D., in atti generalizzato,

spese interamente compensate

Così deciso, in Firenze, nella Camera di Consiglio del 23 luglio 2014.

Depositata in Cancelleria il 17 settembre 2014.

Allegati

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