Massima

L’utilizzo dei permessi retribuiti riconosciuti al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (R.L.S.), ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. n. 81/2008, per finalità estranee all’esercizio delle funzioni proprie del ruolo, integra una condotta grave e dolosamente inadempiente rispetto agli obblighi di correttezza e buona fede che devono improntare il rapporto di lavoro.Tale comportamento, ove accertato, costituisce giusta causa di licenziamento, ai sensi dell’art. 2119 c.c., in quanto idoneo a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e prestatore, e a configurare un abuso del diritto in relazione alle prerogative riconosciute al R.L.S. dalla normativa vigente.

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

La sicurezza sul lavoro è quell’insieme di misure, provvedimenti e soluzioni adottate al fine di rendere più sicuri i luoghi di lavoro, per evitare che i lavoratori possano infortunarsi durante lo svolgimento delle loro mansioni.

Si tratta di una condizione organizzativa necessaria ed imprescindibile di cui ogni azienda deve essere in possesso per eliminare o quantomeno ridurre i rischi e i pericoli per la salute dei lavoratori.

Attualmente la normativa di riferimento in materia è costuita dal D. L.gs. 81/2008, il quale prevede, tra le principali misure generali di tutela:

  • la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo;
  • il rispetto dei prinicipi ergonomici;
  • la riduzione del rischio alla fonte;
  • la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  • l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
  • i controlli sanitari periodici dei lavoratori;
  • l’informazione e formazione in materia di sicurezza per i lavoratori;
  • le istruzioni adeguate ai lavoratori;
  • la programmazione di misure per garantire il miglioramento nel tempo;
  • la gestione delle emergenze;
  • la regolare manutenzione di ambienti, impianti, attrezzature e dispositivi di sicurezza.

L’obbligo di rispettare la normativa inerente alla sicurezza sul lavoro è stabilito nei confronti di ogni lavoratore, ovvero di coloro che rientrano nella definizione contenuta nell’art. 2, lett a) del D. Lgs. 81/2008, i quali svolgono un’attività lavorativa nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche solo al fine di apprendimento, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Inoltre sono equiparati ai lavoratori anche:

  • il socio lavoratore di cooperativa o di società;
  • l’associato di paretcipazione;
  • l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ecc…

Il datore di lavoro è la figura principale garante e responsabile della tutela della salute e sicurezza nella propria azienda, infatti egli deve ottemperare a quanto stabilito dalla normativa vigente per garantire la corretta applicazione delle misure atte alla riduzione o alla cancellazione di qualsiasi rischio cui sono esposti i lavoratori:

  • la valutazione dei rischi e la stesura del relativo documento (DVR);
  • il dovere di offrire un ambiente lavorativo sicuro;
  • informare e formare i lavoratori sui rischi presenti in loco;
  • vigilare e verificare il rispetto delle norme antinfortunistiche da parte dei dipendenti;
  • l’adozione di idonee misure di prevenzione e protezione, tra cui i dispositivi di protezione individuale.

Oltre alla figura del datore di lavoro, ci sono anche altri soggetti che hanno un ruolo nella gestione della sicurezza sul lavoro, in particolare: il dirigente per la sicurezza; il preposto per la sicurezza; il responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP); l’addetto al servizio prevenzione e protezione (ASPP); il medico competente; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS); il lavoratore, quest’ultimo in particolare è anche soggetto attivo che deve essere consapevole delle condizioni del proprio ambiente lavorativo e deve partecipare alla valutazione dei rischi attraverso il rappresentante dei lavoratori (RLS).

I controlli e la supervisione vengono effettuati da diverse entità, sia a livello governativo che aziendale, per esempio l’ispettorato del lavoro e l’azienda sanitaria locale competente per territorio.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

FATTO E DIRITTO

ha impugnato il licenziamento disciplinare comminato con lettera del 1° settembre 2018, chiedendo la declaratoria di nullità/illegittimità del licenziamento e la condanna della parte resistente alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra o, in subordine, al pagamento della sola indennità risarcitoria. La società resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito la nullità della procura rilasciata all’avv. ..) e ha dedotto l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.

In via preliminare, deve rilevarsi come ogni questione relativa alla validità della procura, sia superata dall’avvenuta conferma del mandato all’avv. .. parte del ricorrente, conferma avvenuta all’udienza dei 12.12.2018. Pertanto, eventuali vizi della notifica devono intendersi integralmente sanati.

Nel merito il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte. Il ricorrente è stato assunto alle dipendenze della società resistente il 12 maggio 2015, con mansioni di impiegato ed inquadramento nel IV livello del CCNL commercio. Con lettera del 20 agosto 2018 la parte resistente ha inviato al ricorrente una contestazione disciplinare del seguente tenore: “Il giorno 10 luglio 2018, Lei è stato autorizzalo a fruire di 8 ore di permesso retribuito, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e poi dalle 15.00 alle 20.00 in qualità di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ai sensi del D.Lgs. 81/2008.

Abbiamo motivo di ritenere che, nel corso delle ore di permesso, Lei sia stato impegnato in incombenze personali e comunque estranee alle motivazioni che hanno giustificato la richiesta di astensione retribuita dall’attività lavorativa. Con lettera del 1° settembre 2018 la società resistente ha comminato nei confronti del ricorrente la sanzione del licenziamento senza preavviso. Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità del licenziamento per violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/70. In particolare, secondo la tesi del ricorrente, l’illegittimità del recesso deriverebbe dal fatto che la società resistente non avrebbe messo a disposizione del ricorrente la relazione investigativa relativa alle attività di controllo eseguite il 10 luglio 2018. L’assunto non può condividersi. Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato il seguente condivisibile orientamento: “nel procedimento disciplinare, sebbene l’art. 7 della legge 25 maggio 1970, n. 300, non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore, nei citi confronti sia stata elevata una contestazione, la documentazione su citi essa si basa, egli è però tenuto, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ad offrire in consultazione i documenti aziendali all’incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre un’adeguata difesa” (Cass. Civ., sez. lavoro, sent. n. 6337/13; Cass. Civ. sez. lavoro, seni n. 7581/18). Ebbene, nella specie, deve escludersi che gli accertamenti investigativi fossero necessari al ricorrente per apprestare una adeguata difesa. La società resistente ha, infatti, contestato al lavoratore una circostanza ben specifica, ossia di aver utilizzato i permessi ottenuti quale rappresentante dei lavoratori per la sicurezza per attendere ad incombenze personali. A fronte di tale chiara contestazione, ben avrebbe potuto e dovuto il ricorrente riferire in dettaglio le attività compiute il 10 luglio 2018 e confutare in tal modo agevolmente l’accusa del datore di lavoro. Non si vede come l’omessa consegna della relazione investigativa abbia potuto incidere sulla possibilità per il ricorrente di giustificarsi, riferendo delle attività compiute quale rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, tanto più che il .. il 10 luglio 2018 e la data della contestazione disciplinare, non ha fruito di altri permessi.

Quanto, invece, al merito della contestazione disciplinare e all’idoneità dei fatti contestati a giustificare il recesso, deve rilevarsi che il contratto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto unilateralmente e senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la giusta causa di licenziamento, tradizionalmente ricondotta alla tipologia della clausole generali, in tutti quei comportamenti che, valutati con riferimento agli aspetti concreti della vicenda sotto il profilo oggettivo e soggettivo (natura e qualità del singolo rapporto, grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, motivi, intensità del dolo e della colpa), si concretano in una negazione degli elementi del rapporto di lavoro di gravità tale da far venir meno la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav. sent. n. 3865/08; Cass. civ., sez. lavoro sent. n. 7518/10). Si è, in particolare, affermato che “in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore deve essere valutata nel suo contenuto obbiettivo, con specifico riferimento alla natura e alla qualità del rapporto, al particolare vincolo di fiducia che esso implica per la posizione rivestita nel sito ambito dal prestatore di lavoro, al grado di affidamento richiesto per le mansioni ricoperte, nonché nella sua portata soggettiva in relazione alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi che l’hanno determinato e alla intensità dell’elemento volitivo, che deve essere riferito anche all’ambito della relazione lavorativa e non solo ai profili meramente interiori” (cf , Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 8641 del 12/04/2010). Si è, inoltre, ritenuto che “in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la Pittura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buonafede e correttezza”, precisandosi, altresì, che “spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed alla sua durata ed all’assenza di precedenti sanzioni), alla stia particolare natura e tipologia” (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 14586 del 22/06/2009). Si è, infine, affermato che “la giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario ira datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (Cass. Civ., sez. lavoro, cent, n. 27004 dei 24/10/2018; cass. Civ., sez. lavoro, sent. n. 8826/17).

Nel caso di specie al ricorrente è stato contestato di aver utilizzato i permessi concessi per lo svolgimento dei compiti propri di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, per attendere ad incombenze personali e, dunque, per finalità estranee a quelle per le quali i permessi vengono legittimamente richiesti. Il fatto contestato può ritenersi senza dubbio provato, essendo emerso dall’istruttoria orale che il 10 luglio del 2018 il ricorrente, che aveva ottenuto un permesso dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00, ha utilizzato due ore scarse per dedicarsi all’attività di responsabile per la sicurezza, recandosi presso la sede CGIL di Chieti, impiegando, invece, tutto il resto della giornata per attendere ad incombenze personali, che nulla hanno a che vedere con il ruolo e l’attività di responsabile dei lavoratori per la sicurezza. In particolare, il testimone .. ha riferito: “abbiamo iniziato l’accertamento alle 7.00 nei pressi dell’abitazione del ricorrente. Lo abbiamo visto uscire alle 9.10 per andare nell’abitazione della madre; ha preso la mamma, l’ha lasciata vicino al mercato e si è allontanato con la sua autovettura per recarsi prima in un bar e poi presso la CGL di via Valera, Il ricorrente è rimasto presso gli uffici della CGL per un paio di ore, poi è uscito è andato presso l’Assicurazione Sara, dopo circa 10 minuti è uscito, è andato nuovamente al bar e poi è tornato in macchina. Successivamente il ricorrente è andato a casa della mamma e verso le 12.30/12.40 lo abbiamo visto uscire insieme ad una ragazza e fare ritorno nella sua abitazione. Verso le 15.10 lo abbiamo visto uscire nuovamente con la siici autovettura, recarsi in autolavaggio e poi presso l’abitazione della madre. Il ricorrente ha fatto salire la mamma a bordo della sua autovettura ed insieme sono andati a Pescara in un paio di negozi di articoli ortopedici.

Verso le 17.15/17.20 circa sono andati via per ritornare verso Chieti. All’altezza del centro commerciale Megalò, alle 17.50 circa, abbiamo perso il ricorrente e abbiamo deciso di riposizionarci nei pressi dell’abitazione della mamma dove siamo giunti alle 18.00 circa. Dopo poco il ricorrente è rientrato insieme alla mamma con alcune buste della spesa, è rimasto nell’abitazione della mamma fino alla 18.50 circa per poi fare ritorno nella sua abitazione. Poco dopo abbiamo sospeso il servizio di osservazione”. Il comportamento del ricorrente, che ha utilizzato i permessi per finalità diverse da quelle per le quali essi sono previsti, integra, senza dubbio, un abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dei lavoratori che hanno scelto il ricorrente quale rappresentante per la sicurezza sul posto di lavoro. Trattasi, dunque, di una condotta di gravità tale da giustificare il licenziamento.

Quanto poi alla dedotta natura ritorsiva dei recesso, occorre rilevare che per costante giurisprudenza di legittimità, “incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso” (Cass. Civ., sez. lav. sent. n. 6501/13; Cass. Civ., sez. lav. sent. n. 26035/18).

Il ricorrente non ha fornito prova alcuna al riguardo, sicché non può affermarsi la dedotta nullità del licenziamento. In conclusione, per tutte le ragioni sopra esposte, la domanda di impugnativa del licenziamento deve essere rigettata, ravvisandosi nei fatti commessi dal lavoratore una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione assunta nei confronti del datore di lavoro.

Venendo, infine, alla domanda di condanna al pagamento della retribuzione maturata nel periodo di sospensione cautelare, se ne deve parimenti affermare l’infondatezza. Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, “ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole del dipendente con l’adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto che legittima il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita “ex font” del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima” (Cass. Civ., sez, lav. sent. n. 22863/08; Cass.civ., sez. lav., sent. n. 9618/15). E’ evidente, dunque, che al ricorrente non spetta alcuna retribuzione per il periodo di sospensione.

Il ricorso va, dunque, integralmente rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo, secondo le previsioni di cui al D.M. n. 55/14 (Cause di lavoro-valore medio dello scaglione compreso tra E 26.000,01 e E 52.000, in considerazione del valore indeterminabile della causa).

P.Q.M.

Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al rimborso in favore della parte resistente delle spese di lite, liquidate in .. per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, iva e epa come per legge. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente ordinanza.

Chieti, 07.02.2019

Depositata in cancelleria il 07/02/2019.

Allegati

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