RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato il giorno 11 aprile 2022, (omissis) ha adito il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo in via di urgenza «1. ai sensi dell’art. 700 c.p.c., in via cautelare ed urgente, valutata la sussistenza dei presupposti di legge per come richiamati in narrativa, ordinare a (omissis) anche con decreto reso inaudita altera parte, l’immediata reintegrazione di (omissis) nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifiche fin qui espletate ovvero, valutata l’esenzione della ricorrente alla vaccinazione, con le modalità ritenute opportune anche con mansioni differenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione, per come previsto dall’art. 4 comma 7 del DL 44/2021;
2. nel merito, a seguito della disposta reintegrazione, accertare e dichiarare la palese illegittimità del provvedimento di sospensione comminato il 28 gennaio 2022, e per l’effetto condannare (omissis) alla corresponsione di quanto dovuto alla ricorrente a titolo di retribuzione, oneri accessori ed ogni altro contributo assistenziale e previdenziale, a decorrere dall’effetto dell’intervenuto provvedimento di sospensione [1 febbraio 2022] e fino alla data della effettiva reintegra nel posto di lavoro, oltre gli interessi legali di mora ex art. 1284 comma IV c.c.;
3. condannare parte resistente al pagamento delle spese di lite e al risarcimento del danno ex art. 96 commi I o III cod. proc. civ., attesi i numerosi tentativi di comporre la vicenda in via bonaria e la pervicace ostinazione della resistente nel sostenere posizioni evidentemente contrarie al chiaro disposto normativo».
A fondamento della domanda cautelare ha dedotto:
– di essere dipendente a tempo indeterminato di (omissis) in regime convenzionale con l’(omissis) con qualifica di assistente sociale, inquadrata nella categoria D CCNL Comparto sanità, in servizio presso la struttura di via (omissis) in (omissis);
– di essere soggetto allergico atopico;
– di aver ricevuto in data 22.2.2021 la prima dose del vaccino Pfizer per la prevenzione dell’infezione da Covid-19 e di avere accusato, nei giorni seguenti la vaccinazione, una emiparesi dell’intero lato sinistro del corpo (emiplegia), con rigonfiamento del labbro;
– che il giorno 7 giugno 2021, data fissata per ricevere la dose di richiamo, il centro vaccini dell’(omissis) ha attestato la non idoneità temporanea alla vaccinazione;
– di essere stata, con certificato rilasciato presso l’HUB Vaccinale di Acireale il 22.10.2021, definitivamente esonerata dalla vaccinazione;
– che la validità temporale di tale certificazione cartacea è stata prorogata, per effetto della circolare n. 35309 del 4.8.2021, sino al 28.2.2022, per poi essere sostituita, in data 1.3.2022, da certificazione digitalizzata munita di codice univoco di esenzione prevista dal d.P.C.M. del 4.2.2022, con scadenza fissata al 23.8.2023;
– di essere stata collocata in modalità di lavoro agile con provvedimento del 17.12.2021, con espletamento delle proprie mansioni da casa o recandosi presso uffici pubblici per conto dei pazienti;
– di aver ricevuto in data 28.1.2022 comunicazione con la quale il datore di lavoro ha evidenziato che la modalità di lavoro agile non aveva portato risultati positivi, con conseguente cessazione a partire dal 31.1.2022;
– che nella medesima comunicazione il datore di lavoro, preso atto della condizione di esenzione dalla vaccinazione e comunicata l’inesistenza di altre posizioni disponibili in organico, ha provveduto a sospenderla dal lavoro e dalla retribuzione dal 1.2.2022 sino alla vigenza «dell’attuale stato emergenziale»;
– di aver contratto, in data 11.2.2022, l’infezione da Covid-19 e di aver ricevuto in data 28.2.022 certificazione di avvenuta guarigione valida fino al 10.8.2022;
– che ciò nonostante e nonostante le plurime diffide trasmesse al datore di lavoro, il predetto provvedimento di sospensione non è stato revocato.
Tanto premesso, parte ricorrente ha ricostruito il quadro normativo di riferimento ed invocato la violazione dell’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021, contestando l’asserita insussistenza di posizioni astrattamente assegnabili che non comportassero contatto con soggetti fragili per due ordini di ragioni: la prima relativa al fatto che le modalità di lavoro agile erano risultate conformi alle mansioni specifiche della ricorrente, avendo essa incontrato da remoto i pazienti ed i rispettivi familiari ed avendo espletato le sue funzioni esterne anche presso gli Uffici Pubblici in cui era solita recarsi anche prima dell’insorgenza dell’emergenza epidemiologica; la seconda relativa all’esistenza di numerosi posti non a contatto con i pazienti sia nella segreteria sia in amministrazione, specie negli uffici collocati in via De Caro a Catania. In subordine, la lavoratrice ha invocato gli effetti giuridici di cui all’art. 8 d.l. n. 24/2021.
Dedotta poi la sussistenza del periculum in mora, essendo essa coniugata con un figlio a carico non autosufficiente ed essendo la stabilità economica del nucleo familiare interamente a carico del marito e gravata da un mutuo ipotecario in regolare ammortamento, ha concluso nei termini sopra riportati.
Si è costituita (omissis) deducendo che le modalità di espletamento dell’attività di assistente sociale implicano il costante e diretto contatto con i pazienti, secondo le esigenze dei medesimi, aventi disabilità psichiche, e che la prestazione lavorativa effettuata dalla ricorrente da remoto era risultata disfunzionale. Il datore di lavoro ha poi aggiunto che non vi erano in organico posizioni lavorative afferenti a mansioni diverse e/o inferiori compatibili con il profilo professionale della ricorrente e che, ad ogni modo, le posizioni presenti in organico erano vuoi incompatibili con le competenze della ricorrente, così anche per le posizioni amministrative nella sede di via De Caro, vuoi tali da implicare comunque il contatto con i pazienti.
La società ha, quindi, addotto che tale situazione di fatto aveva comportato la necessità di pervenire all’applicazione della previsione di cui all’art. 4, commi 4 e 5, d.l. n. 44/2021.
Parte resistente ha poi addotto di aver dovuto provvedere alla sostituzione della ricorrente, stante l’impossibilità per quest’ultima di assolvere l’obbligo vaccinale.
Il datore di lavoro ha quindi ricostruito il quadro normativo in materia, richiamando a sostegno della propria tesi copiosa giurisprudenza amministrativa ed ha contestato la conformità del certificato di esenzione di parte ricorrente ai requisiti di cui all’art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021 in ragione della mancata specificazione del motivo di esenzione dall’obbligo vaccinale, adducendo inoltre la sola idoneità del medesimo a consentire l’accesso ai servizi e alle attività di cui all’art. 3, comma 1, d.l. n. 105/2021. Quindi, la società resistente, argomentato sulla non equiparabilità all’adempimento all’obbligo vaccinale dell’avvenuta guarigione, giusta circolare (omissis) 30.3.2022, dedotto che al più il certificato di guarigione avrebbe consentito alla ricorrente di rientrare in servizio per la durata di novanta giorni, già decorsi al 28.5.2022, addotta infine l’insussistenza del periculum in mora, ha chiesto il rigetto della domanda cautelare.
All’udienza del 15.6.2022, la causa è stata discussa dai difensori delle parti e, all’esito della camera di consiglio, respinte le istanze istruttorie avanzate da parte resistente, è stata trattenuta in riserva.
2. Oggetto del presente giudizio è la legittimità (o meno) del provvedimento del 28.1.2022, con cui il datore di lavoro ha comunicato alla lavoratrice la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione a decorrere dal giorno 1.2.2022 sino «alla vigenza dell’attuale stato emergenziale» (cfr. doc. n. 9 fasc. ricorrente e doc. n. 6 fasc. resistente).
Lamenta parte ricorrente che il provvedimento di sospensione del 28.1.2022 sia in contrasto con la previsione dell’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021, che, nello stabilire che «Per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», impone al datore di lavoro di predisporre condizioni utili a ricevere la prestazione lavorativa dei soggetti temporaneamente o definitivamente esenti dalla vaccinazione, compatibilmente con le esigenze di salubrità dell’ambiente di lavoro.
Sostiene inoltre parte ricorrente che il datore di lavoro non abbia assolto a detto obbligo, in quanto bene avrebbe potuto essa proseguire la propria attività lavorativa da remoto, essendo risultate tali modalità di espletamento della prestazione conformi alle proprie mansioni, giacché essa aveva incontrato da remoto i pazienti ed i rispettivi familiari ed aveva altresì espletato le sue funzioni esterne anche presso gli Uffici Pubblici in cui è solita recarsi.
Aggiunge la lavoratrice che esistevano in organico numerosi posizioni che non comportavano contatto con i pazienti e in cui poter essere ricollocata, quali gli uffici di segreteria e gli uffici amministrativi collocati in via (omissis) a Catania.
Invoca in subordine la lavoratrice gli effetti giuridici di cui all’art. 8 d.l. n. 24/2021.
4. Ora, quanto ai tratti della tutela cautelare richiesta da parte ricorrente, osserva il Tribunale che, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., presupposti per l’emanazione di un provvedimento cautelare di urgenza sono il fumus boni iuris, ossia l’apparenza del buon diritto vantato dall’attore in via cautelare, che deve dunque risultare verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie, e il periculum in mora, ovverosia il pregiudizio imminente alla posizione soggettiva che sia leso irrimediabilmente dal ritardo nella tutela.
Ne deriva pertanto che la carenza anche soltanto di una delle suddette condizioni impedisce la concessione della misura cautelare.
La migliore dottrina ha peraltro ritenuto che i due requisiti si trovano in rapporto di interdipendenza, per cui se il fumus è alto è sufficiente un periculum basso e viceversa.
4.1. Ora, il legislatore ha connotato il requisito del periculum in mora del provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. in maniera peculiare, prevedendo che, ai fini dell’accoglimento della domanda cautelare, occorre accertare se la situazione giuridica soggettiva fatta valere sia, nel tempo occorrente a far valere il diritto in via ordinaria, minacciata da un pregiudizio imminente ed irreparabile.
L’imminenza del pregiudizio al diritto vantato si identifica con l’attualità del medesimo, dovendo sussistere una delle seguenti circostanze: i) i fatti costitutivi della fattispecie pregiudizievole devono aver già iniziato a prodursi, ii) deve sembrare con sufficiente certezza che gli effetti si produrranno prima dell’intervento della sentenza di merito, oppure iii) il tempo intercorrente tra il momento in cui sorge il pericolo del realizzarsi dell’evento dannoso e quello della sua effettiva realizzazione deve essere oggettivamente molto breve.
L’irreparabilità del periculum si configura, invece, non solo qualora il danno non sia suscettibile di reintegrazione in forma specifica o qualora il risarcimento non sia suscettibile di valutazione patrimoniale, ma anche tutte le volte in cui la reintegrazione per equivalente, il risarcimento e tutti gli altri rimedi eccezionali non siano sufficienti ad attuare pienamente ed integralmente il diritto dedotto in giudizio.
Il presupposto in esame va quindi inteso come irreversibilità degli effetti del pregiudizio (quindi come attitudine a provocare la perdita integrale del diritto o dei poteri o delle facoltà che dello stesso costituiscono espressione) oppure come lesione irreparabile di beni od interessi del suo titolare e funzionalmente collegati all’attuazione del diritto stesso o ancora anche come impossibilità o grave difficoltà della piena restitutio in integrum della situazione soggettiva lesa.
Appare allora chiaro che l’irreparabilità del pregiudizio viene, quindi, inevitabilmente a dipendere dalle specifiche e concrete caratteristiche della situazione controversa, che devono essere allegate e provate in modo specifico, concreto e dettagliato, in quanto il giudice è chiamato a procedere ad una valutazione casistica.
Ed invero, unicamente attraverso la precisa allegazione delle circostanze concrete, il giudice può essere in grado di valutare la ricorrenza di un pericolo effettivo, concreto e attuale che sia idoneo a ledere, durante il tempo necessario per il giudizio di merito, beni di rilevanza primaria in maniera irreversibile e non risarcibile per equivalente.
L’esistenza del pregiudizio imminente e irreparabile deve quindi essere accertata in relazione all’effettiva e non solo potenziale situazione del ricorrente.
5. Osserva in primo luogo il Tribunale che sussiste l’interesse di parte ricorrente ad agire in giudizio, nonostante l’atto di sospensione avversato contenga un termine finale di efficacia – collegato «alla vigenza dell’attuale stato emergenziale» (cfr. doc. n. 9 fasc. ricorrente e doc. n. 6 fasc. resistente) e – decorso il 31.3.2022.
Ed invero, il datore di lavoro ha invocato un quadro normativo che, se applicato coerentemente, implica la permanenza della sospensione per l’intero periodo di vigenza dell’obbligo vaccinale e non anche per il periodo di vigenza dello stato di emergenza.
Pertanto, alla luce del comportamento delle parti, il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del 28.1.2022 deve essere interpretato nel senso che gli effetti perdurano finché vige l’obbligo vaccinale.
6. Venendo all’esame del periculum, pacifico è che parte ricorrente sia stata definitivamente esonerata dall’obbligo vaccinale con provvedimento cartaceo rilasciato dal centro vaccinale di Acireale (cfr. doc. n. 5 fasc. ricorrente) successivamente rilasciato in formato digitale (cfr. doc. n. 6 fasc. ricorrente), in conseguenza della emiparesi dell’intero lato sinistro del corpo (emiplegia), con rigonfiamento del labbro, manifestatasi successivamente alla somministrazione, in data 22.2.2021, della prima dose del vaccino Pfizer (cfr. doc. 3 e 4, fasc. ricorrente)
Altresì pacifico è che la lavoratrice sia stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione dal giorno 1.2.2022 sino «alla vigenza dell’attuale stato emergenziale» (cfr. doc. n. 9 fasc. ricorrente e doc. n. 6 fasc. resistente), rectius sino alla vigenza dell’obbligo vaccinale (cfr. supra § 5).
Neppure contestato tra le parti è che la ricorrente non percepisca altri redditi che quelli da lavoro dipendente e che allo stato sia priva di occupazione e che non abbia altre fonti di reddito, in quanto sospesa dal lavoro e dalla retribuzione; circostanza quest’ultima peraltro emergente dall’estratto conto corrente in atti (v. produzione parte ricorrente del 14.6.2022).
Il nucleo familiare dell’istante è poi composto dalla medesima, dal marito, e da due figli, di cui uno a carico non auto sufficiente (v. stato di famiglia in atti, doc. n. 2 fasc. ricorrente).
Emerge inoltre dagli atti di causa che il nucleo familiare è gravato da un mutuo ipotecario, di cui primo intestatario è il marito della ricorrente e di cui essa è altra intestataria (cfr. doc. n. 16 e 17, fasc. ricorrente). Dall’esame del piano di ammortamento di detto mutuo si evince poi che il debito residuo al 1° febbraio 2022 ammontava ad euro 170.885,43 e che detto debito al 1° gennaio 2023 ammonterà ad euro 165.261,61.
Chiaro è dunque che nei mesi intercorrenti tra la data di sospensione della ricorrente dal lavoro e dalla retribuzione e quella allo stato prevista per la durata dell’obbligo vaccinale il nucleo familiare dell’istante e, in particolare, il marito della lavoratrice, essendo essa sospesa dal lavoro e dalla retribuzione ed essendo i figli non autosufficienti, dovrà sopportare la spesa di euro 5.623,82 solo a titolo di pagamento delle rate del mutuo.
Inoltre l’attività di agente di commercio del coniuge non appare reddito sufficiente per neutralizzare il requisito del periculum, tenuto conto delle spese necessarie per il sostentamento di una famiglia composta da quattro persone, delle spese correnti per gas, luce ed acqua (cfr. fatture depositate il 14.6.2022) e, al contempo, del costante e cospicuo impegno finanziario sopra evidenziato che, unitamente considerati, non consentono, a fronte di un unico reddito, di garantire un’esistenza libera e dignitosa all’intero nucleo familiare composto anche da due figli in età di studi universitari.
Ebbene, tale condizione economica fonda ragionevolmente, l’imminenza, nelle more del giudizio di merito, di un pericolo di danno grave e irreparabile.
Ed invero, nel tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, sussiste il concreto rischio che parte ricorrente non possa provvedere ai propri bisogni primari e a quelli della famiglia, con evidente lesione e pregiudizio di diritti anche non patrimoniali di rilevanza costituzionale, anche sub specie di diritto a un’esistenza libera e dignitosa, non ristorabili per equivalente attraverso la pronuncia di merito.
7. Ritenuto sussistente il periculum e venendo ora all’esame del fumus boni iuris, reputa il Tribunale opportuno procedere alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
7.1. L’art. 4 bis d.l. n. 44/2021 ha esteso l’obbligo vaccinale già previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario anche agli impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie.
Tale norma ha in particolare stabilito che «1. Dal 10 ottobre 2021 ((e fino al 31 dicembre 2022)), l’obbligo vaccinale previsto dall’articolo 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all’articolo 1-bis, incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità.
2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del (omissis).
Omissis. – 4. Per la verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei soggetti di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 4-ter, commi 2, 3 e 6».
Dal canto suo, il richiamato art. 4 d.l. n. 44/2021 stabilisce che «1. Fino al 31 dicembre 2022, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata altresì nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità alle previsioni contenute nel piano di cui al primo periodo.
1-bis. L’obbligo di cui al comma 1 è esteso, a decorrere dal 15 febbraio 2022, anche agli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento dei tirocini pratico-valutativi finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’esercizio delle professioni sanitarie. La violazione dell’obbligo di cui al primo periodo determina l’impossibilità di accedere alle strutture ove si svolgono i tirocini pratico-valutativi. I responsabili delle strutture di cui al secondo periodo sono tenuti a verificare il rispetto delle disposizioni di cui al presente comma secondo modalità a campione individuate dalle istituzioni di appartenenza.
2. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l’obbligo di cui ai commi 1 e 1-bis e la vaccinazione può essere omessa o differita.
Omissis. – 7. Per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
8. Per il medesimo periodo di cui al comma 7, al fine di contenere il rischio di contagio, nell’esercizio dell’attività libero-professionale, i soggetti di cui al comma 2 adottano le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adottato con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, entro il 15 dicembre 2021».
7.2. Il testo dell’art. 4 bis d.l. n. 44/2021 è chiaro nel senso di escludere l’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021 nei confronti dei soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del (omissis).
7.2.1. Al riguardo e per individuare la disciplina relativa agli impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie (nel prosieguo strutture R.S.A.) che siano stati dichiarati esenti dalla vaccinazione occorre avere riguardo alle previsioni contenute nell’art. 4 d.l. n. 44/2021 e, in particolare, in quelle dettata dal comma 7.
Tale norma deve infatti ritenersi applicabile anche ai soggetti di cui all’art. 4 bis, comma 2, d.l. n. 44/2021, in primo luogo per l’identità della posizione in cui trovano gli impiegati delle strutture (omissis) e di quella in cui si trovano gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui al comma secondo dell’art. 4 d.l. 44/2021.
Sarebbe, infatti, irragionevole prescrivere, per un verso, sia l’estensione per gli impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie dell’obbligo vaccinale già previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, sia l’esclusione di tale obbligo per i soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del (omissis) e, per altro verso, assoggettare invece i dipendenti di strutture R.S.A. per cui la vaccinazione è omessa o differita a conseguenze diverse rispetto a quelle previste per gli esercenti le professioni sanitarie per gli operatori di interesse sanitario.
L’art. 4 bis, comma 2, d.l. n. 44/2021 e l’art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021, nel far venir meno l’obbligo vaccinale in capo ai soggetti dichiarati esenti, escludono invero l’applicazione di tutte le disposizioni previste in materia di obbligo vaccinale, ivi incluse quindi le norme che regolano le conseguenze dell’inadempimento a tale obbligo.
Di qui l’operatività dell’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021 anche nei confronti degli impiegati di strutture R.S.A.
7.2.2. L’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021 trova peraltro applicazione anche in forza del rinvio che il medesimo comma settimo fa all’art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021, a sua volta richiamato dal successivo art. 4 bis d.l. n. 44/2021.
7.2.3. Non vi è, quindi, dubbio che a partire dall’entrata in vigore dell’art. 4 bis d.l. m. 44/2021 siano disciplinate anche le conseguenze derivanti dall’accertamento, da parte del soggetto a ciò deputato, dell’esenzione dall’obbligo vaccinale anche per i dipendenti delle strutture R.S.A.
Viene invero fissato l’obbligo del datore di lavoro di adibire i soggetti esenti dall’obbligo vaccinale a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis).
7.3. In siffatto quadro normativo la sospensione del lavoratore dal lavoro e dalla retribuzione non pare essere contemplata (almeno espressamente) dal legislatore, neppure come extrema ratio per il caso in cui il datore di lavoro, dimostrata l’impossibilità di adibire il lavoratore esentato dalla vaccinazione alle mansioni dedotte in contratto, non rinvenga nell’organigramma aziendale, all’esito di una verifica concreta ed effettiva, l’esistenza di posizioni lavorative equivalenti o anche diverse od inferiori, astrattamente assegnabili al lavoratore esente dall’obbligo di vaccinazione e che siano, da un lato, atte a preservarne la condizione occupazionale e retributiva e, dall’altro lato, compatibili con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro e siano idonee a prevedere ed evitare il rischio di diffusione del contagio.
7.3.1. Chiara è infatti il diverso tenore della norma in esame rispetto a quello dell’originaria versione dell’art. 4, comma 8, d.l. n. 44/2021, che stabiliva che «8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato».
L’eliminazione – rectius il mancato inserimento – nell’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2022 dell’inciso «ove possibile» è sì indice di una precisa scelta del legislatore di voler assegnare tutela pressoché incondizionata a quei lavoratori che, per fatto incolpevole ed indipendente dalla loro volontà, si siano trovati nell’impossibilità di ricevere la somministrazione del vaccino contro l’infezione da Sars-Cov-2, facendo ricadere il costo di tale situazione di fatto sul datore di lavoro, ma appare tuttavia condizionata alla concreta possibilità di evitare il rischio di contagio da Sars-Cov-2.
7.3.2. Siffatta scelta appare il frutto del bilanciamento tra diversi interessi.
Da una parte, l’interesse di chi, senza colpa, si trovi nell’impossibilità materiale e giuridica di essere sottoposto alla vaccinazione contro l’infezione da Covid-19 ad esercitare i propri diritti soggettivi e, nel caso di specie, il diritto al lavoro e a ricevere una retribuzione che garantisca un’esistenza libera e dignitosa e l’interesse sanitario alla «tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza» (per la definizione di interesse sanitario cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4075/2021).
Dall’altra parte, l’interesse del datore di lavoro di garantirsi una prestazione utile per l’impresa e, più in generale, l’interesse al libero esercizio dell’impresa, dall’altra parte.
7.3.3. La lettera del comma settimo in esame attribuisce bensì rilievo preminente all’interesse del lavoratore dichiarato esente dalla vaccinazione al mantenimento (non solo formale) del posto di lavoro e della retribuzione e all’interesse sanitario rispetto a quello del datore di lavoro di ottenere una prestazione utile per l’impresa, ma pare tuttavia porre il limite della adottabilità in concreto di misure atte a «evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
7.3.4. In quest’ordine di idee, il datore di lavoro viene gravato sia dell’obbligo di adibire i lavoratori esentati dall’obbligo vaccinale per accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate «a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione» sia di attuare tali misure «in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
Siffatte prescrizioni cogenti appaiono estrinsecazione e tipizzazione del «“canone di correttezza e buona fede che presidia ogni rapporto obbligatorio contrattuale ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.” (cfr, Cass. SS.UU. n. 5457 del 2009) e che risulta “immanente all’intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost.” (cfr. Cass. SS.UU. n. 15764 del 2011; v. pure Cass. SS.UU. n. 23726 del 2007; cfr. Cass. SS. UU. n. 18128 del 2005), esplicando “la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra” (Cass. SS.UU. n. 28056 del 2008)» (così Cass., sez. lav., n. 6497/2021, con riguardo alla clausola di ragionevolezza contenuta nell’art. 3, comma 3 bis, d.lgs. n. 216/2003 come espressione dei doveri di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali, che a loro volta rappresentano criterio di determinazione in concreto dell’obbligo contrattuale del datore di lavoro di ricercare accomodamenti ragionevoli prima di addivenire alla risoluzione del rapporto di lavoro con il dipendente divenuto disabile).
Valgono anche in questa sede, per identità di ratio tra la norma che impone al datore di lavoro di ricercare accomodamenti ragionevoli per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori e la norma che impone al datore di lavoro di adibire il dipendente esonerato dall’obbligo vaccinale a mansioni anche diverse per garantire la piena eguaglianza con gli altri lavoratori che non si trovino, sempre per fatto incolpevole, nell’impossibilità di ricevere la somministrazione del vaccino contro l’infezione da Sars-Cov-2, le riflessioni mosse dalla Suprema Corte di cassazione in ordine alla funzione della «buona fede oggettiva o correttezza come criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo fonte di integrazione del comportamento dovuto che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, sulla scorta di una nota dottrina, al compimento di tutti gli atti giuridici e materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (tra le tante: Cass. n. 1460,5 del 2004; Cass. n. 20399 del 2004; Cass. n. 13345 del 2006; Cass. n. 15669,del 007; Cass. n. 10182 del 2009; Cass. n. 17642 del 2012; da ultimo, con riferimenti, v. Cass. n. 8494 del 2020)» (così sempre Cass. n. 6497/2021).
7.4. Il canone di correttezza e buona fede, nell’assurgere a fonte di integrazione del comportamento cui è tenuta ciascuna della parti di un contratto e che impone alle medesime di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, integra inoltre il criterio per determinare in concreto l’ampiezza dello sforzo cui il datore di lavoro è tenuto nell’adempimento dell’obbligo di adibire «i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», rectius nell’obbligo di adottare misure atte a «evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».
Siffatto obbligo risulta peraltro essere connotato in positivo, laddove la norma in esame, dopo aver previsto che «Per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione», grava altresì il datore di lavoro di adempiere a siffatto obbligo «in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», assegnandogli il compito di adottare le misure in concreto idonee ad evitare (dunque con grado di probabilità statistico prossimo alla certezza) occasioni di contagio sia per il lavoratore esonerato dalla vaccinazione, sia per gli altri dipendenti o collaboratori delle strutture sanitarie o R.S.A., sia ancora per i pazienti della medesima.
7.5. L’obbligo di adibire il lavoratore esente dall’obbligo vaccinale anche a mansioni diverse in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis) ha quindi un contenuto più ampio rispetto all’obbligo di repêchage, avvicinandosi a quello previsto per il caso del licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione del lavoratore divenuto disabile: il datore di lavoro non solo è onerato di provare di non poter utilizzare il lavoratore nelle mansioni in precedenza espletate oppure in altre mansioni equivalenti o inferiori, ma deve altresì dimostrare di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile nel ricercare le possibili modifiche organizzative idonee a salvaguardare la prestazione lavorativa del dipendente esonerato dalla vaccinazione e la salute dei collaboratori e dei pazienti della struttura.
L’astringenza della clausola-limite all’operatività dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore esentato dalla vaccinazione anche ad altre mansioni è tale da mantenere ferma la possibilità per il datore di lavoro di assolvere all’onere probatorio, dimostrando che le soluzioni alternative rinvenute, eventualmente anche mediante il supporto di un tecnico esperto in gestione di impresa, ove anche astrattamente possibili, siano tuttavia in concreto non percorribili, perché sproporzionate, vuoi in ragione dei costi finanziari eccessivi (atti a mettere a rischio l’equilibrio di bilancio), vuoi in ragione delle dimensioni e delle risorse dell’impresa, vuoi per altre tipologie di ragioni, o ancora perché atte a ripercuotersi su altri interessi da tutelare (quali ad esempio quelli di altri lavoratori).
La clausola che impone al datore di lavoro di adottare misure atte ad «evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» pone di fatto in capo allo stesso l’obbligo di attuare (i possibili) adattamenti dell’organizzazione del lavoro e della struttura aziendale idonee a salvaguardare la prestazione lavorativa del dipendente esonerato dalla vaccinazione e la salute dei collaboratori e dei pazienti della struttura.
7.6. In quest’ordine di idee, per verificare e misurare l’adempimento o meno dell’obbligo imposto dall’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021 al datore di lavoro occorre avere riguardo al contenuto del comportamento dovuto, che si caratterizza dunque anche in positivo, essendo necessario verificare se il datore di lavoro abbia compiuto uno sforzo diligente volto a ricercare misure organizzative attuabili in concreto e idonee a consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa, altrimenti preclusa, alla persona esonerata dall’obbligo vaccinale.
8. Ebbene nel caso di specie, la lavoratrice è stata sospesa senza valutare, in concreto, la possibilità di un impiego alternativo non implicante rischi di diffusione del contagio e, pertanto, l’obbligo di cui all’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021 è rimasto inadempiuto.
8.1. In particolare, la ricorrente ha allegato specificamente che le modalità di lavoro da remoto erano risultate conformi alle mansioni specifiche, avendo essa incontrato da remoto i pazienti ed i rispettivi familiari ed avendo espletato le sue funzioni esterne anche presso gli Uffici Pubblici in cui era solita recarsi prima dell’insorgenza dell’emergenza epidemiologica. Inoltre, la lavoratrice ha allegato l’esistenza di posizioni astrattamente assegnabili e non a contatto con soggetti fragili, quali quelle presenti presso la sede legale ove l’azienda dispone di posizioni amministrative.
8.2. La società resistente di contro ha dedotto che «tutte le posizioni lavorative afferenti mansioni diverse e/o inferiori “compatibili” con il profilo professionale della ricorrente erano (e sono) occupate e richiedono, comunque, il contatto diretto con i pazienti e (attesa la natura della CTA convenuta) l’adempimento dell’obbligo vaccinale», portando ad esempio la posizione di ausiliare e quella di ausiliare da cucina. Il datore di lavoro ha inoltre addotto che «Parimenti occupate erano (e sono) anche tutte le altre posizioni lavorative che richiedono, in ogni caso, specifiche competenze (e, pertanto, incompatibili con il profilo professionale della ricorrente)», quali la posizione di cuoco e ausiliare aiuto cuoco, di educatore, di pedagogista.
Ha aggiunto inoltre parte resistente che lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto si era rivelata disfunzionale alla attività di cura e che la mancata presenza della ricorrente all’interno della C.T.A. aveva dato luogo a non pochi disservizi e carenze nella gestione dei soggetti ricoverati con conseguenti lamentele dell’equipe medica e degli altri operatori, oltre che dei familiari dei pazienti.
8.3. Tuttavia così facendo il datore di lavoro si è limitato ad affermare l’impossibilità del repêchage del dipendente definitivamente inidoneo alla vaccinazione, senza specificare le precise ragioni della solo asserita disfunzionalità della prestazione resa dalla ricorrente da remoto, senza evidenziare alcun atto o operazione strumentale rispetto all’attuazione in concreto di misure atte ad evitare il rischio di diffusione del virus Sars-CoV-2 – quale ad esempio l’apposizione nelle sale per i colloqui con i pazienti ed i familiari di schermi divisori in vetro idonei – a garantire alla lavoratrice il diritto all’esercizio della prestazione lavorativa e al mantenimento della retribuzione, nonché senza allegare né dimostrare – anche mediante relazione di tecnico – o l’assenza di qualsivoglia adattamento della struttura aziendale in grado di evitare (con alto grado di probabilità) il rischio di diffusione del virus Sars-Cov-2 o l’eccessiva sproporzione degli arrangiamenti in astratto possibili per il costo finanziario eccessivo, per le dimensioni e le risorse dell’impresa o ancora perché atte a ripercuotersi su altri lavoratori. In altre parole, la società resistente non ha allegato né dimostrato di aver compiuto quello sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa che evitasse il la sospensione dell’istante dal lavoro e dalla retribuzione, peraltro neppure contemplata dal quadro normativo di riferimento.
La stessa ricorrente ha manifestato la disponibilità a svolgere le proprie mansioni da remoto e rappresentato l’esistenza di posizioni lavorative che non prevedono il contatto con gli utenti – come ad esempio quelle in essere presso legale – ma (omissis) si è sul punto limitata a dedurre generiche considerazioni, rimaste peraltro meramente labiali.
8.4. Né tale lacuna probatoria poteva colmata attraverso la prova per informatori dedotta da parte resistente, tenuto conto che la stessa era volta a confermare la composizione dell’organigramma aziendale, già depositato in atti e composto di 36 dipendenti, e a descrivere le modalità di esecuzione delle singole mansioni presenti nella struttura sanitaria, ma non anche ad evidenziare o comprovare l’adozione da parte dell’azienda di accorgimenti atti a consentire alla ricorrente di esercitare la propria prestazione lavorativa e a prevenire ed evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Neppure i capitoli di prova per informatori di cui alle lett. g) e h), relativi all’attività svolta da remoto dalla ricorrente, sarebbero stati idonei, ove ammessi, a superare la lacuna di allegazione in ordine alla ricerca in concreto di misure atte ad evitare il rischio di diffusione del virus Sars-CoV-2, a garantire alla lavoratrice il diritto all’esercizio della prestazione lavorativa e al mantenimento della retribuzione, all’assenza di qualsivoglia adattamento della struttura aziendale in grado di evitare (con alto grado di probabilità) il rischio di diffusione del virus Sars-Cov-2 oppure ancora all’eccessiva sproporzione degli arrangiamenti in astratto possibili per il costo finanziario eccessivo, per le dimensioni e le risorse dell’impresa o ancora perché atte a ripercuotersi su altri lavoratori. Ferma restando peraltro la natura valutativa del capitolo «g» («Decorso un mese dalla assegnazione della ricorrente allo smart working, la predetta soluzione si rivelava disfunzionale alla attività di cura e assistenza dei pazienti (che richiede una presenza costante dell’operatore all’interno della struttura)?») e la genericità del capitolo «h» («La mancata presenza della ricorrente all’interno della CTA, aveva dato luogo a disservizi e carenze nella gestione dei soggetti ricoverati e a lamentele dell’equipe medica e degli altri operatori, oltre che dei familiari dei pazienti?»), che non appare volto ad individuare specificamente il contenuto delle asserite carenze e l’oggetto delle lamentele.
8.5. In definitiva, parte resistente ha violato l’obbligo di adibire la (omissis) a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, non avendo (neppure dimostrato di avere) compiuto quello sforzo diligente richiesto dal criterio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto e consistente nel ricercare misure atte ad evitare il rischio di diffusione del virus Sars-CoV-2 e a garantire comunque alla lavoratrice il diritto all’esercizio della prestazione lavorativa e al mantenimento della retribuzione.
9. In senso contrario non giovano poi le osservazioni di parte resistente sull’inidoneità della certificazione di esenzione di parte ricorrente dall’obbligo vaccinale, per non essere tale certificato conforme alle ai requisiti ex art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021, laddove contiene il mero richiamo ab externo «a specifiche condizioni cliniche documentate, senza che di dette condizioni sia dato riscontro nella certificazione, unitamente al pericolo per la salute.
Tale doglianza cade ove si osservi che la certificazione di esenzione dall’obbligo vaccinale della (omissis) è stata rilasciata una struttura pubblica e, in particolare, dall’di Acireale il 22.10.2021 e successivamente dal centro vaccinale dell’(omissis).
Le sentenze del Consiglio di Stato citate anche testualmente da parte ricorrente fanno invero riferimento al caso in cui l’attestazione del pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate (e dunque non la certificazione di esonero dall’obbligo vaccinale) provenga dal medico di medicina generale.
10. Sussiste, dunque, il fumus boni iuris e deve essere ordinato a (omissis) di adibire (omissis) allo svolgimento delle mansioni di assistente sociale da remoto oppure nella struttura sita in (omissis) via (omissis) purché in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis) ovvero, ove ciò non sia possibile, in mansioni differenti anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, sempre in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis).
11. Sono assorbite le richieste avanzate da parte ricorrente in via subordinata.
12. Spese al merito.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, assorbita allo stato ogni altra difesa ed eccezione, così provvede:
ordina a (omissis) di adibire (omissis) allo svolgimento delle mansioni di assistente sociale da remoto oppure nella struttura sita in (omissis) via (omissis), purché in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis) ovvero, ove ciò non sia possibile, in mansioni differenti anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, sempre in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da (omissis).
spese al merito.
Così deciso in Catania, il 5 luglio 2022.
Si comunichi.
