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Tribunale di Catania sez. III, 31/03/2025, n. 1844

Massima

La domanda di risarcimento danni fondata sulla responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.), vertente su fatti disciplinati da una transazione non risolta né contestata che definisce il rapporto tra le parti escludendo altre pretese, è da rigettarsi, poiché l’accertamento del nesso causale, condotto secondo i criteri di probabilità prevalente e causa prossima di rilievo, imputa l’evento dannoso esclusivamente alla condotta di uno dei convenuti, rendendo irrilevanti le concause ascritte ad altri, anche qualora elementi a sostegno di dette concause irrilevanti siano emersi in sede di provvedimento cautelare privo di autorità di giudicato.

Supporto alla lettura

RISARCIMENTO DANNO

Quando si parla di risarcimento del danno ci si riferisce alla compensazione, prevista dalla legge, in favore di chi ha subito un danno ingiusto.

Per danno ingiusto si intende la lesione di una situazione giuridica soggettiva protetta dalla legge.

Il danno può essere costituito dalla lesione di:

  • un diritto soggettivo e quindi di una situazione giuridica tutelata dalla legge in modo diretto, può essere leso da chiunque se si tratta di un diritto assoluto che quindi deve essere rispettato da tutti gli altri soggetto o da un soggetto determinato se si tratta di un diritto relativo ovvero di un diritto che deve essere rispettato solo da un determinato soggetto legato al titolare del diritto da un rapporto giuridico;
  • un interesse legittimo vale a dire di una situazione giuridica soggettiva tutelata dalla legge in modo indiretto ovvero nella misura in cui l’interesse del privato coincide con l’interesse pubblico, può essere leso dalla Pubblica Amministrazione che nell’esercizio del proprio potere non rispetta le norme di buona amministrazione.

Il diritto al risarcimento del danno sorge quando il danno patito è conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante. Questa regola è stabilita dall’art. 1223 del codice civile. Per questo motivo è necessario dimostrare che il pregiudizio si trova in rapporto di causa-effetto rispetto alla condotta del danneggiante.

Il risarcimento del danno si distingue dall’indennizzo anche se in entrambi i casi il soggetto danneggiato riceve un ristoro economico per il danno che ha subito:

  • risarcimento: quando il danno è stato causato da una condotta illecita;
  • indennizzo: quando il danno è conseguente ad una condotta lecita cioè ad una condotta consentita e in alcuni casi imposta dalla legge.

Ambito oggettivo di applicazione

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

La domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 proposta da (omissis) nei confronti del condominio di (omissis) corso (omissis) e del comune di (omissis) appare infondata per i motivi appresso indicati. Quanto alla pretesa nei confronti del condominio, va premesso che i fatti storici allegati dalla parte attrice a sostegno dell’azione di natura extracontrattuale proposta vengono prospettati quale violazione dell’obbligo del neminen ledere per aver il condominio non ottemperato al provvedimento del giudice cautelare, che appunto accertava la violazione dell’obbligo di manutenzione posto a carico del condominio medesimo e di risarcimento in forma specifica per i danni provocati alla parte attrice.

Tuttavia, va osservato che il rapporto tra il condominio e la parte attrice risulta regolato contrattualmente dalla transazione sottoscritta il 28 gennaio 2016 con cui appunto, nel corso del giudizio di reclamo avverso il provvedimento del giudice cautelare, il condominio si impegnava ad eseguire i lavori indicati dal consulente tecnico di ufficio, come richiamati nell’ordinanza resa nel procedimento n. 6916/2013 entro determinati tempi e la (omissis) a fronte dell’esecuzione dei lavori e del pagamento delle spese processuali, rinunciava all’azione risarcitoria relativa alla mancata percezione dell’intero canone di locazione, ridotto, a suo dire, per le infiltrazioni subite dal conduttore.

La transazione ex art. 1965 c.c. è un contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata (come nella specie) o prevengono una lite che può sorgere tra le parti; si tratta, quindi, di un contratto a titolo oneroso e con prestazioni corrispettive, in considerazione appunto della necessaria presenza delle reciproche concessioni. (omissis) non fa alcun riferimento a questo contratto, alla eventuale modifica del contratto intervenuta nel tempo (il tecnico interveniva sempre nella qualità di tecnico della (omissis) cfr. documenti in atti), di guisa che risulta irrilevante ai fini della presente decisione verificare la natura della transazione (novativa, non novativa o mista), un’eventuale causa di risoluzione del contratto di transazione anche ai fini dell’esistenza, o meno, delle originarie pretese, di opponibilità, o meno, delle modifiche alla parte attrice ai fini di un eventuale concorso nell’aggravamento dei danni, e ciò in quanto la domanda proposta ha un fondamento giuridico diverso extracontrattuale e cioè appunto il difetto di manutenzione dei beni comuni posto a base della domanda risarcitoria ai sensi, a dire della parte attrice, dell’art. 2043 Né questo giudice può qualificare giuridicamente la domanda.

Infatti, al di là dello specifico riferimento nell’atto di citazione ex art. 2043 c.c., in ogni caso in tema di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, il giudice ha la facoltà di qualificare come contrattuale od aquiliana la domanda di risarcimento del danno, a prescindere dall’inquadramento adottato dall’attore, ma alla sola condizione di non porre a fondamento della propria diversa qualificazione fatti non ritualmente dedotti in giudizio; indi, nella specie, questo giudice non può porre a fondamento della domanda l’adempimento, o meno, della transazione ed eventualmente la sua risoluzione, perché è un fatto che la parte attrice non ha posto a fondamento della domanda, né ha mai richiesto la risoluzione di detto contratto.

I nuovi accertamenti compiuti nel presente giudizio, comunque, sono irrilevanti ai fini della presente controversia; infatti, è pacifico che il presupposto della res dubia, che caratterizza la transazione, «è integrato non dalla incertezza obiettiva circa lo stato di fatto o di diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali ed ai rispettivi diritti ed obblighi delle parti… nessuna incidenza sulla validità e sulla efficacia del negozio può attribuirsi all’accertamento “ex post” della assoluta infondatezza di una delle contrapposte pretese» (Cass. n.4448/1996, Cass. n.6861/2003, Cass. n.26528/2019); e ciò proprio perché «la prevenzione della lite, o il suo superamento – e non quindi un astratto accertamento del contenuto esatto ed effettivo della res dubia -costituiscono quel che è causa/scopo funzionale che muove le parti a transigere» (Cass. 2784/2019).

Nella vicenda in questione è pacifico che la transazione conclusa fra le parti ha definito ogni tipo di eventuale responsabilità del condominio verso la (omissis) di guisa che l’esatto adempimento della transazione (la legittimità, o meno, delle modifiche apportate anche dal tecnico di parte attrice), il suo eventuale annullamento secondo le norme di legge esulano dal presente procedimento, trattandosi di questioni nemmeno dedotte dalla parte attrice.
Indi, la domanda nei confronti del condominio, fondata su una responsabilità extracontrattuale, deve essere rigettata proprio perché il rapporto tra le parti è regolato da un contratto ancora vigente.

Quanto al comune di (omissis) va premesso che «Nel sistema processuale delineatosi, in tema di procedimenti cautelari, a seguito delle modifiche di cui all’art. 2, comma 3, lett. e bis, del d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 80 del 2005, (così come nel precedente) contro i provvedimenti urgenti anticipatori degli effetti della sentenza di merito, emessi “ante causam” ai sensi dell’art. 700 c.p.c., non è proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto tali provvedimenti sono privi di stabilità e inidonei al giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse ad iniziare l’azione di merito» (Cass. s.u. n, 6039/2019; cfr. in questo senso anche Cass. s.u, n.27187/2007).

La S.C. con la sentenza del 2007 ha evidenziato che «art. 669 octies, comma 6, introdotto dalla novella del 2005, per i provvedimenti cautelari anticipatori degli effetti della sentenza di merito e per quelli ex art. 700 c.p.c., (anche essi costituenti di regola anticipo della non necessaria futura pronuncia in una causa ordinaria), pur abrogando il termine finale perentorio entro cui iniziare la causa di merito, ha riaffermato che questa può essere iniziata da ciascuna delle parti della procedura cautelare, attenuando e non eliminando il carattere strumentale del procedimento cautelare e del provvedimento d’urgenza, rispetto al giudizio di merito.

Ciò è chiaro non tanto perché l’autorità del provvedimento sussiste solo per il processo nel quale si fa valere il diritto a cautela del quale lo stesso è stato emesso, ma anche perché il suo contenuto accertativo non può mai “fare stato” tra le parti e i loro aventi causa, ai sensi dell’art. 2909 c.c., dal momento che la sua efficacia può venire sempre meno per effetto di altra “sentenza anche non passata in giudicato”, che dichiari inesistente il diritto a cautela del quale esso venne emesso.

Di fatto, il provvedimento ai sensi dell’art. 700 c.p.c., non è “stabile”, tanto che il permanere della sua efficacia può venir meno per effetto di altra sentenza, anche essa instabile, perché impugnabile o impugnata, per cui deve logicamente negarsi che esso possa divenire giudicato, finché l’accertamento a base della sua emissione non risulti confermato da una sentenza di merito divenuta non più impugnabile.… l’efficacia anticipatoria dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., tesi “ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”, può permanere in via definitiva, evitandosi così un altro processo ordinario per far valere il diritto protetto in via urgente, se le parti non esercitino la facoltà d’iniziare la causa di merito i cui effetti sono stati anticipati a cautela del diritto esercitato con la successiva azione.

Tale novità normativa non assicura la stabilità, neppure provvisoria, del “decisum”, anche se, in quanto può seguire il processo di merito, permane la strumentalità del provvedimento cautelare, che però non è più indispensabile come in passato a connotare il provvedimento urgente.

Non vi è una stabilità o definitività del provvedimento urgente, il cui contenuto decisorio e anticipatorio della eventuale sentenza di merito, può conservare efficacia permanente, allorché la eliminazione del pregiudizio imminente e irreparabile di cui all’art. 700 c.p.c., abbia soddisfatto ogni interesse del ricorrente, al punto da indurlo a non far valere in via ordinaria il diritto stesso e per la sua revoca il destinatario del provvedimento non agisca con azione di accertamento negativo del diritto cautelato, per farne dichiarare la inesistenza. … Comunque, anche allorché il giudizio di merito non sia iniziato da nessuna delle parti del procedimento cautelare, il permanere dell’efficacia esecutiva del provvedimento che lo conclude non ne comporta la stabilità, da intendere come concreta idoneità a costituire giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. … » (Cass. n.27187/2017 cit.).

Tutto ciò al fine di esaminare i rilievi avanzati dal comune di (omissis) avverso la sua responsabilità per i danni occorsi all’interno dell’immobile attoreo.

In particolare, dalla relazione di consulenza tecnica di ufficio a firma dell’ing. (omissis), espletata nel giudizio cautelare intercorso tra le odierne parti in causa, le cui conclusioni vanno pienamente condivise da questo Giudice essendo supportate da accertamenti effettuati sui luoghi, si evince che le infiltrazioni all’interno dell’immobile attoreo sono dovute ai suindicati fattori: «- Non corretto funzionamento della intercapedine, di proprietà condominiale la quale, non assolvendo alla propria funzione di raccolta e smaltimento delle acque che giustamente e normalmente permeano dal manto stradale e per mezzo della canaletta di scolo della stessa intercapedine (oramai inefficiente in quanto non manutentata) vanno ad imbibire il solaio e le parti strutturali dell’edificio; – Continuo gocciolamento di acqua dal tubo di pertinenza condominiale passante all’interno dell’intercapedine ed il quale è stato accertato in sede di sopralluogo essere ammalorato e continuamente e visibilmente percolante, andando a provocare di conseguenza una, seppur minima ma continua e permanente, infiltrazione e imbibimento delle strutture anche in questo caso per mezzo del non funzionamento della canaletta di scolo posta entro la intercapedine ed a livello con il primo impalcato sottostrada costituente il solaio di copertura dell’immobile di proprietà ricorrente; – Una componente dovuta a responsabilità del comune di (omissis) in quanto l’innalzamento del livello del manto stradale di via (omissis) e di corso (omissis) ha conseguentemente diminuito la quota del marciapiedi ed a tratti resa a livello di bitume; di conseguenza l’acqua discendente dal corso (omissis) vista la condizione orografica dei luoghi, non trovando sufficienti punti di raccolta (quali caditoie laterali lungo corso (omissis) per esempio) va ad invadere la facciata del fabbricato andando così ad aumentare la componente di acqua che per infiltrazioni va a riversarsi dentro la intercapedine e successivamente, per i motivi sopra descritti, va ad imbibire le strutture portanti del fabbricato». In definitiva, da detta relazione risulta che la causa delle infiltrazioni attiene esclusivamente alla intercapedine condominiale; l’aumento dell’acqua, proveniente per le condizioni del marciapiedi, non solo non è certo per quanto riguarda sia la quantità di acqua che va ad invadere la intercapedine sia i tempi legati, prima, agli asseriti interventi di bitumazione della strada susseguitesi nel corso degli anni e, poi, ad eventi metereologici rilevanti (l’acqua derivante da piogge non rilevanti non riusciva, comunque, a superare pur anche il meno elevato marciapiedi); e poi, in ogni caso, un’intercapedine ben impermeabilizzata e ben mantenuta dal condominio-custode avrebbe sicuramente incanalato le acque ed evitato le infiltrazioni.

Come chiarito più volte dalla S.C., e ribadito recentemente con la sentenza n. n.22221/2023 «Sul punto occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25884 del 02/09/2022) ha chiarito che, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.

È stato altresì precisato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte che il nesso causale è elemento costitutivo dell’illecito (anche contrattuale), e rientra tra i compiti del giudice individuare, tra le possibili concause, gli antecedenti in concreto rilevanti per la verificazione del danno, mediante l’adozione di un criterio di selezione la cui scelta – … – correttamente è effettuata procedendo all’identificazione della c.d. “causa prossima di rilievo” – quale causa di per sé sufficiente a produrre l’evento -, secondo quanto dispone l’art. 41 c.p., comma 2. La valutazione delle conseguenze derivanti dall’adottato criterio di selezione si risolve, invece, in un mero accertamento di fatto, come tale sottratto al sindacato di legittimità in presenza di congrua motivazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26997 del 07/12/2005; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9985 del 10/04/2019)». Come detto sopra, non c’è dubbio nella specie che una perfetta manutenzione della intercapedine avrebbe escluso qualsiasi fenomeno di infiltrazione, e, pertanto, l’eventuale aumento di acqua, non meglio precisato, non può essere considerato concausa rilevante del fenomeno accertato all’interno dell’immobile attoreo.

Peraltro, il consulente tecnico di ufficio, ing. (omissis), nella relazione depositata nel presente procedimento, sulla base della documentazione prodotta dalle parti relativa agli accertamenti condotti per l’esecuzione di alcuni lavori da parte del condominio con l’assenso del tecnico della (omissis) comunque, ha prospettato anche un’ulteriore causa di infiltrazione, proveniente sempre da una tubatura condominiale di fognatura; quindi, l’eventuale concausa di presenza di acqua piovana appare quanto mai irrilevante ai fini del fenomeno in questione.

Alla stregua delle superiori considerazioni, la domanda risarcitoria nei confronti del condominio va rigettata.

Quanto alle spese processuali, sussistono giustificati motivi in relazione alla motivazione della presente decisione (la parte attrice ha agito, nei confronti del comune, sulla base di quanto era stato accertato nel giudizio cautelare e, nei confronti del condominio, che, comunque, non ha ottemperato ai suoi obblighi pur anche con l’assenso del tecnico della parte medesima) per compensare tra le parti le spese processuali.

Le spese di consulenza tecnica di ufficio, come già liquidate in atti, vanno poste a carico di parte attrice in quanto funzionali ad una domanda rigettata.

P.Q.M.

Il Presidente della Terza Sezione Civile del Tribunale di (omissis) dott.ssa (omissis) in funzione di Giudice unico, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al 2193/2020 R.G., rigetta la domanda di risarcimento dei danni.

Compensa tra tutte le parti le spese processuali.

Pone a carico di parte attrice le spese di consulenza tecnica di ufficio come già liquidate in atti.

Allegati

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