Svolgimento del processo – Motivi della decisione
I ricorrenti chiedono che venga dichiarato il loro status di cittadini italiani in virtù della loro discendenza da (omissis) cittadina italiana nata il (omissis) a (omissis) (omissis), successivamente emigrata negli Stati Uniti d’America, la quale non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana, con vittoria di spese. Si è costituito il Ministero dell’Interno chiedendo: in via principale, la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto delle condizioni dell’azione, o comunque, il rigetto nel merito per infondatezza della domanda; in via subordinata, la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., ovvero un congruo rinvio, nelle more della definizione del giudizio di costituzionalità proposto avverso l’art. 1 L. n. 91 del 1992 dal Tribunale di Bologna con l’ordinanza del 26.11.2024; nel merito, ha evidenziato: il difetto di legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti, avuto riguardo al necessario accertamento incidentale della cittadinanza degli avi ormai deceduti e dell’impossibilità di agire per il predetto accertamento da parte dei discendenti odierni ricorrenti; la carenza di interesse ad agire, con specifico riferimento alla sola linea di discendenza maschile, in ragione della mancanza di prova di aver adito l’Amministrazione competente, di aver avviato il procedimento amministrativo e di aver atteso lo spirare del termine di 730 giorni; con riferimento alla sola linea di discendenza femminile, la non retroattività delle pronunce di incostituzionalità e l’esaurimento della situazione giuridica costituente presupposto per il riconoscimento della cittadinanza italiana; la mancanza di prova della linea di discendenza, della conservazione della cittadinanza italiana e della sua comunicabilità ai ricorrenti; l’introduzione della nuova disciplina in materia di cittadinanza di cui al D.L. 28 marzo 2025, n. 36; la necessità di sospensione del giudizio per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. nelle more della definizione della questione di legittimità costituzionale. La causa è stata istruita in via documentale e discussa all’udienza del 15 aprile 2025, celebrata in forma cartolare, previo deposito di note scritte autorizzate, nelle quali le parti hanno precisato le conclusioni riportandosi a quelle rassegnate nei rispettivi scritti difensivi, chiedendone l’integrale accoglimento.
La domanda è fondata e deve essere accolta.
1) Sulla legittimazione ad agire
L’eccezione relativa al difetto di legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti, sollevata dal Ministero, è infondata e deve essere respinta. Sul punto, sarà sufficiente evidenziare quanto segue:
– Ciascun ricorrente agisce iure proprio per far valere il proprio diritto all’accertamento della cittadinanza italiana iure sanguinisi
– Non è richiesta pronuncia alcuna in ordine alla cittadinanza degli avi, quantomeno in parte necessariamente defunti;
– Non consentire il riconoscimento della cittadinanza, sulla scorta della disciplina vigente al momento della proposizione della domanda, condurrebbe ad un’inammissibile interpretatio abrogans della predetta normativa;
– “lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente ed è imprescrittibile.” (omissis) “resta salva solo l’estinzione per effetto di rinuncia. Ne segue che, ove la cittadinanza sia rivendicata da un discendente, null’altro – a legislazione invariata- spetta a lui di dimostrare salvo che questo: di essere appunto discendente di un cittadino italiano; mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell’evento interruttivo della linea di trasmissione” (Cass. civ. 354/20022);
“per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto il diritto allo “status” di cittadino italiano al richiedente nato all’estero da figlio di donna italiana coniugata con cittadino straniero nel vigore della L. n. 555 del 1912 che sia stata, di conseguenza, privata della cittadinanza italiana a causa del matrimonio. Pur condividendo il principio dell’incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria d’incostituzionalità delle norme precostituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e le situazioni non ancora esaurite alla data del 1 gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l’entrata in vigore della Costituzione, la Corte afferma che il diritto di cittadinanza in quanto “status” permanente ed imprescrittibile, salva l’estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente, è giustiziatile in ogni tempo (anche in caso di pregressa morte dell’ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento) per l’effetto perdurante anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione dell’illegittima privazione domita alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale? (Cass. Sez. Unite sent. n. 4466 del 25/02/2009). Ed ancora: “lo stato di cittadino è permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si manifestano nell’esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si è rilevato, può perdersi solo per rinuncia, così come anche nella legislazione previgente (art.8 n. 2 L. n. 555 del 1912) (…). Perciò correttamente si afferma che lo stato di cittadino, effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziarle in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato”.
2) Sulla mancata instaurazione del procedimento amministrativo
L’eccezione sollevata dalla parte convenuta si rivela pertanto infondata e deve essere respinta: il mancato decorso del termine di 730 giorni previsto dall’art. 3 del D.P.R. n. 362 del 1994, entro cui la PA può decidere, è irrilevante in quanto, in difetto di espressa previsione legislativa, non può ritenersi che il decorso di tale termine sia previsto a pena di improcedibilità, atteso che le sanzioni processuali e, in particolare, quelle restrittive del diritto di azione costituzionalmente tutelato (24 Cost.) non sono suscettibili di applicazione analogica. In altri termini, non è possibile creare in via giurisprudenziale cause di inammissibilità ovvero improcedibilità che non siano espressamente previste dalla legge. Ed ancora, “in via generale, la giurisprudenza ha escluso che la presentazione della domanda in via amministrativa costituisca una condizione di procedibilità per la presentazione della domanda giudiziale, vertendosi, per l’accertamento del diritto soggettivo alla cittadinanza, in un sistema di doppio binario (cfr. Cass SSUU, Sentenza n. 28873 del 2008” (Tribunale Firenze, 17.01.2023). Ed ancora, “il diritto alla cittadinanza (…) è tutelabile immediatamente e incondizionatamente, indipendentemente da qualsiasi procedura amministrativa”, non essendo prevista “né dalla L. n. 91 del 1992, né dai decreti attuativi, alcuna obbligatorietà di presentare previamente una domanda amministrativa per il riconoscimento dell’acquisto della cittadinanza ex lege? (Tribunale Genova, sent. 802/2025). È stato dunque escluso che tale domanda costituisca una condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, richiamandosi espressamente il principio del “doppio binario”, secondo cui “l’assenza di certificazione amministrativa non può precludere il procedimento giurisdizionale di riconoscimento del diritto soggettivo perfetto” (Cass. Civ. SSUU 28873/2008),
3) Sulla non retroattività delle pronunce di Corte Costituzionale
Sul punto, sarà sufficiente richiamare integralmente le pronunce di legittimità sopra riportate agli ultimi due punti del paragrafo 1), al fine di chiarire ulteriormente, ove ve ne fosse la necessità, che il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, ove vi siano stati passaggi generazionali per via materna prima dell’entrata in vigore della Costituzione, non postula l’applicazione retroattiva delle pronunce della Consulta a data anteriore al 1948, essendo il diritto di cittadinanza uno status permanente ed imprescrittibile.
4) Sulla non retroattività del D.L. n. 36 del 2025
La domanda in epigrafe è stata introdotta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 36 del 2025 (Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza) che, all’art. 1, lett. b), prevede espressamente che: “lo stato di cittadino dell’interessato è accertato giudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le 23:59, ora di Roma, della medesima data”.
Ne consegue, a tutta evidenza, che la normativa sopravvenuta richiamata dalla parte convenuta non si applicabile al caso di specie, e ciò non solo in ragione di quanto espressamente ivi previsto e sopra riportato, ma anche in considerazione del generale principio dell’irretroattività della legge, che “non dispone che per l’avvenire” (art. 11 Preleggi).
Chiarito, allora, che la nuova normativa potrà trovare applicazione per le domande di cittadinanza depositate successivamente alla sua entrata in vigore, si osserva, da un lato, che non è espressamente prevista la retroattività del D.L. n. 36 del 2025 (che, peraltro, deve essere ancora convertito in legge, di tal che, allo stato, non può escludersi la possibilità di modifiche del testo) e, dall’altro, che sarebbe del tutto irragionevole pretendere di interpretare e decidere le domande soggette alla precedente disciplina alla luce della nuova.
5) Sulla carenza di prova: genericità dell’eccezione
Parimenti infondata è l’eccezione di mancanza di prova dei fatti posti a fondamento della domanda.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, “nel sistema delineato dal codice civile del 1865, dalla successiva legge sulla cittadinanza n. 555 del 1912 e dall’attuale L. n. 91 del 1992, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis, e lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziatile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano; a chi richieda il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell’eventuale fattispecie interruttiva” (Cass. Civ. SSUU 25317/2022 e 25318/2022): nel caso di specie, la documentazione posta a corredo della domanda si rivela completa ed esaustiva e la parte convenuta non ha fornito la necessaria prova contraria.
6) Sulla questione di legittimità costituzionale e sull’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c.
In primo luogo, si osserva che l’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. non può trovare accoglimento, non essendo contemplata dall’ordinamento la possibilità dell’invocata sospensione: la parte convenuta non ha sollevato la questione di legittimità costituzionale – diversamente, ove l’avesse proposta, il Giudicante avrebbe potuto optare per la rimessione alla Corte Costituzionale, nel caso di ritenuta rilevanza e non manifesta infondatezza, ovvero per la decisione nel merito della causa. Ed invero, la sospensione ex art. 295 c.p.c. costituirebbe una “decisione non coerente con la fisionomia dell’incidente di legittimità costituzionale, dovendosi escludere “la sussistenza di una discrezionale facoltà del giudice di sospendere il processo fuori dei casi tassatim di sospensione necessaria, e “per mere ragioni di opportunità”, tanto che la Consulta si è spinta “a stigmatizzare la prassi della cosiddetta “sospensione impropria”, vale a dire di quella sospensione disposta, senza l’adozione di un’ordinanza di rimessione a questa Corte, in attesa della decisione sulla questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto le stesse norme, sollevata da altro giudice”; ciò sul presupposto che tale prassi “priva le parti interessate della possibilità di accedere al giudizio di legittimità costituzionale e riduce, nel giudizio stesso, il quadro, offerto alla Corte, delle varie posizioni soggettive in gioco”, con il rischio così di vedere “alterata la struttura incidentale del giudizio di legittimità costituzionale” (Corte cost. n. 218/2021, considerato in diritto n. 2f’ (cfr. sul punto, nella condivisibile giurisprudenza di merito, Tribunale Torino ord. Emessa a verbale di udienza del 16.1.2025); ed ancora, “La sospensione del processo per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice quale ipotesi di sospensione facoltativa “ope iudicis” del giudizio, al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale, non è configurabile nell’attuale quadro normativo: ove ammessa, infatti, una tale facoltà del giudice -oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito – si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo art. III Cost. Dalla esclusione della configurabilità della detta sospensione facoltativa “ope iudicis” del giudizio, deriva sistematicamente, come logico corollario, la impugnabilità della stessa, ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ. ” (cfr. Cass. civ. 6121/2024).
Ritiene il giudicante che non vi sia spazio alcuno per l’invocata pregiudizialità, in ragione della manifesta infondatezza della questione.
Il Ministero dell’Interno, richiamando, nella sostanza, l’ordinanza n. 247/2024 con la quale il Tribunale di Bologna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, L. 5 febbraio 1992, n. 91, per cui “è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini”, senza porre alcun limite al riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza, in riferimento agli artt. 1, 3 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli obblighi internazionali e agli artt. 9 del Trattato sull’Unione Europea e 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ha chiesto la sospensione del giudizio e, in subordine, la disposizione di un congruo rinvio, al fine di attendere la pronuncia della Consulta
La questione, come prospettata dall’Amministrazione convenuta, pur essendo rilevante – trattandosi della normativa che deve trovare applicazione per la definizione della causa in epigrafe -, si rivela, tuttavia, manifestamente infondata, alla luce di quanto segue:
1) secondo la giurisprudenza di legittimità, “spetta a ciascuno Stato determinare le condizioni che una persona deve soddisfare per essere considerata investita della sua cittadinanza. Ciò col limite, puramente negativo, rappresentato dall’esistenza di un collegamento effettivo tra quello Stato e la persona di cui si tratta. Spetta alla legislazione nazionale stabilire quale sia questo collegamento (…) il nesso di cittadinanza non può mai esser fondato su una fictio (…) certamente non è una fictio il vincolo di sangue” (Cass. SSUU n. 25317/2022);
2) la cittadinanza costituisce materia di competenza esclusiva degli stati membri; ed invero, ex art. 117 co. lett. i), “lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) i) cittadinanza, stato civile e anagrafi”;
3) la mancata previsione un limite al riconoscimento della cittadinanza per discendenza, dunque in linea di sangue, costituisce esercizio della potestà legislativa e rientra, dunque, a buon diritto, nella discrezionalità propria del legislatore, di tal che l’indicazione del limite di due generazioni si sostanzierebbe in un intervento additivo non consentito all’autorità giudiziaria;
4) il richiamo alla diversa condizione dei cittadini stranieri che, nati in Italia, sono sottoposti ad un particolare iter amministrativo per il riconoscimento della cittadinanza italiana, non essendo previsto dall’ordinamento il ed. ius soli, parimenti costituisce esercizio di discrezionalità legislativa, rispetto al quale valgono le considerazioni appena svolte;
5) in definitiva, è lo stesso legislatore italiano, nell’esercizio della sua discrezionalità, che ha determinato le condizioni da soddisfare per il riconoscimento della cittadinanza, e lo ha fatto individuando un criterio di collegamento che non può dirsi non effettivo, come evidenziato dalla stessa Suprema Corte a Sezioni Unite sopra richiamata;
6) non da ultimo, l’art. 28 L. 11 marzo 1953, n. 87, per cui “Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”, per cui la questione di legittimità costituzionale già posta è verosimilmente inammissibile, in quanto essa comporta una valutazione di natura politica e un sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento, espressamente esclusi dal controllo demandato alla Corte Costituzionale.
Ciò che costituisce orientamento della Sezione Specializzata in intestazione, come da orientamento pubblicato anche sul sito internet del Tribunale di Campobasso.
In conclusione, la questione in commento è manifestamente infondata e deve essere respinta, di tal che occorre procedere alla definizione del contenzioso nel merito.
7) Nel merito
I ricorrenti, di nazionalità statunitense, chiedono che venga dichiarato il loro status di cittadini italiani in virtù della loro discendenza (…), cittadina italiana nata il (…) a (…) (C.), successivamente emigrata negli Stati Uniti d’America, la quale non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana, con vittoria di spese. La domanda è fondata e va accolta.
La linea di discendenza che conduce dall’ava italiana agli odierni ricorrenti è compiutamente documentata.
Le parti ricorrenti hanno adempiuto all’onere probatorio allegando, rispettivamente, l’atto di nascita e la dichiarazione rilasciata dal Dipartimento degli Stati Uniti di Sicurezza Nazionale e dei Servizi di Cittadinanza e Immigrazione (U.S.C.I.S.) attestante la mancata naturalizzazione statunitense di E.M. unitamente agli ulteriori atti di nascita e di matrimonio dei discendenti, sino agli odierni ricorrenti.
La parte convenuta è venuta meno all’onere probatorio non avendo depositato alcuna documentazione comprovante l’intervenuta rinuncia alla cittadinanza italiana da parte dell’ascendente cittadina italiana – essendosi limitata a difese affatto generiche e prive di fondamento documentale -.
Dall’esame dei documenti prodotti risulta che la trasmissione della cittadinanza, secondo la legge all’epoca vigente, si interruppe a causa di un passaggio generazionale per linea femminile (ed invero: (…), ascendente degli odierni ricorrenti, ha contratto matrimonio nel 1921 con cittadino naturalizzatosi statunitense nel 1920, perdendo involontariamente la cittadinanza italiana e la possibilità di trasmetterla ai propri discendenti per effetto della legge vigente all’epoca);
la trasmissione jure sanguinis era infatti all’epoca prevista – salvi casi marginali -unicamente per via paterna, ed inoltre l’art. 10 della L. n. 555 del 1912 stabiliva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che si univa in matrimonio con un cittadino straniero.
Tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza n. 30 del 1983 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1 n.1 L. n. 555 del 1912 per violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione “nella parie in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina”. Tale pronuncia ha così ricondotto ai valori costituzionali della previgente disciplina legislativa sullo status ciuitatis, e consentito quindi la possibilità di acquisto della cittadinanza italiana per linea materna. In precedenza, la medesima Corte con la Sentenza n.87 del 09-16 aprile 1975, aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 29 Cost., il sopra citato art. 10 della L.. n. 555 del 1912, “nella parte in cui prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna”.
Secondo un primo orientamento, gli effetti favorevoli di tali pronunce potevano prodursi solo a partire dalla data di entrata in vigore della Costituzione, con “salvezza” delle situazioni già definite all’epoca. Tale sostanziale disparità di trattamento è stata poi superata dalla Corte di Cassazione, la quale pronunciandosi a Sezioni Unite ha affermato che “per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto il diritto allo “status” di cittadino italiano al richiedente nato all’estero da figlio di donna italiana coniugata con cittadino straniero nel vigore della L. n. 555 del 1912 che sia stata, di conseguenza, privata della cittadinanza italiana a causa del matrimonio. Pur condividendo il principio dell’incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria d’incostituzionalità delle norme precostituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e le situazioni non ancora esaurite alla data del 1 gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l’entrata in vigore della Costituzione, la Corte afferma che il diritto di cittadinanza in quanto “status” permanente ed imprescrittibile, salva l’estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente, è giustiziatile in ogni tempo (anche in caso di pregressa morte dell’ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento) per l’effetto perdurante anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione dell’illegittima privazione dovuta alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale? (Cass. Sez. Unite sent. n. 4466 del 25/02/2009). Ed ancora: “lo stato di cittadino è permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si manifestano nell’esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si è rilevato, può perdersi solo per rinuncia, così come anche nella legislazione previgente (art.8 n. 2 L. n. 555 del 1912) (…) Perciò correttamente si afferma che lo stato di cittadino, effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato”.
Pertanto, in forza della efficacia delle pronunce di incostituzionalità appena ricordate dalla data di entrata in vigore della nuova Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana deve ritenersi riconosciuta anche ai figli di madre cittadina che non l’avevano acquistata perché nati anteriormente al 1 gennaio 1948, e conseguentemente ai loro discendenti.
8) Sulle spese di lite
Le spese di lite seguono la soccombenza (avuto riguardo anche alle plurime seguenti circostanze: la genericità delle difese del Ministero; l’indicazione di difese palesemente inconferenti rispetto alla linea di discendenza rilevante nel caso di specie; la richiesta di sospensione per pregiudizialità, nonostante l’avvenuta pubblicazione sul sito Internet del Tribunale dell’orientamento sul punto della Sezione Specializzata Protezione Internazionale dell’intestato Tribunale) e si liquidano come in dispositivo, in applicazione del D.M. n. 147 del 2022, valori minimi, per i giudizi di cognizione innanzi al Tribunale di valore indeterminabile a complessità bassa, riconoscendo le sole fasi studio e introduttiva.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in accoglimento della domanda
– dichiara che i ricorrenti sono cittadini italiani;
– ordina al Ministero dell’Interno, e per esso all’ ufficiale dello stato civile competente, di procedere alle iscrizioni trascrizioni e annotazioni di legge nei registri dello stato civile della cittadinanza della persona indicata, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti;
– condanna la parte convenuta alla rifusione, in favore della parte ricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.453,00 oltre rimborso forfettario 15%, IVA e CPA come per legge, oltre spese vive documentate (contributo unificato e merca da bollo), da distrarsi in favore dei difensori ove dichiaratisi antistatari.
Così deciso in Campobasso, il 1 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 1 maggio 2025.
