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Tribunale di Bari sez. lav., 23/11/2023, n. 3285

Massima

Il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore a quella rivestita, sulla base dello svolgimento di mansioni superiori, ed il pagamento delle relative differenze retributive ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto, e a fornirne la prova. Va precisato, inoltre, che ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l’espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento.

Supporto alla lettura

ONERE DELLA PROVA

L’onere della prova è una regola che si sostanzia essenzialmente nel porre a carico della parte che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza, e può essere intesa:

  • in senso soggettivo: onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle pretese, per fornire al giudice tutti gli elementi necessari e sufficienti affinché egli arrivi ad una decisione corretta e consapevole.
  • in senso oggettivo: il giudice emette in ogni caso la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto della domanda, quando, nonostante l’attività probatoria, egli non sia riuscito a raggiungere la verità dei fatti.

La disciplina dell’onere della prova è il criterio per regolare il giudizio del giudice, il quale è tenuto a ritenere non vero il fatto incerto ovvero il fatto non provato, infatti oggetto di prova sono solo i fatti incerti, pertanto i fatti pacifici e notori non formano oggetto di attività probatoria.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso ritualmente depositato il 06.02.2019 il ricorrente in epigrafe indicato conveniva in giudizio parte resistente per sentir accogliere le conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio. Con memoria ritualmente depositata si costituiva la società resistente contestando nel merito la fondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.

In data odierna, rientrata questo Giudice in servizio dopo aver fruito del periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro per maternità ai sensi degli art. 16 co. 1 lett. a) e c), d.lgs. 151/2001, nonché di un
periodo di congedo parentale ai sensi dell’art. 32, d.lgs. n. 151/2001, successivamente alla definizione dell’abnorme numero di controversie ricevute in carico dal Giudicante sin dall’immissione in servizio aventi iscrizione a ruolo di gran lunga più risalente rispetto alla presente (nell’ordine di svariate migliaia) tra cui quelle provenienti alle ex preture circondariali risalenti ai primi anni ’90 nonché tutte quelle iscritte presso la Sezione Lavoro di codesto Tribunale a partire dall’anno 2000 assegnate a questo Giudice, lette le note di trattazione, veniva decisa.

Osserva preliminarmente il Giudicante che, a sostegno della propria domanda, il ricorrente premette di aver lavorato alle dipendenze della resistente, società barese esercente la gestione del ristorante
“(omissis)” con sede in (omissis), in forza di un contratto di lavoro inizialmente a tempo determinato dal 25.03.2017 al 31.08.2017, poi a tempo indeterminato dal 01.09.2017 al 07.08.2018 (ovvero fino alle dimissioni per giusta causa per il mancato pagamento delle retribuzioni di giugno, luglio ed agosto dell’anno 2018), inquadrato nel IV livello del CCNL “Pubblici Servizi, ristorazione e turismo”, con la qualifica di responsabile cuoco; di aver svolto nel corso del rapporto di lavoro le mansioni di cuoco
unico e capo reparto catering, corrispondenti alla superiore qualifica di operaio di III livello del CCNL di categoria; di aver effettuato un orario di lavoro maggiore di quello pattuito e indicato in busta paga,
senza percepire il relativo trattamento economico.

In virtù di tanto, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, rassegna le seguenti conclusioni: “1. accertare e dichiarare il diritto del sig. (omissis) nei confronti della società (omissis), in persona
dell’Amministratore unico p.t., al riconoscimento delle mansioni superiori di cuoco unico e capo reparto catering corrispondenti al 3^ livello del CCNL di categoria e relative differenze retributive ed
indennità varie, nonché alla liquidazione della retribuzione scaturente dalle maggiori ed effettive ore di lavoro svolte e non pagate; – per l’effetto condannare la società (omissis) s.r.l. , in persona
dell’amministratore unico p.t., al pagamento in favore dell’istante della complessiva somma di € 42.378,36 o quell’altra a ritenersi di giustizia, per i motivi nelle premesse indicati ed a titolo di differenze retributive degli anni 2017 e 2018, delle retribuzioni dei mesi di giugno, luglio, agosto 2018, dei ratei di tredicesima e quattordicesima relativi agli anni 2017 e 2018, delle indennità di ferie non godute per i medesimi anni, dello straordinario diurno e notturno, nonché del tfr, oltre interessi legali nonché della maggior somma derivante dal danno da svalutazione monetaria come per legge, dalla data della maturazione del diritto a quella di effettivo pagamento, il tutto anche ai sensi dell’art. 36 Cost. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio che si chiede distrarsi in favore del sottoscritto procuratore anticipatario”. A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 03.06.2021, il Giudicante dichiarava la nullità della notifica del ricorso introduttivo e rimetteva in termini la società convenuta – inizialmente dichiarata contumace- per la costituzione in giudizio.

La domanda va accolta nei termini che seguono.

L’istruttoria espletata e la produzione documentale hanno consentito di accertare le mansioni superiori effettivamente svolte dal ricorrente.

Vale rammentare che il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore a quella rivestita, sulla base dello svolgimento di mansioni superiori, ed il pagamento delle
relative differenze retributive ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto (si veda, ex plurimis, Cass. n. 8025/2003), e a fornirne la prova. Va precisato, inoltre, che ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in distinte
qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l’espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento (si veda Cass. n. 12092/2004; 8225/03;
11925/03; n. 7453/2002; n. 12792 del 2003).

Ne consegue che a tal fine il giudice di merito deve procedere ad una penetrante ricognizione di tutto il contenuto delle mansioni svolte e all’esame delle declaratorie generali delle categorie di inquadramento coinvolte nella controversia e dei profili professionali pertinenti (v. Cass. 20692/04 e 16469/07). Ed infatti, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè: a) accertamento in fatto
delle attività lavorative concretamente svolte dal dipendente; b) individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (v. tra le tante Cass. 26233/08, Cass. 5128/07 e Cass. 3069/05; in senso conforme v. anche Cass. 20284/09, Cass. 20272/10 e Cass. sez. VI, ord. n. 24360 dep. 14/11/2014).

Ovviamente l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa non può che spettare al lavoratore che rivendichi il trattamento economico più vantaggioso.

La Suprema Corte, sul punto, ha chiarito che “Non diversamente che per l’impiego privato, dunque, il procedimento logico – giuridico da adottarsi deve seguire “tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento
in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda” (Cass., sez. lav., 30.10.2008, nn. 26233 e 26234; S.C., sez. Lav. 15/12/2015, n.25246; ma anche Cons. Stato, sez. V, 25.07.2014, n. 3969; Cons.
Stato, Sez. V, 8.5.2007 n.2130; C.d.S., Sez.VI, 3.4.2003, n. 1734). Ancora, la Suprema Corte con Ordinanza del 24 aprile 2020, n. 8158, ha precisato: “Il procedimento logico-giuridico diretto alla
determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto dei risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte” (ex plurimis, Cass. 9414/2018; Cass. 17163/2016; Cass. 8589/2015; Cass., ord. 24360/14; Cass. 20272/10; Cass. 20284/09; Cass. 26233/08; Cass. 5128/07; Cass. 3069/05).

I Giudici di Legittimità (cfr. Cass. Sezione lavoro, sent. 22/11/2019 n. 30580) hanno ulteriormente statuito: “lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente –
superiore a quella di inquadramento formale comporta, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore ove i
compiti svolti siano stati svolti in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale e, dunque ove le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (Cass. SSUU 25837/2007; Cass.
9646/2019, 30811/2018, 27887/2009);… questa Corte ha da tempo affermato che il procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si
sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr. fra le tante Cass. 26593/2018, 10961/2018, 8142/2018, 21329/2017, 18943/2016,
6174/2016, 8589/2015, 11037/2006)”.

Pure condivisibile è l’affermazione secondo cui “Condizione essenziale ai fini dell’accesso alla qualifica superiore è che sia dimostrato che l’assegnazione alle più elevate mansioni sia stata piena, nel senso che abbia comportato l’assunzione della responsabilità diretta e l’esercizio dell’autonomia e della iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata, coerentemente con le mansioni contrattualmente previste in via esemplificativa nelle declaratorie dei singoli inquadramenti, cui vanno poi raffrontate le funzioni in concreto espletate dal lavoratore interessato” (Tribunale Firenze, Sez. lavoro, Sent., 06/07/2016, n. 630).

Alla luce di quanto sopra, non solo il lavoratore deve aver svolto in concreto le mansioni ricomprese nel livello auspicato, ma tale espletamento deve anche essere stato “pieno”, cioè tale da comportare un grado di responsabilità e autonomia a carico del lavoratore compatibile con la qualifica superiore.

Orbene, sulla base delle suddette considerazioni e volgendo lo sguardo al caso qui trattato, può affermarsi che l’istruttoria compiuta nel corso del giudizio ha fornito prova circa la sussistenza
delle condizioni per il riconoscimento delle mansioni superiori. In altri termini, il Giudicante ritiene che l’istante abbia dimostrato che i compiti effettivamente svolti siano ascrivibili alle mansioni superiori invocate.

Occorre prendere le mosse dal fatto che nella fattispecie di cui è causa, il ricorrente è stato inquadrato nel IV livello del CCNL “Turismo e Alberghi”.

A mente dell’art. 54 CCNL di categoria, nel livello IV: “Appartengono a questo livello i lavoratori che, in condizioni di autonomia esecutiva, anche preposti a gruppi operativi, svolgono mansioni specifiche di
natura amministrativa, tecnico – pratica o di vendita e relative operazioni complementari, che richiedono il possesso di conoscenze specialistiche comunque acquisite”.

La stessa disposizione individua le figure professionali che ricadono nel IV livello: “segretario, intendendosi per tale quel lavoratore che sulla base di precise e dettagliate istruzioni nel rispetto delle
procedure stabilite, svolga operazioni di rilevazione, elaborazione e attività di corrispondenza; cuoco capo partita; cuoco di cucina non organizzata in partite, intendendosi per tale colui che indipendentemente dalla circostanza che operi in una o più partite assicura il servizio di cucina; gastronomo; cameriere ai vini, antipasti, trinciatore, barman, chef de rang di ristorante, cameriere di
ristorante, secondo pasticcere, capo gruppo mensa…”.

Il ricorrente, invece, chiede di essere inquadrato nel III livello, la cui declaratoria è la seguente: “Appartengono a questo livello i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportano particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza; i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell’ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisiti mediante approfondita preparazione teorica e/o tecnico pratica; i lavoratori che, in possesso delle caratteristiche professionali di cui ai punti precedenti, hanno anche la responsabilità di coordinamento tecnico – funzionale di altri lavoratori”.

Tra le figure professionali ricomprese in tale livello contrattuale, in virtù del cennato articolo, rientrano: “Barman unico, sotto Capo cuoco, cuoco unico, primo pasticcere, capo operaio, capo mensa
surgelati e/o precotti; capo reparto catering; […] responsabile del servizio ristorazione commerciale a catena (caratterizzata da pluralità di locali con identità di logo e standardizzazione di prodotto e di
processi operativi) intendendosi per tale colui che in subordine alle direzione del punto vendita, direttamente interessato alla fase lavorativa, opera secondo istruzioni specifiche, in condizioni di
autonomia operativa e di coordinamento tecnico funzionale di altri lavoratori”.

Orbene dalle risultanze istruttorie è emerso che l’istante svolgeva le
mansioni rientranti nel III livello di cui al CCNL di riferimento, vale a
dire di cuoco unico e capo reparto catering.

Il testimone escusso (omissis), collega del ricorrente alle dipendenze della convenuta dal 2018 al 2019 con mansioni di aiuto cuoco, ha confermato le circostanze dedotte in ricorso circa le mansioni effettivamente svolte e l’articolazione oraria.

In particolare, il teste ha dichiarato di aver lavorato in cucina insieme al ricorrente e di aver potuto quindi direttamente constatare che questi era l’unico chef responsabile cucina e adibito alla gestione degli eventi come catering e banchetti (segnatamente “Ricci era il mio chef, preciso che io ero aiuto cuoco; lui era lo chef unico e ci dava le direttive sugli eventi catering oltreché sul ristorante”).

Anche la teste (omissis), cameriera di sala alle dipendenze della convenuta sino a giugno 2018, ha riferito: “(omissis) era un po’ il punto di riferimento sia della cucina che del reparto catering. Tanto è vero che rispetto alla cucina aveva sotto di sé solo aiutanti (che io ricordo (omissis) e (omissis)), oltre (omissis) (la lavapiatti); rispetto al reparto catering, ricordo che quando veniva qualche cliente
parlava direttamente con lui e ricordo che i pacchetti e gli eventi offerti dal ristorante li aveva ideati lui”.

Così chiarita la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’inquadramento superiore, occorre esaminare anche la domanda concernente il pagamento degli straordinari.

Come noto, sul punto va rammentato che in applicazione dei principi generali in tema di onere della prova, spetta al lavoratore, il quale chieda il riconoscimento del relativo compenso, fornire la prova positiva dell’esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente, previsti; tale statuizione costituisce proiezione del principio guida di cui all’articolo 2697 c.c.,
configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all’orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata. E che la relativa prova debba essere “piena e rigorosa” è affermazione
reiteratamente, e correttamente, ripetuta nelle massime giurisprudenziali. Grava quindi sul lavoratore, attore in giudizio, l’onere di provare non solo lo svolgimento di lavoro straordinario ma anche la sua effettiva consistenza, senza che al riguardo possano soccorrere valutazioni di tipo equitativo (si vedano, per tutte, Cass. n. 1389/2003; Cass. n. 6623/2001; Cass. n. 8006/1998). Al giudice dovrà essere, quindi, fornita non già genericamente la prova dell’an, di aver cioè svolto lavoro straordinario, ma anche la prova, sia pure in termini minimali, della esatta collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro, ovvero del quando i limiti di orario di fatto siano stati superati. Sulla scorta di queste premesse, vale osservare che l’istruttoria svolta consente di avvalorare l’assunto secondo cui il ricorrente avrebbe svolto lavoro straordinario.

Sostiene il ricorrente di aver lavorato dal lunedì al sabato, dalle ore 10.00 alle ore 15.30 e dalle ore 18.00 alle ore 00.30, per un totale di 244 ore mensili, di cui 160 ore di lavoro ordinario e 60 per lavoro
straordinario diurno e 12 ore per lavoro straordinario notturno.

Ebbene, la circostanza è stata nettamente confermata dai testi escussi, che hanno potuto confermare direttamente l’osservanza di tale orario. Invero il teste (omissis) ha dichiarato: “Confermo la
circostanza sull’orario di lavoro di cui al punto 5 A perché eravamo colleghi di lavoro e anch’io facevo questi orari”. Dal canto suo, il teste (omissis) ha affermato: “Confermo l’articolazione oraria che mi
viene letta sul punto 5 A perché anch’io osservavo gli stessi orari di lavoro del ricorrente in quanto ero l’unica cameriera di sala”.

In merito all’inizio del rapporto di lavoro per cui causa risulta pacifico che il ricorrente sia stato assunto il 25.03.2017 come da estratto assicurativo INPS, contratto di assunzione, di trasformazione del contratto di lavoro e buste paga (cfr. docc. nn. 1, 2 e 3).

In ordine, poi, all’omesso pagamento delle ultime tre mensilità giugno, luglio e agosto 2018 (fino al 07.08.2018) e della somma spettante a titolo di TFR, la società convenuta non ha fornito alcuna prova del pagamento delle retribuzioni rivendicate dal ricorrente, né delle competenze di fine rapporto.

A nulla rileva la circostanza che il ristorante “(omissis)”, gestito da (omissis) srl sarebbe stato sottoposto a sequestro da giugno 2018, posto che tale società era ed è gestita dall’amministrazione giudiziaria e che le dimissioni del lavoratore risultano effettuate il 07.08.2018 per mancata retribuzione delle ultime mensilità (giugno e luglio 2018), come da modulo di recesso versato in atti (doc. n. 4, indice ric.). Sul punto la teste (omissis), peraltro, ha riferito che “(omissis) andò via in quanto non gli stavano pagando gli ultimi stipendi. Confermo la circostanza 4 F del ricorso (il lavoratore istante non ha percepito le ultime tre retribuzioni relative al rapporto di lavoro, ossia giugno 2018, luglio 2018 e agosto 2018)”.

Da ultimo, si rileva che il legale rappresentante della società non è comparso senza giustificato motivo per rendere l’interrogatorio formale deferitogli.

Vero è che l’art. 232 co. 1 c.p.c. non ricollega alla mancata presentazione ingiustificata gli stessi effetti di una confessione; tale disposizione, però, conferisce al giudice la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti, imponendogli, al contempo, di valutare ogni altro elemento di prova e, in generale, di considerare la circostanza alla luce del complessivo quadro probatorio emergente dagli atti (cfr. Cass. 6181/09; Cass. 3258/07; Cass. 9254/06): nel caso di specie, in particolare, si ritiene di poter valorizzare tale elemento in considerazione delle risultanze documentali e degli esiti della prova testimoniale.

Per la quantificazione delle differenze retributive rivendicate soccorrono i conteggi allegati al ricorso, genericamente contestati da controparte, conformi alla qualità e quantità della prestazione nonché ai parametri contrattuali di riferimento, ad eccezione delle voci relative alle indennità di ferie non godute 2017 e 2018, individuate rispettivamente in € 1.250,01 ed in € 989,25, per un totale di € 2.239,26, siccome sfornite del necessario substrato probatorio.

In conclusione, la parte convenuta va condannata al pagamento della complessiva somma di € 40.139,26 (a fronte di quella indicata in ricorso pari ad € 42.378,36) a titolo di differenze retributive derivanti dal superiore inquadramento, mensilità di giugno 2018, luglio 2018 e agosto 2018 (fino al 7/08/2018), TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione sino al saldo.

Le considerazioni innanzi svolte sono dirimenti e assorbono ulteriori questioni in fatto o in diritto eventualmente contestate tra le parti.

Quanto alla regolamentazione delle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza della convenuta e sono liquidate come da dispositivo.

Tali sono i motivi della presente decisione.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (omissis) con ricorso depositato in data 06.02.2019 nei confronti della società (omissis) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, così provvede:

ogni diversa domanda ed eccezione rigettate o assorbite,

– dichiarato che il ricorrente dal 25.03.2017 al 07.08.2018 ha svolto alle dipendenze della società convenuta mansioni di “cuoco unico”, inquadrabili nel livello 3 del CCNL “Pubblici Servizi, ristorazione e turismo”, condanna, la convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, della somma complessiva di € 40.139,26, per i titoli di cui in motivazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge dalla maturazione sino al soddisfo;

– condanna infine la convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, che liquida in € 4.629,00 oltre rimborso spese forfettarie 15%, iva e c.p.a., con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi anticipatario.

Bari, 23.11.2023

Allegati

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