Massima

Il danno subito da chi, nel corso della commissione di una rapina a mano armata, venga investito da un veicolo utilizzato dal figlio della persona offesa al fine di bloccare l’azione criminosa, non è risarcibile in quanto il fatto è scriminato dalla legittima difesa ai sensi dell’art. 2044 c.c.. Integra, infatti, gli estremi della legittima difesa la condotta che, posta in essere per difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, risulti necessaria e proporzionata a interrompere l’aggressione armata. Tale uso del veicolo, finalizzato esclusivamente a fermare l’aggressore e porre fine all’offesa ingiusta, costituisce un utilizzo anomalo non rientrante nella disciplina sull’assicurazione obbligatoria RCA, né configura eccesso colposo nella difesa.

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ CIVILE AUTOVEICOLI

La polizza RCA è un’assicurazione obbligatoria che copre un veicolo, anche se in sosta o senza guidatore, che salda i danni eventualmente causati a terzi da quel veicolo. Si tratta di un contratto assicurativo in cui una compagnia assicurativa liquida i danni materiali o fisici causati dall’auto dell’assicurato a terzi in caso di sinistro.

La polizza copre i danni provocati dal veicolo a persone, animali o cose, mentre non garantisce eventuali danni fisici subiti dal guidatore che ha causato l’incidente, in quest’ultimo caso può essere utile abbinare all’RC Auto la polizza infortuni del conducente, una garanzia accessoria che permette di ricevere un risarcimento economico nel caso di danni fisici subiti dal guidatore per un sinistro effettuato con colpa, inoltre deve essere attiva anche quando il veicolo è in sosta: dunque, il contratto può non essere stipulato solo se il mezzo non viene utilizzato ed è custodito in un luogo privato (es. un garage).

La polizza è valida per un anno, termine che decorre dalle ore 24 del giorno in cui è stato pagato il premio. Dopo i 12 mesi, può essere rinnovata con la stessa compagnia oppure può essere sottoscritto un nuovo contratto con un altro assicuratore.

Fino al 2012 le polizze RC Auto godevano del c.d. tacito rinnovo, ovvero la proroga automatica della stipula per l’anno successivo, con d.l. 179/2013 (noto anche come Decreto di Sviluppo bis) è stata sancita la sua abolizione, e questo ha portato diversi vantaggi per il cliente che non deve più inviare alcuna comunicazione di disdetta dell’RC Auto dopo l’annualità assicurativa: in più, ha maggiore libertà di cambiare compagnia, in modo da poter accedere sempre alle migliori tariffe assicurative sul mercato.

Importante è che l’abolizione del tacito rinnovo ha portato all’ultrattività della polizza, ossia a un periodo di 15 giorni, dopo i 12 mesi di validità del contratto, in cui la polizza del veicolo resta attiva. Durante questi giorni (definiti anche come periodo di tolleranza) il mezzo può continuare a circolare, ma solo sulle strade italiane. Dunque, eventuali sinistri causati dall’assicurato dovranno essere indennizzati dalla propria assicurazione: allo stesso tempo, le Forze dell’Ordine non potranno elevare alcuna sanzione per mancata copertura.

Ambito oggettivo di applicazione

– RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE –

Con atto di citazione del 18.11.2016, ritualmente notificato in pari data, (omissis) conveniva innanzi a questo Tribunale la compagnia (omissis) e (omissis) in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, subiti in occasione del sinistro occorso in data 5.11.2014, così descritto: “In data 05/11/2014 alle ore 18,35 circa il sig. (omissis) si trovava all’interno della sede della (omissis) in Bari alla Via (omissis), allorquando veniva investito da una Mercedes ML tg. (omissis), di proprietà della stessa società. Il sig. (omissis) veniva soccorso nell’immediato da un’ambulanza del servizio 118, chiamata da persone presenti in loco, in quanto privo di conoscenza e riverso al suolo. Trasportato presso il P.S. del Policlinico di Bari gli veniva riscontrata una frattura scomposta del femore destro e, quindi, veniva ricoverato presso il reparto di degenza di ortopedia e traumatologia. (…)”; chiedeva, pertanto, il risarcimento di tutti i danni riportati a seguito del predetto sinistro, anche con provvisionale nella misura ritenuta congrua e opportuna o in quella prevista ex lege pari ad una percentuale tra il 30% ed il 50% della entità dei danni riportati, e con vittoria delle spese di giudizio da liquidare in favore del difensore dichiaratosi anticipatario.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in Cancelleria il 9.03.2017, si costituiva in giudizio la (omissis) la quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità della domanda, essendo intervenuto in data 2.03.2015 atto di transazione tra le parti, e nel merito, impugnava e contestava quanto dedotto e richiesto chiedendo il rigetto della domanda, stante l’infondatezza nell’an e nel quantum della domanda attorea, non sussistendo neppure i presupposti per la concessione della chiesta provvisionale, e con vittoria delle spese di lite oltre alla condanna ex art. 96 c.p.c. dell’attore per lite temeraria.

La causa è stata istruita a mezzo di produzione documentale, prova testimoniale e interrogatorio formale dell’attore, ed è stata successivamente rinviata per la precisazione delle conclusioni, più volte differita in ragione del carico del ruolo, sino all’udienza del 18.04.2024, celebrata in presenza, ove è stata introita in decisione da questo Giudice, nelle more designato per la trattazione del presente procedimento, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, e con la concessione dei termini ex lege di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e di successivi 20 giorni per il deposito di brevi memorie di replica ex art. 190, comma 1 c.p.c.

Preliminarmente, e in rito, deve essere dichiarata la contumacia di (omissis) la quale, benché ritualmente evocata, non si è costituita nel presente giudizio.

Nel merito, la domanda attorea è manifestamente infondata e va rigettata per le ragioni di seguito indicate.

Ebbene, innanzitutto occorre preliminarmente descrivere correttamente i fatti verificatisi in data 5.11.2014, per come riscontrabili dalle risultanze probatorie in atti, a ben vedere per gran parte omessi da parte attrice in sede di atto introduttivo.

Ed invero, dalla documentazione prodotta nel fascicolo della compagnia convenuta, emerge che in data 5.11.2014, il subiva l’investimento da parte della autovettura Mercedes ML tg. (omissis) all’interno della sede di mentre tentava una rapina a mano armata ai danni del sig. (omissis) amministratore unico della predetta società; in particolare, lo stesso, in concorso con altra persona non identificata, agendo col volto travisato da passamontagna o sottocasco e armato con pistola semiautomatica, con colpo in canna, compiva atti idonei, diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di un orologio Rolex Submariner, detenuto da (omissis) sulla propria persona; il (omissis) tuttavia, veniva fermato dal figlio della vittima, che, a bordo della predetta Mercedes, spingeva il (omissis) verso altre autovetture, investendolo e facendolo rovinare per terra e infine bloccandolo.

A seguito di opportuna segnalazione, giungevano sul posto gli agenti della Squadra Mobile dellQuestura di Bari i quali, entrati nell’autoparco, notavano un giovane riverso a terra e nelle immediate vicinanze scorgevano una pistola semiautomatica calibro 9×19 risultata armata con il colpo in canna e con cinque cartucce nel caricatore, un guanto in gomma e tessuto ed un sottocasco in tessuto; inoltre, gli agenti intervenuti sul luogo del delitto provvedevano, tramite il 118, a condurre lo stesso (omissis) presso il P.S. del Policlinico di Bari.

Il (omissis) veniva, quindi, denunciato e imputato: “A) del delitto di cui agli artt. 110 – 56 – 628, 1° e 3° comma n. 1) – 1^ e 2^ e 3^ ipotesi cod. pen. poiché, in concorso e riunito ad altra persona non identificata, per procurare a sé un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona e minaccia, agendo col volto travisato da un passamontagna o sottocasco e armato con una pistola semiautomatica con colpo in canna, compiva atti idonei, diretti in modo non equivoco a impossessarsi di un Rolex Submariner, detenuto da (omissis) sulla propria persona, non verificandosi l’evento per cause indipendenti dalla propria volontà, rappresentate dalla ferma opposizione della persona offesa e del figlio e dal conseguente tempestivo intervento di altre persone e della polizia giudiziaria; in particolare, ghermiva da tergo (omissis), puntava e spingeva l’arma al suo indirizzo (dapprima all’altezza del viso e successivamente al collo) – e altresì verso e altri dipendenti – e intimava più volte all’imprenditore la consegna dell’orologio (sottrazione non verificatasi a causa della reazione del figlio della vittima che, a bordo di un veicolo, spingeva verso altre vetture ivi parcheggiate l’uomo, il quale rovinava in terra ed era definitivamente bloccato); B) del delitto di cui agli artt. 110 – 61 n. 2) cod. pen. – 2, 7 l. 2 ottobre 1967, n. 895 (…); C) del delitto di cui agli artt. 110 – 61, n. 2) cod. pen. – 4, 1° e 2° comma, lett. a), 7 l. 2 ottobre 1967, n. 895 (…); D) dei delitti di cui agli artt. 110 – 81, 1° comma cod. pen. – 23, 3° e 4° comma, l. 18 aprile 1975, n. 110 (…); E) del delitto di cui agli artt. 110 – 648 cod. pen.; F) della contravvenzione di cui agli artt. 110 – 81, 2° comma, – 697, 1° comma, cod. pen. [in relazione all’art. 38 R.D. 18 giugno 1931, n. 773] (…)”.

Dunque, acclarata la sua responsabilità, tra l’altro, dallo stesso pacificamente riconosciuta anche in sede di interrogatorio formale deferitogli all’udienza del 14.02.2019, con ogni conseguenza in punito di confessione giudiziale resa ai sensi dell’art. 2730 c.c. [cfr. le risultanze probatorie in cui lo stesso dichiara essere vere le circostanze sub n. 4) e 5), 8) 12), 13) e 14) della memoria n. 2 ex art. 183 co. 6 c.p.c. della compagnia convenuta], il (omissis) veniva condannato, in primo grado, alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed €. 3.800,00 di multa, ridotta in secondo grado, alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed €. 1.400,00 di multa.

Inoltre, risulta ex actis che (omissis) e (omissis) stipulavano, in data 2 marzo 2015, un atto di transazione in cui convenivano quanto segue: “(…); b) a transazione e saldo di ogni pretesa vantata dal Sig. (omissis) in relazione al procedimento penale n. 18435/14 R.G.N.R. mod. 21, n. 15058/14 R.G.GIP, il Sig. si obbliga a versare – come in effetti versa contestualmente alla sottoscrizione della presente scrittura – in favore della persona offesa, la complessiva somma di €.2.000,00 (duemilaeuro) (…) a titolo risarcimento integrale dei danni, somma da intendersi comprensiva di spese legali; c) il Sig. (omissis) dichiara che con l’esatto adempimento di quanto al punto b) non avrà più nulla a pretendere dal (omissis) per cui fin da ora rilascia ampia e finale quietanza di pieno saldo e rinuncia a proporre qualsiasi altra azione civile e penale inerente ai fatti oggetto del procedimento penale n. 18435/14 R.G.N.R., n. 15058/14 R.G.GIP, salvo buon fine del versamento; d) il Sig. (omissis) con la presente dichiara di non aver nulla a pretendere dal Sig. (omissis) e dal di lui figlio, sig. (omissis) in relazione alle lesioni riportate ed ai danni tutti patiti dala seguito dei fatti avvenuti in data 5 novembre 2014; e) la persona offesa nel procedimento penale n. 18435/14 R.G.N.R., n. 15058/14 R.G.GIP, Sig. (omissis) con l’esatto adempimento di tutti gli obblighi e patti assunti e statuiti secondo i termini e le modalità previsti con la presente scrittura, si obbliga sin d’ora a non costituirsi parte civile nei confronti dell’imputato Sig. (omissis); f) le parti, sottoscrivendo il presente atto, conclusivamente dichiarano, salvo inadempimento o ritardato adempimento anche di una sola delle suddette pattuizioni, di non aver reciprocamente null’altro a pretendere a qualsiasi titolo o ragione anche solo potenzialmente ed in via ipotetica in relazione ai fatti oggetto del predetto procedimento penale ed ad ogni possibile controversia ad essi connessi e dipendente dai medesimi e/o ulteriori fatti e rapporti intercorsi tra le parti, nonché il Sig. (omissis) con la sottoscrizione dichiara di non aver null’altro a pretendere dal Sig. (omissis) e dal Sig. (omissis) in relazione alle lesioni riportate ed ai danni tutti patiti dala seguito dei fatti avvenuti in data 5 novembre 2014; (…)” (cfr. atto di transazione del 2.03.2015, in atti).

Ciò premesso e così ricostruiti i fatti dedotti in giudizio, vale la pena preliminarmente evidenziare che, esercitando in virtù del principio iura novit curia il potere di qualificazione giuridica della domanda prospettata da parte attrice, ritiene questo Giudice che il fatto per cui è causa sia sussumibile nello schema della responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c. e, in particolare, dell’art. 2044 c.c..

Dunque, a nulla rilevano le deduzioni di parte attrice circa la risarcibilità del pedone e la circolazione dei veicoli, per come disciplinate dagli artt. 2054 c.c., dal Codice delle assicurazioni e dal Codice della Strada.

Ed infatti, anzitutto, le Sezioni Unite della Suprema Corte sono pervenute nel 2021 a ravvisare nell’utilizzazione del veicolo, conforme alla funzione abituale dello stesso, il criterio decisivo ai fini della determinazione dell’ambito della copertura assicurativa obbligatoria per la r.c.a., sicché “(…), per l’assicurato-danneggiante (non anche per i terzi: cfr. Cass., 3/8/2017, n. 19368) rimane allora non coperta da assicurazione per la r.c.a. solamente l’ipotesi dell’utilizzazione del veicolo in contesti particolari ed avulsi dal concetto di circolazione sotteso alla disciplina di cui all’art. 2054 c.c. e alla disciplina posta dal Codice delle Assicurazioni private, non aventi cioè diretta derivazione e specifico collegamento con quella del codice della strada (cfr. Cass., 30/7/1987, n. 6603) concernente l’uso quale mezzo di trasporto, secondo lo scopo che – a prescindere dal tipo di accessibilità del luogo su cui avvenga- (v. Cass., Sez. Un., 29/4/2015, n. 8620. Cfr. altresì Cass., 29/11/2018, n. 30838; Cass., 19/2/2016, n. 3257; Cass., 21/7/1976, n. 2881 ). Ipotesi da ravvisarsi essenzialmente nell’utilizzazione di mezzo non rientrante tra i veicoli disciplinati dal codice della strada (v., con riferimento a scontro tra una autovettura ed uno sciatore su pista da sci, Cass., 20/10/2016, n. 21254; Cass., 30/7/1987, n. 6603) ovvero di utilizzazione anomala del veicolo, non conforme alle sue caratteristiche e alla sua funzione abituale, come allorquando venga ad esempio utilizzato come arma per investire e uccidere persone (cfr., da ultimo, Cass., 3/8/2017, n. 19368. Cfr. altresì, con riferimento al danno derivante da fatto doloso a carico del F.G.V.S., Cass., 17/5/1999, n. 4798)” (cfr. Cass. civ., S.U., 30.07.2021, n. 21983; in senso conforme, Cass. civ., sez. 3, ord. 20.04.2022, n. 12554; in senso difforme, v. però, Cass. civ., sez. 3, 20.08.2018, n. 20786, in cui la S.C. ha riconosciuto il principio per il quale in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, la garanzia assicurativa copre anche il danno dolosamente provocato dal conducente nei confronti del terzo danneggiato, con riferimento ad una fattispecie in cui la autovettura era stata utilizzata come una vera e propria arma, investendo più volte la vittima attraverso reiterate manovre di retromarcia, nel deliberato intento di ferirla o di ucciderla; nonché, recentemente, Cass. civ., sez. 3, 17.04.2024, n. 10394, ove in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva negato l’operatività della polizza RCA in relazione ai danni subiti da una donna in conseguenza del sinistro doloso di cui era stata vittima da parte del conducente di un’autovettura che, dopo averla inseguita, raggiuntala in un campo arato, l’aveva investita per due volte).

Pertanto, in adesione al condivisibile indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nel 2021, in caso di utilizzo anomalo del veicolo, come nella fattispecie che ci occupa in cui l’autovettura Mercedes per cui è causa è stata adoperata come strumento per bloccare il rapinatore armato e per difendersi dalla aggressione in itinere sofferta, non è operante la disciplina in materia di assicurazione obbligatoria.

Ad ogni buon conto, pur volendo ritenersi operativa ed applicabile la garanzia assicurativa anche nei casi di utilizzo anomalo del veicolo, in adesione all’indirizzo innanzi richiamato pur espresso recentemente dalla Suprema Corte ma a sezioni semplici, nel caso di specie l’investimento in esame è avvenuto in una situazione già a priori illecita, causata e provocata dallo stesso soggetto danneggiato, odierno attore, e si è verificato soltanto per la necessità di porre rimedio, per quanto innanzi evidenziato, al reato in itinere (ovverosia alla rapina a mano armata che si stava consumando in quel frangente), così venendo in rilievo la disciplina di cui all’art. 2044 c.c..

Ed infatti, venendo al merito della controversia, deve in primo luogo rilevarsi la palese infondatezza e pretestuosità della domanda azionata dall’attore, stante il predetto atto di transazione già intervenuto tra le parti.

Ed invero, con lo stesso atto di transazione del 2.023.2015, il (omissis) rinunciava espressamente ad ogni pretesa risarcitoria a qualsiasi titolo in relazione ai fatti oggetto del procedimento penale e ad ogni possibile controversia ad essi connessa; in tale atto di transazione veniva espressamente indicato che “il Sig. (omissis) con la presente dichiara di non aver nulla a pretendere dal Sig. (omissis) e dal di lui figlio, sig. (omissis) in relazione alle lesioni riportate ed ai danni tutti patiti dala seguito dei fatti avvenuti in data 5 novembre 2014”, con la conseguenza che siffatta dichiarazione deve evidentemente ritenersi idonea a ricomprendere anche i presunti danni sofferti dal (omissis) ed azionati con l’odierna domanda, spiegata nei confronti sia della compagnia assicurativa sia dell’(omissis) di cui tra l’altro “parte” dell’accordo transattivo, è amministratore unico.

Dunque, da tale angolo visuale, la controversia in esame deve necessariamente essere considerata “connessa” ai fatti oggetto del procedimento penale, pur essendo state convenute parti formalmente diverse dai sig.ri (omissis) sul punto, peraltro, parte attrice non ha neppure specificamente preso posizione, non contestando le deduzioni proposte dalla compagnia convenuta.

Ad ogni buon conto, pur volendo prescindere dal predetto atto di transazione, la domanda appare comunque manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate.

Ed invero, dalla sentenza penale resa in primo grado emerge “la determinazione da parte del rapinatore il quale, pur di impossessarsi del prezioso orologio, avrebbe attentato alla vita non solo nei confronti di (omissis), ma anche nei confronti dei suoi dipendenti che stavano cercando di soccorrere l’imprenditore” (cfr. sentenza penale di condanna, in atti).

Infatti, dalle testimonianze raccolte in sede penale, è pacificamente emerso che, verso le ore 18:15 del 5.11.2014, era giunto all’ingresso dell’autosilo uno scooter con due persone a bordo; il passeggero, sceso dal motociclo, con il volto travisato da una sciarpa, si era avvicinato al gabbiotto ove si trovava il teste (omissis) e impugnando l’arma che puntava alla testa del dipendente, aveva intimato di indicare il titolare dell’autoparco; lo cercava di ingannare l’aggressore, riferendo che il titolare non si trovava in azienda, e così provocava la reazione del malvivente che lo strattonava facendolo cadere per terra; il malvivente si dirigeva verso l’interno per raggiungere il (omissis) e a nulla valeva il tentativo dello (omissis) di attirare l’attenzione del titolare, che veniva bloccato e minacciato con l’arma per farsi consegnare il proprio orologio. Subito dopo erano sopraggiunti gli altri dipendenti richiamati dalle urla e dalle grida del rapinatore; tutti cercavano di far desistere il rapinatore dall’azione violenta, ma senza successo, mentre il malvivente proseguiva nel minacciar sia il (omissis) che gli stessi dipendenti, puntando alternativamente l’arma all’indirizzo degli uni e degli altri; solo la manovra rapida e intuitiva del figlio del titolare bloccava l’azione delittuosa, costringendo il rapinatore tra le due vetture, facendolo rovinare al suolo, con la gamba ferita (cfr. la copiosa documentazione allegata al fascicolo della convenuta costituita).

Nel corso delle indagini, venivano inoltre espletati accertamenti tecnici sull’arma sequestrata e sul munizionamento, che confermavano l’intervenuta abrasione degli estremi identificativi dell’arma, l’efficacia e il funzionamento dell’arma, la compatibilità delle munizioni con l’uso dell’arma stessa.

Pertanto, il G.I.P. del Tribunale di Bari accertava che: “Il (omissis) che ha sostanzialmente ammesso la propria responsabilità per il fatto di reato commesso, è stato tratto in arresto nella quasi flagranza dei delitti a lui contestati; infatti, è stato identificato sulla scena del delitto, subito dopo essere stato bloccato grazie alla manovra del figlio della vittima (che, intuendo la pericolosità della situazione e l’aggressività del (omissis) era riuscito con la vettura da lui condotta a spingerlo verso un’altra vettura lì parcheggiata, così costringendolo tra i due mezzi e bloccandone ogni movimento)”.

Quanto evidenziato veniva, inoltre, confermato nell’odierno giudizio da (omissis), escusso all’udienza del 29.04.2021; sul punto, peraltro, deve essere rigettata l’eccezione di incapacità a testimoniare, sollevata da parte attrice, atteso che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità prevalente, “L’incapacità a deporre prevista dall’art 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio” (cfr. Cass. civ., sez. 1, 5.01.2018, n. 167; in senso conforme, già, Cass. civ., sez. 2, 8.06.2012, n. 9353, nonché più recentemente, Cass. civ., sez. 1, ord. 18.03.2024, n. 7171, secondo cui “In tema di incapacità a testimoniare nel processo civile, tale incapacità sussiste quando il testimone è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire e a contraddire di cui all’art. 100 c.p.c., con riferimento alla domanda in concreto formulata, e non ad altra eventuale domanda ipoteticamente proponibile”.

Orbene, nel caso in esame, non è riscontrabile alcun interesse concreto ed attuale che coinvolga direttamente il sig. (omissis) nel rapporto dedotto nel presente giudizio, trattandosi della persona offesa nell’ambito del procedimento penale ormai concluso ed avendo già ricevuto un risarcimento dal (omissis) giusta atto di transazione del 2.03.2015.

Al contrario, fatto salvo quanto innanzi già evidenziato in merito alle dichiarazioni confessorie ex art. 2730 c.c. in parte rilasciate dall’attore, devono ritenersi palesemente irrilevanti e chiaramente finalizzate ad offrire una ricostruzione edulcorati dei gravissimi fatti di reato commessi dall’attore in occasione degli eventi verificatisi in data 5.11.2014, tutte le ulteriori dichiarazioni rese dal (omissis) in sede di interrogatorio formale, in quanto contraddette e smentite dalle altre risultanze documentali acquisite in sede penale.

Lo stesso, infatti, ascoltato in data 14.02.2019, dichiarava in maniera platealmente mistificatoria che: “(…) posso dire che la pistola era scarica e che non la puntavo al viso di (omissis), ma verso il corpo; (…) posso dire che il conducente della Mercedes ML ad alta velocità mi impattava ed una volta schiacciatomi contro altri veicoli in sosta a circa 10 metri di distanza continuava ad accelerare; (…) l’intenzione del conducente della Mercedes era quella di uccidermi” (cfr. verbale di udienza in atti).

Al contrario, dagli accertamenti svolti in sede penale è emerso che: a) la pistola, a seguito delle indagini svolte, è risultata carica e ben funzionante; b) tutti i testi ascoltati in sede penale hanno dichiarato che l’arma veniva puntata verso il volto di (omissis); c) risulta chiaramente smentita dai fatti l’alta velocità della Mercedes e l’intenzione del conducente di uccidere il (omissis) atteso che, se questo fosse realmente stato il fine, ilavrebbe certamente agito in maniera diversa e lo stesso odierno attore avrebbe riportato danni ben più gravi di una frattura del femore destro.

Orbene, alla luce di quanto innanzi detto, la vicenda è certamente inquadrabile nella fattispecie della legittima difesa, di cui all’art. 2044 c.c..

Ed infatti, ai fini della sussistenza della responsabilità civile della parte convenuta, non è sufficiente la presenza di tutti gli elementi che costituiscono il c.d. fatto tipico dell’illecito aquiliano, di cui all’art. 2043 c.c., ma occorre altresì che il fatto tipico sia effettivamente qualificabile come antigiuridico, ovvero che non siano presenti delle cause di giustificazione (le c.d. scriminanti), tali da escludere l’illiceità del fatto medesimo.

Sul punto, l’art. 2044 c.c., comma 1, – stabilendo che “(…) non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri (…)” – prevede espressamente l’operatività, anche in ambito civile, della causa di giustificazione della legittima difesa, la cui presenza, escludendo l’antigiuridicità del fatto tipico, impedisce la configurabilità di una responsabilità civile.

In tema di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 c.p., che richiede, in particolare, la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempreché vi sia proporzionalità tra la difesa e l’offesa, da valutarsi ex ante (cfr. ex multis, recentemente, Cass. civ., ord. n. 24848/2023, secondo cui “In tema di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 c.p., che richiede la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempreché vi sia proporzionalità tra la difesa e l’offesa, da valutarsi “ex ante”. L’identità concettuale tra l’art. 52 c.p. e l’art. 2044 c.c., deve, comunque, confrontarsi, oltre che con il “favor rei” che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono la formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la “semiplena probatio” in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova”).

Conseguentemente, anche in ambito civile, ai fini della sussistenza della scriminante in parola – pur operando diversi principi sul piano probatorio – devono sussistere i medesimi presupposti di cui all’art. 52, comma primo, c.p., il quale prevede che: “(…) non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa (…)”.

Dunque, ai fini della applicazione della predetta norma, e sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità, l’aggredito ha l’onere di provare la riconducibilità della propria condotta alla scriminante della legittima difesa per l’illegittima aggressione (cfr. Cass. civ., n. 1665/2016) con la conseguenza che il soggetto, convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni ha l’onere di provare la circostanza della legittima difesa, ovvero la presenza dei requisiti necessari per la configurabilità della scriminante medesima.

Orbene, nel caso di specie, parte convenuta ha certamente provato che l’“investimento” è avvenuto al fine di sventare una rapina, tra l’altro aggravata dall’uso di un’arma, risultata carica e pienamente funzionante; il sig. (omissis) è stato indotto in uno stato di paura ed a fronte dell’aggressività e della violenza manifestate dal (omissis) nei confronti del proprio padre, tale da rendere la manovra contestuale effettuata una legittima e proporzionata reazione all’offesa ingiusta subita dal proprio genitore.

Dunque, nel caso di specie, appare pienamente sussistente sia il primo requisito necessario ai fini della configurabilità della legittima difesa, ovvero la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di una offesa ingiusta, sia il secondo presupposto della scriminante della legittima difesa, ovvero la proporzione tra l’offesa e la difesa.

Non può, infatti, accogliersi la prospettazione attorea secondo cui quella del (omissis) deve essere considerata una reazione di difesa eccessiva, ai sensi dell’art. 55 c.p.; ed invero, nel caso in esame non appare certo configurabile alcun eccesso colposo atteso che il pregiudizio arrecato all’attore non appare sproporzionato rispetto ai beni messi in pericolo dallo stesso, che ha attentato alla vita del sig. (omissis) e dei suoi dipendenti, e che è stato fermato solo grazie all’intervento tempestivo del figlio (omissis).

Peraltro, è evidente che il fine di quest’ultimo fosse quello di fermare l’aggressore ed intervenire a difesa del padre, e non quello di cagionargli un danno grave: se, infatti, la Mercedes fosse stata dolosamente condotta ad alta velocità verso il rapinatore, questi avrebbe certamente riportato danni molto più gravi, mentre la dinamica accertata in sede penale rende evidente che la manovra sia stata posta in essere al solo fine di bloccare l’aggressore armato contro altra autovettura, così da impedire la consumazione del reato e porre fine all’offesa ingiusta, impedendogli la fuga, come puntualmente emerso all’esito del giudizio penale a carico del (omissis).

Nella sentenza penale, infatti, si legge che (omissis), “avendo assistito al tentativo di rapina e resosi conto del pericolo cui era stato esposto il padre, per l’atteggiamento assunto dal rapinatore che non aveva avuto alcuna remora a puntare la pistola, con il colpo in canna, all’imprenditore pur di impossessarsi dell’orologio Rolex che questi aveva al polso, si era visto costretto a bloccare la progressione dell’azione violenta da parte del rapinatore, colpendolo con la sua autovettura e investendolo parzialmente” (cfr. sentenza penale in atti).

Deve, dunque, dichiararsi l’assenza di antigiuridicità del fatto, scriminato dalla legittima difesa.

Ne discende la palese infondatezza della domanda attorea che va, quindi, integralmente rigettata.

In ordine alla regolamentazione delle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza, e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, a carico di parte attrice ed in favore della compagnia convenuta costituitasi, tenuto conto del valore indeterminato della controversia, in base ai parametri per la liquidazione dei compensi per attività giudiziali di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato ed integrato dal D.M. n. 37/2018, e da ultimo dal D.M. n. 147/2022, tabella n. 2, quarta colonna, D.M. citato (scaglione di riferimento ricompreso tra €. 26.000,01 e €. 52.000,00), non ravvisandosi ragioni per cui discostarsi dai valori medi previsti per ciascuna fase.

Deve ritenersi che sussistono i presupposti per l’applicazione nel caso di specie della sanzione ex art. 96 co. 3 c.p.c., come richiesto altresì dalla compagnia convenuta.

Ed invero, come è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità più recente, “La condanna ex art. 96 co. 3 cpc è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 cpc, realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (cfr. Cass., S.U. 13.09.2018, n. 22405).

Nel caso in esame, la palese pretestuosità e infondatezza della domanda spiegata dall’attore, unitamente alle dichiarazioni in parte confessorie rese dallo stesso e in parte palesemente contrastanti con i fatti accertati in sede penale, costituiscono circostanze che hanno inciso in maniera significativa sulla celere trattazione e definizione del presente procedimento, anche in violazione dei canoni di cui all’art. 88 c.p.c..

Ne consegue che appare congruo determinare l’importo a carico dell’attore nella misura di €. 3.808,00, pari alla metà delle spese processuali liquidate in favore della compagnia convenuta.

Nulla per le spese in favore della (omissis) rimasta contumace.

P.Q.M.

Il Tribunale Ordinario di Bari, Terza sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente decidendo sulla domanda avanzata da (omissis) nei confronti di (omissis) e di (omissis) nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 18032/2016, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:

1) dichiara la contumacia di (omissis);

2) rigetta la domanda attorea in quanto palesemente infondata;

3) condanna (omissis) rimborsare in favore di (omissis) e spese del giudizio, che si liquidano in complessivi €. 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie (15% sui compensi, art. 2 D.M. n. 55/2014), C.N.P.A. e I.V.A., se dovuta, come per legge;

4) condanna, altresì, (omissis) ex art. 96, co. 3 c.p.c. al pagamento in favore di (omissis) della somma di €. 3.808,00;

5) nulla per le spese nei confronti di (omissis) stante la sua contumacia.

Così deciso in Bari, il 6.08.2024

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