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Tribunale di Aosta sez. lav., 16/08/2022, n. 58

Massima

La vaccinazione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento e ribaditi da ultimo dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5/2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

CONCLUSIONI

Il Procuratore delle ricorrenti chiede e conclude:

Voglia il Tribunale, previa fissazione di udienza per discussione della causa, IN VIA (omissis)

Ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 669 quater e 700 c.p.c., ricorrendone i presupposti, inaudita altera parte o, in subordine, previa fissazione di udienza ad hoc, accertata la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora ed assunte, se del caso, sommarie informazioni e/o ogni ulteriore accertamento ritenuto necessario,

• Disporre la sospensione integrale del provvedimento sospensivo dal lavoro e dalla retribuzione decorrente dal 20/06/2022 per l’illegittimo accorciamento della validità della Certificazione Verde COVID-19 e per l’effetto ordinare al datore di lavoro di rimettere in servizio le ricorrenti o in subordine sospendere la sola sospensione dalla retribuzione o in ulteriore subordine ordinare al datore di lavoro di corrispondere alle ricorrenti l’assegno alimentare, pari al 50% dello stipendio mensile percepito nell’ultimo mese di integrale retribuzione, con decorrenza dalla data del deposito del presente ricorso.

NEL MERITO

In via Preliminare

• Accertare e dichiarare l’inapplicabilità dell’art. 4 D.L. 44/2021 al rapporto lavorativo delle ricorrenti in osservanza del principio di irretroattività delle leggi ai sensi dell’art. 11 R.D. n°262 del 13/03/1942 e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Accertare e dichiarare l’inapplicabilità dell’art. 4 D.L. 44/2021 ex art. 12 R.D. n°262 del 13/03/1942 e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Accertare e dichiarare l’inapplicabilità dal 15/10/2021 dell’art. 4 D.L. 44/2021 nuovo testo per raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico Nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2 e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Accertare e dichiarare l’inapplicabilità dell’art. 4 D.L. 44/2021 per contraddittorietà dello stesso nelle sue due differenti versioni e per assenza del criterio di proporzionalità e continenza, anteponendo inoltre l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale alla tutela della salute individuale e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

In via Principale

• Accertare e dichiarare tutti i provvedimenti sospensivi nulli/illegittimi/ inefficaci per tutto il periodo di infortunio o malattia della ricorrente e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Accertare e dichiarare che il datore di lavoro nell’adottare i provvedimenti sospensivi ha omesso la verifica delle posizioni alternative ex art. 4 c. 8 del D.L. 44/2021 e per l’effetto condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Disapplicare, ove necessario, l’art. 4 D.L. 44/2021 per contrasto con la superiore normativa europea del Reg. UE 953/2021 e per l’effetto dichiarare la nullità/illegittimità/inefficacia dei provvedimenti sospensivi e condannare il datore di lavoro a reimmettere le ricorrenti al proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica, con corresponsione della retribuzione contrattuale comprensiva degli istituti indiretti, nonché a versare i contributi assistenziali e previdenziali;

• Accertare e dichiarare il diritto delle ricorrenti ad essere reimmesse al proprio posto di lavoro e a percepire la retribuzione e ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati intercorsi dalla sospensione sino alla loro ripresa in servizio per l’effetto condannare l’UCVGP a riammettere in servizio le ricorrenti, riconoscendo loro le retribuzioni intercorse dalla sospensione sino alla sua ripresa in servizio o comunque condannare UCVGP al risarcimento del danno ingiusto subito dalle ricorrenti derivante dall’illegittimo esercizio del potere datoriale;

• Condannare l’UCVGP a risarcire, con liquidazione in via equitativa, il danno morale patito in forza dell’illegittima sospensione;

In via subordinata

Rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 D.L. 44/2021 per violazione degli artt. 1, 3, 4, 32, 35, 36 e 38 e nelle more Ordinare al datore di lavoro di corrispondere alle ricorrenti l’assegno alimentare, pari al 50% dello stipendio mensile percepito nell’ultimo mese di integrale retribuzione, con decorrenza dalla data del deposito del presente ricorso

In via ulteriormente subordinata

nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda, considerato che la normativa oggetto del giudizio è di recente applicazione e di contrastante giurisprudenza, compensare le spese di giudizio.

Con il favore di spese, compensi professionali, rimborso forfetario e accessori di legge per entrambe le fasi di giudizio.

ll Procuratore della resistente chiede e conclude:

Voglia l’Ill.mo Tribunale di Aosta, in funzione di Giudice del lavoro, respinta ogni contraria istanza eccezione e deduzione, – previa l’ammissione e l’assunzione delle prove per interpello e testi dedotte dalla resistente, rigettare tutte le domande, cautelari e di merito, formulate dalle signore (omissis) e (omissis), siccome infondate in fatto e in diritto e comunque non provate, ed assolvere la Unité des Communes Valdotaines Gr.-Pa. da ogni avversaria richiesta di condanna.

Con il favore di spese e compenso di causa, anche della fase cautelare.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si premette che, con ricorso depositato telematicamente in Cancelleria in data 24.6.2022, (omissis) e (omissis) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Aosta la Unité des Communes Valdotaines Gr.-Pa. al fine di ottenere -in via cautelare-, la riammissione in servizio e, nel merito, previo accertamento dell’illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, la condanna della convenuta al risarcimento del danno subito, con percezione della retribuzione dalla sospensione sino alla sua ripresa in servizio.

In particolare, sostenevano -in punto fatto- di essere dipendenti della Unité con mansioni di O.S.S., inquadramento in categoria (omissis), posizione economica B2S, rispettivamente posizione retributiva 2 e 4, orario a tempo pieno la prima e a tempo parziale 80% la seconda, e di essere state sospese dalla retribuzione e dal servizio per inosservanza dell’obbligo vaccinale contro l’infezione Sars – CoV2 con decorrenza entrambe dall’11.10.2021, per poi essere reimmesse in servizio a seguito di infezione e successiva guarigione rispettivamente il 14.1.2022 e il 2.2.2022 e nuovamente sospese con decorrenza, per entrambe, dal 20.6.2022.

In punto diritto sostenevano l’inapplicabilità dell’art. 4 Dl 44/2021 per inesistenza materiale dell’oggetto dell’obbligo vaccinale, non sussistendo un vero e proprio vaccino contro la Sars –CoV2, nonché per il raggiungimento degli obiettivi del Pi. Strategico Nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS – CoV-2.

Evidenziavano, inoltre, che l’amministrazione non aveva verificato la sussistenza di posizioni alternative a quelle assegnate di O.S.S. e che aveva modificato unilateralmente il contratto di lavoro; lamentavano, inoltre, il contrasto della normativa nazionale con quella Comunitaria e, comunque, l’incostituzionalità dell’art. 4 DL 44/2021 per violazione degli artt. 3, 1, 4, 35, 36, 32, 38 Cost.; sostenevano, infine, l’illegittimità dell’accorciamento della validità temporale della certificazione verde da guarigione ed, in subordine chiedevano concedersi un assegno alimentare, previa se del caso rimessione di questione di Costituzionalità al giudice delle leggi.

Si costituiva tempestivamente la convenuta, contestando la fondatezza delle domande attoree, sia dal punto di vista cautelare, sia del merito e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso.

Alla prima udienza le ricorrenti personalmente dichiaravano di rinunciare agli atti del procedimento cautelare a spese compensate, la resistente accettava la rinuncia a spese compensate ed il giudicante provvedeva all’estinzione del relativo giudizio come da richiesta delle parti; alla successiva udienza, fissata per il merito, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione -anche alla luce delle delucidazioni fornite dalle parti- invitava le stesse alla discussione ed alla trattazione, per poi ritirarsi in camera di consiglio e decidere la causa come da dispositivo letto in udienza.

Ciò posto, il ricorso non può trovare accoglimento.

Si deve doverosamente premettere che buona parte del presente ricorso ha contenuto del tutto analogo a quello iscritto al n°96/2022 RG Lav. e già deciso da questo Giudice con sentenza n°40/2022 ben nota ai difensori delle parti, cui non si ritiene di discostarsi.

Così, prive di pregio appaiono, in primis, le deduzioni della difesa delle ricorrenti con riferimento alla presunta illegittimità costituzionale della normativa introduttiva dell’obbligo vaccinale, la cui violazione appare pacificamente commessa dalle attrici, trattandosi di questione più volte esaminata, sotto gli specifici profili censurati da parte ricorrente, dalla migliore giurisprudenza, apparendo sufficiente richiamare, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., le argomentazioni spese dal Consiglio di Stato, 20 ottobre 2021, n. 7045 e ribadite da Consiglio di Stato sez. III, 04/02/2022, n.583, nonché, in senso conforme, da TAR La., sez. III quater, n. 2455 del 2 marzo 2022:

– “la vaccinazione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento e ribaditi da ultimo dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo, […], con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata”

– Quanto alla natura discriminatoria della previsione… il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia”;

– “Spetta al decisore pubblico, nell’esercizio del c.d. biopotere, fissare le regole e i limiti entro i quali l’esercizio dell’autodeterminazione da parte di ciascuno, senza divenire un diritto tiranno e indifferente alle sorti dell’altro, si possa accordare con la tutela della salute degli altri secondo una legge universale di libertà, ma questo delicato bilanciamento, per tutte le ragioni sin qui viste, non ha varcato nel caso di specie, ad avviso di questo Consiglio, i limiti della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’eguaglianza, sicché ogni dubbio al riguardo è e deve ritenersi manifestamente infondato anche in rapporto ai valori protetti dall’art. 2 Cost”

– “Correttamente il legislatore nel comma 1 dell’art. 4, ha stabilito che vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.

Questa previsione risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza – ma il tema è discusso – dall’applicazione combinata della regola generale di cui all’art. 2087 c.c. e dalle disposizioni specifiche del d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.).

Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all’art. 36 cost.,, e d’altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio.

La sospensione dell’attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l’extrema ratio ed operano solo quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitarie e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l’obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell’epidemia.

Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata.

In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, quanto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellanti, ma questo ricorso, pur ammissibile, deve essere respinto in tutte le sue censure.”.

Più in particolare, la Corte costituzionale con la sentenza n. 218/1994 – chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, terzo e quinto comma, e 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS) – ha affermato che la tutela della salute, sancita dall’art. 32 della Costituzione quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” … “implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo. L’interesse comune alla salute collettiva e l’esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell’esercizio delle attività stesse”.

Lo Stato, quindi, ha un potere di intervento e di prescrizione in materia vaccinale che gode di copertura costituzionale, al fine di bilanciare la libertà del singolo con il diritto alla salute dei terzi.

A tale riguardo la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 2018, nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale di cui al d.l. 73/17 (convertito in legge 119/17) contro il morbillo, parotite, rosolia, varicella.., ha osservato che “la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994).

In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004).

Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)”.

Alla luce di tali principi, nel doveroso bilanciamento degli interessi contrapposti appare in ogni caso prevalente, rispetto all’interesse dei singoli che non vogliono sottoporsi al vaccino, quello pubblico finalizzato alla tutela dei soggetti fragili e a circoscrivere il più possibile strutture, come la struttura residenziale per anziani e disabili ove sono addette le attrici, potenzialmente in grado di incrementare la circolazione del virus.

Pertanto, va ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in ragione della ritenuta prevalenza, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID – 19, del diritto alla salute della collettività, compromesso dalla perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da COVID 19.

Del resto, ormai anche l’assolutamente prevalente giurisprudenza di merito appare ritenere conforme a Costituzione la normativa emergenziale: ex multis, invero, si vedano da ultimi Trib. Verona, ord. 14.6.2022, est. Ga. e Trib. Padova, ordinanza collegiale 17.7.2022, Pres.

Dallacasa, Est. Ri., che ha revocato una delle poche ordinanza -Trib. Padova, ord. 28.4.2022 citata dalle ricorrenti- con cui era stata disposta la riammissione in servizio di un operatore sanitario non vaccinato.

***

Parimenti privi di pregio sono i dubbi di asserito contrasto della normativa nazionale con quella comunitaria, non ponendo la Certificazione Verde alcun problema di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea nel suo complesso né, in particolare, con i regolamenti UE 953 e 954 del 2021.

Infatti, i suddetti regolamenti, nell’introdurre un certificato verde digitale a tutela della libera circolazione dei cittadini dell’unione europea durante la pandemia da 19 si riferiscono a una misura diversa da quella decisa dal legislatore statale essendo finalizzati a facilitare la circolazione tra gli Stati superando eventuali misure restrittive transfrontaliere introdotte dalle legislazioni emergenze emergenziali nazionali.

In altri termini, la materia degli obblighi vaccinali non costituisce oggetto della disciplina dell’Unione, sicché rispetto ad essa ciascuno Stato mantiene un ampio margine di autonomia.

Come noto, il diritto europeo può prevalere su quello interno imponendo la disapplicazione solo nell’ambito delle competenze proprie dell’Unione europea in ragione del principio di attribuzione di cui all’articolo 5 del TUE in virtù del quale “l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”.

A tale riguardo, chiarisce la Corte di Cassazione, che “ai fini dell’applicabilità dei diritti fondamentali dell’Unione europea, una norma nazionale, per rientrare nella nozione di “attuazione del diritto dell’unione”, ai sensi dell’articolo 51, § 1, della Carta di Nizza, deve avere un collegamento di una certa consistenza con il diritto europeo che vada al di là dell’affinità tra le materie prese in considerazione o dell’influenza esercitata da una materia sull’altra, occorrendo verificare se essa risponda allo scopo di attuare una disposizione del diritto dell’Unione, quale sia il suo carattere, e se persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto unionale, quand’anche sia in grado di incidere indirettamente su quest’ultimo, nonché se esista una normativa unionale che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa” (Cass. 27.9.2018, n. 2372).

Ai sensi degli artt. 3 e 4 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea la materia della salute non rientra tra le competenze esclusive né concorrenti dell’Unione Europea. In materia di sanità pubblica l’Unione interviene, nell’ambito delle azioni di sostegno di cui all’articolo 6, unicamente come misure “intese a sostenere, coordinare, completare l’azione degli Stati membri” e sotto il profilo della competenza concorrente disciplinata dall’articolo 5 solamente nei casi in cui l’intervento dell’unione rappresenta un valore aggiunto rispetto all’azione degli Stati membri.

La prescrizione della vaccinazione obbligatoria è ritenuta dalla Corte consentita allorquando, a fronte della prescrizione legislativa, vengono perseguiti obiettivi di protezione della salute e dei diritti di libertà altrui e la misura si ribelli necessaria, come si è verificato nella attuale situazione di pandemia ove la prescrizione dell’adempimento, da parte delle categorie indicate dalla legge, costituisce misura del tutto proporzionata “nella doverosa valutazione scientifica del rapporto tra rischi e benefici” (Cfr. Consiglio di Stato 7045/21 cit.).

L’obbligo vaccinale previsto dal legislatore per il personale inserito, a diverso titolo, nelle strutture socio-sanitarie, risulta finalizzato alla tutela dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute di tutto il personale e dei soggetti fragili che vi sono ospitati, oltre che dei soggetti esterni che le frequentano e, dunque, della salute pubblica.

Del resto, da recenti dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità emerge che i vaccini anti Sars Covid 2 contribuiscono a ridurre la circolazione del virus e di conseguenza si riduce anche la possibilità che questo muti; a febbraio 2022, in Italia, erano 22 i morti considerati «corrrelabili» ai vaccini contro il Covid su 108 milioni di somministrazioni: in pratica le morti accertate per il vaccino Covid sono circa di 1 decesso ogni 5.000.000 di dosi, come riportato nel «Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti Covid-19», presentato dall’Agenzia Italiana del Farmaco Aifa, dal quale emerge anche che vi sono state circa 118 mila segnalazioni di eventi avversi, dei quali l’84% non sono risultati gravi, mentre invece, il Covid-19 ha provocato 6.356.812 morti nel mondo (Fo.: OMS, 14.07.2022), dei quali 2.039.125 in Europa (Fo.: OMS, 15.07.2022) e 169.735 in Italia (al 15.07.2022).

Tali dati giustificano – nel necessario bilanciamento degli interessi – l’esigibilità dell’obbligo vaccinale richiesto alle lavoratrici e la tollerabilità per le stesse della scelta di non vaccinarsi, scelta che non comporta comunque la risoluzione del rapporto di lavoro, ma soltanto la sua temporanea sospensione.

L’obbligo vaccinale previsto dal legislatore per il personale inserito, a diverso titolo, nelle strutture socio-sanitarie, risulta finalizzato alla tutela dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute di tutto il personale e dei soggetti fragili che vi sono ospitati, oltre che dei soggetti esterni che le frequentano e, dunque, della salute pubblica.

In ragione di ciò si ritiene la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in ragione della prevalenza, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID – 19, del diritto alla salute della collettività, compromesso dalla perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia.

***

Neppure sembrano cogliere nel segno le altre difese delle ricorrenti.

Quanto all’inesistenza materiale dell’oggetto dell’obbligo, i vaccini approvati dall’Ai., a detta delle attrici avrebbero la funzione di impedire l’insorgere di forme acute della malattia e non invece quella di prevenire l’infezione e il contagio a terzi.

La tesi risulta infondata, in quanto l’utilità del vaccino nel contrasto alla pandemia è stata previamente verificata dalle competenti autorità autorizzatorie europea (Em.) e nazionale (Ai.);

in ogni caso, la nozione di “prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2”, cui è finalizzata la vaccinazione obbligatoria, di cui all’art. 4 co. 1 d.l. 44/2021 conv. in l. 76/2021, ricomprende con tutta evidenza la prevenzione della corrispondente malattia, che comunque si configura quale obiettivo fondamentale per la tutela della salute pubblica, che anzi è minacciata certamente in maniera più grave dalle patologie (anche gravi) derivanti dall’infezione che non da quest’ultima in sé considerata.

Ad analoghe conclusioni si perviene in ordine alla asserita illegittimità della sospensione per essere venute meno le condizioni stabilite dall’art. 4 co. 1 d.l. 44/2021 conv. in l. 76/2021, che sanciva l’obbligo di vaccinazione del personale sanitario “fino alla completa attuazione del piano di cui all’art. 1 co. 457 l. 30.12.2020 n. 178 e comunque non oltre il 31.12.2021”.

Invero, la norma in esame è stata modificata dall’art. 1 co. 1 lett. b) d.l. 26.11.2021 n. 172 conv. in l. 21.1.2022 n. 3, che per un verso ha riconfermato l’obbligo vaccinale “in attuazione del piano di cui all’art. 1 co. 457 l. 30.12.2020 n. 178”, così sancendone la persistente attualità, e per altro verso ha eliminato il limite temporale del 31.12.2021, che peraltro non era ancora scaduto alla data (11.10.2021) della decorrenza della sospensione, disposta con provvedimento del settembre 2021.

Ancora, parte datoriale non può ritenersi inadempiente all’onere di repechage previsto dall’art. 4 co. 8 d.l. 44/2021 conv. in l. 76/2021.

Premesso che deve escludersi che nella fattispecie in esame possano applicarsi tout court i principi giurisprudenziali sanciti in relazione al regime probatorio operante in materia di repechage nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo – attesa la diversità delle situazioni in raffronto – dovendo pertanto ritenersi assolto il relativo onere datoriale anche mediante presunzioni, in difetto di specifiche allegazioni attoree (in termini, cfr. ancora Trib. Roma 8.12.2021 in proc. 26698/2021 r.g., e in senso conforme Trib. Ravenna 31.12.2021 in proc. 689- 1/2021 r.g), emerge, comunque, dalla dotazione organica dell’Unité (vds. prodd. 30-31 resistente, non specificatamente contestate dalle onerate) che all’epoca della sospensione sussistessero solo scoperture nelle mansioni di OO.SS., cui non poteva ovviamente essere addette le ricorrenti.

Per quanto concerne, invece, le mansioni di cuoco e aiuto cuoco (premesso che le onerate non si sono offerte di provare di avere le conoscenze tecnico pratiche per poterle esercitare all’interno di una casa di riposo, ove sono pacificamente addette), le stesse non risultavano disponibili, poiché il 31.8.2021 -vale a dire in data antecedente all’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e della conseguente sospensione del settembre 2021 era stata effettuata una “richiesta di avviamento a selezione” al Centro per l’impiego di Aosta per “4 titolari + n. 4 riservatari” (vds. doc. 32 resistente) per cui detti posti non potevano essere messi a disposizione delle attrici.

Ma anche a voler superare -e non si vede come- questa circostanza, non è stato contestato che le mansioni di cuoco e aiuto cuoco, espletate all’interno di una residenza per anziani, avrebbero comunque comportato per le attrici non vaccinate un assiduo contatto con gli ospiti della struttura, in contrasto con il dettato normativo.

Ne consegue, allora, che le lavoratrici non potevano essere utilmente reimpiegate in altre mansioni.

Neppure, ancora, può ritenersi che con la sospensione, il datore di lavoro abbia modificato unilateralmente il rapporto di lavoro, in quanto è stato dato corso ad un obbligo di legge, per il periodo successivo alla cessazione della malattia.

***

Ma. attenzione, invece, meritano le residue difese delle ricorrenti.

In particolare, assai suggestivamente si è sostenuto che -in contrasto con il dettato delle circolari ministeriali e sulla sola base di una nota ministeriale (priva di qualsivoglia efficacia vincolante)- l’Unité avrebbe, di fatto, illegittimamente ridotto la vigenza temporale della carta verde da guarigione da 6 mesi a 3 mesi, sospendendo una seconda volta le attrici con decorrenza dal 20.6.2022, quando certificazione verde in loro possesso avrebbe consentito la loro permanenza in servizio almeno fino al luglio 2022.

La tesi seppur doviziosamente argomentata, non sembra poter essere fatta propria da questo Tribunale.

Come è noto, l’art. 4, comma 5, D.L. 44/2021, applicabile alle ricorrenti, prevede che in caso di intervenuta guarigione la cessazione temporanea della sospensione è disposta “sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute”.

Due, allora, sono le circolari di interesse, vale a dire la n. 8284 del 03.03.2021, avente ad oggetto “Vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un’infezione da SARS-CoV-2” (doc. 33 resistente), e la n. 32884 del 21.07.2021, avente ad oggetto “Aggiornamento indicazioni sulla Vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un’infezione da SARS-CoV-2” (doc. 34 resistente).

Orbene, nella prima si legge, per quanto di interesse che “è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-SARS-CoV-2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa”; la seconda, invece, testualmente recita che “è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-SARSCoV-2/COVID- 19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione”.

A detta delle attrici, da un lato a seconda circolare avrebbe abrogato la prima, sostanzialmente elidendo il termine (dilatorio) di tre mesi tra infezione ed unica dose di vaccino; d’altro canto priva di qualsivoglia efficacia giuridica sarebbe la nota del Ministero della Salute del 29.3.2022.

Si può anche concordare con la difesa delle ricorrenti nel ritenere priva di vincolatività erga omnes di detta nota, in quanto meramente esplicativa delle circolari sopracitate: ciò non toglie, tuttavia, che debba accedersi alla tesi attorea, secondo cui la circolare del luglio 2021 avrebbe abrogato quella del marzo dello stesso anno.

Ritiene, infatti, il Tribunale che la seconda circolare abbia semplicemente aggiunto un termine (12 mesi dalla guarigione) entro il quale la somministrazione di un’unica dose di vaccino possa essere equiparata ad un ciclo completo, per i soggetti -come le ricorrenti- infettati dal Covid -19;

nessun elemento, invece, può far propendere per l’eliminazione del primo termine (3 mesi dall’infezione) entro il quale non è possibile ricevere una dose vaccinale.

Ce., tale termine non viene richiamato nel secondo provvedimento, ma ciò accade solo perché è stato introdotto il terzo termine (12 mesi) che è correlato esclusivamente al secondo (preferibilmente entro 6 mesi): del resto, diversamente opinando, dovrebbe essere consentito – e così evidentemente non è- ad un soggetto appena guarito dall’infezione di ricevere una dose di vaccino.

***

Non resta, allora, che verificare se possa ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 4 D.L. 44/2021, nella parte in cui non preveda un assegno alimentare in favore dei soggetti che vengano sospesi dal lavoro in quanto non ottemperanti all’onere vaccinale, a differenza di quanto previsto per i dipendenti sospesi per un procedimento disciplinare o addirittura, penale.

Nonostante autorevoli pronunce in senso opposto, ritiene il Tribunale di dover aderire al prevalente orientamento, secondo cui si tratta di situazioni non comparabili, per cui è pienamente giustificata una disparità di trattamento (vds., da ultima sent. Tar La. del 14.7.2022).

Come condivisibilmente sostenuto in questa sentenza, “l’art. 4 D.L. 44/2021, infatti, esula da profili di rilevanza disciplinare e, anche, ordinariamente, da profili di rilevanza penale (soltanto eventuali, come espressamente si precisa al comma 6); non è, quindi, fondatamente prospettabile un’analogia con la speciale disciplina del D. Lgs. 66/2010, vale a dire quella afferente alle sospensioni del dipendente che l’amministrazione disponga, appunto, in concomitanza con la pendenza di procedimenti disciplinari e di procedimenti penali, compreso il caso di espiazione di pene detentive.

E per ragioni non dissimili occorre sottolineare che l’art. 82 del DPR 3/1957 (in cui è previsto che all’impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre agli assegni per carichi di famiglia) è disposizione inquadrata nel capo dedicato alle infrazioni e sanzioni disciplinari.

A compendio di tali evidenze si deve, inoltre, rilevare che il procedimento disciplinare e quello penale, una volta avviati, procedono in modo autonomo e indifferente rispetto alla volontà dell’incolpato o dell’imputato di poterne bloccare lo svolgimento, e per questo è giustificata l’erogazione di alcune provvidenze (corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo dell’assegno alimentare).

Prova della regolazione eteronoma è che la sospensione precauzionale non è può avere una durata superiore ad anni 5. Decorso tale termine, la sospensione precauzionale è revocata di diritto e che la sospensione è revocata retroattivamente a tutti gli effetti: a) se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiara che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso; b) in ogni altro caso di proscioglimento, se il militare non è sottoposto a procedimento disciplinare di stato; c) se, per i medesimi fatti contestati in sede penale, il procedimento disciplinare si esaurisce senza dar luogo in sanzioni di stato, ovvero si conclude con l’irrogazione della sanzione disciplinare per un periodo che non assorbe quello sofferto di sospensione precauzionale; d) se il militare è stato assolto all’esito di giudizio penale di revisione.

Di contro, nel caso della sospensione disposta per violazione dell’obbligo vaccinale, è prevista una reversibilità immediata della situazione originaria, nel senso che al dipendente è stata data la possibilità di riprendere l’esercizio dell’attività lavorativa, sol che questi si sottoponga alla vaccinazione….

In secondo luogo, la privazione della retribuzione non è affatto un istituto inedito.

Essa è prevista dall’art. 55 bis del D. L,vo 165/2001 per il caso del dipendente che essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o d servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’Ufficio disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti (comma 7); nonché a carico del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali (comma 9 quater); ed è altresì prevista dall’art. 55 sexies, in cui si prevede che la violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno comporta la provazione della retribuzione a carico del dipendente responsabile (comma 1)”.

Mutatis mutandis (la sentenza de qua, infatti, era riferita ad un appartenente alla Guardia di Finanza), la questione di costituzionalità appare manifestamente infondata: la sospensione disciplinare è, infatti, istituto completamente differente da quello relativo all’onere di sottoposizione al vaccino per il Covid -19, per cui appare rientrare nella discrezionalità del legislatore un diverso trattamento delle due fattispecie.

In conclusione, quindi, le domande attoree debbono essere rigettate.

In ordine, infine, alle spese di lite, quanto al procedimento cautelare si è già detto che vi è stata in udienza rinuncia a spese compensate da parte delle ricorrenti, con contestuale accettazione della resistente; quanto al merito, stante la complessità e novità degli argomenti giuridici trattati, possono venire integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

ogni altra domanda, eccezione e deduzione respinta, definitivamente decidendo:

A) rigetta ogni domanda attorea;

B) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Visto l’art. 429 comma 1 cpc indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.

Aosta, il 3 agosto 2022

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