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Tribunale Civitavecchia sez. I, 07/04/2023, n. 358

Massima

L’onere di promuovere la procedura di mediazione grava su parte opposta.

Supporto alla lettura

Opposizione decreto ingiuntivo

L’opposizione a decreto ingiuntivo (articolo 653 codice di procedura civile) è quella fase che viene avviata dal debitore ingiunto a seguito della notifica del decreto ingiuntivo e che deve essere proposta nel termine di quaranta giorni che decorrono dalla notifica stessa. Il termine è perentorio, ossia il debitore deve avviare la fase di opposizione entro questo termine, diversamente non può più farlo e quanto stabilito nel decreto ingiuntivo stesso diventa “incontrovertibile”.

Sul tema della Riforma Cartabia e dell’opposizione al decreto ingiuntivo nella disciplina della mediazione trattato nel nuovo articolo 5 bis del decreto legislativo n. 28/2010, si ricorda che questa novità entrerà in vigore a partire dal 30 giugno 2023.  Questa innovazione si è resa necessaria dopo una lunga querelle sorta sulla corretta individuazione della parte a cui spetta l’onere di avviare la mediazione dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo. Pertanto la Riforma Cartabia all’interno dell’art. 5 bis chiarisce una questione di estrema importanza.  Il nuovo art. 5 bis dispone nello specifico che, quando una delle azioni per le quali il precedente art. 5 prevede la mediazione come condizione di procedibilità, viene avviata con il ricorso per decreto ingiuntivo, nel successivo procedimento di opposizione l’onere di avviare la mediazione è a carico del creditore, ossia del soggetto “che ha proposto il ricorso per decreto ingiuntivo.”

Ambito oggettivo di applicazione

1. Con atto di citazione ritualmente notificato Gu. Ro., Gi. Ba. Ro. e TERMOIDRAULICA F.LLI Ro. SNC DI Gu. E Gi. Ba. Ro. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (omissis) emesso dal Tribunale di Civitavecchia che li vedeva ingiunti al pagamento della somma di euro 27.991,07 oltre interessi e spese della fase monitoria, quale saldo debitore del conto corrente n. (omissis) concluso dalla società opponente in data 15.12.2010, per il quale Gu. Ro. e Gi. Ba. Ro. si erano costituiti fideiussori.

Deducevano che non era stata svolta la mediazione obbligatoria; che i documenti prodotti erano mere copie degli originali; che i tassi di interesse erano usurari; che vi era stato una illegittima modificazione delle condizioni economiche del rapporto; che era stata illegittimamente applicata la capitalizzazione trimestrale; che la clausola della cms era nulla in quanto erano commissioni prive di giustificazione; che le fideiussioni erano illegittime in quanto accedenti ad operazioni bancarie fraudolente; che era illegittima la segnalazione a sofferenza alla centrale rischi presso la Banca d’Italia.

2. Si costituiva in giudizio la BANCA DI CREDITO COOPERATIVO SOC. COOP. chiedendo il rigetto dell’opposizione in quanto infondata in fatto ed in diritto.

3. Assegnati i termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c..

4. Con ordinanza del 28.04.2022 veniva dal giudice affermato che “Rilevato che con l’opposizione risulta espressamente eccepita la mancata attivazione della mediazione obbligatoria in controversia, di natura bancaria, soggetta al procedimento di conciliazione; che, tuttavia, il precedente giudice istruttore alla prima udienza non ha assegnato il termine per la mediazione, essendo invece questo adempimento previsto, in presenza della tempestiva eccezione, dall’art. 5 della L. n. 28/2010; che, anzi, all’udienza del 3.12.2020 l’eccezione di improcedibilità per difetto di mediazione veniva ritenuta proposta tardivamente sollevata rispetto al termine della prima udienza, quando invece l’eccezione era stata formulata sin con l’atto di opposizione; considerato che occorre, quindi, assegnare il termine per lo svolgimento della mediazione ad opera della parte opposta, quale attore sostanziale, non potendosi altrimenti dichiarare l’improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo, operanti invece nella diversa ipotesi di inosservanza del termine stabilito dal giudice, ma qui mai assegnato”.

Infatti, nelle controversie soggette alla mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, occorre che la parte su cui grava l’onere sia inviata a promuovere la procedura di mediazione ovvero sia concesso un lasso di tempo per detti adempimenti e ove essa non si attivi, seguirà la pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis e conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo (v. in motivazione Cass. n. 19614 del 2021; Cass. civ. Sez. II, Ord., 11-04-2022, n. 11598).

Quindi, lo si è detto, occorreva assegnare il termine per lo svolgimento della mediazione alla parte opposta, quale attore sostanziale, non potendosi altrimenti dichiarare l’improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo, operanti invece nella diversa ipotesi di inosservanza del termine stabilito dal giudice, mai assegnato prima dell’ordinanza de 28.04.2022.

In seguito all’assegnazione del termine la mediazione è stata svolta correttamente con esito negativo. Dunque, la condizione di procedibilità deve ritenersi assolta.

Del pari, sempre con l’ordinanza del 28.04.2022 veniva rilevato che “risulta eccepita dall’opposta la carenza di procura per la posizione di Gi. Ba. Ro.; che alla prima udienza la parte ha chiesto l’assegnazione del termine, il quale, tuttavia, non pare sia stato mai assegnato ai sensi dell’art. 182 c.p.c.; che occorre, pertanto, assegnare il termine medesimo all’opponente Gi. Ba. per la produzione della valida procura anche per la posizione di Gi. Ba. Ro., con effetti sananti ai sensi del novellato art. 182 comma 2 c.p.c.”. Anche in questo caso la parte opponente Gi. Ba. Ro. ha provveduto al rilascio della valida procura con effetto sanante ai sensi dell’art. 182 comma 2 c.p.c..

5. Il decreto ingiuntivo fa riferimento al saldo debitore del conto corrente n. (omissis) concluso dalla società opponente in data 15.12.2010, per il quale Gu. Ro. e Gi. Ba. Ro. si erano costituiti quali fideiussori.

La banca ha provato il credito producendo in giudizio la completa documentazione contrattuale (del conto corrente e delle anticipazioni su fatture) e tutti gli estratti conto dell’avvio dei rapporti sino alla chiusura con il passaggio a sofferenza del debito oggetto del ricorso monitorio.

I contratti riportano integralmente la chiara definizione degli interessi, delle commissioni e delle spese, nonché la decorrenza delle valute.

Il disconoscimento dei documenti prodotti in copia è risultato generico ed inefficace, dovendosi richiamare l’orientamento della Suprema Corte secondo cui in tema disconoscimento del documento prodotto in copia rispetto all’originale deve osservarsi che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire, come nella specie, con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass. civ. Sez. II Sent., 30/10/2018, n. 27633; Cass. civ. Sez. V Sent., 20/06/2019, n. 16557): aspetti di divergenza della copia rispetto all’originale che nel caso di specie non sono stati indicati.

6. Vale, inoltre, evidenziare che la doglianza relativa al difetto di causa della cms previste in contratto è priva di concreto interesse, posto che dalla disamina di tutti gli estratti conto si evince che la cms non è stata mai addebitata in capo alla società correntista.

7. La censura relativa alla presenza di evidenze usurarie è generica, senza contenere, infatti, alcuna specificazione dei tassi soglia al momento della stipula (pari al 20,13% per scoperti senza affidamento, superiore al tasso contrattuale previsto al 15% per scoperti in assenza di fido), nonché dei singoli sforamenti occorsi nei trimestri succedutisi nel corso del rapporto. Lo sforamento usurario è, quindi, dedotto come evenienza del tutto ipotetica e il relativo accertamento è esplorativo.

Del pari, infondata appare la doglianza relativa all’illegittima variazione delle condizioni contrattuali. Infatti, ai sensi dell’art. 13 del contratto di conto corrente è previsto che “il cliente accorda alla banca la facoltà di modificare il tasso di interesse e le altre condizioni economiche e normative applicate ai rapporti regolati dal presente contratto, osservando le disposizioni di legge ed amministrative relative alla trasparenza dei rapporti contrattuali e salvo il diritto del cliente di recedere senza penalità e senza spese (…)”.

A sua volta, l’art. 118 T.U.B. prevede, tra l’altro, quanto segue: “1. Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. 2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente”.

A fronte della produzione da parte della banca delle varie comunicazioni di modifica unilaterale delle condizioni economiche del conto, non vi è stata contestazione in ordine alla loro mancata ricezione.

In difetto di una più circostanziata contestazione circa le condizioni economiche che sarebbero state modificate in peius unilateralmente dalla Banca convenuta, in violazione delle predette disposizioni normative e pattizie, non merita accoglimento la richiesta di declaratoria di illegittimità della variazione unilaterale dei tassi e delle condizioni contrattuali.

8. Relativamente al divieto assoluto di anatocismo dedotto a far data dal 1.01.2014, la censura è infondata. Per il periodo successivo al 1 gennaio 2014 l’art. 1, comma 629, della L. n. 147 del 2013 (c.d. legge di stabilità 2014), modificando l’art. 120, secondo comma, del TUB, prevedeva che “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Va osservato che il tenore letterale della norma demanda ad una delibera del CICR le modalità concrete ed i criteri per rendere operativo il principio ispiratore esposto al secondo comma dell’art. 120 TUB.

Pertanto, non essendo mai entrata in vigore la delibera che avrebbe dovuto dare attuazione al testo normativo indicato, deve ritenersi non applicabile per il periodo successivo al 31.12.2013 (cfr Corte d’Appello Torino Sez. I, Sent., 25/03/2021; Corte d’Appello Venezia Sez. I, Sent., 15/03/2021).

9. In ordine alla nullità della fideiussione in quanto conforme allo schema ABI del 2003 sanzionato dalla Banca di Italia con provvedimento del 2005 in quanto integrante gli estremi di un’intesa restrittiva della concorrenza vietata dall’art. 2 comma 2 della L. antitrustn. 287 del 1990- appare assorbente il rilievo relativo al mancato assolvimento dell’onere probatorio, gravante sull’attore, di documentare la censura producendo il provvedimento della B.I. ed il modello ABI conforme alla fideiussione, posto che la natura amministrativa dei provvedimenti citati rende inoperante il principio iura novit curia.

La questione, sebbene è sempre soggetta al potere-dovere di rilievo officioso, presuppone in ogni caso la necessità di una valutazione, sulla scorta dei documenti ritualmente acquisiti al giudizio. Orbene, a tal proposito, non può non rilevarsi come non sia stato prodotto né il modello Abi 2003, né il provvedimento della B.I. di accertamento dell’infrazione (n. 55 del 2005), né il parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, al quale il provvedimento prestava adesione, quest’ultimi atti amministrativi per i quali non opera il principio iura novit curia (in tal senso anche Cass. Civ. n. 9679/2020).

Sotto ulteriore ragione di infondatezza dell’eccezione va osservato che la conseguenza di una eventuale nullità deve ritenersi parziale essendo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel senso che in tema di fideiussioni bancarie secondo lo schema ABI viene sancita l’applicazione della nullità parziale alle sole clausole contrattuali illecite, permanendo la validità della fideiussione nella restante parte (cfr Cass. Civ. Sez. Un. n. 41994/2021).

Infatti la citata pronuncia ha statuito che “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2 comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti” (Cass. S.U. n. 41994/2021).

Dall’applicazione di questo principio al caso di specie discende il rigetto dell’eccezione di nullità delle fideiussioni in quanto gli opponenti, nel costituirsi in giudizio, né hanno invocato la nullità parziale delle fideiussioni né hanno prospettato sotto quali profili essa potrebbe produrre effetti sul diritto della controparte al pagamento del debito derivante dal mutuo, ad esempio deducendo la nullità del mutuo oppure la decadenza dei termini di cui all’art. 1957 c.c. che prevede che “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.

In altri termini, può affermarsi che l’interesse alla declaratoria della nullità della clausola n. 5 della fideiussione era legato alla tempestiva prospettazione di fatti idonei ad incidere sulla pretesa creditoria della controparte, come la decadenza del fideiussore ex art. 1957 c.c. determinata dal venir meno della deroga contenuta nella citata pattuizione, la quale, tuttavia, non è rilevabile d’ufficio.

10. In conclusione, sulla scorta delle considerazioni che precedono, l’opposizione va respinta e il decreto ingiuntivo confermato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Civitavecchia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede:

– RIGETTA l’opposizione e CONFERMA il decreto ingiuntivo;

– CONDANNA Gu. Ro., Gi. Ba. Ro. e TERMOIDRAULICA F.LLI Ro. SNC DI Gu. E Gi. Ba. Ro. al pagamento in favore di BCC DI ROMA SOC COOP delle spese di lite da liquidarsi nella somma di euro 6.000,00 per compensi oltre iva, cassa e rimborso forfettario come per legge;

Si comunichi.

Civitavecchia 4.04.2023

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