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Tribunale Bologna sez. I, 17/07/2024, n.3330

Massima

È responsabile dei reati di ricettazione e di contraffazione, di cui agli artt. 648 e 474 c.p., il soggetto che venga rinvenuto nella disponibilità di materiale contraffatto, nel caso di specie accendini, destinati dallo stesso alla vendita dei quali non sappia giustificare la provenienza e/o l’acquisto; senza che abbia alcuna rilevanza la grossolana contraffazione dei prodotti ai fini della responsabilità di cui all’art. 474 c.p..

 

Supporto alla lettura

RICETTAZIONE

Disciplinato dall’art. 648 c.p., il reato di ricettazione trova fondamento nella tutela del patrimonio del singolo la cui identificazione sarebbe compromessa dalla circolazione dei beni frutto dello stesso reato. Si tratta di un reato nel quale si acquista, riceve oppure occulta denaro o cose che provengono da un delitto, oppure ci si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, al fine di procurare profitto per sè o per gli altri.

Tale reato può configurarsi se il soggetto agente è certo della provenienza delittuosa del bene che riceve, anche se non ha precisa cognizione delle circostanze di tempo e di luogo del reato presupposto; oppure quando la persona si adoperi in proprio e per conto di altri ad occultare tale oggetto.

L’art. 648 c.p. ha subito importanti modifiche in virtù del recepimento da parte del decreto legislativo approvato dal C.d.M. il 4 novembre 2021 della Direttiva UE n. 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio con il diritto penale, infatti il reato presupposto potrà essere anche di natura contravvenzionale, le pene saranno aumentate se verrà commesso nello svolgimento di un’attività professionale, mentre nei casi di particolare tenuità le pene saranno più elevate rispetto a quanto previsto in precedenza.

E’ necessario distinguere il reato di ricettazione dal reato di  favoreggiamento reale (art. 379 c.p.), caratterizzato dal fatto che l’ipotetica ricezione della cosa mobile avviene nell’esclusivo interesse dell’autore del reato principale, e dal reato di incauto acquisto (art. 712 c.p.), caratterizzato dal fatto che l’autore viene punito per una sua negligenza, per non avere quindi accertato, prima dell’acquisto, la provenienza illecita del bene.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto di citazione ex art. 552 C.p.p., (omissis) veniva tratto a giudizio in relazione ai reati descritti in epigrafe. All’udienza del 12/0112022 erano disposte le ricerche dell’imputato, non essendo certa la conoscenza del processo da parte dello stesso. Alla successiva udienza del 5/10/2022, il Giudice, rilevando che le ricerche dell’imputato avevano dato esito positivo e che quest’ultimo era stato raggiunto dalla notifica a mani in carcere degli atti processuali, ne dichiarava l’assenza. Era poi aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti. Era infine disposto rinvio all’udienza del 24/05/2023, che, tuttavia, veniva rinviata per l’ora tarda e l’elevato numero di processi ancora da trattare. All’udienza successiva del 14102/2024 si escuteva il teste (omissis) e il PM insisteva per l’audizione del teste (omissis).

All’udienza ancora successiva del 6/03/2024 era assunta la testimonianza di (omissis), il PM produceva perizia tecnica a firma dello stesso teste (omissis) nonché registrazione del marchio “(…)”, (…). La difesa chiedeva la produzione di articoli pubblicati online dal (…), da (…) e da (…). Il Giudice acquisiva quanto prodotto, dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale e rinviava per discussione. All’udienza del 17/0712024 le parti concludevano come da verbale e il Giudice pronunciava sentenza contestuale, dandone lettura integrale.

Dalla deposizione del teste (omissis), maresciallo della G.d.F. di Bologna, emergeva che in occasione del concerto del cantante (…) presso (…) veniva notato un soggetto, noto alle forze dell’ordine, identificato nell’odierno imputato, intento a pubblicizzare, ai fini della vendita, accendini riportanti l’immagine del cantante. Il soggetto era quindi interpellato dagli operanti di P.G., affinché esibisse quantomeno un’autorizzazione alla vendita, quale atto amministrativo comunque necessario, ma non esibiva alcunché (nemmeno, peraltro, alcuno scontrino di vendita). Quanto all’autenticità del marchio, proseguiva il teste, destava forte sospetto il fatto che, diversamente da quanto accadeva per la vendita ufficiale dei gadget del cantante, egli non aveva alcuna postazione, era semplicemente un venditore ambulante che teneva in mano gli accendini e agitava in modo da attirare l’attenzione. In totale ne possedeva una ventina, che venivano poi sequestrati. Per esser certi della provenienza degli accendini, gli operanti avevano quindi interpellato personale di (…), organismo appositamente presente presso il pala concerti per la verifica di eventuali contraffazioni: il relativo personale riteneva che il materiale fosse contraffatto, come da relativa attestazione, a firma (omissis), acquisita in atti.

Il teste (omissis), nel corso del proprio esame confermava innanzi tutto che il marchio “(…)” era regolarmente registrato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e di aver immediatamente – la stessa sera del concerto, tenutosi in data 22/04/2018 – visionato e periziato gli accendini sequestrati e di averli ritenuti contraffatti. A domanda della difesa se risultasse registrato anche il font utilizzato nella scritta ufficiale “(…)”, il teste rispondeva affermativamente, ma poi specificava che era stata registrata anche la sola dicitura “(…)”, a prescindere dal font utilizzato, dal momento che essa, da sola, identifica chiaramente la persona dell’artista. Affermando infine che sugli accendini erano state chiaramente incollate delle immagini del cantante scaricate da internet, il teste lasciava intendere che la contraffazione era stata piuttosto rudimentale, nonostante fosse comunque tale da poter trarre in inganno il consumatore finale.

Quanto alla perizia acquisita, in essa si legge che i 22 accendini sequestrati all’ odierno imputato e recanti il marchio “(…)” devono ritenersi contraffatti per i seguenti motivi:

1. “Le rifiniture del prodotto non rispettano gli standard qualitativi previsti dall’Azienda Licenziataria del Marchio”;

2. “La grafica riprodotta sul prodotto non risulta essere autorizzata e riconducibile a quella apposta sui prodotti originali”;

3. “Il merchandising ufficiale non prevede questa tipologia di articoli nella sua produzione”. Infine, si legge anche che “il marchio era comunque fedelmente riprodotto in modo tale da trarre in inganno il consumatore finale”.

Ciò ricostruito in fatto, si osserva quanto segue. Non v’è anzitutto motivo di dubitare della ricostruzione offerta dal maresciallo escusso in udienza, come corroborata del resto dal materiale sequestrato. Gli accendini sono certamente oggetto di contraffazione: la “perizia tecnica” redatta da personale specializzato, come si legge nell’intestazione del documento (attiva nella lotta alla contraffazione e le cui competenza tecniche sono frutto dell’esperienza decennale degli operatori nonché di sessioni di training, fruite dal personale, di provenienza dei brand di riferimento), dà conto di rifiniture che non rispettano gli standard qualitativi, di una grafica non autorizzata e diversa da quella dei prodotti originali, e del fatto che il merchandising originale non prevede detta tipologia di articoli nella propria produzione.

Ciò posto, va da sé l’integrazione di entrambi i reati contestati.

Quanto al reato di ricettazione, si osserva come, sotto il profilo del reato presupposto, la provenienza delittuosa sia certa, trattandosi di articoli che riproducono il marchio e la cui contraffazione, a monte, appunto integra il reato di cui all’art. 473 c.p. Va infatti ribadito che ai fini della configurazione del reato non si richiede l’accertamento giudiziale del delitto presupposto né dei suoi autori né dell’esatta tipologia di esso, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita del bene oggetto della condotta illecita (Cass. Peno Sez. V, 21/5/2008,36940).

Di tutta evidenza è poi che l’imputato ne avesse contezza, trattandosi di materiale che, in forma originale, viene distribuito soltanto attraverso la filiera ufficiale, come noto, e come del resto emerge dal documento (…). Nulla peraltro è stato infine argomentato dall’imputato in contrario, sotto il profilo della consapevolezza dell’illecita provenienza. Come è noto la mancanza di giustificazione costituisce prova della conoscenza dell’illecita provenienza della res, in quanto sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto e/o detenzione in mala fede. Peraltro, come da consolidato orientamento della Cassazione, per configurare il reato di cui all’art. 648 c.p. è sufficiente anche il dolo generico(1).

Il fine di profitto è evidente, essendo gli articoli finalizzati alla vendita.

Evidente è infine la piena integrazione del reato di cui all’art. 474 c.p. essendo stato, il (omissis), colto nel palese tentativo di vendita, effettuato mediante l’agitazione degli accendini e la loro pubblicizzazione con l’intento di attirare l’attenzione degli astanti. Circa le valutazioni giuridiche, non resta che osservare, quanto alla fattispecie di cui all’art. 474 c.p., che per quanto la contraffazione potesse essere di scarsa qualità, non può configurarsi la fattispecie del mero “falso grossolano”: si richiama infatti il consolidato orientamento del giudice di legittimità, secondo cui “integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. peno tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno” (ex plurimis, Casso Sez. 5, Sentenza n. 5260 del 11/12/2013). Va sul punto citato l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, che individua nel reato de quo un tipico reato di pericolo, volto a tutelare la pubblica fede e non la libera determinazione dell’acquirente all’acquisto (cfr. tra le tante Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 21049 del 26/0412012 Dd. (dep. 31/05/2012); ne consegue che non è necessaria una situazione tale da trarre in inganno il cliente sulla genuinità della merce (il quale anzi, normalmente acquista il falso proprio nella consapevolezza e volontà di acquistare il falso).

Quanto al trattamento sanzionatorio, si ritiene anzitutto, vista la contestualità spazio temporale delle condotte, che i reati siano avvinti – con tutta evidenza – dal vincolo della continuazione. Va inoltre senz’altro riconosciuta la contestata recidiva. Invero, i numerosi e significativi precedenti penali, anche specifici e prossimi nel tempo rispetto ai fatti oggetto del processo de quo (si vedano, al riguardo, i punti 2, 3, 4 e 5 del casellario: condanne divenute irrevocabili nei cinque anni precedenti la commissione del delitto oggetto del presente processo), sono tali da confortare il giudizio di maggiore pericolosità dell’imputato: prova ne è anche la biografia penale successiva – costellata da numerosissime ulteriori condanne, anche per i medesimi reati oggetto del processo de quo (si vedano i punti 6, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17, 18, 22 e 24 del casellario giudiziale), divenute irrevocabili in seguito e, tuttavia, relative a fatti anteriori a quello oggi in esame – che, seppur appunto successiva, e come tale non valevole ai fini in esame, segna l’infondatezza di un giudizio eventualmente diverso in punto di insussistenza di detta recidiva. Possono senz’altro essere concesse all’imputato le attenuanti generiche, se non altro per l’estrema rudimentalità dell’azione. Anche l’attenuante di cui all’art. 648 C. 2 c.p., già correttamente riconosciuta nell’imputazione, è, pienamente ravvisabile visto il modesto valore del materiale sequestrato. Va infine riconosciuta l’aggravante, correttamente contestata in riferimento al reato di ricettazione, di cui all’art. 61 n. 2 c.p.

Sul punto si osserva infatti che non sussiste incompatibilità logico-giuridica tra la continuazione e l’aggravante del nesso teleologico, agendo il vincolo della continuazione sul piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso ed essendo il nesso teleologico connotato dalla strumentalità di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione od al cui occultamento il primo è preordinato. È evidente, infatti, come nel caso di specie la ricettazione fosse certamente strumentale alla realizzazione della vendita dei prodotti contraffatti.

Ciò posto, le attenuanti di cui sopra devono essere riconosciute prevalenti sulla contestata recidiva (si veda sul punto sentenza Corte Costituzionale n. 105/2014 che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., ha riconosciuto che il divieto di prevalenza avrebbe impedito il necessario adeguamento della pena alla gravità del fatto con la conseguenza che verrebbe neutralizzata l’effettiva offensività dell’ipotesi lieve riconoscendo maggior valore a condotte precedenti rispetto all’oggettività del fatto come contestato). La Consulta, già con sentenza n. 251/2012, aveva affermato che la recidiva reiterata “riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, ed è da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell’offensività della fattispecie base potrebbe risultare “neutralizzata” da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità”.

La nutritissima biografia penale, ante-atta e successiva al reato, deve condurre alla individuazione della pena nella misura di mesi 9 di reclusione ed Euro 500 di multa che aumentata per la continuazione porta ad una pena finale di anni 1 e mesi l di reclusione ed Euro 800 di multa.

Il casellario preclude all’evidenza la concessione di qualsivoglia beneficio di legge.

La pena inflitta, superiore ad anni uno, determina l’inapplicabilità della pena pecuniaria sostitutiva.

Nessuna altra pena sostitutiva è stata richiesta in udienza, né, in ogni caso, potrebbe essere concessa, non essendovi margini, anche alla luce della biografia penale, per una prognosi favorevole circa l’ottemperanza alle prescrizioni, prevista dall’art. 58 L. 689/81.

Il materiale in sequestro deve essere confiscato, ex art. 240 c. 2 c.p., ed infine distrutto.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 – 535 c.p.p., dichiara l’imputato responsabile dei reati ascrittigli e, ritenuti gli stessi avvinti dal vincolo della continuazione, riconosciuta la contestata recidiva, nonché l’aggravante di cui all’art. 61 n.2, riconosciute altresì le attenuanti generiche e l’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 comma IV, da considerarsi prevalente sulle contestati aggravanti, lo condanna alla pena di anni uno e mesi Idi reclusione ed Euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.Confisca e distruzione del materiale in sequestro.

Motivazione contestuale.

Così deciso in Bologna il 17 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2024.

Allegati

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