All’udienza del 11 Settembre 2023, dichiarata l’assenza dell’imputato ai sensi dell’art. 420 bis c.p.p. e ammessa la costituzione di parte civile di (omissis) e (omissis), si apriva il dibattimento e le parti formulavano le rispettive istanze istruttorie; all’udienza del 13 Novembre 2023, si procedeva alla audizione delle persone offese (omissis) e (omissis); infine all’udienza del 11 Dicembre 2023, esaurita l’istruttoria e dichiarato chiuso il dibattimento, il giudice invitava le parti a rassegnare le conclusioni, come riportate nel verbale di udienza, quindi pronunciava sentenza dando lettura del dispositivo, riservando le motivazioni ai sensi dell’art. 544 comma 3 c.p.p.
La penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascritto ha trovato riscontro dalla lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento e dall’istruttoria esperita, imponendosi, quindi, una pronuncia di condanna, seppure nei limiti di cui al dispositivo.
Dalle dichiarazioni dibattimentali di (omissis), emerge che la stessa aveva avuto una relazione con l’odierno imputato terminata circa 27 anni fa a causa di problemi giudiziari dello stesso; nel corso dell’estate 2019, la (omissis) veniva informata dalla sorella che questa era stata contattata su Facebook da una persona che le chiedeva se fosse appunto, sua sorella (“ciao, sei la sorella di (omissis)? Sono un amico di (omissis) da Napoli. Tua mamma si chiama (omissis). Scusa la mia invadenza”).
Nei mesi successivi, poi, nel mese di Gennaio 2020, la (omissis) veniva informata dalla mamma (omissis) che in diverse occasioni un uomo chiamava l’utenza telefonica residenziale 051450400 a questa intestato, e chiedeva di lei; grazie anche all’intervento del fratello, riuscivano ad individuare e memorizzare il numero chiamante in modo, così, da risalire al (omissis).
A domanda del giudice la (omissis) ha precisato però di non avere mai ricevuto direttamente delle telefonate o dei messaggi dal prevenuto, ma che questa condotta si era esplicata unicamente nei confronti della mamma (pag. 8 verbale stenotipico).
(omissis), in sede dibattimentale, ha confermato di avere ricevuto innumerevoli telefonate da un uomo, a partire dal Gennaio 2020, a qualsiasi ora del giorno e della notte nel corso delle quali l’interlocutore esternava espressioni quali “buongiorno signora…buona notte signora…come sta?” e, spaventata, non faceva altro che chiudere la conversazione, anche a fronte di un forte stato d’ansia provocato proprio da queste condotte.
L’interlocutore non si presentava mai, ma chiedeva in continuazione notizie della figlia (omissis); solo dopo molte telefonate e richieste di qualificarsi, l’interlocutore dichiarava di essere “(omissis)” (pag. 9 stenotipie).
Durante una di queste telefonate, poi, grazie anche all’intervento del figlio della (omissis), riusciva a trascrivere il numero telefonico del chiamante che, precisa ancora la teste, si qualificava come “(omissis)” e chiedeva in continuazione informazioni di (omissis) (pag. 10 stenotipie); il numero dal quale provenivano le chiamate, (…) risultava essere intestato all’odierno imputato.
A causa del perdurare delle telefonate, la (omissis) decideva di cambiare numero telefonico e solo così le chiamate cessavano.
A domanda la (omissis) ha confermato che la voce dell’interlocutore, nel corso di tutte le telefonate, era sempre della stessa persona.
L’imputato, assente al processo, non ha fornito né nel corso delle indagini preliminari né avanti questo Tribunale una ricostruzione dei fatti difforme dalle risultanze dibattimentali o giustificazioni di sorta della propria condotta.
Così brevemente riassunta la vicenda, vanno tratte le seguenti considerazioni e conclusioni.
Quanto alla contestazione in rubrica, ovverosia la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., per la quale è punito chi “…per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo…” ritiene questo giudice che dalle dichiarazioni testimoniali assunte, delle quali non vi è motivo di dubitare circa la loro credibilità, nel caso di specie siano presenti gli elementi costitutivi della medesima.
Per giurisprudenza costante della Suprema Corte, infatti, “ai fini della configurabilità del reato di molestie previsto dall’art. 660 c.p., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nella altrui sfera di libertà” (Cass. sez. I, sent. 17308/08); per petulanza deve intendersi la “volontà specifica di dare fastidio a una persona” (Cass. Sez. I, Sent. 7379/00), ovvero “quel modo di agire, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente, che per ciò stesso interferisce sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone” (Cass. sez. I, Sent. 7051/08).
Nella condotta del prevenuto, ritiene questo giudice, uniformandosi ai principi della Suprema Corte, paiono sussistere gli elementi caratterizzanti della fattispecie contestata, atteso che, nella condotta di chi, come nel caso di specie, insistentemente e ripetutamente effettua chiamate, indipendentemente anche dal loro contenuto, possono certo rinvenirsi sia l’elemento della petulanza che l’elemento del biasimevole motivo.
Scontato è, poi, l’elemento psicologico del reato contestato, connotato dalla coscienza della idoneità della condotta ad arrecare molestia o disturbo ai soggetto passivo, alla luce delle modalità della condotta stessa.
Nessun dubbio, infine, alla sua identificazione, riconosciuto senza ombra di dubbio dalla persona offesa (omissis) e dalla diretta riconducibilità dell’utenza telefonica al (omissis).
Va comunque precisato che dall’istruttoria, in modo particolare dalle dichiarazioni di (omissis), nei confronti della stessa l’imputato non ha effettuato alcuna telefonata o posto in essere alcuna condotta molesta avendo il (omissis) chiamato unicamente la (omissis); per tale ragione, quindi, l’imputato va necessariamente mandato assolto dal reato ascritto come commesso dei confronti di (omissis) perché il fatto non sussiste.
Va invece affermata la penale responsabilità di (omissis) per la contravvenzione ascritta nei confronti di (omissis) e disposta la sua condanna come da dispositivo.
Dal punto di vista sanzionatorio, tenendo conto dei parametri di cui all’art. 133 c.p., ed in particolare delle modalità del fatto e della personalità del soggetto, peraltro non meritevole della concessione delle attenuanti generiche non essendo emersi elementi positivamente valutabili ai fini della loro applicazione, pena equa appare essere quella di 300 euro di ammenda, contenuta nella sola sanzione pecuniaria stante la non particolare gravità della condotta.
Alla condanna consegue, ex lege, il carico delle spese processuali.
I precedenti riportati nel casellario sono ostativi al riconoscimento della pena sospesa e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
All’affermazione di penale responsabilità consegue l’obbligo per (omissis) di risarcire i danni cagionati alla parte civile costituita (omissis) che vengono equitativamente fissati in euro 1.000,00 all’attualità.
La parte civile ha infine diritto alla rifusione delle spese processuali sostenute che si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014, tenuto conto della effettiva attività svolta, dalla complessità del procedimento, dal numero di udienze tenute, e vanno poste a carico dell’imputato.
Il complessivo carico di lavoro giustifica la previsione, per il deposito della motivazione, del termine di giorni 30.
(omissis) dal reato ascritto come commesso nei confronti di (omissis) perché il fatto non sussiste.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
dichiara
(omissis) colpevole del reato lui ascritto come commesso nei confronti di (omissis) e lo condanna alla pena di 300,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 538 e segg.ti c.p.p., condanna l’imputato, al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile (omissis), quantificate in euro 1.000,00, nonché alla refusione delle spese di costituzione e difesa della stessa che liquida in complessivi euro 2.458,00 oltre accessori di legge se dovuti.
Visto l’art. 544, comma 3 c.p.p., fissa in trenta giorni il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Bologna l’11 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2024.
